COMUNICATO
La Direzione Nazionale della
Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana
si è adunata a Bologna, a conclusione dei lavori della Consulta
Nazionale della FNCRSI stessa.
Preso atto dei risultati emersi dal dibattito svoltosi in sede di
Consulta, la Direzione Nazionale ha stabilito:
1) di proseguire e potenziare la fase di ricerca, di chiarimento, di
informazione che si è sviluppata favorevolmente intorno
all'iniziativa unitaria, ufficialmente nata con il Convegno di
Milano del 13-6-68.
2) dare maggior vigore alla unitarietà della organizzazione. A
questo scopo ha conferito mandato ai due Vicepresidenti in carica di
seguire congiuntamente l'attività dei Gruppi e dei Responsabili
periferici.
La Direzione 'Nazionale ha anche esaminato situazioni organizzative
e disciplinari ed ha stabilito di richiamare alla attenzione dei
militanti che la disciplina è la forza della organizzazione e che
nulla può legittimare gesti di insofferenza. La Direzione Nazionale
ha stabilito di applicare a carico del camerata Giuseppe Froda del
Gruppo Provinciale di Genova il seguente provvedimento: «Sospensione
a tempo indeterminato». |
La grande destra
Tu che mostri da lontano
la camicia tutta nera
e con l'aria un poco austera
mi fai il filo-americano
sei un fascista o un sacrestano?
Dalle pagine dei soliti periodici, vien
lanciata per l'ennesima volta, la proposta della grande destra. Or con accenti
accorati al pericolo comunista or con toni irridenti al «solito missino» che non
vuole contatti spuri con badogliani o malagodiani. Diciamo subito che noi non
facciamo questione di allergia cutanea, per di più non entriamo nel merito di
certe valutazioni politiche, le quali hanno la loro logica attuale, moderna. Non
ci stupisce affatto che degli ex-fascisti, degli ex-repubblichini, abbiano
scelto la posizione della destra per la loro lotta politica. Altri hanno scelto
il centro, altri la sinistra comunista e socialista. In politica c'è una osmosi
continua, anche Bombacci, Silvestri, Bergamo, Romperti, hanno scelto Mussolini,
essendo stati suoi avversari politici, e con loro, migliaia d'altri. Dopodiché,
basta.
Perché la grande destra esiste di fatto: sono alcuni partiti condannati
all'immobilismo, in posizioni di retroguardia, che si scambiano voti, deputati e
chissà quante altre cose. Che in Parlamento hanno una politica pressoché univoca
ed una voce, per tutti quanti, inascoltata. Coloro poi che credono di allettare
alcuni sprovveduti autodefinentisi fascisti, col miraggio di una futura destra
guidata da idee fasciste, o farneticano o dicono il falso. Un movimento di
destra siffatta troverebbe come suo capo ideale il De Lorenzo di buona memoria,
personaggio che le sinistre, per loro chiari fini propagandistici, continuano a
definire fascista.
In sostanza qui si tende a stabilizzare la democrazia su solide basi
tripartitiche con una sinistra di tipo laburista, un centro ed una destra.
Ottimo curativo per i democratici. Ma noi non siamo democratici e queste parole
denotanti posizioni parlamentari ci lasciano indifferenti. Ognuno faccia quello
che vuole, siamo in regime lassista, ogni volontà la più sfrenata è libera di
caracollare per i pascoli dell'utopia, ma per favore non si faccia appello al
fascismo e tanto meno a Mussolini per manovre così volgari. Se poi i soliti
benpensanti tra le altre sconcezze vorranno trovarci il nome di coadiutori dei
comunisti, ci piglieremo anche questa definizione. I comunisti sono lì apposta
per questo gioco da spaventapasseri, e a noi, delle loro opinioni, non ce ne
frega niente.
Il congresso socialista
Al congresso puoi vedere
come tutto vada a caso
gli uni parlan col sedere
gli altri ascoltano col naso
In occasione del congresso socialista è
stato affisso per tutta Italia un manifesto nel quale campeggiano i vecchi triti
temi della socialisteria mondiale. Il solito quadro dei soliti braccianti,
quadro ottocentesco che rivela come la psicologia del socialista medio sia in
sostanza legata al solito perbenismo borghese, velleitario, quanto inconsistente
ed incongruente. E, infatti, il socialismo si esaurisce nelle parole, fra
l'altro anche dette male, dei suoi esponenti, in un generale sonno, morale e
politico. Costoro sono davvero espressione di una nazione che sonnecchia
all'ombra delle benedizioni e degli incensi.
Costoro sono sempre stati assenti in ogni momento importante della vita della
nazione. Se un radicale aderisce ad un'idea universale utopica, ma sempre
conseguente nelle sue formulazioni e realizzazioni, il socialista è
l'espressione di quello stato di negazione che nega per prima cosa se stesso.
Così quando ci furono occasioni propizie per loro nella storia delle nazioni,
costoro se ne ritrassero spaventati. Essi sono sempre scappati, scappano e
scapperanno, portando con sé, come vendetta, l'odio.
In nome di non si sa bene che cosa, si arrogarono, in contesa col prete e col
comunista, il diritto di massacrare uomini che sono autentici giganti a
confronto loro e fuggirono quando Mussolini offrì loro la successione della RSI.
Oggi eruttano fiumi di parole inutili; incapaci di fronte a cose più grandi di
loro giocano a nascondino in attesa che il prete tolga le castagne dal fuoco.
Scapperanno al momento del rendiconto, quando nessuno di essi avrà da mettere
sul piatto della bilancia una qualsiasi testimonianza che valga non ad
attribuire una statura di eccezione ma neanche di breve rilievo. Perché questo è
il succo del discorso: hanno sfasciato, hanno ammazzato, nella forma più vile
quali ombre dello straniero superarmato, e cosa hanno fatto? Dopo 25 anni
passati nella inutilità, tentano il colpo mancino e finiscono a schifio,
incapaci di muoversi senza la spalla sostenitrice del prete, che vorrebbero
avere la forza di disprezzare e che invece li rimorchia a proprio agio e li
manovra come docili marionette.
Nixon, Mosca e dintorni
La elezione di Nixon e le celebrazioni di
Mosca per il 51° anniversario della rivoluzione russa sono i fatti che
cominciano a porre una certa cornice a quelli dell'estate scorsa.
Avevamo dato per scontata la riuscita di Nixon ed è stato facile esser profeti,
anche se la televisione italiana, con la obiettività che la distingue, ha
parlato, fino ad operazioni concluse della possibile vittoria dell'antagonista
Humphrey. Il solito omaggio all'attaccamento all'imbecillità, come se le notizie
distorte avessero potuto cambiare in qualche modo le cose, dato il credito e la
diffusione che ha negli USA la Raitv. È l'omaggio continua da parte di tutta la
stampa delle cosiddette forze sane italiane le quali preconizzano nell'eletto la
virata a destra sul piano internazionale che controbilanci il disastro interno
delle elezioni generali di maggio.
Sul proprio antagonista, Nixon offriva il vantaggio di poter salvare in qualche
modo la faccia per il problema che scotta: il Vietnam. Obiettivamente egli si
trova nella condizione di poter fare le concessioni più dure che la controparte
pretenderà, anche le più impopolari, perché non è responsabile della lunga
guerra e perché avrà gioco la fama degli anni '50, per la quale non potrà essere
accusato di morbidezze verso il comunismo, né di connivenze sentimentali (non fu
ricevuto da un cane a Mosca dopo la batosta del '60).
Finché gli americani resteranno sul fuoco per il problema di fondo, non sarà
difficile al protagonista imporne la priorità, in un clima da governo di
salvezza nazionale; gli altri discorsi e gli altri impegni elettorali, almeno
nella prima fase, sfuggiranno alle grosse attenzioni per fare la fine di tutti
gli impegni elettorali. Questo non significa che Nixon, semplicisticamente, si
proponga il rinvio di ogni altra questione a tempi migliori. Significa soltanto
che il permanere nella fase acuta della cancrena, il Vietnam assorbirà la
maggior parte delle chances repubblicane. Significa che, finché non avrà
concluso qualcosa di risolutivo per il Vietnam, Nixon avrà le mani legate su
ogni altro problema. Liberarsene significa (non inganni la ripresa del colloquio
di Varsavia con l'ambasciatore di Cina) l'amputazione traumatica. Sarà la
liberazione da un incubo ma sarà anche il tempo della rivincita democratica.
Significativa, intanto, è la situazione dei Negri. I negri hanno reagito allo
spauracchio Wallace votando. Questo loro gesto da la misura dell'insuccesso
delle provocazioni agitatone del Black power.
Al neopresidente il collega Podgornj ha subito teso la mano con il solito
messaggio quasi caloroso.
A Mosca festa il 6 novembre per la celebrazione del 51° anniversario. La festa è
stata grande per dare risalto alla nuova linea politica che il Cremlino sta
elaborando addentro il campo comunista e verso quello esterno. Questa linea è
caratterizzata, nella prima direzione, da un irrigidimento da crociata
ideologica, anche in funzione della scomunica cinese (i (fatti di Cecoslovacchia
ed annessi) e dall'accentuarsi della comprensione, fin quasi alla
condiscendenza, verso i problemi del partner esterno (e qui assumono la loro
importanza i colloqui di Varsavia con l'ambasciatore di Cina). L'annuncio della
sospensione dei bombardamenti sul Nord-Vietnam è stato subito accettato come
prova della intensificata ricerca da parte USA di una pace negoziata e si è
determinata una impennata distensiva del Cremlino che evidentemente può
permettersi di valutare positivamente Nixon se lo stesso maresciallo di ferro,
Grechko (costui ha giocato un ruolo di primo piano in tutta la manovra, alla
quale ha dato l'inizio un anno fa), ha potuto dimenticare la esplicita menzione
degli USA nella consueta tirata contro gli imperialisti. Lo stesso oratore
ufficiale delle celebrazioni, Mazurov (emerso improvvisamente dalla nebbia delle
seminullità) se ha affermato che gli Stati Uniti d'America sono la maggior
potenza imperialista (in contrapposto al piccolo Vietnam che l'ha battuta) ha
anche esplicitamente chiamato Washington alla normalizzazione dei rapporti
bilaterali, importanti (secondo lui) non solo per i due paesi, ma per il mondo
intero. Né possono considerarsi casuali le occasioni di incontro create con il
rilancio delle trattative per il disarmo. Intanto i dintorni di Nixon e del
Cremlino restano l'Europa e per essa la questione tedesca. La stampa dei soliti
beccamorti dell'oltranzismo atlantista ha osannato ad un previsto calo del NPD,
mentre andava a conclusione la manovra russa sui paesi del Trattato di Varsavia.
I compari si davano reciprocamente un puntello.
Sarebbe proprio ora che la commedia avesse termine ma l'azione ha tutta l'aria
di proseguire sul canovaccio della coesistenza pacifica e della distensione
anche se i fantocci sono quelli della politica di potenza dei due blocchi.
Nixon, così, non potrà rifiutare la mano tesa di Podgornj ed una stretta di mano
per il Vietnam, nonostante la facce feroci, potrà presupporre tante cose e, per
esempio, da una parte (tanto per salvare la faccia) rafforzamento
propagandistico delle alleanze diplomatiche in Asia e, perché no, anche di una
più pesante presenza militare ai danni, sempre per esempio, dell'eterno
Giappone. Ma dall'altra parte, sullo scacchiere europeo, dove i due aspetti
della nuova linea politica russa si saldano, quella stretta di mano
significherà, per esempio, un compromesso sulla questione tedesca e cioè il
riconoscimento, molto distensivo, della RDT o quello addirittura soporifero del
riconoscimento da parte occidentale dei confini orientali. È gli europei a
battere le mani o ad azzuffarsi, per le autentiche conquiste che Nixon avrà
intanto realizzato in politica interna. La estensione delle leve del potere ai
democratici della linea Eisenhower, a Goldberg, a Mc Carty, il disorientamento e
lo scompaginamento dei negri con la loro chiamata a posti di governo, con la
concessione di crediti ai negri che si butteranno su attività capitalistiche per
torcere i negri in concorrenza coi bianchi, con la concessione di crediti ai
bianchi che si dedicheranno alla bonifica dei ghetti per un pretesto che scotta.
Il Vice presidente nella nuova posizione di battitore libero in mezzo all'alta
finanza USA, Atlantica e Mediterranea (è il migliore amico di Onassis che è il
migliore amico della vedova di Kennedy primo).
Gli europei potranno stare a lungo buoni e tranquilli a parlare di mercanti
europei, a cianciare di parlamenti europei. Le catene saranno ritorte e, per la
volontà di Mario Scelba e la grazia di Pietro Nenni, l'Europa seguiterà a
sanguinare appesa alla sua croce.
Papa e pillola
Va pel mondo in aeroplano
il nostro massimo sovrano
Chi correr lo farà in bicicletta
pedalando in tutta fretta?
Se veramente la Chiesa si sentisse custode
di valori eterni, sarebbe presente essenzialmente per affermare questi, al di là
ed al di sopra delle tragedie che sistematicamente colpiscono l'Umanità. Sarebbe
presente non solo per fare della beneficenza piagnucolare sui beni terreni di
sua proprietà andati perduti, esaltare qualche prete che resta dove senza tante
esaltazioni dovrebbe stare; ma proprio tramite queste distruzioni affermare
l'assoluta transitorietà dei beni materiali di fronte alla sostanza della
spiritualità umana, la fede di una realtà sempre presente che sorride della
morte e dell'orrore.
L'enciclica sulla pillola ha evidenziato, più che altre recenti manifestazioni,
con la levata di scudi contro il verdetto papale, il punto in cui si trova il
cattolicesimo odierno. In sostanza: la base cattolica ha accettato l'enciclica
per ubbidienza o l'ha respinta per convinzione. È con asprezza preti e teologi
hanno polemizzato col Papa.
Per chiarire bene il nostro pensiero, dobbiamo qui premettere che noi non
parteggiamo per nessuno e riguardo alla pillola abbiamo le nostre idee. Sappiamo
ad esempio che la pillola non da disturbi evidenti e che milioni di donne ne
fanno uso. Anche le ripercussioni psicologiche della pillola sono relative, c'è
la percezione di un qualcosa di inibitorio in alcune, in altre un processo di
virilizzazione psichica e comportamentale. Nei fatti, nulla di drammatico.
Drammatico è invece l'aumento della popolazione anche nel suo significato
psicologico, e non è certo la pillola che vi porrà rimedio. È nemmeno le guerre.
Per esempio: il Giappone, alla fine dell'ultima guerra, disastrosa per quella
nazione dal punto di vista della mortalità, si trovò di fronte ad un aumento
impressionante della sua popolazione tale da determinare l'iniziativa mai vista
con piacere dagli Stati, di legalizzare gli aborti.
Dal '48 ad oggi, l'aumento del numero degli aborti legali annui in Giappone è
eclatante. Nel '66 erano 5 milioni. Se a questi aggiungiamo quelli segreti
possiamo immaginare l'entità di questa drastica operazione di birth-control che
non include le limitazioni introdotte dall'uso della pillola e dei mezzi
meccanici. Con tutto ciò il Giappone si trova con un numero di abitanti
esorbitante per quella piccola terra. Tuttavia anche se l'industrializzazione
non sostituisce il pane (i transistors non si possono mangiare), la situazione
regge bene. In altri posti invece, come l'Africa, dove lo spazio non manca, il
forte aumento di popolazione di questi ultimi tempi (malgrado i massacri del
Biafra) crea problemi irrisolvibili. Con queste prospettive, i nostri figli
avranno di che interessarsi. A noi interessa invece evidenziare cosa va
cambiando sul piano religioso: perché una donna che assume giornalmente degli
ormoni sintetici che sostituiscono nel suo organismo alcune sostanze proprie, le
quali interferiscono su tutti I piani della vita femminile, non è una donna
completa, anzi è una macchina; un manichino nel quale non solo non c'è
possibilità di dedizione totale nell'atto sessuale che diventa un solo atto
fisico, ma la sua è una vita fittizia in cui un meccanismo sintetico, come un
piccolo ingranaggio, ha sostituito la vita. È tutto ciò è molto più percepibile
nella femmina nella quale la sfera sessuale permea tutta la persona
psico-fisica, che non nell'uomo, nel quale la vita sessuale è marginale.
Una religione esprime sempre un modo di essere e di sentire che ha come base
l'integrità dell'essere nel suo esplicarsi vivendo. L'esistenza millenaria delle
religioni è dovuta al fatto che esse riproducono l'ordinamento del Cosmos
nell'insieme delle sue possibilità. In esse si esprime: «Un sapere non soltanto
umano, quella parola udita che precede ogni pensiero; il Verbo, la Rivelazione».
La religione non può essere vincolata da problemi contingenti; questa è la sua
forza. Il Papa gira il mondo per affermare la sua potenza politica, ma quando
parla ai suoi fedeli in nome della religione, questi non lo seguono più.
La chiesa è oggi una forza politica ed economica, ma la sua base si va
sgretolando ed essa non ha più autorità.
I tempi nuovi richiedono una grande forza spirituale per essere dominati, perché
è chiaro che i potenti mezzi tecnici di livellamento schiacceranno moltitudini,
rendendole sempre più ad una sola dimensione, mentre permetteranno a pochi di
porsi dall'altra parte. Da molte parti ci sembra che il Cristianesimo non sia
all'altezza di passare il ponte. Oggi la Chiesa è un vecchio padrone saggio e
smaliziato che non crede in nulla ma sa usare in egual modo la frusta e lo
zuccherino per tenere a freno i sottoposti. Un'altra spiritualità ed un'altra
religione sono di nuovo alle porte per riprendere ciò che le fu usurpato.
L'accelerazione dei tempi è avvertita da ognuno. Ma questo aumento della
velocità è indice che per alcuni sta avvenendo un processo di affinamento e di
liberazione del peso materiale mentre per altri non si tratta che di un
precipitare verso la massa informe di carne.
Un aspetto della perdita di ogni significato non dico sacrale, ma anche
religioso, nella Chiesa, è dato dall'atteggiamento di essa nella guerra del
Vietnam. La stampa cattolica piange le distruzioni che hanno subito gli immobili
cattolici ed esalta i religiosi che sono rimasti al loro posto per assistere i
profughi ed i feriti. Scrive una pubblicazione cattolica: «Nella tragica cornice
di rovine materiali e morali la Chiesa è presente nell'opera di soccorso alle
vittime». Questo a parer nostro è l'unico aspetto positivo che sia rimasto della
Chiesa: la concorrenza alla Croce Rossa.
Se veramente la Chiesa si sentisse custode di valori eterni, sarebbe presente
essenzialmente per affermare questi, al di là ed al di sopra delle tragedie che
sistematicamente colpiscono l'Umanità. Sarebbe presente non solo per fare della
beneficenza, piagnucolare sui beni terreni di sua proprietà andati perduti,
esaltare qualche prete che resta dove senza tante esaltazioni dovrebbe stare; ma
proprio tramite queste distruzioni affermare l'assoluta transitorietà dei beni
materiali di fronte alla sostanza della spiritualità umana, la fede di una
realtà sempre presente che sorride della morte e dell'orrore.
Lo stesso beffardo, giovanile e sarcastico riso dei giovani europei che si
batterono contro la bestia materialistica di tutto il mondo, facendo della RSI
una fortezza morale, quando affrontarono i processi, le torture, il massacro, il
vituperio della plebaglia uscita per l'occasione da tutte le fogne del mondo e
dalle sacrestie di tutte le parrocchie, i lunghi tempi della persecuzione,
dell'esilio, l'infamia delle false accuse, rivolte loro dai vili e dai traditori
che avevano mercanteggiato la loro pelle.
Invece di maledire la guerra e di compiangere i profughi, se avesse fede in sé
stessa come rappresentante della eternità, penserebbe ad esaltare solo chi,
nella bufera, tiene saldo il suo cuore rimanendo al posto che gli avvenimenti
della vita gli hanno riservato, affermando queste prove la propria realtà
interiore.
Uno degli spettacoli più disgustosi è rappresentato nelle nostre città dalle
folle variopinte e svagate che sciamano dalle chiese nei giorni di festa. È la
massa nel suo aspetto più abulico, vacuo, rilasciato.
Di fronte a questa folla, qualsiasi altra è preferibile: quella degli stadi per
il suo volgare entusiasmo; quella delle piazze ai comizi, per una sorta di
partecipazione ai destini politici della comunità; quella delle rivolte per la
sua bestiale violenza. Nulla è più indicativo di una crisi, infatti, che
l'incapacità di dimostrare il minimo entusiasmo. Nulla è più indicativo di
questa indifferenza nella folla cattolica.
Altro esempio possiamo trovare nella trasformazione del rito, per interessare i
clienti, sul piano della discussione comunitaria. Una conferenza non sostituisce
il rito e tanto meno una chiacchierata in famiglia costituisce un fenomeno
religioso. Ma i cattolici non sanno neppure che cosa sia un rito.
Accadde in Afghanistan
Nell'anno di grazia 1967 o 68, accadde che
nella lontana terra di Afghanistan una compagnia italiana vinse un importante
concorso per una non precisata realizzazione civile. Ma questa vittoria non
doveva essere che nominale.
Disse infatti il rappresentante germanico alle autorità afgane: «ma chi sono
questi italiani? Cosa vogliono? Chi li conosce? Cosa essi fecero prima per la
nobile (e povera) terra dell'Afghanistan? Perché il progetto italico ha vinto
contro quello della Azienda che proviene dalla grande e amica terra di Germania?
Quale terra, quale popolo, la compagnia italiana rappresenta?».
Cosi parlò il rappresentante della stimata terra di Germania e detto fatto il
governo afgano comandò che all'italico lavoro non fosse dato inizio. Mentre
iniziò i lavori la società tedesca. È fu bene così. La favola insegna infatti:
«chi non sa rispettare se stesso, da alcuno è rispettato».
Questi anni democratici sono stati caratterizzati dalla denigrazione sistematica
di ciò che è italiano, in onore ad una tradizionale abitudine di certa classe
politica nostrana, che consiste nel comandare su delega altrui offendendo e
disprezzando i sottoposti per ingraziarsi il padrone.
È l'abitudine all'auto-disprezzo dilaga, soprattutto se servita su un bel piatto
di spaghetti conditi coll'acqua santa. Già abbiamo scritto quale considerazione
abbia la stampa altrui della partecipazione italiana alla guerra mondiale I e
II. Ci risulta che lo straniero nemmeno sa che fine abbia fatto Mussolini. Tutto
ciò con l'approvazione dei molti italiani che aborrono la guerra imperialista ed
il fascismo guerrafondaio preferendo grattarsi eroicamente le emorroidi
nell'angolo buio del proprio negozio o in uno dei cessi della azienda o
ministero in cui sono impiegati. A costoro non importa nulla se abbiamo perso
una importante battaglia in una lontana terra, proprio a causa della propria
cialtroneria. Ma nella storia come nella vita non si è nulla, non si esiste, se
non si è presenti e se non si rivendica la propria presenza quando ci fu e costò
perdite somme negli uomini migliori, e sofferenze, e vittorie.
Insomma nell'ultima guerra l'Italia non fu una comparsa. A parte l'aspetto
politico ed ideologico dello scontro, a parte il significato di una guerra tra
popoli poveri ed esuberanti di energie creative e popoli ricchi ed avidi
detentori di ricchezze di tutto il mondo, la nostra guerra avvenne su teatri
tradizionalmente suscettibili della nostra influenza e contro nostri diretti
concorrenti. Per sostenere quel ruolo al quale eravamo assurti.
Malgrado ciò i primi a voler disconoscere il significato per cupidigia di
servilismo, sono gli Italiani democratici. Diamo un'occhiata alla cultura di
massa. Cinema, fumetti, cineromanzi, romanzetti, racconti di guerra. Tutti
trasbordano di guerra e di eroismo, ma applicati agli altri. Sembra ormai
esteticamente impossibile configurare un combattente italiano che combatte con
dignità, coraggio eroismo. I personaggi dei fumetti sono sempre soldati inglesi,
tedeschi (che poi diventano antinazisti ma si battono con onore) americani e
giapponesi che sono sempre cattivacci. L'industria cinematografica italiana,
dopo il Western in serie, sta rilanciando il film di guerra. Sono in cantiere
una serie di films sulla guerra in Italia fra tedeschi ed anglosassoni.
Gli italiani sono assenti o, se sono presenti, fanno da comparse e comunque
danno un senso di fastidio. Si vede che sono un pleonasmo nella psicologia
generale del racconto.
I giapponesi hanno prodotto un film nel quale si vedono finalmente molti marines
cadere per mano nipponica e soldati del Sol Levante morire imprecando ai nemici
americani. Tutto ciò ha meravigliato e sconcertato la grande stampa italiana,
c'è chi si è detto spaventato.
Tale è ormai l'abitudine di considerare e di autodipingere noi stessi.
Se ieri col film neorealista -che poteva essere giudicato anche una virile
autoaccusa, pur mostrando i nostri grandi dolori- lanciavamo un nuovo stile
cinematografico e comunque parlavamo di noi, oggi anche questo fatto è svanito.
È chi si assenta non c'è. Questo regime politico è veramente lesivo dei nostri
interessi anche se storicamente e politicamente ha una sua ragion d'essere. La
sconfitta, oggi, al di là delle passioni di parte, è arrivata nell'intimo delle
coscienze individuali, portando gli Italiani a rifiutarsi.
Logico coronamento dell'azione di uomini calati in Italia al seguito di armate
straniere, saliti al potere previa eliminazione fisica del governo precedente,
uccisione ed allontanamento degli Italiani liberi, di coloro che avendo
combattuto le nostre guerre si sapeva fieri e non disposti ad inchinarsi,
essendo essi la parte più nobile del nostro popolo in assoluto, oggi. La colpa è
anche molto nostra e consiste nel non aver capito prima il senso della guerra e
non averne saputo rivendicare il valore nel modo più opportuno. L'atteggiamento
più naturale; anche solo per interesse economico, è il rifiuto di una classe
dirigente comunque abietta.
L'alternativa che noi dobbiamo e possiamo porre è politica, ma il nostro rifiuto
parte da strati più profondi del nostro essere, e dalla incompatibilità con
questa rappresentazione gli uomini dell'antifascismo sono espressione del nulla
perché rappresentano un'Italia che non conta nulla.
II tatticismo: un male da combattere
Non occorre di certo una eccezionale
esperienza per costatare come l'abuso della tattica, nel campo militare come in
quello politico, riveli sempre almeno tre aspetti essenziali per il
raggiungimento del successo :
a) mancanza di una visione globale e strategica della lotta ;
b) carenza di doti di carattere, che è fattore non sostituibile con mere doti di
capacità e di efficienza tecnica;
e) insufficiente fede nella giustezza della causa e nella certezza della
vittoria.
Il tatticismo, infatti, porta a vincere battaglie spesso difficili e a creare
episodi brillanti, ma raramente porta alla vittoria finale. Gli spiriti
puramente tattici, permeati come sono di individualismo e privi di visioni ampie
e organiche, si palesano in definitiva pessimi combattenti, pur essendo
singolarmente coraggiosi e capaci.
Dal momento che abbiamo parlato di un male da combattere, è opportuno
approfondirne per quanto possibile la diagnosi, mediante l'esame della
sintomatologia che ci è dato di osservare nel nostro ambiente umano. I sintomi
sono chiarissimi e indicano tutta la gravita del male: divisionismi, deviazioni
ideologiche, autonomismi, indisciplina, attività concorrenziali, atteggiamenti
anarcoidi ecc.
Fenomeni questi che, pur essendo oggetto di attenzione e di apprensione da parte
dei migliori tra noi, vanno tuttavia acquisendo dimensioni sempre più
preoccupanti e tali da rendere nulli gli sforzi volti ad unire o, quanto meno, a
federare i vari gruppi intorno ad una unica piattaforma ideologica e politica,
atta a fornire la possibilità di mettere a punto un dispositivo di lotta
panoramico e globale.
Il primo e il più pericoloso sintomo del tatticismo nostrano vorrebbe trovare la
sua giustificazione nel fatto che un discorso portato innanzi da posizioni
dichiaratamente fasciste non sarebbe valido in quanto non verrebbe nemmeno
ascoltato. Ebbene, non v'è posizione mentale più falsa e più in malafede. Da una
tale base diviene fatale la «caduta» nel tatticismo più deteriore e nella
collaborazione più o meno mimetizzata con il sistema che -all'origine- si voleva
combattere. L'esempio più evidente di quanto andiamo asserendo lo si rintraccia
nel MSI il quale, dopo 20 anni di esistenza incoerente e tutta imperniata sulla
tattica, da una prima posizione eccessivamente mimetica è poi sceso in quella di
appoggio al sistema ed infine è sfociato nella elaborazione di quelle ibride
tesi politiche (occidentalismo, difesa della NATO, anticomunismo, filo-ebraismo,
conservatorismo sociale, ecc.) che non solo sono in diametrale antitesi con il
fascismo, ma costituiscono i piedistalli dello stesso centro-sinistra. A furia
di tatticismo il MSI, come era naturale, ha partorito il missismo e, quasi senza
accorgersene, è passato nel campo nemico.
A tale riguardo però è doveroso rilevare che anche in talune organizzazioni
esterne al MSI e che dal MSI si distaccarono proprio a causa del tatticismo ivi
imperante, sintomi siffatti siano ancora assai marcati ed evidenti. Quante
volte, nel corso della recente campagna per la scheda bianca, abbiamo sentito
sostenere da camerati sedicenti rivoluzionari che erano si d'accordo con noi in
via teorica ma che, praticamente, non aderivano per «non indebolire le forze
politiche nazionali»! Richiesti di più precise indicazioni, questi camerati o
non hanno saputo rispondere o hanno indicato autentiche «debolezze politiche»,
che nulla hanno di nazionale. Del resto, non si insiste ancora da più parti a
considerare il regime dei colonnelli di Grecia come un regime rivoluzionario e a
vedere in Franco ed in Salazar dei perfetti fascisti?
In tal modo evidentemente si sottraggono alla lotta rivoluzionaria energie
giovanili di assoluto prim'ordine, il cui impiego imprimerebbe un carattere e
una dinamica determinante alla lotta medesima.
A proposito della nostra gioventù sbandata, la FNCRSI ha sempre indicato i
giovani come la parte più generosa, più vivace e più intelligente del nostro
ambiente, spesso incoraggiandone iniziative e facendosi prodiga di consigli e di
aiuti, ma ogni qualvolta si è iniziato il discorso dell'inquadramento, della
disciplina e della severa preparazione che non prescindessero dall'esperienza
degli anziani, tutto è caduto nel nulla, per amore di male intese autonomie e di
ingiustificabili personalismi. Praticamente, pare che i giovani portino con sé
tutto il carico di indisciplina e di qualunquismo ereditati dal MSI.
Ora, benché la volontà di far da soli che è propria dei giovani di tutti i tempi
sia spesso fuori luogo e dannosa, ha tuttavia alla base la constatazione di una
insufficiente testimonianza di pensiero e di azione da parte degli anziani,
quando non addirittura i loro deprecabili tentativi di corruzione e di
strumentalizzazione. Ciò nonostante è ovvio che le organizzazioni puramente
giovanili sono a priori condannabili in sede finalistica, in quanto a priori
condannate a svolgere unicamente compiti tattici il più delle volte fine a se
stessi. Per queste organizzazioni un fatto morboso come il tatticismo diviene,
in sostanza, l'unica possibilità di sopravvivenza, essendo esse -per ragioni
organiche- destinate a non potersi porre dinnanzi una visione completa e totale
degli obiettivi da perseguire.
Solo una comune dottrina, linee politiche elaborate in comune e non disgiunte da
una comune e indomita volontà politica possono oggi riunirci e potranno
concorrere a creare, a breve scadenza, le premesse di una comune ed efficace
strategia per il proseguimento della lotta. Lotta nel corso della quale il
successo non potrà non arridere a quanti saranno veramente disciplinati, tenaci
e capaci di sfruttare tutte le proprie possibilità. Una volta uniti da una unica
volontà rivoluzionaria ed accettata finalmente una precisa disciplina, si potrà
anche parlare di valutazioni e di dispositivi tattici.
Prima sarebbe follia.
Nodi al pettine
II 10 novembre a Okinawa e nelle Ryu Kyu
si sono svolte le elezioni per la nomina del capo della amministrazione locale e
dei titolari dei seggi presso la dieta di Tokyo. Il territorio -a 23 anni dalla
fine dello stato di guerra- è ancora occupato militarmente dagli Stati Uniti e
nella realtà comprende basi militari di insostituibile utilità per gli
americani.
La campagna elettorale è stata imperniata sull'accordo Sato-Johnson per la
restituzione a babbo morto delle basi americane. Questa linea -portata avanti
con dovizia di mezzi della destra liberaldemocratica della quale Sato è il
leader- è stata nettamente sconfitta dalle opposizioni che hanno invocato lo
smantellamento delle basi USA e l'immediato ricongiungimento delle isole Ryu kyu
e di Okinawa alla madrepatria.
Il fatto supera la episodicità ed è dimostrativo dello stato d'animo che si va
radicando nel Giappone in vista delle scadenze del 1970 (Trattato
nippo-americano per la sicurezza e concomitanti elezioni politiche generali).
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