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A Mezzegra hanno "fucilato" la verità storica

 

Maurizio Barozzi      

 

A villa Belmonte, davanti al famoso Cancello dove andò in scena la farsa di una finta fucilazione di Mussolini già ucciso al mattino, alcuni esponenti di associazioni della RSI, credendo di fare un omaggio al Duce, e al contrario, per rivalsa, esponenti dell'ANPI, l'associazione dei partigiani italiani, hanno opposto lapidi per commemorare l'evento, di fatto, per interessi locali o politici o per ignoranza, avallando un falso storico.

 

lettera aperta al sindaco di Mezzegra
Claudia Lingeri
 

 

Premessa:

Signor sindaco, come noto davanti al cancello di Villa Belmonte, in Giulino di Mezzegra, tempo addietro, venne apposta una lapide commemorativa della morte di Benito Mussolini e di Clara Petacci. In tale località inoltre era invalso l'uso di praticare Tour turistici a rivisitazione e commemorazione dei posti che interessarono le ultime vicende umane e storiche di Mussolini.

Leggiamo adesso che anche l'ANPI ha inteso apporre una sua lapide a ricordo di quell'evento storico. Il tutto consentito dalla locale amministrazione di Mezzegra di cui Lei è sindaco.

Con questa lettera aperta, divulgata anche a mezzo stampa, non si vuole assolutamente entrare in polemiche tra "nostalgici" di opposti schieramenti, ma criticare unicamente, da un punto di vista della verità storica, la deposizione di croci e lapidi che, di fatto, avallano un falso storico. Un alterazione della storia questa che non può essere consentita, nè per soddisfare esigenze di fazioni politiche, nè per eventuali interessi di natura turistica.

È oramai storicamente acquisito, infatti, che davanti a quel cancello non ci fu alcuna fucilazione di Mussolini e la Petacci o meglio ci fu solo una messa in scena di una fucilazione di due cadaveri quelli di Benito Mussolini e Clara Petacci uccisi al mattino.

Questa mia decisa asserzione, che non ci fu alcuna fucilazione a Villa Belmonte, non nasce dalle sia pur tante ed evidenti contraddizioni della "versione" o meglio le "versioni", definite dallo storico Renzo De Felice una "vulgata", incongruenti e contraddittorie emesse negli anni dai presunti autori di quell'impresa e neppure da una raccolta di testimonianze, per loro natura non decisive per attestare, in un senso o nell'altro, un quadro esatto degli avvenimenti effettivamente accaduti in quel 28 aprile 1945 tra Bonzanigo e Giulino di Mezzegra, ma si evince da riscontri precisi, prove oggettive di natura scientifica che non consentono alcun appello.

Non è un caso infatti che, oramai, storici di varie tendenze non credono più alla "vulgata", che prestigiose riviste storiche, non di parte, la smentiscono decisamente e che la stessa RAI nel corso di un ampio servizio, curato da Enzo A. Cicchino: "La Grande Storia", del 6 luglio scorso, ha decisamente definito come falsa la "vulgata".

Per sua informazione le riporto queste prove oggettive alle quali si può aggiungere un altra prova*, sia pure di valore "indiziario", ma concreta e inequivocabile. Vediamo:

 

1. Prima prova oggettiva: il giaccone indosso al cadavere di Mussolini

Nel 2006 studi peritali, eseguiti da una equipe del Prof. Giovanni Pierucci presso il celebre Istituto di Medicina Legale di Pavia, facendo uso di strumenti e tecniche computerizzate, hanno confermato precedenti osservazioni "ad occhio" che indicavano il giaccone con maniche raglan, visibile in foto e filmati di Piazzale Loreto e indosso al cadavere di Mussolini allacciato fin quasi al collo, privo di fori o strappi quali esiti di una fucilazione. Recentemente anche altre analoghe analisi hanno confermato i risultati della perizia di Pavia.

Il giaccone risulta intatto e i colpi da armi da fuoco si trovano solo sulla maglietta bianca di salute. Altri particolari, inoltre, evidenziati dalle tecniche digitali, indicano che alcuni colpi furono sparati da distanza molto ravvicinata.

Quindi Mussolini, attinto in vita da ben nove colpi di arma da fuoco, non fu fucilato con quel giaccone indosso.

Molti di questi colpi, infatti, avrebbero dovuto produrre bruciature, fori o strappi su quel giaccone. Invece non risulta niente di tutto questo e la ipotetica possibilità che quel giaccone sia stato cambiato da indosso al cadavere dopo che la sera, fu buttato sul camion con gli altri cadaveri dei fucilati, ovvero durante il viaggio di ritorno a Milano è una vera amenità secondo la quale, dovremmo supporre che nel mucchio dei cadaveri insanguinati che giacevano su quel camion, qualcuno decise che alla salma del Duce, forse poco elegante, sarebbe stato meglio sostituirgli il cappotto, cosa oltretutto non di certo agevole visto il rigor mortis del cadavere. Al di là del ridicolo di una ipotesi del genere, resta il fatto che non esistono eventuali ricordi di un cambio di giaccone al cadavere durante il viaggio di ritorno verso Piazzale Loreto, confidenze che avrebbero dovuto pervenire da Waler Audisio, Aldo Lampredi, Alfredo Mordini, Orfeo Landini e Mario Ferro, oltre agli uomini del plotone dell'Oltrepò pavese (circa 12), cioè tutti coloro che riportarono a Milano i 18 fucilati ammucchiati sul quel camion. Ma oltretutto, e questo è decisivo, la perizia di Pavia ha evidenziato, su la maglietta bianca di salute, aloni di polvere incombusta e di microparticelle che ogni colpo d'arma da fuoco deposita sul corpo colpito se lo sparo vi arriva direttamente da una distanza non superiore ai 50 cm.!

Di fronte a questa prova, a dir poco schiacciante, non c'è nulla da obiettare: Mussolini venne buttato in terra al cancello di Villa Belmonte già morto e precedentemente rivestito con quel giaccone, cosicché saltano definitivamente tutti i riferimenti di luogo e di tempo forniti dalla "vulgata".

 

2. Seconda prova oggettiva: lo stivale destro

Le immagini di Piazzale Loreto mostrano lo stivale destro di Mussolini aperto e rovesciato sul piede. Il testo d'epoca di Renato Salvadori: "Nemesi", ci dice che quello stivale aperto venne già notato, la sera del 28 aprile, al caricamento dei cadaveri sul camion al bivio di Azzano.

Il rilievo oggettivo di quello stivale, in quelle condizioni (saracinesca lampo di retro chiusura, saltata al tallone) ci dimostra che Mussolini non poteva deambulare normalmente per essere condotto alla macchina che lo aspettava in fondo alla piazzetta con il Lavatoio in Largo della Valle e comunque, se così fosse stato, quei pochi testimoni che hanno sbirciato quel "corteo" avrebbero sicuramente notato questo particolare, cosa che invece non è avvenuta.

Se pertanto lo stivale dx al piede del cadavere del Duce presentava questa anomalia, è ovvio che la saracinesca di chiusura venne forzata e si ruppe tra il dopo l'uccisione di Mussolini al mattino e prima di scaricare il suo cadavere alle 16,10 davanti al cancello di Villa Belmonte per inscenare una finta fucilazione.

Quindi questo stivale non solo smentisce la "vulgata", ma dimostra anche la messa in scena che fu mostrata a qualche occasionale astante di quei posti che vide passare il corteo di un uomo e una donna, scortati da uomini armati, condotti alla macchina sulla piazzetta del Lavatoio.

Quei pochi testimoni, infatti, che verso le 16 del 28 aprile 1945 sbirciarono il passaggio di un uomo, rimpannucciato in un pastrano con i baveri alzati e il cappello calato sugli occhi, ed una donna, entrambi con stivali da equitazione (sic!) come riferito da alcuni testi, non hanno però anche indicato che l'uomo si trascinava con uno stivale aperto. Ergo, quei due non potevano essere Mussolini e la Petacci!.

Queste due prove oggettive che smentiscono una fucilazione al cancello di Villa Belmonte sono decisive, tanto che in un immaginario Tribunale non ci sarebbe bisogno di testimonianze o altro. Ma vediamo anche la prova indiziaria.

 

* Prova indiziaria: la balistica della fucilazione smentisce la "storica versione"

Per ricostruire la dinamica balistica di quella fucilazione, abbiamo purtroppo solo la descrizione diagnostica delle ferite fatta dal prof. Cattabeni in sede di necroscopia all'obitorio di via Ponzio a Milano, nonchè le foto delle ferite visibili sulle salme di Mussolini e la Petacci.

Non abbiamo però elementi per stabilire il calibro delle pallottole, nè la descrizione dei tramiti interni che consentano di specificare metrica e inclinazioni di tiro e neppure abbiamo l'analisi del vestiario.

Di fronte a queste carenze non si può indicare una dinamica balistica precisa, ma solo avanzare non meno di un paio di attendibili ricostruzioni valendosi del verbale di Cattabeni, delle fotografie e della comune esperienza nella balistica per le armi da fuoco.

In ogni caso trattasi di ipotesi molto concrete espresse in tempi diversi, pur con alcuni distinguo e riserve, da esperti di medicina legale come il dott. Aldo Alessiani del tribunale di Roma (anni '80 che addirittura ipotizzò una sequenza di spari, con pistola e mitra, durante una colluttazione tutta svoltasi in casa), il prof. Giovanni Pierucci a Pavia (consulenza del 1996 e perizia del 2006) e il prof. Pierluigi Baima Bollone a Torino (2005).

Sappiamo che Audisio, nelle sue confuse e contraddittorie relazioni, alla fin fine, indicò di aver sparato un massimo di 10 colpi di cui uno di grazia. Noi comunque dobbiamo partire dal fatto che il cadavere di Mussolini presenta 9 ferite premortali, causate da 9 colpi tutti documentati dal referto autoptico del prof. Cattabeni..

Di queste nove ferite, la più alta trovasi in zona sotto mentoniera, mentre la più bassa attinse il fianco destro fuoriuscendo dal gluteo; l'avambraccio dx presenta una ferita con foro di uscita. Alcune ferite fanno supporre una ravvicinatezza di spari e il loro insieme mostra una geografia distanziata con poli direzionalità di tiro. Inoltre la conformazione difforme delle ferite, come appare in foto lavorate con tecniche moderne, alcune più piccole e altre poco più ampie (quelle sull'emisoma destro), alcune rotonde e altre un poco ovali, lasciano intuire due calibri diversi, che è ragionevole indicare in un 7,65 e in un calibro 9 corto e alcuni spari con traiettoria un poco obliqua.

Ed ancora, alcuni colpi paiono sparati con inclinazione dall'alto verso il basso, traiettorie che teoricamente, potrebbero anche essere ascritte a inclinazione della vittima in avanti al momento degli spari, ma considerando il piano stradale sul quale dicesi era posizionato Audisio, di circa 15 cm. più basso rispetto a quello del cancello di Villa Belmonte dove era posizionato Mussolini, la giustificazione si complica.

Possiamo invece ragionevolmente ipotizzare, pur non potendo avere certezze assolute in merito, una esecuzione con almeno due sparatori: uno con mitra, leggermente defilato rispetto al bersaglio e l'altro con pistola posizionato frontalmente sulla destra di Mussolini.

E' anche possibile una sequenza in due tempi: prima un ferimento al fianco e forse al braccio durante una fase di colluttazione e poi i sette spari finali con il bersaglio in piedi. Teoricamente, i sette colpi tra spalla, collo e torace, potrebbero anche provenire da una sola arma.

La Petacci, viceversa, venne attinta da una raffica di mitra alla schiena e forse, da uno o due colpi di pistola al petto (una o due pallottole calibro 9 corto furono recuperate nella salma durante la riesumazione del cadavere, ma non si ha certezza se vennero sparate in vita o post mortem). Le foto delle ferite "in uscita" sul petto e la sua pelliccia perforata nello schienale sono eloquenti. Una morte della donna questa che non può rapportarsi ai sia pur confusionari resoconti della "Vulgata" che la fece rientrare nella stessa fucilazione in cui fu ucciso il Duce.

Una Petacci inoltre, il cui cadavere mostra evidenti ecchimosi sotto l'occhio dx ed una probabile frattura del naso, tutti colpi ricevuti in vita e che smentiscono la "vulgata" la quale recita invece che la Petacci sarebbe stata in casa De Maria, tranquilla fin verso le 16, ora in cui la preleverebbe Audisio per portarla a Villa Belmonte e fucilarla in quattro e quattr'otto.

La versione quindi di Audisio, Lampredi e Moretti, ovvero dei tre presunti esecutori di Mussolini, attestante un solo tiratore che oltretutto farebbe fuoco da tre passi (oltre due metri) è la più improbabile ad essersi verificata, perché l'insieme delle circostanze e le modalità di esecuzione considerate, tendono ad escluderlo decisamente.

 

Signor Sindaco, le risparmio le tante osservazioni e deduzioni che smentiscono la "vulgata", come anche la raccolta delle testimonianze di gente del posto, suoi concittadini, che poterono solo attestare di aver visto intorno alle 16 un breve corteo di un uomo e una donna scortati all'automobile che li attendeva in fondo alla piazzetta con il Lavatoio e successivamente di aver udito scariche di mitra e quindi visto due cadaveri ai piedi del cancello di Villa Belmonte. Ma la attenta osservazione di quelle testimonianze dimostra inequivocabilmente che fin dal mattino ci furono piccoli, ma numerosi blocchi stradali in tutto il circondario Bonzanigo, Azzano e Mezzegra, motivati dalla falsa ricerca di fascisti, spie o tedeschi fuggiaschi, e che intorno all'ora di pranzo venne sparsa la voce di un transito di Mussolini prigioniero nella sottostante statale. Tutti avvenimenti questi che dimostrano come Audisio & Co. non vennero improvvisi in paese verso le 16 e scelsero strada facendo il luogo dell'esecuzione, ma vi era una preordinata pianificazione di una messa in scena.

Del resto in una intervista del 2008 al vice sindaco di Mezzegra, Vittorio Bianchi, intervistato dalla TV Espansione di Come, ebbe ad affermare quello che tutti hanno sempre saputo, ovvero che al tempo la gente di quei posti venne "zittita".

Non è tanto difficile capire che se ci fu bisogno di intimidire la gente, affinchè non parlasse, evidentemente la "vulgata" era falsa in tutto e per tutto.

Io posso anche comprendere che possano esserci interessi storici, di prestigio e di natura turistica, perchè la sua amministrazione comunale acconsenti alla deposizione di queste lapidi, ma a parte il fatto che può sempre deporsi una duplice lapide in luogo generico del paese, indicante che il 28 aprile 1945 in quella località venne fucilato Mussolini, e quindi mantenere integri gli interessi turistici, non è possibile che venga stravolta la verità storica, anzi "fucilata" la storia, acconsentendo a deporre lapidi commemorative al cancello di Villa Belmonte, dove non ci fu alcuna fucilazione. Mi auguro che Ella vorrà provvedere in merito.

 

Distinti saluti

Maurizio Barozzi - Roma        

 

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