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FNCRSI

quindicinale di informazione e di formazione politica per i Combattenti della Repubblica Sociale Italiana

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 Anno IV - n° 14 (settembre 1971)

SOMMARIO

8 Settembre - Il parere di Eisenhower
Il regime degli intermediari
La loro vera festività
Socializzazione
 

 

8 settembre - Il parere di Eisenhower


«Il risultato è presto detto: pensate con quanta rapidità l'Italia meridionale cadde e noi conquistammo le due mete di cui avevamo bisogno per continuare la campagna: Napoli e Foggia. Napoli come nostro porto e Foggia di cui avevamo disperatamente bisogno per rendere possibile in concreto il nostro bombardamento dell'Europa»



Il regime degli intermediari

Come siamo costretti a notare giorno dopo giorno, il regime democratico imperante è il regime degli intermediari. Intendendo, con questi termini, delle persone che, non richieste, si inseriscono nei rapporti altrui a devastare e ad arraffare via soldi. Dai deputati ai sindacalisti, dagli aggiottatori di borsa ai grandi finanzieri assicuratori, dagli impiegati delle mutue e del parastato ai commercianti di generi di prima necessità, dai mafiosi che danno la protezione, ai lenoni da strada e da carta stampata. Sono essi che, rappresentando solo ed esclusivamente se stessi, determinano la vita nazionale, condizionano le politiche, impongono voleri ed uomini. Essi, i portatori della mentalità affaristica intesa come facile sfruttamento del lavoro altrui; e sono tutti della stessa razza morale. Una situazione nella quale la plebe minuta sguazza mentre i ceti più elevati vi si trovano costretti dalla continua paura del peggio, essendosi sostituite alle streghe antiche gli incubi delle moderne tecniche di persuasione. In un contesto del genere sarebbe ben strano che succedesse qualcosa anche se esistono i presupposti perchè possa succedere tutto. Ecco perchè, mentre tutto il mondo è in subbuglio e la cruda prova dei fatti spazza inesorabile le superfetazioni di 30 anni di demagogia, la vita politica italiana è ridotta sempre più a manifestazione del potere personale di tanti illustri carneadi ed è di fatto bloccata sulle beghe interne della DC e del PSI, come se 3 invece di 30 correnti del partito confessionale oppure il congresso a novembre invece che a marzo del partito socialista dei signori De Martino e Mancini fossero le alternative reali ad un equilibrio politico che è precario ed è provvisorio per tante ragioni, non ultimo l'interesse personale degli intermediari espressi dal regime. Mentre tutt'intorno, dopo il tango di ferragosto, sono iniziati i giri di valzer. A fine settembre, forse, la manfrina.


La loro vera festività

L'otto settembre i partiti antifascisti hanno festeggiato il loro evento più significativo. La manifestazione indetta a Roma è stato il vero momento unificante dei partiti antifascisti, abitudinariamente dilaniantisi l'un l'altro per una poltrona. Notiamo per inciso che questa ricorrenza dell'otto settembre sta adesso emergendo come festività; con lo sgranarsi degli anni, ogni forza politica riconosce sempre più lucidamente la ricorrenza che le è propria, al di là della retorica e dei miti. Ora l'antifascismo si riconosce nel momento dell'abiezione quale -per una nazione che aveva cercato un rango che pure le spettava- quello in cui decide di risolvere nell'ignominia una tensione cui non era allenata ed a cui l'avevano sottoposta le nazioni padrone del globo, in armi per non dividere i propri averi. Tutto ciò che suona nocumento, umiliazione per la nostra comunità nazionale trova l'antifascismo allineato e pronto ad accettarlo in nome dì un ancestrale masochismo. Mentre invitiamo i nostri lettori a leggere nel recente libro di G. Berto, "Modesta proposta per prevenire" cosa ormai pensa anche un lettore alla moda sulla resistenza e simili, vogliamo ripetere per l'ennesima volta la tesi sulla quale si basa la nostra presenza. Malgrado gli sterili tentativi di qualcuno per dimostrare il contrario, l'alternativa «Fascismo - antifascismo» è presente nel profondo della vita degli italiani. Ed impronterà di sé la sostanza della vera lotta politica italiana almeno fintantoché non verrà risolta con la vittoria fascista. È la storia di tutte le rivoluzioni, bloccate nel loro momento evolutivo, che devono maturare nella coscienza dei cittadini al cospetto della putrefazione dell'ordine già abbattuto e violentemente restaurato riemergerà, forse con altri nomi, forse con altri simboli, i vecchi rivoluzionari non riconosceranno nel nuovo se stessi perchè saranno portati a arsi distrarre dalle solite marionette, messe opportunamente a recitare la parte degli allocchi, ma già gli pseudo-vincitori, portatori del tramontante regime, sentono con angoscia dentro di sé sgretolarsi ogni sostegno e si puntellano l'un l'altro, come possono, anche a ridosso delle marionette. Per questo non condividiamo la indignazione di quanti ci hanno fatto notare che il missista Almirante si era presentato all'appuntamento antifascista dell'8 settembre. Si è evidentemente trovato in buona compagnia né i resistenti hanno resistito a tanto affetto ed hanno accolto la pecorella smarrita. Tragga chi vuole le conseguenze per sé stesso.


Socializzazione

È stato notato come le lingue moderne, per la intrinseca carenza di unità culturale, siano inadeguate ad esprimere in modo univoco i nuovi fenomeni sociali.
Il tentativo operato dal fascismo di ricercare l'unità della cultura mediante il reinserimento degli artisti e degli scrittori tra le masse popolari appare oggi quanto mai riproponibile.
La elaborazione di un unico linguaggio da esprimere in una nuova temperie spirituale e sociale conduce, infatti, ad una più chiara visione del comune destino storico e delle verità sociali.
Il termine "Socializzazione" è senza dubbio quello intorno al quale -anche a prescindere dalla ventennale opera di diffamazione del fascismo svolta dalla democrazia ciellenista ed accreditata dagli ambienti missisti- si è cristallizzata la maggior quantità di equivoci semantici.
C'è chi vi annette un significato integrativo della ottocentesca definizione di socialismo: «un sistema economico-sociale nel quale è bandito lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e per il quale nessuno può arricchirsi con il lavoro altrui».
Si è molto scritto e parlato circa la «socializzazione agraria dell'URSS», senza per altro evidenziare il carattere disumano di quella innaturale collettivizzazione la quale, stando al vero significato delle parole, è tutt'altro che sovietica, i "soviet" essendo stati soppressi (1919 - 20) per le note necessità di sopravvivenza del bolscevismo russo.
Giovanni XXIII, invece, intitola un capitolo della "Mater et Magistra" alla socializzazione, «intesa come progressivo moltiplicarsi di rapporti nella convivenza».
Rigettando integralmente l'esperienza rivoluzionaria della RSI e considerando irreparabile la "caduta" di Mussolini per aver egli parlato all'Italia proletaria e fascista, J. Evola, noto ideologo della destra, ne tratta come della necessità di una «ricostruzione organica delle imprese». La sconcertante povertà di tali definizioni e i risultati ottenuti finora con le applicazioni delle teorie liberal-marxiste non solo giustificano storicamente le iniziative socializzatrici della RSI, ma, ove realmente si voglia combattere il capitalismo che è sinonimo di sfruttamento e di abbrutimento anche nella fattispecie di capitalismo di Stato, ne ripropongono imperiosamente l'attuazione.
Non mancano poi quelli che commettono l'errore -confondendo i mezzi con i fini- di scambiare la socializzazione, che tuttavia non può non rimanere nell'ordine dei fatti contingenti e transeunti, per l'intero fascismo. E abbondano quelli che sostengono che i contrasti sociali, in quanto estranei al mondo della tradizione, si verificherebbero solo perchè artificiosamente originati dalla presenza nel campo sociale dei finanzieri speculatori e degli agitatori sindacali, scambiando il mondo come è con quello che essi vorrebbero che fosse.
Noi Combattenti della prima Repubblica Sociale della storia e primi realizzatori della socializzazione fascista, non tenteremo di comprimerla in una formula né di umiliarla con una definizione.
Essa fu ed è per noi, al di là della istituzionalizzazione attuata dal governo della RSI, un atto di fede ed un impegno di continuità ideale e rivoluzionaria sulle linee tracciate in Piazza S. Sepolcro e volte a rigenerare e profondamente umanizzare il mondo del lavoro.
La nostra socializzazione è lo strumento più idoneo a stabilire definitivamente la superiorità della persona umana su tutte le angustie di ordine economico che la soffocano materialmente e spiritualmente.
Solo attraverso di essa, a nostro avviso, è possibile realizzare quei «nuovi rapporti» mediante i quali i termini di responsabilità, di dovere, di creatività, di coraggio e di autentico spirito di intraprendenza possono riassumere il loro proprio significato in ogni settore della vita attiva della Nazione.
L'esigenza di giustizia sociale diffusa tra le masse è sacrosanta.
Noi, quali lavoratori e figli di lavoratori, ne condividiamo l'intima essenza umana e siamo certi di realizzarla globalmente.
Ma, sia ben chiaro, noi non ci inchiniamo al falso idolo dei tempi moderni: la «classe operaia».
La demagogia ci ripugna.
Le classi non esistono e non hanno ragione di esistere.
E siamo certi che al di sopra delle classi e senza demagogia è possibile illuminare di nuova e più vivida luce la più autentica delle realtà umane, il lavoro in ogni sua manifestazione: manuale, tecnica e intellettuale.
Il lavoro, che la nostra socializzazione fa assurgere da fattore produttivo, da strumento del capitale, ad origine del ciclo produttivo in cui è il capitale ad avere funzione strumentale e ciò è giusto perchè secondo gli stessi valori naturali chi crea è infinitamente superiore alla cosa creata.

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