II poeta Mario Castellarci lo
definisce il Pittore del sogno
Alberto Alisi
Giorgio Vitali
Chi è Alberto Alisi? A settantasette anni è ancora
quel giovane che, a meno di ventanni (come tantissimi altri coetanei), lo
spirito e la mente scagliarono oltre l'ostacolo per tenere alto l'onore
dell'Italia in una partita che si sapeva ormai perduta. Riuscì, pur menomato
alla gamba sinistra, ad indossare la Divisa dei Battaglioni M e come
legionario semi-clandestino (non ha mai saputo se fu ufficialmente inserito
nei Quadri) si trovò, dopo aver superato tante peripezie, a combattere sul
fronte di Nettuno. Per una grave infezione ai piedi (virus della suola) dopo
otto giorni di "buca", immerso nell'acqua fin sopra i ginocchi, fu portato
all'Ospedale Militare del Celio, da dove venne dimesso di lì a qualche
giorno.
Dopo l'occupazione di Roma, da parte delle truppe nemiche, fu arrestato per
attività clandestina contro le Forze Militari Alleate e contro lo Stato
italiano. Processato, dopo due anni e tre mesi di prigionia, fu assolto per
non aver commesso nessuno dei reati di cui era stato accusato.
Si dichiara sempre orgoglioso di aver voluto vivere la sua giovinetta nel
modo scelto in chiara coscienza.
Il nostro Giorgio Vitali s'è recato ad intervistarlo.
Siamo andati a scovare Alisi nel suo studio-rifugio in quel di Ariccia dove
si rintana per gran parte della giornata a rimeditare la sua vita e la sua
attività di pittore. Abbiamo detto rimeditare perché è quel che rimane da
fare a lui -così afferma- per i gravi problemi di vista che lo assillano
ormai da tanti anni.
«Da ragazzo -ci dice- rimasi molto scosso dalla lettura del romanzo di
Kipling "La luce che si spense" che ci fa sentire la grande tragedia del
giovane pittore che rimane cieco e che, preso dalla follia, affonda le mani
nei colori e da forsennato imbratta tele e pareti e ne muore disperato.
Credetemi, non dipingere più per un pittore, è come negare ossigeno a chi
sta per annegare»
«Ma lei con le diottrie residue di un solo occhio, tre in tutto, riesce
ancora ad esprimersi in qualche modo»
«Ben detto in qualche modo, che è nei desideri di regalare a me stesso i
miei sentimenti con la speranza di renderli gradevoli agli occhi e allo
spirito di chi guarda»
«Smettiamola di rattristarci e parliamo delle motivazioni che sembrano
esprimere i suoi lavori. Non sappiamo se è nelle sue intenzioni, ma
osservando ciò che crea sembra ci sia, in essere, il perfezionamento, o
almeno, il miglioramento dell'umanità»
«Escludo l'intenzione ma, se così è avvertito, ne ho piacere»
«Ci dica: qual è il suo atteggiamento di fronte alle realtà che a lei non
piacciono?»
«Opporre immaginazione e sogni che, con grande impegno e convinzione,
possono realizzarsi.»
«Una umanità tranquilla e serena?»
«Una umanità che sappia rallegrarsi della propria esistenza, che sappia
giocare quando se ne presenti l'occasione, che sappia amare ed essere felice
quando si sente amata. Una umanità che sappia esclamare "Bello" quando viene
a trovarsi di fronte a qualcosa di veramente bello»
«Osservando attentamente i suoi lavori scopriamo che lei idealizza tutto, ce
ne da conferma?»
«Quasi sempre. Una bottiglia ha il collo un po' corto? Allunghiamolo di
mezzo centimetro. Una pera troppo matura presenta tre ammaccature? Con una
ditata ne provochiamo una quarta così verrà meglio messo in evidenza il
processo di decomposizione che ne provocherà la fine. Una pera ben matura ma
integra, riceverà una pennellata più vivace sulla tela per renderla più
gradevole da suscitare il desiderio di morderla. Una caviglia di donna non
troppo snella, come quella di un fenicottero? Assottigliamola, ne ricaveremo
tanta gratitudine. Nel cimentarmi tra le vestigia della Roma Imperiale o di
qualsiasi altra Piazza Medievale d'Italia, un brandello di carta
accartocciato e gettato lì per incuria, mi riduce la vista? Senza alzarmi
dal seggiolino, semplicemente, lo ignoro. Se qualche colonna si presenta
troppo sporca, incrostata di smog, sulla tela la ripulisco. In questo modo
l'aria circola più liberamente così il tutto diventa più respirabile»
«È stato detto di lei come un post-metafisico. Se la sente di accettare
questa definizione?»
«Sì se si tratta di dare la giusta visione di un granello di sabbia o di una
punta di spillo; di far sentire l'importanza che queste piccole cose hanno
nella totalità dell'Universo»
«Si sente in qualche modo vicino a De Chirico?»
«No, decisamente no nei tormenti formali; nella sostanza sì…»
«Quali filosofi, poeti, pittori, musicisti sente più influenti nella
formazione dei suoi pensieri e delle sue convinzioni?»
«Come artista non ho la predisposizione a ragionare filosoficamente. Posso
affermare che Schopenhaur, Nietzsche e G. Gentile, riscuotono la mia
ammirazione; per i poeti la mia simpatia e commozione è tutta, se pur in
maniera diversa (essendo l'uno molto diverso dall'altro) per Leopardi e
D'Annunzio; resto estasiato ascoltando Mozart, Chopin e tutta la schiera dei
grandi classici; i pittori a me più cari? Leonardo e Caravaggio e perché no?
De Chirico»
«Torniamo per un attimo alla sua pittura: lei, come De Chirico, fa molto uso
delle ombre lunghe. Domandiamo se c'è un perché»
«La risposta è sì. Le ombre sono la testimonianza di un qualcosa di ben
illuminato; più un'ombra è ben proiettata, più risalta l'oggetto che la
proietta, più tutto diventa vero»
«Osservando le sue ultime quattordici opere sembra si sia proiettato
all'improvviso "nell'Astratto"»
«Impressione errata; le opere di cui le fa cenno sono zeppe di tubi e sfere,
figure che di astratto non hanno proprio niente»
«Ultimissima demanda: sappiamo che le è approdato alla pittura alla non più
tenera età di trentasei anni. Perché non prima? Cosa ha scatenato in lei
questo desidero?»
«Da sempre, dalle scuole elementari, ho avuta la predisposizione a
scarabocchiare su fogli di carta pulita con certo successo suscitando
l'elogio degli insegnanti. Avanzando negli anni, visitando gallerie e
pinacoteche, cominciai a sentire prepotente il desiderio di cimentarmi col
colore ma l'idea di provare mi faceva tremare i polsi. Come raggiungere
certi livelli? Come, per essere originali, essere se stessi, senza subire
plagi? La svolta? In un mattino di giugno 1959 ricevetti da un amico un
pieghevole che presentava un suo amico pittore per un edizione annuale della
fiera di Via Margutta. Così, per la prima volta, misi piede in quella
stupenda via. Guardando qua e là i tanti pannelli che ospitavano opere di
grandi e meno grandi m'impegnavo a scovare il nome del pittore illustrato
sul pieghevole in mio possesso. Trovai il pannello, su un cartello
elegantemente stampato si leggeva un nome: Luciani. Fui folgorato. Un
giovane lì fermo m'osservava con attenzione. Piccolo di statura, magro,
scuro di pelle e di capelli, con la somiglianza tra un Fauno e un Satiro.
Inaspettatamente mi domandò: "Le interessa qualcosa?" Risposi con un'altra
domanda: "Come e quando posso conoscere Luciani?" "Sono io Luciani". Lo
guardai meglio, non aveva le stimmate di un artista (quanto inganna
l'apparenza!) e tra me e me mi posi la domanda: "Perché lui sì e io no?". I
suoi quadri erano stupendi sinceri; parlavano di bontà in due parole di
sentimenti elevatissimi. Diventammo amici. Cominciai a frequentare il suo
studio, un bugigattolo in Via della Purificazione, illuminato
artificialmente. Mi domando ancora come in quelle precarie condizioni
potessero prendere vita tanti capolavori. Volle vedere come ero bravo a
disegnare e favorevolmente impressionato mi esortò a dipingere. Mi insegnò a
tenere i pennelli in mano. Ci scoprimmo subito diversi nell'esprimerci.
Convenimmo che era meglio così l'uno per l'altro. Luciani è scomparso pochi
mesi or sono. Mi commuove sempre il suo ricordo»
Giorgio Vitali
Custode
fedele
A veglia dei miei
morti ci ho lasciato
un cipressetto tutto
chioma bella
che lo somiglia a
dolce monachella
sempre a colloquio
con Gesù beato.
Quelli che tutto il
nostro hanno predato
non hanno visto
suora Cipressella
né il canto sanno,
che la campanella
da loro fatta muta,
ha rimpiazzato.
Sale da ramo a ramo
e poi si libra
alto tutto il
tormento della terra
nostra: ci siamo
tutti morti e vivi.
Della passione
nostra forte vibra
sorella Cipressella:
è tutta in guerra
con la sua santa
pace, su ì cattivi. |
alberto alisi
Edita su
"Difesa Adriatica" 1951
Il mio
Adriatico
Su l'onde del mio
mare ci ho giocato
appena nato con il
grembiulino
nel pugno di mia
madre, giù vicino
al faro, e tanto
amore v'ho pescato.
Tra i flutti del mio
mare, rispecchiato
in mille luci,
stava, il mio destino;
m'impose con
fermezza in un mattino,
d'amare l'arte ed
esserne riamato.
La rabbia del mio
mare forte e cupa
mi fece salde
braccia ed occhi acuti
e il suo tonare, il
timpano evoluto.
Adesso ce l'ho
dentro e non si sciupa
il mare mio pure se
sparuti
mi sono i giorni ed
ogni scoglio è muto |
alberto alisi
Edita su
"Difesa Adriatica" 1950
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