Italia - Repubblica - Socializzazione

FNCRSI

quindicinale di informazione e di formazione politica per i Combattenti della Repubblica Sociale Italiana

La pubblicazione è aperta alla collaborazione di tutti gli iscritti alla FNCRSI. È però riservata al giudizio insindacabile della Direzione del periodico l'accettazione del materiale pervenuto. Gli articoli firmati esprimono solo la opinione degli autori e quindi non impegnano la FNCRSI né la Direzione del periodico se non per il giudizio generico di riconoscimento dell'importanza e tempestività dell'argomento trattato e della opportunità che esso venga conosciuto e dibattuto dai Camerati ai quali la pubblicazione è inviata. I manoscritti anche se non pubblicati non si restituiscono. Distribuzione gratuita agli iscritti alla FNCRSI

 Anno I - n° 12 (dicembre 1968)

SOMMARIO

La grande destra
Il congresso socialista
Nixon, Mosca e dintorni
Papa e pillola
Comunicato
Accadde in Afghanistan
Il tatticismo: un male da combattere
Nodi al pettine
 

 

COMUNICATO

La Direzione Nazionale della Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana si è adunata a Bologna, a conclusione dei lavori della Consulta Nazionale della FNCRSI stessa.
Preso atto dei risultati emersi dal dibattito svoltosi in sede di Consulta, la Direzione Nazionale ha stabilito:
1) di proseguire e potenziare la fase di ricerca, di chiarimento, di informazione che si è sviluppata favorevolmente intorno all'iniziativa unitaria, ufficialmente nata con il Convegno di Milano del 13-6-68.
2) dare maggior vigore alla unitarietà della organizzazione. A questo scopo ha conferito mandato ai due Vicepresidenti in carica di seguire congiuntamente l'attività dei Gruppi e dei Responsabili periferici.
La Direzione 'Nazionale ha anche esaminato situazioni organizzative e disciplinari ed ha stabilito di richiamare alla attenzione dei militanti che la disciplina è la forza della organizzazione e che nulla può legittimare gesti di insofferenza. La Direzione Nazionale ha stabilito di applicare a carico del camerata Giuseppe Froda del Gruppo Provinciale di Genova il seguente provvedimento: «Sospensione a tempo indeterminato».


La grande destra

Tu che mostri da lontano
la camicia tutta nera
e con l'aria un poco austera
mi fai il filo-americano
sei un fascista o un sacrestano?

Dalle pagine dei soliti periodici, vien lanciata per l'ennesima volta, la proposta della grande destra. Or con accenti accorati al pericolo comunista or con toni irridenti al «solito missino» che non vuole contatti spuri con badogliani o malagodiani. Diciamo subito che noi non facciamo questione di allergia cutanea, per di più non entriamo nel merito di certe valutazioni politiche, le quali hanno la loro logica attuale, moderna. Non ci stupisce affatto che degli ex-fascisti, degli ex-repubblichini, abbiano scelto la posizione della destra per la loro lotta politica. Altri hanno scelto il centro, altri la sinistra comunista e socialista. In politica c'è una osmosi continua, anche Bombacci, Silvestri, Bergamo, Romperti, hanno scelto Mussolini, essendo stati suoi avversari politici, e con loro, migliaia d'altri. Dopodiché, basta.
Perché la grande destra esiste di fatto: sono alcuni partiti condannati all'immobilismo, in posizioni di retroguardia, che si scambiano voti, deputati e chissà quante altre cose. Che in Parlamento hanno una politica pressoché univoca ed una voce, per tutti quanti, inascoltata. Coloro poi che credono di allettare alcuni sprovveduti autodefinentisi fascisti, col miraggio di una futura destra guidata da idee fasciste, o farneticano o dicono il falso. Un movimento di destra siffatta troverebbe come suo capo ideale il De Lorenzo di buona memoria, personaggio che le sinistre, per loro chiari fini propagandistici, continuano a definire fascista.
In sostanza qui si tende a stabilizzare la democrazia su solide basi tripartitiche con una sinistra di tipo laburista, un centro ed una destra. Ottimo curativo per i democratici. Ma noi non siamo democratici e queste parole denotanti posizioni parlamentari ci lasciano indifferenti. Ognuno faccia quello che vuole, siamo in regime lassista, ogni volontà la più sfrenata è libera di caracollare per i pascoli dell'utopia, ma per favore non si faccia appello al fascismo e tanto meno a Mussolini per manovre così volgari. Se poi i soliti benpensanti tra le altre sconcezze vorranno trovarci il nome di coadiutori dei comunisti, ci piglieremo anche questa definizione. I comunisti sono lì apposta per questo gioco da spaventapasseri, e a noi, delle loro opinioni, non ce ne frega niente.


Il congresso socialista

Al congresso puoi vedere
come tutto vada a caso
gli uni parlan col sedere
gli altri ascoltano col naso

In occasione del congresso socialista è stato affisso per tutta Italia un manifesto nel quale campeggiano i vecchi triti temi della socialisteria mondiale. Il solito quadro dei soliti braccianti, quadro ottocentesco che rivela come la psicologia del socialista medio sia in sostanza legata al solito perbenismo borghese, velleitario, quanto inconsistente ed incongruente. E, infatti, il socialismo si esaurisce nelle parole, fra l'altro anche dette male, dei suoi esponenti, in un generale sonno, morale e politico. Costoro sono davvero espressione di una nazione che sonnecchia all'ombra delle benedizioni e degli incensi.
Costoro sono sempre stati assenti in ogni momento importante della vita della nazione. Se un radicale aderisce ad un'idea universale utopica, ma sempre conseguente nelle sue formulazioni e realizzazioni, il socialista è l'espressione di quello stato di negazione che nega per prima cosa se stesso.
Così quando ci furono occasioni propizie per loro nella storia delle nazioni, costoro se ne ritrassero spaventati. Essi sono sempre scappati, scappano e scapperanno, portando con sé, come vendetta, l'odio.
In nome di non si sa bene che cosa, si arrogarono, in contesa col prete e col comunista, il diritto di massacrare uomini che sono autentici giganti a confronto loro e fuggirono quando Mussolini offrì loro la successione della RSI. Oggi eruttano fiumi di parole inutili; incapaci di fronte a cose più grandi di loro giocano a nascondino in attesa che il prete tolga le castagne dal fuoco. Scapperanno al momento del rendiconto, quando nessuno di essi avrà da mettere sul piatto della bilancia una qualsiasi testimonianza che valga non ad attribuire una statura di eccezione ma neanche di breve rilievo. Perché questo è il succo del discorso: hanno sfasciato, hanno ammazzato, nella forma più vile quali ombre dello straniero superarmato, e cosa hanno fatto? Dopo 25 anni passati nella inutilità, tentano il colpo mancino e finiscono a schifio, incapaci di muoversi senza la spalla sostenitrice del prete, che vorrebbero avere la forza di disprezzare e che invece li rimorchia a proprio agio e li manovra come docili marionette.


Nixon, Mosca e dintorni

La elezione di Nixon e le celebrazioni di Mosca per il 51° anniversario della rivoluzione russa sono i fatti che cominciano a porre una certa cornice a quelli dell'estate scorsa.
Avevamo dato per scontata la riuscita di Nixon ed è stato facile esser profeti, anche se la televisione italiana, con la obiettività che la distingue, ha parlato, fino ad operazioni concluse della possibile vittoria dell'antagonista Humphrey. Il solito omaggio all'attaccamento all'imbecillità, come se le notizie distorte avessero potuto cambiare in qualche modo le cose, dato il credito e la diffusione che ha negli USA la Raitv. È l'omaggio continua da parte di tutta la stampa delle cosiddette forze sane italiane le quali preconizzano nell'eletto la virata a destra sul piano internazionale che controbilanci il disastro interno delle elezioni generali di maggio.
Sul proprio antagonista, Nixon offriva il vantaggio di poter salvare in qualche modo la faccia per il problema che scotta: il Vietnam. Obiettivamente egli si trova nella condizione di poter fare le concessioni più dure che la controparte pretenderà, anche le più impopolari, perché non è responsabile della lunga guerra e perché avrà gioco la fama degli anni '50, per la quale non potrà essere accusato di morbidezze verso il comunismo, né di connivenze sentimentali (non fu ricevuto da un cane a Mosca dopo la batosta del '60).
Finché gli americani resteranno sul fuoco per il problema di fondo, non sarà difficile al protagonista imporne la priorità, in un clima da governo di salvezza nazionale; gli altri discorsi e gli altri impegni elettorali, almeno nella prima fase, sfuggiranno alle grosse attenzioni per fare la fine di tutti gli impegni elettorali. Questo non significa che Nixon, semplicisticamente, si proponga il rinvio di ogni altra questione a tempi migliori. Significa soltanto che il permanere nella fase acuta della cancrena, il Vietnam assorbirà la maggior parte delle chances repubblicane. Significa che, finché non avrà concluso qualcosa di risolutivo per il Vietnam, Nixon avrà le mani legate su ogni altro problema. Liberarsene significa (non inganni la ripresa del colloquio di Varsavia con l'ambasciatore di Cina) l'amputazione traumatica. Sarà la liberazione da un incubo ma sarà anche il tempo della rivincita democratica. Significativa, intanto, è la situazione dei Negri. I negri hanno reagito allo spauracchio Wallace votando. Questo loro gesto da la misura dell'insuccesso delle provocazioni agitatone del Black power.
Al neopresidente il collega Podgornj ha subito teso la mano con il solito messaggio quasi caloroso.
A Mosca festa il 6 novembre per la celebrazione del 51° anniversario. La festa è stata grande per dare risalto alla nuova linea politica che il Cremlino sta elaborando addentro il campo comunista e verso quello esterno. Questa linea è caratterizzata, nella prima direzione, da un irrigidimento da crociata ideologica, anche in funzione della scomunica cinese (i (fatti di Cecoslovacchia ed annessi) e dall'accentuarsi della comprensione, fin quasi alla condiscendenza, verso i problemi del partner esterno (e qui assumono la loro importanza i colloqui di Varsavia con l'ambasciatore di Cina). L'annuncio della sospensione dei bombardamenti sul Nord-Vietnam è stato subito accettato come prova della intensificata ricerca da parte USA di una pace negoziata e si è determinata una impennata distensiva del Cremlino che evidentemente può permettersi di valutare positivamente Nixon se lo stesso maresciallo di ferro, Grechko (costui ha giocato un ruolo di primo piano in tutta la manovra, alla quale ha dato l'inizio un anno fa), ha potuto dimenticare la esplicita menzione degli USA nella consueta tirata contro gli imperialisti. Lo stesso oratore ufficiale delle celebrazioni, Mazurov (emerso improvvisamente dalla nebbia delle seminullità) se ha affermato che gli Stati Uniti d'America sono la maggior potenza imperialista (in contrapposto al piccolo Vietnam che l'ha battuta) ha anche esplicitamente chiamato Washington alla normalizzazione dei rapporti bilaterali, importanti (secondo lui) non solo per i due paesi, ma per il mondo intero. Né possono considerarsi casuali le occasioni di incontro create con il rilancio delle trattative per il disarmo. Intanto i dintorni di Nixon e del Cremlino restano l'Europa e per essa la questione tedesca. La stampa dei soliti beccamorti dell'oltranzismo atlantista ha osannato ad un previsto calo del NPD, mentre andava a conclusione la manovra russa sui paesi del Trattato di Varsavia. I compari si davano reciprocamente un puntello.
Sarebbe proprio ora che la commedia avesse termine ma l'azione ha tutta l'aria di proseguire sul canovaccio della coesistenza pacifica e della distensione anche se i fantocci sono quelli della politica di potenza dei due blocchi.
Nixon, così, non potrà rifiutare la mano tesa di Podgornj ed una stretta di mano per il Vietnam, nonostante la facce feroci, potrà presupporre tante cose e, per esempio, da una parte (tanto per salvare la faccia) rafforzamento propagandistico delle alleanze diplomatiche in Asia e, perché no, anche di una più pesante presenza militare ai danni, sempre per esempio, dell'eterno Giappone. Ma dall'altra parte, sullo scacchiere europeo, dove i due aspetti della nuova linea politica russa si saldano, quella stretta di mano significherà, per esempio, un compromesso sulla questione tedesca e cioè il riconoscimento, molto distensivo, della RDT o quello addirittura soporifero del riconoscimento da parte occidentale dei confini orientali. È gli europei a battere le mani o ad azzuffarsi, per le autentiche conquiste che Nixon avrà intanto realizzato in politica interna. La estensione delle leve del potere ai democratici della linea Eisenhower, a Goldberg, a Mc Carty, il disorientamento e lo scompaginamento dei negri con la loro chiamata a posti di governo, con la concessione di crediti ai negri che si butteranno su attività capitalistiche per torcere i negri in concorrenza coi bianchi, con la concessione di crediti ai bianchi che si dedicheranno alla bonifica dei ghetti per un pretesto che scotta. Il Vice presidente nella nuova posizione di battitore libero in mezzo all'alta finanza USA, Atlantica e Mediterranea (è il migliore amico di Onassis che è il migliore amico della vedova di Kennedy primo).
Gli europei potranno stare a lungo buoni e tranquilli a parlare di mercanti europei, a cianciare di parlamenti europei. Le catene saranno ritorte e, per la volontà di Mario Scelba e la grazia di Pietro Nenni, l'Europa seguiterà a sanguinare appesa alla sua croce.


Papa e pillola

Va pel mondo in aeroplano
il nostro massimo sovrano
Chi correr lo farà in bicicletta
pedalando in tutta fretta?

Se veramente la Chiesa si sentisse custode di valori eterni, sarebbe presente essenzialmente per affermare questi, al di là ed al di sopra delle tragedie che sistematicamente colpiscono l'Umanità. Sarebbe presente non solo per fare della beneficenza piagnucolare sui beni terreni di sua proprietà andati perduti, esaltare qualche prete che resta dove senza tante esaltazioni dovrebbe stare; ma proprio tramite queste distruzioni affermare l'assoluta transitorietà dei beni materiali di fronte alla sostanza della spiritualità umana, la fede di una realtà sempre presente che sorride della morte e dell'orrore.

L'enciclica sulla pillola ha evidenziato, più che altre recenti manifestazioni, con la levata di scudi contro il verdetto papale, il punto in cui si trova il cattolicesimo odierno. In sostanza: la base cattolica ha accettato l'enciclica per ubbidienza o l'ha respinta per convinzione. È con asprezza preti e teologi hanno polemizzato col Papa.
Per chiarire bene il nostro pensiero, dobbiamo qui premettere che noi non parteggiamo per nessuno e riguardo alla pillola abbiamo le nostre idee. Sappiamo ad esempio che la pillola non da disturbi evidenti e che milioni di donne ne fanno uso. Anche le ripercussioni psicologiche della pillola sono relative, c'è la percezione di un qualcosa di inibitorio in alcune, in altre un processo di virilizzazione psichica e comportamentale. Nei fatti, nulla di drammatico.
Drammatico è invece l'aumento della popolazione anche nel suo significato psicologico, e non è certo la pillola che vi porrà rimedio. È nemmeno le guerre.
Per esempio: il Giappone, alla fine dell'ultima guerra, disastrosa per quella nazione dal punto di vista della mortalità, si trovò di fronte ad un aumento impressionante della sua popolazione tale da determinare l'iniziativa mai vista con piacere dagli Stati, di legalizzare gli aborti.
Dal '48 ad oggi, l'aumento del numero degli aborti legali annui in Giappone è eclatante. Nel '66 erano 5 milioni. Se a questi aggiungiamo quelli segreti possiamo immaginare l'entità di questa drastica operazione di birth-control che non include le limitazioni introdotte dall'uso della pillola e dei mezzi meccanici. Con tutto ciò il Giappone si trova con un numero di abitanti esorbitante per quella piccola terra. Tuttavia anche se l'industrializzazione non sostituisce il pane (i transistors non si possono mangiare), la situazione regge bene. In altri posti invece, come l'Africa, dove lo spazio non manca, il forte aumento di popolazione di questi ultimi tempi (malgrado i massacri del Biafra) crea problemi irrisolvibili. Con queste prospettive, i nostri figli avranno di che interessarsi. A noi interessa invece evidenziare cosa va cambiando sul piano religioso: perché una donna che assume giornalmente degli ormoni sintetici che sostituiscono nel suo organismo alcune sostanze proprie, le quali interferiscono su tutti I piani della vita femminile, non è una donna completa, anzi è una macchina; un manichino nel quale non solo non c'è possibilità di dedizione totale nell'atto sessuale che diventa un solo atto fisico, ma la sua è una vita fittizia in cui un meccanismo sintetico, come un piccolo ingranaggio, ha sostituito la vita. È tutto ciò è molto più percepibile nella femmina nella quale la sfera sessuale permea tutta la persona psico-fisica, che non nell'uomo, nel quale la vita sessuale è marginale.
Una religione esprime sempre un modo di essere e di sentire che ha come base l'integrità dell'essere nel suo esplicarsi vivendo. L'esistenza millenaria delle religioni è dovuta al fatto che esse riproducono l'ordinamento del Cosmos nell'insieme delle sue possibilità. In esse si esprime: «Un sapere non soltanto umano, quella parola udita che precede ogni pensiero; il Verbo, la Rivelazione». La religione non può essere vincolata da problemi contingenti; questa è la sua forza. Il Papa gira il mondo per affermare la sua potenza politica, ma quando parla ai suoi fedeli in nome della religione, questi non lo seguono più.
La chiesa è oggi una forza politica ed economica, ma la sua base si va sgretolando ed essa non ha più autorità.
I tempi nuovi richiedono una grande forza spirituale per essere dominati, perché è chiaro che i potenti mezzi tecnici di livellamento schiacceranno moltitudini, rendendole sempre più ad una sola dimensione, mentre permetteranno a pochi di porsi dall'altra parte. Da molte parti ci sembra che il Cristianesimo non sia all'altezza di passare il ponte. Oggi la Chiesa è un vecchio padrone saggio e smaliziato che non crede in nulla ma sa usare in egual modo la frusta e lo zuccherino per tenere a freno i sottoposti. Un'altra spiritualità ed un'altra religione sono di nuovo alle porte per riprendere ciò che le fu usurpato. L'accelerazione dei tempi è avvertita da ognuno. Ma questo aumento della velocità è indice che per alcuni sta avvenendo un processo di affinamento e di liberazione del peso materiale mentre per altri non si tratta che di un precipitare verso la massa informe di carne.
Un aspetto della perdita di ogni significato non dico sacrale, ma anche religioso, nella Chiesa, è dato dall'atteggiamento di essa nella guerra del Vietnam. La stampa cattolica piange le distruzioni che hanno subito gli immobili cattolici ed esalta i religiosi che sono rimasti al loro posto per assistere i profughi ed i feriti. Scrive una pubblicazione cattolica: «Nella tragica cornice di rovine materiali e morali la Chiesa è presente nell'opera di soccorso alle vittime». Questo a parer nostro è l'unico aspetto positivo che sia rimasto della Chiesa: la concorrenza alla Croce Rossa.
Se veramente la Chiesa si sentisse custode di valori eterni, sarebbe presente essenzialmente per affermare questi, al di là ed al di sopra delle tragedie che sistematicamente colpiscono l'Umanità. Sarebbe presente non solo per fare della beneficenza, piagnucolare sui beni terreni di sua proprietà andati perduti, esaltare qualche prete che resta dove senza tante esaltazioni dovrebbe stare; ma proprio tramite queste distruzioni affermare l'assoluta transitorietà dei beni materiali di fronte alla sostanza della spiritualità umana, la fede di una realtà sempre presente che sorride della morte e dell'orrore.
Lo stesso beffardo, giovanile e sarcastico riso dei giovani europei che si batterono contro la bestia materialistica di tutto il mondo, facendo della RSI una fortezza morale, quando affrontarono i processi, le torture, il massacro, il vituperio della plebaglia uscita per l'occasione da tutte le fogne del mondo e dalle sacrestie di tutte le parrocchie, i lunghi tempi della persecuzione, dell'esilio, l'infamia delle false accuse, rivolte loro dai vili e dai traditori che avevano mercanteggiato la loro pelle.
Invece di maledire la guerra e di compiangere i profughi, se avesse fede in sé stessa come rappresentante della eternità, penserebbe ad esaltare solo chi, nella bufera, tiene saldo il suo cuore rimanendo al posto che gli avvenimenti della vita gli hanno riservato, affermando queste prove la propria realtà interiore.
Uno degli spettacoli più disgustosi è rappresentato nelle nostre città dalle folle variopinte e svagate che sciamano dalle chiese nei giorni di festa. È la massa nel suo aspetto più abulico, vacuo, rilasciato.
Di fronte a questa folla, qualsiasi altra è preferibile: quella degli stadi per il suo volgare entusiasmo; quella delle piazze ai comizi, per una sorta di partecipazione ai destini politici della comunità; quella delle rivolte per la sua bestiale violenza. Nulla è più indicativo di una crisi, infatti, che l'incapacità di dimostrare il minimo entusiasmo. Nulla è più indicativo di questa indifferenza nella folla cattolica.
Altro esempio possiamo trovare nella trasformazione del rito, per interessare i clienti, sul piano della discussione comunitaria. Una conferenza non sostituisce il rito e tanto meno una chiacchierata in famiglia costituisce un fenomeno religioso. Ma i cattolici non sanno neppure che cosa sia un rito.


Accadde in Afghanistan

Nell'anno di grazia 1967 o 68, accadde che nella lontana terra di Afghanistan una compagnia italiana vinse un importante concorso per una non precisata realizzazione civile. Ma questa vittoria non doveva essere che nominale.
Disse infatti il rappresentante germanico alle autorità afgane: «ma chi sono questi italiani? Cosa vogliono? Chi li conosce? Cosa essi fecero prima per la nobile (e povera) terra dell'Afghanistan? Perché il progetto italico ha vinto contro quello della Azienda che proviene dalla grande e amica terra di Germania? Quale terra, quale popolo, la compagnia italiana rappresenta?».
Cosi parlò il rappresentante della stimata terra di Germania e detto fatto il governo afgano comandò che all'italico lavoro non fosse dato inizio. Mentre iniziò i lavori la società tedesca. È fu bene così. La favola insegna infatti: «chi non sa rispettare se stesso, da alcuno è rispettato».
Questi anni democratici sono stati caratterizzati dalla denigrazione sistematica di ciò che è italiano, in onore ad una tradizionale abitudine di certa classe politica nostrana, che consiste nel comandare su delega altrui offendendo e disprezzando i sottoposti per ingraziarsi il padrone.
È l'abitudine all'auto-disprezzo dilaga, soprattutto se servita su un bel piatto di spaghetti conditi coll'acqua santa. Già abbiamo scritto quale considerazione abbia la stampa altrui della partecipazione italiana alla guerra mondiale I e II. Ci risulta che lo straniero nemmeno sa che fine abbia fatto Mussolini. Tutto ciò con l'approvazione dei molti italiani che aborrono la guerra imperialista ed il fascismo guerrafondaio preferendo grattarsi eroicamente le emorroidi nell'angolo buio del proprio negozio o in uno dei cessi della azienda o ministero in cui sono impiegati. A costoro non importa nulla se abbiamo perso una importante battaglia in una lontana terra, proprio a causa della propria cialtroneria. Ma nella storia come nella vita non si è nulla, non si esiste, se non si è presenti e se non si rivendica la propria presenza quando ci fu e costò perdite somme negli uomini migliori, e sofferenze, e vittorie.

Insomma nell'ultima guerra l'Italia non fu una comparsa. A parte l'aspetto politico ed ideologico dello scontro, a parte il significato di una guerra tra popoli poveri ed esuberanti di energie creative e popoli ricchi ed avidi detentori di ricchezze di tutto il mondo, la nostra guerra avvenne su teatri tradizionalmente suscettibili della nostra influenza e contro nostri diretti concorrenti. Per sostenere quel ruolo al quale eravamo assurti.

Malgrado ciò i primi a voler disconoscere il significato per cupidigia di servilismo, sono gli Italiani democratici. Diamo un'occhiata alla cultura di massa. Cinema, fumetti, cineromanzi, romanzetti, racconti di guerra. Tutti trasbordano di guerra e di eroismo, ma applicati agli altri. Sembra ormai esteticamente impossibile configurare un combattente italiano che combatte con dignità, coraggio eroismo. I personaggi dei fumetti sono sempre soldati inglesi, tedeschi (che poi diventano antinazisti ma si battono con onore) americani e giapponesi che sono sempre cattivacci. L'industria cinematografica italiana, dopo il Western in serie, sta rilanciando il film di guerra. Sono in cantiere una serie di films sulla guerra in Italia fra tedeschi ed anglosassoni.
Gli italiani sono assenti o, se sono presenti, fanno da comparse e comunque danno un senso di fastidio. Si vede che sono un pleonasmo nella psicologia generale del racconto.
I giapponesi hanno prodotto un film nel quale si vedono finalmente molti marines cadere per mano nipponica e soldati del Sol Levante morire imprecando ai nemici americani. Tutto ciò ha meravigliato e sconcertato la grande stampa italiana, c'è chi si è detto spaventato.
Tale è ormai l'abitudine di considerare e di autodipingere noi stessi.
Se ieri col film neorealista -che poteva essere giudicato anche una virile autoaccusa, pur mostrando i nostri grandi dolori- lanciavamo un nuovo stile cinematografico e comunque parlavamo di noi, oggi anche questo fatto è svanito. È chi si assenta non c'è. Questo regime politico è veramente lesivo dei nostri interessi anche se storicamente e politicamente ha una sua ragion d'essere. La sconfitta, oggi, al di là delle passioni di parte, è arrivata nell'intimo delle coscienze individuali, portando gli Italiani a rifiutarsi.
Logico coronamento dell'azione di uomini calati in Italia al seguito di armate straniere, saliti al potere previa eliminazione fisica del governo precedente, uccisione ed allontanamento degli Italiani liberi, di coloro che avendo combattuto le nostre guerre si sapeva fieri e non disposti ad inchinarsi, essendo essi la parte più nobile del nostro popolo in assoluto, oggi. La colpa è anche molto nostra e consiste nel non aver capito prima il senso della guerra e non averne saputo rivendicare il valore nel modo più opportuno. L'atteggiamento più naturale; anche solo per interesse economico, è il rifiuto di una classe dirigente comunque abietta.
L'alternativa che noi dobbiamo e possiamo porre è politica, ma il nostro rifiuto parte da strati più profondi del nostro essere, e dalla incompatibilità con questa rappresentazione gli uomini dell'antifascismo sono espressione del nulla perché rappresentano un'Italia che non conta nulla.


II tatticismo: un male da combattere

Non occorre di certo una eccezionale esperienza per costatare come l'abuso della tattica, nel campo militare come in quello politico, riveli sempre almeno tre aspetti essenziali per il raggiungimento del successo :
a) mancanza di una visione globale e strategica della lotta ;
b) carenza di doti di carattere, che è fattore non sostituibile con mere doti di capacità e di efficienza tecnica;
e) insufficiente fede nella giustezza della causa e nella certezza della vittoria.
Il tatticismo, infatti, porta a vincere battaglie spesso difficili e a creare episodi brillanti, ma raramente porta alla vittoria finale. Gli spiriti puramente tattici, permeati come sono di individualismo e privi di visioni ampie e organiche, si palesano in definitiva pessimi combattenti, pur essendo singolarmente coraggiosi e capaci.
Dal momento che abbiamo parlato di un male da combattere, è opportuno approfondirne per quanto possibile la diagnosi, mediante l'esame della sintomatologia che ci è dato di osservare nel nostro ambiente umano. I sintomi sono chiarissimi e indicano tutta la gravita del male: divisionismi, deviazioni ideologiche, autonomismi, indisciplina, attività concorrenziali, atteggiamenti anarcoidi ecc.
Fenomeni questi che, pur essendo oggetto di attenzione e di apprensione da parte dei migliori tra noi, vanno tuttavia acquisendo dimensioni sempre più preoccupanti e tali da rendere nulli gli sforzi volti ad unire o, quanto meno, a federare i vari gruppi intorno ad una unica piattaforma ideologica e politica, atta a fornire la possibilità di mettere a punto un dispositivo di lotta panoramico e globale.
Il primo e il più pericoloso sintomo del tatticismo nostrano vorrebbe trovare la sua giustificazione nel fatto che un discorso portato innanzi da posizioni dichiaratamente fasciste non sarebbe valido in quanto non verrebbe nemmeno ascoltato. Ebbene, non v'è posizione mentale più falsa e più in malafede. Da una tale base diviene fatale la «caduta» nel tatticismo più deteriore e nella collaborazione più o meno mimetizzata con il sistema che -all'origine- si voleva combattere. L'esempio più evidente di quanto andiamo asserendo lo si rintraccia nel MSI il quale, dopo 20 anni di esistenza incoerente e tutta imperniata sulla tattica, da una prima posizione eccessivamente mimetica è poi sceso in quella di appoggio al sistema ed infine è sfociato nella elaborazione di quelle ibride tesi politiche (occidentalismo, difesa della NATO, anticomunismo, filo-ebraismo, conservatorismo sociale, ecc.) che non solo sono in diametrale antitesi con il fascismo, ma costituiscono i piedistalli dello stesso centro-sinistra. A furia di tatticismo il MSI, come era naturale, ha partorito il missismo e, quasi senza accorgersene, è passato nel campo nemico.
A tale riguardo però è doveroso rilevare che anche in talune organizzazioni esterne al MSI e che dal MSI si distaccarono proprio a causa del tatticismo ivi imperante, sintomi siffatti siano ancora assai marcati ed evidenti. Quante volte, nel corso della recente campagna per la scheda bianca, abbiamo sentito sostenere da camerati sedicenti rivoluzionari che erano si d'accordo con noi in via teorica ma che, praticamente, non aderivano per «non indebolire le forze politiche nazionali»! Richiesti di più precise indicazioni, questi camerati o non hanno saputo rispondere o hanno indicato autentiche «debolezze politiche», che nulla hanno di nazionale. Del resto, non si insiste ancora da più parti a considerare il regime dei colonnelli di Grecia come un regime rivoluzionario e a vedere in Franco ed in Salazar dei perfetti fascisti?
In tal modo evidentemente si sottraggono alla lotta rivoluzionaria energie giovanili di assoluto prim'ordine, il cui impiego imprimerebbe un carattere e una dinamica determinante alla lotta medesima.
A proposito della nostra gioventù sbandata, la FNCRSI ha sempre indicato i giovani come la parte più generosa, più vivace e più intelligente del nostro ambiente, spesso incoraggiandone iniziative e facendosi prodiga di consigli e di aiuti, ma ogni qualvolta si è iniziato il discorso dell'inquadramento, della disciplina e della severa preparazione che non prescindessero dall'esperienza degli anziani, tutto è caduto nel nulla, per amore di male intese autonomie e di ingiustificabili personalismi. Praticamente, pare che i giovani portino con sé tutto il carico di indisciplina e di qualunquismo ereditati dal MSI.
Ora, benché la volontà di far da soli che è propria dei giovani di tutti i tempi sia spesso fuori luogo e dannosa, ha tuttavia alla base la constatazione di una insufficiente testimonianza di pensiero e di azione da parte degli anziani, quando non addirittura i loro deprecabili tentativi di corruzione e di strumentalizzazione. Ciò nonostante è ovvio che le organizzazioni puramente giovanili sono a priori condannabili in sede finalistica, in quanto a priori condannate a svolgere unicamente compiti tattici il più delle volte fine a se stessi. Per queste organizzazioni un fatto morboso come il tatticismo diviene, in sostanza, l'unica possibilità di sopravvivenza, essendo esse -per ragioni organiche- destinate a non potersi porre dinnanzi una visione completa e totale degli obiettivi da perseguire.
Solo una comune dottrina, linee politiche elaborate in comune e non disgiunte da una comune e indomita volontà politica possono oggi riunirci e potranno concorrere a creare, a breve scadenza, le premesse di una comune ed efficace strategia per il proseguimento della lotta. Lotta nel corso della quale il successo non potrà non arridere a quanti saranno veramente disciplinati, tenaci e capaci di sfruttare tutte le proprie possibilità. Una volta uniti da una unica volontà rivoluzionaria ed accettata finalmente una precisa disciplina, si potrà anche parlare di valutazioni e di dispositivi tattici.
Prima sarebbe follia.


Nodi al pettine

II 10 novembre a Okinawa e nelle Ryu Kyu si sono svolte le elezioni per la nomina del capo della amministrazione locale e dei titolari dei seggi presso la dieta di Tokyo. Il territorio -a 23 anni dalla fine dello stato di guerra- è ancora occupato militarmente dagli Stati Uniti e nella realtà comprende basi militari di insostituibile utilità per gli americani.
La campagna elettorale è stata imperniata sull'accordo Sato-Johnson per la restituzione a babbo morto delle basi americane. Questa linea -portata avanti con dovizia di mezzi della destra liberaldemocratica della quale Sato è il leader- è stata nettamente sconfitta dalle opposizioni che hanno invocato lo smantellamento delle basi USA e l'immediato ricongiungimento delle isole Ryu kyu e di Okinawa alla madrepatria.
Il fatto supera la episodicità ed è dimostrativo dello stato d'animo che si va radicando nel Giappone in vista delle scadenze del 1970 (Trattato nippo-americano per la sicurezza e concomitanti elezioni politiche generali).

  Condividi