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9-10 marzo 2012 http://www.rinascita.eu/?action=news&id=13664
Anarchici-non-anarchici, delle BR o di LC... & La morte di Feltrinelli
Davide D'Amario
Stralciamo, dal saggio "Cuori rossi contro cuori neri", scritto a quattro mani da Paolo Sidoni e Paolo Zanetov per la Newton Compton Editori, di recentissima pubblicazione, un capitoletto: -Gli "anarchici"- estremamente emblematico sulle collusioni mai rivelate tra terrorismo italiano e servizi segreti, anche stranieri.
Gli anarchici
Il sociologo Aldo Bonomi, poi arrestato come brigatista nel 1974 nell'ambito dell'inchiesta sul sequestro Sossi, risulterà un personaggio quasi assente dalle cronache della lotta armata, venendo citato quasi esclusivamente da Franceschini, che ne approfondirà le intricate vicende. Prima di venire da noi, Bonomi era anarchico. Nel maggio 1973, Gianfranco Bertoli, anarchico o sedicente tale aveva compiuto l'attentato alla Questura di Milano. Ed era saltato fuori che, un paio di anni prima, Bonomi aveva aiutato Bertoli, ricercato per un altro reato, facendolo espatriare in Israele. vennero a raccontarcelo i suoi ex compagni. [...] io lo chiamai e gli feci questo discorso: «Guarda che gli anarchici ci raccontano delle brutte storie sul tuo conto. Tu che hai da dire?». E lui mi rispose: «Io vivo di informazioni. Però siccome sono un compagno, a voi le do gratis». Dopo quell'episodio, io non lo incontrai più, perché non sapevamo bene come valutarlo. Però lui rimase nella redazione di "Controinformazione 192". L'accenno alle informazioni di cui Bonomi viveva e l'aver aiutato Bertoli a espatriare non erano certo un buon biglietto da visita. Oltre che "sedicente anarchico individualista" -come forse in fondo in fondo poi era- l'autore del fallito attentato al ministro dell'Interno Mariano Rumor, costato quattro morti e cinquantadue feriti, nella sua tormentata e sballata esistenza era stato iscritto sia a "Pace e Libertà" di Sogno che al "Fronte nazionale" del principe Borghese, compariva negli elenchi di "Gladio" così come in quelli dei cospiratori della "Rosa dei venti" ed era in ottimi rapporti con gli ordinovisti veneti di Carlo Maggi e Delfo Zorzi, ma, soprattutto, era stato informatore dei servizi del SIFAR dal 1954 al 1960, nome in codice "Negro", e di quelli del SID dal 1966. Alcolista all'ultimo stadio, ambulante senza licenza e adiacente alla piccola malavita, nel corso di una perizia psichiatrica del '60, a ventisette anni, Bertoli venne descritto come «individuo socialmente pericoloso perché, date le sue condizioni mentali, è facilmente soggetto alla suggestione e alla intimidazione. Egli è capace di agire quasi esclusivamente sotto l'altrui spinta». Questo era l'uomo che Bonomi aiuterà a fuggire in Israele perché incolpato di una rapina e questo il personaggio che dopo aver ufficialmente trascorso tre anni in un Kibbutz sotto nome falso -cosa poco credibile nel paese più sorvegliato del mondo- tornerà in Italia per lanciare sulla folla una bomba ananas israeliana, segnale preciso forse anche questo. Lo stesso Bonomi sembrerà del resto custodire i suoi buoni scheletri nell'armadio. Il medico milanese che avrebbe dovuto mettere in contatto le BR con il Mossad fu più tardi individuato in Rolando Bevilacqua, medico di Sovico, un paesino vicino Milano, agente confesso dei Servizi israeliani nonché in stretto rapporto con Bonomi. Raccontando agli inquirenti il suo passato, Bevilacqua narrò che durante la sua esperienza partigiana sugli Appennini aveva aiutato molti ebrei a passare le linee. Dopo la creazione dello stato d'Israele nel 1948, fu contattato da agenti del Mossad, svolgendo per essi attività informative. Nel 1969 estese la sua collaborazione al SID tramite un colonnello dei carabinieri di Sondrio. Tra i compiti assegnatigli ci fu quello di infiltrarsi tra gli anarchici fornendo notizie sulle loro attività. Si iscrisse quindi al circolo "Sacco e Vanzetti" di Milano scrivendo per le riviste anarchiche "Umanità Nova" ed "Internazionale" e partecipando a un congresso anarchico europeo. Nel corso dell'inchiesta giudiziaria del 1998 sugli ordinovisti veneti, inchiesta che si occupava anche di Bertoli, il giudice istruttore Antonio Lombardi scriveva: «Le conclusioni di queste risultanze sono davvero sconcertanti. Bertoli fu fatto espatriare nel 1971 con l'aiuto di anarchici del Ponte della Ghisolfa che fornirono il passaporto e lo fecero ospitare da un medico anarchico [Bevilacqua - N.d.A.]. Questi in realtà svolgeva in quel periodo attività informativa per il Mossad e per il SID, teneva informati dell'operazione oltre il referente del Mossad anche quello del SID, cioè il colonnello Monico che ritenne opportuno non intervenire. L'espatrio venne organizzato ed eseguito da Aldo Bonomi, anarchico sospettato d'essere confidente della polizia e collegato con i Servizi segreti. [...] nel 1991 nel corso di un accesso al SISMI questo GI [Giudice istruttore] appurava la pregressa attività informativa di Gianfranco Bertoli per il SIFAR e per il SID con il nome di copertura Negro. [...] Per la cronaca il Bonomi è stato inquisito e poi arrestato per appartenenza alle Brigate rosse dal GI di Torino [...] In una informativa acquisita presso il SISMI in data 07.03.1991, il Bonomi viene indicato come sospetto confidente della polizia. Nel corso del suo interrogatorio, Bevilacqua specificava al GI Lombardo i termini della sua conoscenza con Bonomi e i suoi sospetti su di lui: "Ho conosciuto Aldo Bonomi, figlio del sindaco democristiano di Sovico, in quanto abitava anche lui a Tresivio [...] Il Bonomi in verità era un tipo un po' strano, non riuscivo a capire di che tendenza fosse, nel senso che a volte si professava anarchico, a volte marxista-leninista, a volte appartenente a "Lotta continua" [...] Cercava spesso pretesti per avvicinarmi e per parlarmi, mi stava sempre appiccicato. [...] Più di una persona in paese mi aveva detto che egli aveva agganci con Servizi informativi segreti. Il Parolo e il Viganò, due anarchici [...], mi diedero per certo che Bonomi era una spia della polizia e aveva contatti con i servizi informativi segreti [...] Ad essere sincero la mia vera preoccupazione era che egli potesse essere una rotella di un'organizzazione di destra che controllava il mio operato per riferire ad altri. Devo anche dire che al mio referente, cioè il colonnello dei carabinieri di Sondrio, avevo anche fatto il nome di Bonomi come quello di persona con cui ero in contatto ed egli non aveva detto niente come se fosse già a conoscenza delle attività di Bonomi». Nel riassumere il significato dell'intricata vicenda, non potrà sfuggire il nesso che, attraverso il manovrabile e manovrato Bertoli, univa Servizi segreti italiani e israeliani a ordinovisti veneti e supposti anarchici-neobrigatisti come Aldo Bonomi, ancora attivo in imprecisato ruolo all'epoca del sequestro Moro, come risulterà dall'interrogatorio di Volker Weingrabe, agente dei Servizi tedesco-occidentali spacciatosi per membro della RAF, in missione a Milano dal gennaio '78 al maggio '79, che con Bonomi ebbe rapporti. Rapporti questi che, letti in filigrana nel loro insieme, autorizzano a ritenere come fondamentale il ruolo dei servizi italiani ed esteri, e dei loro infiltrati, nella vicenda della lotta armata in Italia, di destra o sinistra che fosse. P. Zanetov - P. Sidoni
* * * da "Rinascita", 10 marzo 2011http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=13689
Stralciamo, dal saggio "Cuori rossi contro cuori neri", scritto a quattro mani da Paolo Sidoni e Paolo Zanetov un capitoletto -La morte di Feltrinelli- estremamente emblematico sia sulle origini del terrorismo in Italia e sia sulle collusioni mai rivelate tra terrorismo italiano e servizi segreti, anche stranieri
... Agli inizi del 1972 Giangiacomo Feltrinelli, reduce da una bronchite tramutatasi in polmonite in uno dei covi milanesi dei GAP, non era in buona forma fisica e appariva stanco. A fine febbraio si era recato da un notaio svizzero per regolare alcune disposizioni successorie che riguardavano suo figlio Carlo, a molti amici aveva rivelato di essere preoccupato per la sua vita. Era diventato molto guardingo. Il 3 marzo le BR avevano "alzato il tiro" sequestrando l'ingegner Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens. L'azione ebbe un'eco fortissima in tutta Italia, echi anche in Europa; ansioso di partecipare agli eventi, Feltrinelli tornò subito a Milano dove per l'11 era previsto un contestatissimo comizio di Almirante e, pochi giorni dopo, l'apertura del XIII Congresso del PCI, di particolare importanza per la nuova politica di apertura alla DC da parte di Berlinguer. Nell'intento di sabotarne i lavori, Feltrinelli decise di far saltare in aria i tralicci dell'ENEL lasciando al buio i congressisti. L'8 marzo Feltrinelli inviò due dei suoi gappisti a misurare la distanza tra i piloni di un traliccio vicino Lecco. Il 14 incontrò i due, "Gallo" e "Bruno", entrati da pochi giorni nei GAP. Feltrinelli spiegò che si trattava di un'azione vera ma tranquilla, una specie di esercitazione. Bruno non avrebbe voluto parteciparvi e Gallo dovette insistere, prima a titolo di amicizia poi rivelando al giovane la vera identità di Osvaldo; una notizia che renderà euforico il giovane. Nella tarda serata del 14 marzo, a bordo di un pulmino Volkswagen, Giangiacomo e i due gappisti arrivarono a Segrate, sulla Cassanese, per sabotare due tralicci dell'alta tensione. Gallo aveva venticinque anni e sotto le vesti da impiegato modello nascondeva un cuore avventuroso. L'anno prima aveva fatto un lungo viaggio per nave in Sud America; sei mesi tra Argentina, Bolivia e Cile. A Santiago, per caso, era riuscito a stringere la mano di Salvador Allende; nessun contatto politico insomma. Tornato a Milano non si era più trovato tra i casermoni della periferia dove viveva e le continue scissioni dei maoisti che prima frequentava. Quando strinse amicizia in un bar con Saba e Viel si fece presto convincere a entrare nei GAP. L'incontro con Osvaldo lo emozionò, avendolo subito riconosciuto. Faranno amicizia. Quando Gallo gli chiese perché si esponesse in prima persona, Giangiacomo rispose che voleva essere «primo tra i primi e ultimo tra gli ultimi». «Faccio tutto questo per mio figlio», aggiunse. L'azione prevedeva due diversi obiettivi e due gruppi. A Segrate Osvaldo e i due giovani alle prime armi; a San Vito di Guggiano, sul Naviglio, alle prese con un altro traliccio, Umberto Saba, Augusto Viel, l'unico ancora in libertà della "22 Ottobre", e Günter, al comando del gruppo in Regione della sua specializzazione negli esplosivi. L'identità di quest'ultimo resterà ignota; Günter era solo un soprannome datogli da Feltrinelli in attinenza a quello vero, che ricordava quello di Günter Grass. Secondo Carlo Feltrinelli, sarebbe morto nel 1977 e avrebbe fatto parte della Resistenza, combattendo nelle formazioni "bianche" dei "Fratelli di Dio", in particolare con quella comandata da Filippo Beltrami, le stesse, per la cronaca, in cui avevano militato Eugenio Cefis e Carlo Fumagalli, capo dei MAR! Nel 1944 il diciassettenne Günter aveva assistito alla morte di Beltrami e di altri undici partigiani in uno scontro in val d'Ossola, episodio questo su cui a lungo aleggiò il sospetto di un tradimento. Poi di lui si saprà poco, salvo che le cose non gli andavano bene, spendeva e beveva troppo si diceva in giro. Alla fine degli anni '60 frequentava gli ambienti della malavita di René Vallanzasca e gruppuscoli filocinesi della periferia milanese. Ufficialmente faceva lavoretti di idraulica, elettricità e anche il venditore ambulante. Quando entrò nel giro dei GAP si offrì come tuttofare di Osvaldo. Sempre senza soldi, Feltrinelli gli dava ogni tanto del denaro. Dicendosene pratico, era diventato l'artificiere dei GAP. Era lui che preparava i timer per gli ordigni a tempo. Arrivato al traliccio, Feltrinelli ne minò la base con quindici candelotti di dinamite, poi si arrampicò sulla struttura, a quattro metri di altezza, per piazzare l'ordigno a tempo sul longherone. Bruno racconterà a Carlo gli ultimi attimi: di congegni esplosivi dice, non ne sapeva niente e, quanto alle sue azioni, quella fu la sua prima e ultima. Non ha partecipato ai preparativi. Aveva solo il compito di legare ai piloni una tavoletta di legno per fissare la dinamite. Osvaldo è salito in alto, ha chiesto a Bruno di venire su ad aiutarlo: la carica sul longherone di mezzo imprimerà al traliccio una forza direzionale che lo farà cadere nel senso voluto. Fu in quel momento che l'ordigno esplose schiantando Giangiacomo al suolo, dilaniato dallo scoppio. «Gallo è scaraventato indietro di vari metri dallo spostamento d'aria. Prima di accorgersi della scheggia nella coscia, lo sorpassa il classico millesimo di secondo in cui scorre ogni istante della vita. Intorno non vede niente, poi Bruno che corre verso la strada, la mano incollata all'orecchio. Ha perso la testa e gli è saltato un timpano». «Uno è sotto shock, l'altro non sa guidare, le chiavi del furgone sono nella tuta di Osvaldo. Scappano. Prima a piedi, poi con l'autobus di linea. Non avrebbero potuto salvarlo». Il pulmino Volkswagen color sabbia resterà sul posto. A bordo del mezzo, come poi racconterà Günter, avrebbero dovuto trovarsi trecento milioni che il giorno dopo Feltrinelli intendeva dare a quelli de "il Manifesto" per finanziare la campagna elettorale; ma i soldi sparirono. Il corpo fu rinvenuto il giorno dopo alle quindici e trenta da un uomo in bicicletta che portava a passeggio il suo cane. Carlo, che ha a lungo indagato sulla morte del padre raccogliendone ogni testimonianza, riferirà che «La mattina del 15, verso le dieci appena si dirada la nebbia, due gappisti vanno a Segrate e vedono un'auto ferma sulla vecchia Cassanese accanto al pulmino Volkswagen: molto prima dello Stringhetti in bicicletta con il cane Twist, qualcuno è già sotto il traliccio 71 dell'AEM. Di chi si tratta?». Alle sedici e trenta arrivarono la polizia, i carabinieri, gli artificieri, la scientifica, poi i giornalisti, i fotografi e i curiosi. Eventuali indizi furono cancellati da orme su orme. Nelle foto del "Corriere", scattate a distanza al corpo steso sull'erba, supino a braccia aperte, sembrerà mancasse una gamba, effettivamente tranciata dall'esplosione. All'inizio Feltrinelli non verrà riconosciuto, la carta d'identità nelle sue tasche dirà che si trattava di Vincenzo Maggioni, un perfetto sconosciuto, poi qualcuno noterà la somiglianza con l'editore. Il 17 marzo tutti i giornali usciranno con la notizia. L'indagine appurerà che il congegno era esploso anzitempo o per un errore nel manovrarlo o perché nel timer c'era qualcosa che non andava. «L'esplosione avvenne per un movimento brusco in cima alla trave (la tela della tasca che preme sulla calotta dell'orologio, il perno che fa contatto) oppure qualcuno preparò il timer con i minuti al posto delle ore?». Parallelamente alle indagini della polizia che, condotte sciattamente, non approdarono a nulla, le BR aprirono a loro volta una inchiesta basandosi su testimonianze di prima mano, a cominciare da quelle dei gappisti che quella sera erano con Feltrinelli. Günter raccontò di aver preparato i timer nel pomeriggio in una delle basi dei GAP: quello di Feltrinelli aveva funzionato in anticipo: Giangiacomo saltò in aria proprio mentre stava salendo sul traliccio per collegare i fili e chiudere il circuito. Quello di Günter, invece, non funzionò proprio. A proposito dei timer, anni dopo ho scoperto che erano dello stesso tipo, orologi Lucerne, di quelli utilizzati nell'attentato all'Ambasciata americana ad Atene, quello organizzato da Simioni nel 1970. A tal proposito, l'ex magistrato Guido Viola che indagò sul caso, dirà: «Riuscii ad avere, e dietro parecchie insistenze, qualche scarna informazione. Ad esempio sul timer dell'orologio. Era un orologio Lucerne. Quello di Atene e quello di Segrate sono gli unici due attentati nella storia del terrorismo in cui è stato impiegato questo tipo di orologio». A titolo di completezza, andrà ricordato che «Günter dice di aver comprato gli orologi in un bar a tremilacinquecento lire per tre paia». Riguardo Bruno e Gallo, di cui, stranamente, Franceschini dirà non conoscere la reale identità, anch'essi furono rintracciati dalle BR, su indicazione di Günter: «Li interrogammo e la loro testimonianza registrata venne poi trovata nel nostro covo di Robbiano di Mediglia nel 1974», riferirà Franceschini. Tornando a Günter, Franceschini lo giudicherà: Personaggio per me misterioso allora, nonostante lo conoscessi personalmente, e rimasto misterioso anche in seguito. Non ho mai saputo come si chiamasse e per molto tempo, credo, neanche le forze dell'ordine riuscirono a identificarlo, anche se non sarebbe stato difficile individuarlo: viveva normalmente a casa sua, in Valtellina. Di lui avevo saputo solo che era un elettricista, che aveva un fratello più giovane proprietario di un negozio di elettrodomestici e che, ex partigiano bianco, aveva combattuto con la formazione dei "Fratelli di Dio". Ci vedevamo periodicamente, una volta la settimana. Dopo l'incidente di Segrate, ci aiutò a togliere subito armi e documenti da tutte le basi di Milano. Poi ci accompagnò in Svizzera a prendere, in una cassetta di sicurezza di cui lui aveva la chiave, tutte le cose di Feltrinelli. Dovevano esserci anche un sacco di soldi, non trovammo neppure una lira, solo il passaporto e dei documenti. Dopo il blitz della polizia per il sequestro De Carolis, noi non avevamo più armi. Lui si offrì di procurarci dei mitra e gli demmo dieci milioni. Sparì con i soldi e non lo trovammo più. [...] Se Günter fosse rimasto con noi, [aveva chiesto di entrare nelle BR - N.d.A.] avremmo potuto approfondire tutta una serie di cose, ma lui scomparve. E la sua scomparsa ci impedisce di arrivare alla verità. Qualcuno credette invece di averla individuata. Nel "Dossier San Marco", l'agente del SID Giannettini informerà i suoi referenti che la morte di Feltrinelli, così come l'annientamento della RAF in Germania il 1° giugno 1972, erano dipesi dalla perdita di funzione e il successivo ostracismo in cui ambedue erano incorsi dopo il "cambio della guardia" nella gestione della sinistra extraparlamentare europea avvenuto in conseguenza agli accordi russo-tedeschi di Oreanda nell'agosto 1971. Secondo l'agente Z, esso era alla base dell'assunzione del controllo della sinistra extraparlamentare europea da parte del Mossad. A Oreanda infatti Leonid Brezhnev induceva il cancelliere tedesco Willy Brandt ad abbandonare la linea filocinese e l'appoggio alla sinistra extraparlamentare europea. I servizi tedeschi venivano rilevati dal Mossad israeliano, ma ciò procurava una epurazione dei quadri della sinistra extraparlamentare europea non trotzkisti e non assimilabili. In particolare, questa epurazione comprendeva anche due operazioni di liquidazione fisica dei quadri della sinistra extraparlamentare non assimilabili. Esse non venivano eseguite dal Mossad, ma affidate a elementi dei servizi tedesco-occidentali operanti in collaborazione con la frazione pro-israeliana della CIA [...]. Le due operazioni erano: – 15 marzo 1972: liquidazione di Giangiacomo Feltrinelli a Segrate, presso Milano; Feltrinelli era irrecuperabile poiché in contatto con organizzazioni arabe, ed inoltre veniva considerato pericoloso e manipolabile, poiché aveva lasciato indizi che avrebbero potuto collegarlo agli attentati del 12 dicembre 1969, indizi che avrebbero attirato l'attenzione di organismi investigativi, come quello rappresentato dal Commissario Luigi Calabresi; – 1° giugno 1972: neutralizzazione della RAF (Rote Armee Fraction) [...] da parte della Brigata speciale GSG9 agli ordini del ministro federale tedesco degli Interni, Hans-Dietrich Genscher. Il luogo dell'attentato, a Segrate, si trovava a poche centinaia di metri dal capannone industriale di Carlo Fumagalli. Ex partigiano bianco, questi aveva militato in una discussa formazione, i "Gufi della Valtellina", noti sia per le ricorrenti eliminazioni di partigiani comunisti delle "Brigate Garibaldi", considerate rivali, sia per la "disinvoltura" nel taglieggiare ebrei in fuga e sottoporre a ricatti i fascisti locali, salvo poi stabilire insolite tregue territoriali con le formazioni della RSI e gli stessi nazisti. Fumagalli, fondatore del MAR e legato sia agli ambienti neofascisti delle SAM sia, fin dalla Resistenza, a Edgardo Sogno, conosceva senza dubbio anche Günter, reduce dalla medesima esperienza partigiana e, come lui abitante nella piccola Valtellina. L'ex combattente della RSI Giorgio Pisanò aveva più volte fatto velati e polemici accenni sul suo periodico "Il Candido", ai retroscena della morte di Beltrami, a suo dire sacrificato a oscure manovre ordite all'ombra delle formazioni bianche di Enrico Mattei e Eugenio Cefis, poi succedutisi alla presidenza dell'ENI. Misteri questi che, partendo da quelli della Resistenza, si sarebbero quindi legati in spesso torbido intreccio con quelli del presente. Apparirà da questo punto di vista inquietante che poche settimane prima di essere ucciso il commissario Calabresi stesse indagando sulla morte dell'editore. I giudici che nel 1974 indagarono sulla strage di piazza della Loggia Brescia sospettarono da molti indizi l'esistenza di rapporti tra Feltrinelli e Fumagalli che, avvalorandosi dall'aver combattuto tra i partigiani, era in condizione di giocare un'ambigua partita su più fronti. Dato e non concesso fosse stato così, il misterioso Günter potrebbe essere stato un ideale uomo di collegamento tra i due, oppure un "traditore" collocato nel punto giusto. «La cosa sconcertante -dirà Franceschini- comunque è che, con tutti gli elementi a disposizione, la magistratura non è mai stata in grado di tirar fuori qualcosa sul conto di Günter». Riferendosi alla morte di questi nel 1977, riferita da Carlo Feltrinelli, Franceschini si chiederà: «Ma se sa che è morto, vuol dire che sa anche il suo nome. Io non sono ancora riuscito a saperlo». A nostra volta, troviamo ugualmente sconcertante che, con ancor più elementi di quelli in possesso della magistratura, le BR non fossero riuscite a sapere il vero nome di Günter e che persino Carlo Feltrinelli, ammesso, com'è probabile, che lo conoscesse, si sia guardato dal rivelarlo. Il manifesto, condiviso silenzio sulla sua reale identità lascia supporre che dietro essa si celasse un altrettanto condiviso segreto. Forse, e sia pure per ragioni diverse, scomodo a tutti.
Davide D'Amario
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