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FNCRSI

quindicinale di informazione e di formazione politica per i Combattenti della Repubblica Sociale Italiana

La pubblicazione è aperta alla collaborazione di tutti gli iscritti alla FNCRSI. È però riservata al giudizio insindacabile della Direzione del periodico l'accettazione del materiale pervenuto. Gli articoli firmati esprimono solo la opinione degli autori e quindi non impegnano la FNCRSI né la Direzione del periodico se non per il giudizio generico di riconoscimento dell'importanza e tempestività dell'argomento trattato e della opportunità che esso venga conosciuto e dibattuto dai Camerati ai quali la pubblicazione è inviata. I manoscritti anche se non pubblicati non si restituiscono. Distribuzione gratuita agli iscritti alla FNCRSI

 Anno I - n° 4 (febbraio 1968 - seconda quindicina)

SOMMARIO

La scheda bianca
Vietnam
Lettere di Soldati USA dal Vietnam
Università in crisi
 

 

Ci vengono riferite da iscritti e simpatizzanti notizie che hanno per oggetto orientamenti ed attività della FNCRSI contrastanti con quelli adottati dagli organi responsabili della Federazione stessa.
Trattasi, sempre, di voci fatte circolare ad arte con lo scopo evidente di generare disorientamento o con quello di sabotare le attività intraprese facendo leva su stati di animo che si pensa di sfruttare a vantaggio di persone e di gruppi che nulla hanno a che fare con la nostra organizzazione.
Sì rammenta che informazioni e direttive vengono diffuse dalla Federazione Nazionale Combattenti della RSI soprattutto tramite i responsabili dei Gruppi periferici coi quali gli iscritti ed i simpatizzanti sono invitati a tenersi in strettissimo contatto per la vicenda della campagna della Scheda Bianca, ed inoltre: attraverso il mensile "La Legione", il presente quindicinale e la stampa periodica diffusa dai Gruppi provinciali.
Diffidare di ogni notizia che non provenga dagli organi indicati.

Scheda bianca

«... Col vecchio mondo diventato scemo ci sono sempre i conti da saldar ...» dice la bella canzone legionaria.
Parecchi camerati sembrano averlo dimenticato così come l'hanno dimenticato i dirigenti del MSI.
La vita di ogni giorno ha preso il sopravvento su quelli che sono i motivi ideali che debbono presiedere alla vita stessa. La routine quotidiana ha ucciso lo spirito; il vecchio mondo social-borghese, vestito dei panni invitanti della società del benessere, non appare più come il mostro contro il quale i migliori di noi versarono il proprio sangue.
Confusi fra la massa, adattatisi ad un sistema che fa della persuasione occulta la sua arma migliore, distratti, oltre che dai mezzi audiovisivi abilmente manovrati, dai problemi relativi al funzionamento della propria autovettura, pensano ormai che occuparsi di politica significhi partecipare alle carnevalate elettorali, parlare della guerra nel sud-est asiatico, magari entusiasmandosi alle gesta dei marines, ovvero mettere in ridicolo i difetti dei governanti italiani.
È arrivato il momento di essere con questi nostri camerati più che mai chiari, di richiamarli alla realtà di una lotta che, per essersi fatta estremamente sottile, è molto più pericolosa di quanto possa essere la lotta in campo aperto: infatti -e nessuno potrà negarlo- questi ultimi anni hanno mietuto fra di noi molte più vittime, anche illustri, di quanti non siano stati i caduti nella guerra 1939-1945.
I mezzi sono cambiati ma l'intenzione è sempre la stessa. Il nemico, il vecchio mondo social-borghese, cerca di difendersi schiacciandoci in una vita senza senso e priva di ideali. Gli avversari sanno che soltanto la nostra è una rivoluzione integrale che fa dell'uomo, in quanto tale, il protagonista della vita e della storia e che soltanto dalle nostre idee potrà scaturire la nuova civiltà che sorgerà sulle rovine di questa società corrotta, di cui con ogni mezzo tentano di ritardare la fine.
EÈ l'ora quindi di rompere ogni indugio e liberarsi delle pastoie che questa società, complice l'imbelle neofascismo ufficiale, ci ha imposto. Ognuno di noi è chiamato ad un esame di coscienza e ad una responsabile presa di posizione sia individualmente sia politicamente: anche se i mezzi di lotta sono -e debbono essere- diversi, gli ideali sono gli stessi, il nemico è sempre lo stesso, il vecchio mondo della canzone legionaria.


Vietnam

È in atto nel Vietnam un sanguinoso tentativo teso a realizzare una svolta storica di quella guerra. La grande offensiva vede contrapposti grande parte delle forze regolari e irregolari Vietnamite ed un esercito di circa 600.000 americani. Riteniamo opportuno fare al riguardo non tanto il punto della situazione militare -suscettibile di evolversi anche nel breve volgere di poche ore- bensì un sereno esame di coscienza.
Un esame di coscienza di combattenti di una rivoluzione i quali, volgendo lo sguardo verso chi combatte e muore laggiù, rivivono la propria esperienza bellica con profonda e sofferta volontà d'indagare le ragioni vere di una guerra tanto lontana, quanto vicina indicatrice di una benefica crisi internazionale destinata a dilagare nel Mediterraneo, nell'America Latina e altrove.
La storia più recente di quella Nazione costituirà la premessa del nostro esame. Questa, in sintesi è la situazione:
Nel 1954, dopo Diem-Bien-Phu, alla conferenza di Ginevra fu deciso di dividere il Vietnam in due distinti Stati e di indire elezioni a distanza di due anni per la riunificazione del Paese.
Alla scadenza indicata il governo del Sud, notoriamente asservito agli USA, ben sapendo che l'intero popolo vietnamita gli era contrario, trasgredì alla decisione di Ginevra e, per aver ragione di quello del Nord, chiese ed ottenne l'intervento dell'esercito americano.
Questa essendo la verità, non possiamo non condannare sia la condotta antinazionale del governo del Sud Vietnam sia l'aggressione militare americana, perpetrata -come è noto- per meri interessi mercantilistici e non per sbarrare. il passo al comunismo.
Così stando le cose, noi combattenti della, «guerra del sangue contro l'oro» non possiamo che essere vicini a coloro i quali in qualsiasi parte dei mondo difendono in armi la patria dallo straniero.
Come non ravvisare nell'eroismo vietnamita, al di là delle cronache distorte ed interessate, la volontà di indipendenza, di rinascita e di affermazione storica di una nazione così viva e così ricca di figli guerrieri? Evidenti e profonde sono le analogie ideologiche tra quella e la nostra guerra. È inutile negarlo...
L'anticomunismo dei marines -bianchi o neri che siano- non è sufficiente a giustificare tutto, come si vorrebbe nell'Occidente cosiddetto libero.
Per evitare confusioni, è bene osservare a questo punto che la Cina maoista e il Vietnam che ne segue l'ispirazione sia nella politica estera che in quella interna, pur servendosi ancora di una terminologia che rivela le proprie origini marxiste, comuniste non sono ed anzi sono attivamente antisovietiche.
L'anticomunismo, come del resto tutti gli «anti», si rivela nella fattispecie quanto mai sterile e generatore di dannose confusioni e fratture.
La verità è che i princìpi fondamentali su cui poggia la concezione della vita dei maoisti, come rivela "Corrispondenza Repubblicana" (anno I - n. 6), sono la negazione di quelli marxisti:
1) il volontarismo per cui la storia non è determinata dall'economia bensì è creata dall'uomo;
2) il concetto di guerra, intesa come un valore assoluto anziché come un termine dialettico, per cui l'uomo impone la sua concezione attraverso la lotta mentre la verità si afferma con là vittoria;
3) il nazionalismo, vera base della dottrina maoista, inconciliabile con ogni principio internazionalista.
In ogni caso l'autodeterminazione dei popoli, applicata con rara saggezza da Mussolini e da Hitler, non è un fatto né democratico né comunista, ma una previdenza ispirata alla giustizia tra i popoli che noi auspichiamo venga applicata per, la riacquisizione dell'Istria e della Dalmazia all'Italia, sia per la riunificazione della Germania e per l'indipendenza delle nazioni d'oltre cortina.
Non ci sembra inutile ricordare che scendemmo in guerra gridando «pace con giustizia».
È doloroso perciò rilevare come nel nostro ambiente, a causa di una frattura ideologica le cui conseguenze non è dato ancora di misurare, molti hanno dimenticato che il comunismo non è altro che un aspetto della democrazia e, nel tentativo di colpire un solo aspetto del nemico, ne rafforzano irresponsabilmente le basi, schierandosi con la democrazia anche nel Vietnam.
Ma un fatto è certo: il nostro nemico è la democrazia, comunista o liberale che sia.
Talvolta essi sostengono addirittura che l'intervento americano nel Sud-est asiatico assuma oggi lo stesso significato e la stessa portata storica dell'intervento fascista in Spagna.
A prescindere dall'equazione fascismo = anticomunismo che è uno dei più grotteschi falsi ideologici che mente umana possa aver concepita, così facendo essi negano almeno tre verità fondamentali:
— che l'intervento fascista in Spagna ebbe luogo in nome di una Rivoluzione contro una fatiscente repubblica liberal-democratica. Mentre l'intervento americano nel Vietnam ha luogo in nome e per conto della conservazione ebraica e democratica;
— che una guerra rivoluzionaria, diretta peraltro da un uomo delle capacità di GIAP (il vincitore di Diem-Bien-Phu), non potrà mai essere vinta da eserciti reazionari;
— che la guerra rivoluzionaria richiede nei protagonisti qualità di «militanti» e non di «militari» e che, essendo essa soprattutto guerra, presuppone dei guerrieri e non un'accozzaglia di teorici riuniti in inutili conventicole o in ridicoli circoli.
Escluse quindi dal nostro esame le aberrazioni missiste, dettate per altro da forme del più avvilente servilismo, riteniamo che le energie nazional-rivoluzionarie debbano essere indirizzate verso la realizzazione di vaste e solide federazioni di Stati autonomi, tali da assicurare un durevole equilibrio politico al mondo.
Non è propagandando ingenerosamente le risibili «limitazioni morali» che impedirebbero agli americani di aver ragione del popolo Vietnamita (Hiroshima e Nagasaki insegnano) che si contribuisce al ristabilimento di una pace che poggi sulla giustizia.
La comparsa di armi nucleari tattiche nel Vietnam non è escluso, anzi se ne stanno alacremente studiando le modalità d'impiego.
È certo quindi che nel Sud-Est asiatico come in tutta l'Asia potrà aver luogo un profondo e durevole riassetto politico solo adottando le linee direttrici della politica giapponese del «nuovo ordine asiatico».
Infatti, caduto il Giappone, la Cina maoista e molti altri Stati, sono insorti ed insorgeranno contro l'anacronistico imperialismo americano, inglese e francese facendo propria la parola d'ordine degli ultimi samurai: «l'Asia agli asiatici».
Recentemente la spada di Chandra Bose, leggendario animatore dell'Esercito Nazionale Indiano che si schierò con le forze del Tripartito, è stata solennemente deposta, nel corso di una commovente manifestazione popolare, nel Museo Nazionale di Nuova Delhi.
Non a caso a dover dare gloria e lustro di eroe nazionale a Chandra Bose è stata proprio la figlia del Mahatma Gandhi.
Il lievito ideologico, fornito dai pochi Giapponesi alla immensa massa di un miliardo di asiatici, sta dando i suoi benefici frutti, così come in nome della dottrina dell'Ordine Nuovo noi stiamo riprendendo la marcia verso l'autonomia degli Stati europei, verso l'unità e la libertà del Continente per la benefica ripresa della sua missione storica.
Quando, dalle riconquistate autonomie nazionali, avremo saputo raggiungere anche quelle per grandi gruppi etnicamente omogenei, la guerra del Vietnam e la odiosa figura del gendarme russo-americano, concepito a Yalta e posto a guardia di una divisione del mondo innaturale ed ingiusta, saranno soltanto lontani e sbiaditi ricordi.
Ma prima la ruota della storia avrà travolto quanti le si opporranno in nome di meschini interessi.
Noi combattenti, consapevoli che la guerra è pur sempre il più drammatico degli eventi, non ci attarderemo in astratte considerazioni etico-religiose il più delle volte ipocrite e faziose: accetteremo la guerra come la sola «igiene del mondo» capace di incenerire il lordume che ci circonda e che rischia di precipitare nel caos la nostra tradizione e la nostra civiltà.
Se guerre ci saranno, noi le combatteremo per il trionfo della Fede di sempre. Siamo in pochi, ma crediamo fermissimamente che «Il mondo sarà fascista o fascistizzato».
È nostro dovere quindi tenerci sempre pronti a far sentire il nostro peso morale, ideologico e militare. Ma, soprattutto, è nostro dovere non perdere mai di vista in quale direzione precisa dovrà essere esercitata la nostra persuasione e la nostra pressione, anche per non cadere nell'errore di tanti bravi camerati i quali, spesso in assoluta buona fede, si sono posti al servizio dei peggiori nemici della buona Causa.

Lettere di soldati USA dal Vietnam

Abbiamo letto recentemente lettere di militari americani impegnati sul fronte asiatico. Grosso modo il tenore di esse è simile: si piange, ci si dispera, si pongono problematiche di tutti i tipi, si vogliono trovare alibi alla propria presenza in quei luoghi, si ha una paura folle. Per inquadrare esattamente il soggetto invitiamo a considerare che coloro che cosi scrivono sono gli stessi che il giorno prima, da bordo dei loro enormi carri armati, hanno schiacciato nemici armati di fucile e popolazione armata di niente; dall'alto dei loro elicotteri hanno mitragliato all'impazzata la boscaglia o hanno innaffiato di Napalm, costruito colla materia prima fornita dall'URSS, ogni paese ove sia stato segnalato un vietcong.
Costoro, secondo alcuni, sarebbero i difensori della nostra civiltà. Vogliamo precisare agli ignoranti e ricordare agli immemori che con questa gente da parte nostra non ci può essere che un sentimento di inimicizia privo per di più del rispetto che comunemente si ha per un combattente degno di questo nome. E ciò per svariate ragioni delle quali esporremo alcune:
1) Essi hanno assalito e ricattato l'Europa nel 1918, l'hanno di poi, nel '44-'45, rasa al suolo, letteralmente; l'hanno sistematicamente depredata, e inflazionata pur di far ingrassare i loro uomini d'affari.
2) Hanno avuto una condotta di guerra infame, facendo leva sugli elementi più infimi della popolazione dell'avversario utilizzandoli come sicari, cui segnalavano per radio il nome delle persone da assassinare, coi bombardamenti terroristici hanno commesso uno spaventoso genocidio ai nostri danni, di concerto con le armate russe. Hanno impiccato soldati e uomini politici vinti dopo averli calunniosamente accusati, hanno scatenato la più grande caccia all'uomo che si ricordi nella storia, milioni di europei erano braccati in patria per aver combattuto in nome della Europa, centinaia di migliaia di essi sono caduti uccisi, a guerra finita, in una orgia plebaica, in una esaltazione dei più turpi e disordinati istinti della plebaglia, altri, dopo galera e sevizie, si sono trovati e si trovano stranieri in patria.
A vent'anni dalla fine delle ostilità, la caccia alle streghe non è ancora finita; nel 1967, è bene che lo si sappia, ben 24.000 tedeschi erano sotto processo, moltissimi d'essi detenuti, con la imputazione di esser stati nazisti; e Simon Wiesenthal, capo della famigerata associazione ricattatoria "Centro di documentazione ebraica", dichiara che è riuscito a compilare un elenco di svariate centinaia di migliaia di nomi di «criminali di guerra». (leggi: gente attiva e produttiva per il suo paese che si vuol ricattare economicamente e politicamente).
3) Hanno smantellato l'impero degli stati europei pugnalando alle spalle i combattenti d'Europa in Asia e Africa. Nella epopea della legione straniera in Indocina e Algeria, fatta di continuo, incessante eroismo, noi vediamo la stessa volontà di unità politica tra le nazioni europee che si verificò nelle Waffen SS che inquadravano giovani di tutta Europa. Anche queste guerre si conclusero, per i perdenti, con massacri, torture e galere. E ancora vi languono, affratellati con coloro che li hanno preceduti nel '45.
4) Hanno riempito il mondo di colpi di stato e assassinii politici secondo il costume anglo-sassone, hanno spinto al massacro i patrioti magiari, hanno tradito e ucciso Diem ed i suoi, scovandoli per tutto il Vietnam.
5) Dopo averci martoriati, ci hanno anche beffato inventando l'antagonismo tra Occidente e Oriente, che continua a tenere disuniti e armati l'un contro l'altro gli Europei, giusto come essi facevano coi pellirossa che spingevano a scannarsi a vicenda, ebbri d'alcool.
Tutto ciò per restaurare un sistema politico già fradicio nel '20 e per instaurare una egemonia politica sul mondo che è totalmente usurpata.
Ben conoscendo dalla storia che l'egemonia di una razza o di una nazione si concreta in un impero la cui durata è legata a ciò che esso sa esprimere per i contemporanei, soggetti o no, saremmo disposti anche ad accettare serenamente una supremazia statunitense; ma a quella razza ibrida noi non riconosciamo alcun significato, non ne riconosciamo nemmeno uno tanto negativo da preconizzare una catarsi.
Gli USA non esprimono oggi che un esclusivo, esagerato spirito economistico, che è quanto dire: nulla. Neppure ciò che di positivo c'è nella spinta alla scienza ed al progresso tecnologico compete loro: è tutta opera di Europei che per caso vivono in America. (Non c'è alcuna possibile spiegazione storica che giustifichi la fuga dei cervelli dall'Europa).
E dal punto di vista delle arti, non ci giunge nulla che possa esprimere contemporaneamente qualcosa di nuovo e di risolutivo per l'uomo moderno. Nulla che non sia la supina accettazione, come fatto di natura, dell'oggetto di consumo, espresso dalla Pop art.
L'arte e la letteratura degli USA sono paurosamente povere di grandi uomini ed i pochi che emergono, o sono emersi, hanno scelto l'Europa, anche se ciò in guerra poteva sembrare tradimento dal punto di vista puramente anagrafico.
Pensiamo che questa popolazione di circa duecento milioni di anime, malgrado i films a getto continuo, malgrado le pressioni pubblicitarie, malgrado la pubblicazione servile, in Europa, di tutto quanto si stampi da loro, malgrado i dischi e le merci, questa popolazione per noi è muta.
Oggi, a pochi anni dalla ascesa, nemmeno più la fredda e spietata determinazione dei militari è alla altezza del ruolo che gli americani han creduto di svolgere.
I giovanotti vitaminizzati che alcuni scribi prezzolati cercano di valorizzare sul mercato delle pulci, non sono nemmeno i nuovi barbari, sono solo dei poveretti, sfruttati in casa dalla economia dei consumi che non insegna loro nemmeno a combattere con dignità, e tremolanti appena fuori dell'uscio quando non riescono a trovare tranquillanti o marijuana che li faccia evadere dalle loro ansie.


Università in crisi

Francamente ciò che sta accadendo all'Università italiana in questi giorni ce lo aspettavamo anni fa, perché da almeno vent'anni l'Università italiana non vive, non esiste. Ciò ce la dice lunga sul grado di sopportazione degli studenti italiani, e sulla loro capacità di affermare le ragioni vere, che sono sempre essenzialmente politiche, di una situazione di disagio. Diremo di più: le agitazioni studentesche sono avvenute all'insegna di slogans derivati dal più conformistico americanismo e comunque nulla che richiami alle effettive esigenze della comunità nazionale nella quale dovranno pur vivere ed operare gli attuali studenti. Il politicantismo ha inquinato l'aria in modo tale che grazie ai suoi schemi sfuggono all'individuo gli elementi della realtà in cui viene a trovarsi e solo con grandi sforzi della volontà si può riuscire a restare ancorati al concreto.
Su questo problema sono volati fiumi di inchiostro. Noi ci limiteremo a dire che non c'è riforma che tenga. O si cambia tutta la struttura dello stato italiano per adeguarlo alle nuove esigenze della nostra comunità, comunità che ha già provato il fascismo, pur nelle sue molte limitazioni imposte dal momento storico, o tutto continuerà ad andare alla malora con piccoli sommovimenti isolati che coinvolgeranno o questa o quella istituzione. L'università italiana ha bisogno di molte riforme e di queste ne han cianciato tutti. Ma nessuna riforma, anche attuata nel tempo, può avere un significato se manca una volontà precisa al vertice, se manca un substrato che tenga conto della realtà più profonda della nostra comunità. Si dice che questo è il modo di attuarsi dello Stato radicale; dobbiamo aggiungere che la restaurazione democratica-radicale ha portato in Italia disordine e confusione.
La moderna università italiana è stata creata dal fascismo secondo una ben precisa visione del ruolo che essa doveva esercitare in quei tempi per la nazione italiana nell'ambito della funzione che l'Italia doveva esercitare nel mondo. E gli studenti capirono perfettamente la loro funzione e seguirono il fascismo fino all'ultimo. Passata la bufera della guerra, ridimensionato il ruolo dell'Italia nel mondo, l'università rimase senza anima, bianche mura cimiteriali, in attesa di una torma di sbandati, alla ricerca di un foglio di carta nel quale poter involtare il pane.
Non fu fatto nulla, oltre alla massificazione dei corsi superiori ed allo scadimento della cultura. E intanto a coloro che avevano affrontato i corsi con la volontà di essere un domani utili al paese come classe dirigente, non fu data la possibilità di esplicare subito in modo utile le proprie energie. L'organismo studentesco che doveva facilitare l'inserimento dei giovani nel vivo dei problemi nazionali, fu tramutato in uno squallido quanto assurdamente inutile parlamentino nel quale si esercitano alcuni futuri parlamentari alle luride contrattazioni di corridoio. Si sarebbe potuto, visto che si trattava in qualche modo di compiacere servilmente i vincitori, anche tentare di realizzare un tipo di università anglosassone (Oxford, Princeton) almeno si sarebbe visto qualcosa.
Ma c'era destinato un ruolo più triste. Insomma, cosa si chiede a questi futuri laureati? Ai medici, di spiegarsi ad una medicina socializzata dove tutto è sbagliato, agli ingegneri di costruire col permesso o su licenza dello straniero, agli avvocati di adattarsi; ai chimici, visto che l'Italia è un mercato, di fare gli analisti o di vendere prodotti d'altri; ai veterinari di curare i gatti, visto che gli armenti li importiamo; ai dottori in agraria, di avallare... riforme agrarie piratesche, agli economisti di sostituire i ragionieri nelle banche o nei grandi enti pubblici o privati, agli statistici di organizzare statistiche ad uso delle segreterie di partito ed ai laureati in scienze politiche di attuare, se diplomatici, la politica estera che tutti conosciamo.
Restano i laureati delle facoltà di lettere e magistero, cui si chiede di non insegnare il latino, di falsificare la storia, presentare come arte la letteratura moderna, specie se americana, et similia. È chiaro che chi vuol realizzare qualcosa nel suo campo, emigra, va in America e lì contribuisce al progresso tecnologico statunitense (fatto per il 90% da europei), al suo imperialismo soprattutto nei nostri confronti.
I professori si sono piegati a questo clima con una responsabilità ben più grave di quando giurarono al fascismo, perché questo è un clima plumbeo, senza schiarite, senza programmi e prospettive vivaci per il nostro popolo, adattandosi a mendicare cattedre mediante trattative di tipo parlamentare (partiti o correnti di partito) e quindi hanno perso ogni autorità nei confronti degli studenti, e di tutta la nazione. C'è altro da aggiungere? Ogni altra considerazione viene da sé.

Giorgio Vitali

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