Italia - Repubblica - Socializzazione

FNCRSI

quindicinale di informazione e di formazione politica per i Combattenti della Repubblica Sociale Italiana

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 Anno IV - n° 17 (novembre 1971)

SOMMARIO

FNCRSI
Sondaggi popolari sul Presidente della Repubblica
Considerazioni sul IV novembre
La violenza serve al partiti
Il partito delle riforme
Dunque, ammazziamo Almirante!



FNCRSI

Il tipo di analisi politica che da qualche tempo andiamo conducendo è risultato ostico ad alcuni lettori che se ne sono lamentati e ci hanno rappresentato chi la necessità di esprimerci con più semplicità chi l'opportunità di abbandonare quel tipo di analisi per un discorso più generale, e cioè non politico. Ringraziamo tutti per la possibilità che ci offrono
di conoscere desideri di chi ci ascolta e, nei limiti del consentibile, di tenerne conto.
Ai primi rispondiamo che aborriamo le fumisterie e gli orpelli e siamo ammiratori della semplicità. Esistono tuttavia due limiti. Il primo è lo stile di chi scrive, che può essere integrato con la buona volontà, non sostituito. L'altro è dato dalla natura stessa degli argomenti affrontati; infatti è molto difficile volgarizzare e portare nelle linee essenziali al livello di quei lettori che possono essere meno provveduti problemi e tesi che spesso sono aridi e non consentono soccorsi dalla fantasia. Faremo tuttavia del nostro meglio per essere semplici e chiari.
Coi secondi non siamo d'accordo. La nostra presenza negli anni '70 ha un suo significato, che è politico, ci piaccia o no. È chiaro che a monte di quella presenza ci sono contenuti culturali ed attestamenti ideologici. Essi rappresentano dei presupposti, non sono una linea politica. Fermarsi al dibattito ideologico o culturale, significa ancora una volta fermarsi sugli alibi che hanno reso vani 5 lustri di lotta e giustificare le scelte politiche, sostanzialmente qualunquiste o reazionarie, del Movimento Sociale Italiano. Delle quali scelte la nostra sola presenza fisica si pone come negazione e superamento. È perciò irrinunciabile il compito di misurare politicamente le realtà degli anni '70 e proporre scelte in autonomia di giudizio e di fini. Questa nostra volontà non è estremismo, come qualcuno ha voluto definirla; è la conseguenza logica della scelta che quotidianamente compiamo nel riconfermarci Combattenti della Repubblica Sociale, in coerenza con il nostro passato.
Ciò posto cerchiamo di schiarire, se ci sono, le nebulosità con lo schematizzare al massimo la situazione politica interna.
Il quadro del sistema partitico italiano è oggi caratterizzato da due egemonie: una al governo, la DC, l'altra all'opposizione, il PCI, le quali hanno satellizzato i cosiddetti minori che assolvono alla funzione di scomporre le contraddizioni e gli attriti, che assorbono nel proprio interno. Sul piano internazionale, la gestione del potere ricuce le solidarietà USA-URSS e, sul piano interno italiano la proiezione di quella situazione porta i due egemoni DC e PCI a scambi ed accordi di vertice.
Nessuno dei due e una forza omogenea. La prima è tenuta insieme dal patto confessionale, il secondo da una robusta burocrazia di partito (apparato) e dalla moda.
La DC sa quello che vuole. Nel momento politico che stiamo vivendo si propone di ottenere un suo uomo alla presidenza della Repubblica e la vanificazione (oppure limiti sostanziali) per la legge sul divorzio (vedi FNCRSI n. 8 del '71). Essa inoltre cerca di evitare lo scontro frontale con i cattolici di destra dei quali aborre le smanie per il referendum ritenendolo, nella più rosea delle ipotesi, la fine dell'unanimismo verso la subordinazione agli interessi spirituali e temporali del papato e quindi uno scossone al regime concordatario ben più dannoso del vulnus rappresentato dal divorzio dei radicali.
Anche il PCI sa quello che vuole. Sa che la DC è immobilizzata e si propone di impedire il formarsi di qualsiasi schieramento che abbia la capacità di sbloccarla e quindi di togliere a lui, PCI, il potere contrattuale con il quale arriva a condizionare il Centrosinistra, come si è visto recentemente a proposito delle votazioni e dichiarazioni per l'art. 10 della legge universitaria, in discussione alla Camera. Si delinea, ci sembra, un preciso disegno cha va oltre la presidenza ed il divorzio e punta alle scadenze successive, sulle quali l'apparato potrebbe fare affidamento per riassorbire la protesta antifanfaniana della sinistra extraparlamentare. Anche il PCI osteggia il referendum, nel timore che esso possa portare a modifiche delle forze che condizionano lo schieramento politico, e quindi alla perdita di posizioni contrattuali verso la DC e di potere sui satellizzati.
È così che anche l'atteggiamento del partito progressista per definizione (ma a parole) si ricombacia con quello di governo e della moderazione conservatrice.
I partiti minori sono fuori da ogni possibilità di iniziativa autonoma, sia quelli al governo che quelli all'opposizione; quando fingono di non saperlo riescono a provocare la ilarità dei commentatori meno sprovveduti, come succede da un verso per il MSI e dall'altro per il PRI.
Unica conseguenza di tutto ciò l'immobilismo più totale, tanto è vero che le cosiddette riforme qualificanti del centrosinistra -per le quali sono successe cose turche fino all'autunno- una, quella tributaria, è stata rinviata al 1973; un'altra, quella della casa, non si sa dove abiti e non si è vista l'apertura di un cantiere; la terza, quella del divorzio bisogna rifarla perché non piace a Sua Santità. Fatto quest'ultimo sul quale sono tutti d'accordo, comunisti, democristiani, missisti, socialisti e intermedi, con la sola eccezione di Loris Fortuna e di Antonio Baslini i quali però seguitano a predicare che l'antifascismo sarebbe una cosa seria.
Poste drammaticamente di fronte alla propria decrepitezza, le forze del sistema avvertono la propria impotenza politica e si esprimono nel centro-sinistra dominato dalle componenti moderate, centrosinistra che si regge sull'accordo per la semplice e pura gestione del potere, non avendo la possibilità di trarre dalla collaborazione di governo la volontà politica necessaria per risolvere almeno i più urgenti problemi della società italiana. Come si tenta la più piccola sortita è la crisi.
Nella impossibilità di esprimere alcunché di autentico, il sistema rispolvera il mito stantio dell'antifascismo e rilancia con rinnovato vigore la caccia alle streghe, sfogandosi a tacciare di fascismo le proprie contraddizioni, mediante deformazioni, le più disinvolte ed allegre, della realtà.
Vogliamo mettere in luce, anche a titolo esemplificativo, quella più rozza e grossolana. In Italia il partito della reazione codina o sanfedista e della conservazione bottegaia è stato sempre piuttosto robusto. Per i particolari si può consultare il Cilibrizzi per il periodo dal 1870 al 1910. La nuova democrazia, restaurata su quella vecchia, non poteva non avere una propria grossa ala coperta dal potere della reazione codina o sanfedista e da quello della conservazione bottegaia, sia per gli interessi ispirati dai vincitori-liberatori, sia per i contenuti culturali ed ideologici che avevano permeato cospicue forze dell'antifascismo resistenziale, sia per il contributo finanziario condizionante alla guerriglia partigiana da parte di resistenti reazionari e bottegai, sia per la parte che vi svolsero la Chiesa e il clero. Oggi quelle forze spingono in maniera piuttosto pesante a difesa dei propri interessi politici e materiali e lo fanno nel modo che è stato loro proprio da sempre. La restante parte del sistema strilla contro il fascismo e sfodera i motivi dell'antica solidarietà ciellenista perché tutti stiano nello stazzo moderato, buoni e tranquilli. Come se le manifestazioni antifasciste fossero capaci di elidere il partito della reazione codifico sanfedista che, fatto fuori il MSI, si attesterà altrove, o a risolvere i problemi aperti dalla crescita civile della nostra società.
Chiudiamo questa nota con l'accennare alla nostra posizione sul referendum per l'abrogazione del divorzio. Non è in ballo, intanto, l'istituto del referendum al quale guardiamo con favore perché consente una iniziativa politica che scavalca la decrepitezza degli schemi di partito. Respingiamo d'altra parte il ricatto della guerra di religione alla quale guerra non crediamo per lo scadimento cui è pervenuta la religione cattolica e per la indifferenza dei cosiddetti credenti, dominati dai mass media ed unicamente preoccupati di saziarsi delle soddisfazioni loro offerte dalla società opulenta e sempre più permissiva. Né può avere fondamento il timore di farsi intruppare con coloro che dicono di condividere le preoccupazioni per il potere di Paolo VI, infatti abbiamo già reclamato da tempo la denunzia del Concordato e del Trattato del Laterano, non rispondenti alla situazione politica Italiana.
Abbiamo sempre avversato il vuoto nostalgismo sentimentale che condanniamo come responsabile della situazione di babele fra di noi. Si tratta allora di separare le proprie responsabilità da quelle che ricadono su quanti predicano l'intangibilità del regime concordatario perché fatto da Mussolini e seguitano a dare sostegno e collaborazione a forze politiche che condizionarono il regime alle proprie esigenze e cooperarono alla sua caduta in maniera determinante. Quelle forze oggi rappresentano gli stessi interessi di allora, sempre in contrasto con gli interessi della politica italiana. Per questo avversiamo il referendum per l'abrogazione della legge che ha introdotto il divorzio.
 

Sondaggi popolari sul Presidente della Repubblica

Abbiamo potuto seguire i risultati di due inchieste popolari promosse recentemente. In ambedue è piuttosto alta la percentuale dei votanti per Almirante. Ciò è indicativo di come l'opinione pubblica vede la funzione del MSI e del suo capo. Secondo moltissimi Almirante è il tipo capace di portare all'ordine e di far funzionare QUESTA democrazia. Ed è la verità, per le capacità non certo da sottovalutare del nostro. Ma questo è tutto. L'immagine che il MSI da al paese è lo specchio fedele della sua realtà. Realtà che trova consensi in tutto lo schieramento parlamentare. Infatti, mentre il MSI imposta tutta la sua battaglia elettorale in vista del rilancio di un centrismo vecchia maniera, si può osservare con facilità, grondante da tutti i muri, il nome di Almirante. Accompagnato tanto da esaltanti parole quanto da invettive. Ma chi conosce le leggi della propaganda sa che gli apprezzamenti contano poco. Fatto si è che in Italia pochi conoscono il nome di Saragat, ma tutti conoscono quello di Almirante. È lecito quindi aspettarsi cose interessanti dal futuro. Il parlamento italiano è un teatro dell'arte con personaggi intercambiabili. I burattinai ed i registi sono per ora sempre quelli.
È in svolgimento anche una duplice operazione tendente a polarizzare l'attenzione della destra. Il rilancio del partito liberale su posizioni laiche-partito d'azione (vedi operazioni parlamentari anti MSI) e non è da escludersi che il recente raduno nazionale antifascista sia stato utilizzato per questo gioco. Parallelamente si nota un agitarsi della destra DC che muove critiche al governo ed agli uomini governativi, con le stesse tematiche usate dagli ambienti missisti. Prova sufficiente della intercambiabilità dei personaggi e della strumentalizzazione delle tesi politiche per scopi esclusivamente elettorali.


Considerazioni sul IV novembre

A oltre mezzo secolo di distanza, potendo contare su una esperienza nazionale che abbraccia diversi sistemi politici e regimi disparati, dobbiamo dire che l'intuizione degli interventisti, dei sindacalisti rivoluzionari, di Corridoni e di Mussolini, era esatta. L'unico modo per svecchiare il clima morale e sociale d'Italia era la guerra. O meglio, una guerra vittoriosa, la cui vittoria fosse sofferta e sentita nella sua interezza. Accontentiamo i pacifisti ad oltranza dichiarando subito che il problema non era di fare la guerra o non farla, ma di farla da attori piuttosto che subirla, tirativici per i capelli. Il destino dell'Italia essendo quello di entrare, volente o nolente, in qualsiasi conflitto sul vecchio Continente.
Che fosse necessario un evento grandioso e traumatizzante per trasformare un coacervo di individui in nazione, è indubbio. Imperava allora in Italia il manierismo positivista, tanto superficiale quanto vile. Di questa sostanziale mancanza di responsabilità civile erano rappresentanti sia il movimento cattolico che quello socialista. Il primo, come oggi, bigotto e revanchista, il secondo in mano ad un pugno di arruffoni che, al vertice, pontificavano e tromboneggiavano con quei loro cappelli alla cow boy, sulla pelle dei salariati che, allora come oggi, pur tra esplosioni di ira e veementi frasi massimaliste finivano con l'adeguarsi alla linea possibilista di chi menava a proprio vanto rivoluzionario il presentarsi al Re in giacchetta. Ogni tentativo di inserimento degli italiani come tali nell'alveo della politica mondiale era fallito più che altro per l'opposizione interna che aveva usato tutti i mezzi pur di tarpare le ali ad un Crispi. Va detto peraltro che gli italiani, come popolo e come massa, erano e sono poco inclini a partecipare alla vita collettiva. In tale situazione, solo un uomo, nel suo sofferto isolamento, gridava al deserto, cercando di far capire ai partiti che si disputavano, come oggi, poltrone, poltroncine e strapuntini, che la via della verità e della grandezza era altrove, che si trattava di ricominciare daccapo. Era Alfredo Oriani. Crispi ed Oriani morirono portando in petto la loro delusione: il primo, più vecchio di una generazione, avrebbe voluto che l'Italia tenesse vivi e dirigesse alla sua grandezza gli spiriti di quella rivoluzione dalla quale era uscito; l'altro, figlio della generazione successiva, aveva intuito che solo una rivoluzione nuova poteva rigenerare l'Italia. Dopo di lui, a smuovere le acque stagnanti ed a sensibilizzare gli animi più svegli, sorsero il movimento nazionalista corradiniano; il Futurismo -manifestazione brillante, esasperata, vivacissima della stanchezza della parte migliore degli italiani per tutto ciò che era formula vuota, strada segnata, esotismo, volgarità, snobismo, imparaticcio- e il socialismo nazionale di Mussolini e Corridoni. Quest'ultimo partiva da una profonda partecipazione alla vita del partito socialista, dalla constatazione della sua nullità ai veri problemi posti dalle esigenze reali del proletariato italiano, la cui situazione era veramente disastrosa, soprattutto ai Sud, ove i metodi di governo di un Giolitti sono tuttora tristemente famosi.

Di fronte a tutte le guerre del Risorgimento, che furono sequenze di scaramucce, la Prima Guerra Mondiale fu un fatto immenso, che mise alla prova il carattere e la tenacia di tutta la nazione. Nessuno escluso. E per la prima volta, dopo infiniti rovesci e concessioni ancor più umilianti perché ottenute come elemosina per vittorie altrui, il popolo italiano vinse una guerra. Come un corpo che riacquisti tutte le forze dopo lunga malattia, la psicologia italiana cambiò. Il popolo italiano cominciò ad avere fiducia in sé stesso. Nel momento in cui si espandeva sul mondo la potenza americana, e la Russia trovava nel comunismo la forza ideologica per realizzare un sogno di conquista millenario, cominciava a formarsi la coscienza unitaria della nazione italiana. E la guerra aveva dimostrato inequivocabilmente a tutti che chi opera nel mondo sono gli uomini e che per operare bisogna raggiungere un fine concreto in modo energico, diretto, efficiente, esclusivo. La storia politica del nostro Risorgimento è un coacervo di proposte e di riferimenti culturali. Oltre al fatto che la nostra cultura aveva fin dai tempi più antichi sviscerato tutti i problemi politici, v'era l'altro che ciascuna delle nostre città rappresentava non solo una entità di valore storico mondiale, ma anche una somma sterminata di esperienze politiche le più svariate. Di democrazia e di tirannide, di monarchia e di oligarchia, di regime comunale e di dominio signorile, di feudalità laica ed ecclesiastica, di sistema rappresentativo e di stato unitario e di altro ancora, per cui questi ricordi uscivano dalle profondità del passato e si presentavano alle menti dei patrioti come problemi e proposte, come particolarismo o come generalizzazioni. All'ingrosso possiamo riassumere il tutto in una destra Gioberti e Cavour ed in una sinistra Mazzini e Garibaldi, tenute insieme dalla monarchia.

A compimento dell'unità, per l'influsso delle potenze interessate all'unità italiana e per asservimento ideologico della classe dirigente, i partiti politici italiani si modellarono su analogie apparenti e di dialettica con partiti di altri paesi. L'indolenza spirituale degli uomini politici italiani riprese di peso come accade tutt'oggi, la dialettica di partiti stranieri ed importò un liberalismo ed una democrazia massonici, un socialismo ed un riformismo che non avevano legami con una tradizione italiana. Veniva cosi tradito l'aspetto più originale del Risorgimento e l'essenza stessa del pensiero mazziniano il cui significato universale fu fatto proprio dal Fascismo Repubblicano. Con la prima Grande Guerra, nella lotta di tutti contro un comune nemico, sorse la coscienza unitaria italiana. A questa coscienza, formatasi nel crogiuolo della trincea al di sopra delle classi, nella visione di un unico destino come uomini e come partecipi di una comunità ben precisa, la nazione, si affiancava il senso di potenza e l'ottimismo di chi sa di esser capace di superare grandi prove. Questa spinta e questo orgoglio trovarono espressione politica nel Fascismo, movimento politico prettamente italiano, e la forza riunificatrice in Mussolini il cui genio tipicamente italiano trascende la contingenza del momento politico per tracciare una ideologia di carattere universale, l'unica, a nostro avviso, nella quale possano riconoscersi ed unirsi tutti gli europei. Vogliamo inoltre sottolineare che durante la guerra emersero e presero coscienza di sé quegli uomini che formarono i supporti della vita culturale e sociale fascista.

Arditi, volontari fiumani, squadristi, volontari in Africa e Spagna, volontari nella II Guerra Mondiale e combattenti nella Milizia, Militi della RSI. Uomini di una tale razza emergono nei momenti fondamentali della vita di un popolo. Ne sono l'espressione fisica della potenza. Presero a riconoscersi come arditi. Cominciarono formando piccoli gruppi spontanei, espressione schietta del valore italiano; individualista, geniale, balzano, tanto adatto ai colpi di mano attuati da pochi quanto poco incline alla disciplina di un grande esercito. Essi ricompravano il privilegio di una disciplina più sciolta ed indipendente con l'onore di partecipare solo alle imprese rischiose, votati tutti alla morte, pur che bella e rischiosa. Essi sentirono in sé la necessità di differenziarsi dal resto dell'esercito, in nome dell'onore ed al di sopra del dovere, offrendosi non solo come olocausto alla vittoria, ma come esempio alla nazione. I valori politici di cui erano portatori dovevano necessariamente pervadere di sé l'Italia fascista anche se per i più degli italiani questi risultassero pura retorica. La saggistica antifascista post-bellica ha attribuito questo modo di pensare e di sentire all'influsso di D'Annunzio e l'ha chiamato dannunzianesimo. Nulla di più falso. D'Annunzio fu uno di loro e ne fu un capo non tanto per il suo essere un grande poeta, quanto per essere un creatore politico, degno erede dei nostri grandi signori del Rinascimento. (Vedasi la reggenza del Carnaro). Infatti il dovere della disciplina, il rispetto della parola data, il culto dell'energia e delle virtù virili, la scelta degli uomini sul fondamento del loro coraggio e dell'atteggiamento davanti alla vita, il rifiuto della cultura libresca e generica senza impegno globale di tutto l'uomo, sono la sostanza delle virtù civiche e delle forme più alte di civiltà storica. Il coraggio, la resistenza, l'energia, lo spirito di sacrificio, la lealtà, sono qualità innate. Si perpetuano col sangue e nel sangue come espressione di nobiltà; ecco il nostro razzismo. Uomini così in Italia ce ne sono sempre stati; una minoranza temuta ed avversata nascostamente da una maggioranza di vili, di opportunisti o soltanto di indifferenti. Ma appunto per ciò testimoni del più puro spirito guerriero, perché vissuto interamente in un mondo sostanzialmente ostile. Ed è stato chiaramente visibile l'odio della plebaglia sia nel 19-20, sia nel 44-48 sfogarsi contro questi uomini, una volta resi inermi ed indifesi. Bastava infatti che fossero stati volontari, anche se non avevano avuto alcuna carica politica, perché si tentasse di eliminarli. Ed una vera decimazione ci fu. Sia per gli intrinseci pericoli che in guerra corre un uomo siffatto, sia per gli assassinii, tutti poi legalizzati da questa democrazia, durante e dopo la guerra. Ma, mentre l'uomo libero degli ideologi democratici, essere astratto la cui libertà altro non è che una limitata litania di diritti, avanza verso la morte per malattia munito di tutte le autorizzazioni che si possono avere e tuttavia è triste ed angosciato perché ha l'impressione di non avere vissuto, il legionario (anche se con meno diritti perché in parte li ha liberamente rifiutati per il diritto fondamentale di essere se stesso) avanza verso la morte con la sensazione che la sua breve vita non gli è stata sottratta, ma prolunga uno slancio che sente in sé e tende oscuramente ad un avvenire da cui riceve un senso.
Uomini così in Italia ce ne sono sempre stati. L'accusa più comune contro di loro è di aver fatto la guerra invece di costruire in patria, mentre è ben vero che solo vincendo assieme, solo conquistando assieme, proprio nel senso di autodominio che da il comandare ad altri popoli, nasce quel senso di fusione nazionale che spinge poi a costruire insieme per il bene di tutti. Sono andati a morire mentre i loro giudici gozzovigliavano. Morendo hanno fatto arricchire sia il plutocrate sia il proletario che ha ricavato sicuri salari lavorando nelle fabbriche di mezzi bellici. Sono tornati feriti, mutilati, poveri, e gli arricchiti si sono divertiti a torturarli e hanno loro mostrato ghignando le condizioni in cui l'odio del gregge aveva ridotto la loro famiglia. Essi hanno ricevuto i colpi senza vacillare ed hanno meritato il disprezzo di coloro che vogliono trafficare e il rispetto di coloro che vogliono servire. La coscienza di avere agito da uomini è infine per essi più importante delle imperfezioni della città che hanno servita. «Tu sei colui che la folla vede in te» gridano al legionario i dottori del Marxismo. «lo sono colui che io vedo in me, risponde egli, e non riconosco il popolo per mio giudice».
Molti di costoro, oggi, se hanno conservato la fierezza del carattere, hanno modificato invece, secondo una logica evoluzione di pensiero collegata all'invecchiamento, le posizioni politiche. Sono per una politica conservatrice e sostanzialmente reazionaria perché dalla loro esperienza, che reputano negativa per quanto riguarda il popolo italiano, pensano che in Italia ci sia ben poco da fare. Ci permettiamo di non essere dello stesso avviso. Nulla è impossibile e la lotta per le nostre idee è valida in quanto tale. Anche se non porta ad immediati e concreti risultati, serve a schiarire l'orizzonte. Eppoi non comprendiamo per quale ragione si debba rinunciare al proprio essere più profondo per un tatticismo suicida.
 


La violenza serve al partiti

L'attuale regime è basato sulla violenza interna. Tutto ciò che il governo realizza, lo è grazie al metodo violento, della minaccia e del ricatto. Nulla è chiaro e preciso negli intendimenti governativi. Le categorie interessate ad una trasformazione ne vengono a conoscenza attraverso una serie di manovre articolate e minaccianti, che servono a far capire l'antifona anche ai più sprovveduti, ed inducendoli ad accettare per paura del peggio. La serie di incriminazioni a catena che leggiamo da anni sui giornali è a questo riguardo ampiamente esplicativa. Peraltro la violenza è una necessità dal basso. Nulla può ottenere un dipendente se non protesta violentemente, e non si impone in qualche modo con scioperi, ricatti, distruzioni varie al patrimonio nazionale. Questa società per sopravvivere ha bisogno di distruggere tutti i supporti articolati. Infatti il denominatore comune di essa è il disimpegno civile. E questo lo otteniamo solo eliminando le strutture portanti. È chiaro, ad esempio, che una scuola costantemente in agitazione violenta senza alcuna reale via d'uscita, le cui poche attrezzature vengono ritmicamente distrutte, può insegnare ben poco. Ed è quello che si vuole.
La struttura stessa della società permissiva, acutamente studiata dal Marcuse, incita alla violenza più irosa. Nulla infatti eccita più la aggressività di una arrendevolezza che non è comprensione e volontà di collaborazione ma solo e chiaramente volontà di sopraffazione e beffa. Così il delinquente che si vede rimesso in libertà senza aver scontato la pena meritata viene frustrato anche da questo rifiuto. Si trova di fronte una società che gli nega ogni valore, anche negativo, e reagisce con maggior violenza e volontà di nuocere per affermare la sua presenza. Ad una analisi sociologica appare che in Italia esistono elementi che giustificano un tale modo di gestione del potere (alto numero di anziani, prevalenza delle femmine, femminilizzazione del maschio, masse veramente incolte), per cui chi comanda non si rivolge mai a uomini capaci di ragionare virilmente e freddamente, e di prendere delle precise decisioni; perciò usa le tecniche di pressione psicologica, di deformazione emozionale dei fatti, di alienazione. Ma oltre a questo dato di fatto, c'è una volontà politica che fa di tutto perché le cose restino così, ed anzi si peggiorino. L'esempio migliore viene dalla scuola. Tutto ciò che si fa nella scuola tende ad un progressivo abbassamento del livello culturale. Qui non si vuole difendere la cultura in sé o il puro e semplice faticare nell'apprendimento di notizie; ma il risvolto sociale della cultura impartita dalla scuola è una migliore comprensione reciproca. La comprensione è comunicazione e linguaggio. La comunicazione è legata alle possibilità di recezione. Del significato in politica internazionale della crisi dell'istruzione in Italia abbiamo già parlato. Resta l'aspetto civile. Per spiegarci con qualche esempio, l'eliminazione dell'obbligo del latino, matrice del nostro linguaggio ed educatore al ragionamento logico, è voluta affinché più difficile divenga la comprensione delle esigenze altrui, quindi questa si allarghi ad un concetto di collettività. Il latino non solo facilita il processo ideativo secondo logica, ma educa anche ad una concezione nobile della vita. Ergo, eliminazione del latino significa anche ulteriore spinta di una tendenza innata nell'italiano: quella dell'ingaglioffimento. Ma la carenza di preparazione culturale eccita anche la tendenza verso l'ignoranza presuntuosa ed arrogante. Chiunque, non erudito sulla evoluzione del pensiero, prenderà per geniali intuizioni qualsiasi bislacca idea gli venga in testa. È la classica situazione della Democrazia; tutti parlano e si esibiscono quali geni incompresi, mentre pochissimi comandano.


Il partito delle riforme

Il PSI si qualifica «partito delle riforme». Cioè la funzione di questo movimento politico sarebbe quella di promuovere riforme. Mentre gli altri partiti avrebbero quello di gestire staticamente la vita economica italiana. Già un partito politico che restringe la sua presenza storica a questa sola attività, mostra chiaramente di essere emarginato nella sostanza dal fluire della storia.
L'Italia ha un disperato bisogno di riforme. Deve essere tutta riformata. Ma nella visione d'insieme di una rigenerazione degli Italiani. Ecco perché a parte i furti attuati a man salva dai suoi dirigenti, il PSI, definendosi «partito delle riforme» non è qualificato a farlo. Ed in realtà, la funzione che viene delegata al PSI dalle forze al potere è quella di eludere ogni istanza del paese. Si tratta in sostanza di cianciare a vuoto, di proporre soluzioni mirabolanti, e di frenare poi ogni volontà realizzatrice. Ciò serve al PCI il quale può attestarsi, a parole, su posizioni di critica, mentre nella realtà svolge la funzione di partner governativo e stabilizza il sistema il quale vive in quanto è STASI. La stabilità del sistema si basa proprio sul vellicare il piacere del disimpegno politico e sul promettere un futuro di poca fatica e di grandi guadagni burocratizzando gradualmente grandi masse di lavoratori. Il governo che una qualche riforma seria mettesse gli uomini giusti al posto giusto innescherebbe un processo a catena tendente in primis alla eliminazione delle superfetazioni politiche e quindi alla caduta di questo sistema. Tutte le forze politiche rappresentate alla camera, sono concordi nel ritardare al massimo l'avvento di questo giorno.


Dunque, ammazziamo Almirante!

Ci avete inviato indignatissime lettere per il fatto che Almirante ha risposto all'appuntamento antifascista dell'8 settembre. Tradimento, infamia, tralignamento, ecc.! Taluno, addirittura, non disdegnerebbe di assistere al funerale del Segretario del MSI.
Ammazzare Almirante? Ma nemmeno per sogno. A chi gioverebbe? E poi, francamente, non si possono mica far fuori tutti gli antifascisti.
Ma ragioniamo e, almeno una volta tanto, pacatamente. Voi, ad esempio, fareste bene a smetterla di fare i cani a tre zampe: una nel MSI, una con noi ed una probabilmente in qualche strana conventicola golpista. Vi disprezziamo sinceramente e non solo per un così lungo equivoco, ma soprattutto per le distorsioni ideologiche di cui siete portatori e succubi. Mentre riteniamo che Almirante, recandosi all'appuntamento antifascista (Porta S. Paolo, Sinagoga, ecc.) abbia compiuto un gesto moralmente coerente, politicamente intelligente ed elettoralisticamente producente. Non facciamo ora la sua apologia, come non ne faremmo poi il panegirico. Sono generi questi che non ci attirano. Ad essi preferiamo l'inventiva, l'ironia, la satira e, perché no, la poesia. Ci avete dunque scritto inutilmente, così come inutili furono i carmi -peraltro armoniosissimi- di Catullo volti a convincere Clodia perché lo cornificasse pure, ma con più discrezione. Il problema è appunto questo: vi sentite troppo palesemente cornificati e tentate di sfogarvi in qualche modo. Fateci perciò la cortesia di tenervi i vostri «ornamenti» e dimenticate il nostro indirizzo.
Almirante ha dimostrato in mille maniere di non essere fascista. Dunque che pretendete ancora da lui? Non vi ricordate quando si vantò di aver aiutato non so quale ebreo durante la RSI e di esserne stato ripagato abbondantemente a guerra finita? Non vi ricordate quando sostenne che, se Mussolini fosse vivo, difficilmente gli avrebbe affidato la presidenza onoraria del suo partito? Del resto voi stessi, nelle vostre lettere parlate di successi di destra di forze sane di destra giovane e di altre corbellerie che non potranno mai riguardare i fascisti. I fatti parlano chiaro, Almirante antifascista raccatta voti da tutte le parti.
Ma veniamo alla storia che, non per nulla, può essere maestra di vita. Quale è stato e quale è ancora lo scopo perseguito dal MSI, oltre a quello di obbedire ciecamente alla DC? Crearsi uno spazio politico a destra del sistema antifascista con i voti dei fascisti che di destra non sono. Ora che lo spazio (non troppo, non illudetevi, solo quanto ne consente chi indirizza e sovvenziona) si è cominciato ad intravedere ed è tale che può essere mantenuto e consolidato anche a prescindere dai voti fascisti, perchè mai, vi domandiamo, il segretario del MSI, dovrebbe mettersi a fare il fascista? Le federazioni missiste non solo hanno ricevuto la nota circolare con la quale si aboliscono i saluti romani, si gettano nella pattumiera i gagliardetti e si vieta l'antica liturgia -già abbondantemente scaduta nel grottesco per la risaputa cialtroneria dell'ambiente- ma vengono costantemente orientate verso una sempre più netta sterzata a destra che non può, ovviamente, non comportare il rigetto di ogni principio fascista.
Voi ben sapete come il contenuto fascista nelle mozioni e nei discorsi dei responsabili missisti si sono via via rarefatti tanto da dar luogo ad affermazioni chiaramente antifasciste. Questo fenomeno, pur evidentissimo sotto il povero Michelini, si sta ora accentuando per l'azione determinante svolta dall'ultimo cospicuo gruppo di massoni, approdati al MSI, non certamente per fare la rivoluzione fascista. Per noi tutto ciò era scontato.
In sostanza, si è trattato di operare una scelta: rimanere fascisti e continuare a soffrire persecuzioni, umiliazioni, impopolarità e fame o passare all'antifascismo per godere del successo, della tranquillità e della vita comoda. Il MSI ha saputo scegliere e, bisogna darne merito soprattutto ad Almirante, con gradualità e tempismo, la controrivoluzione. E per questo vorreste ammazzarlo? Proprio voi che, in privato, avevate già fatto e da lungo tempo le medesime scelte? Dovreste anzi augurare lunga vita a quest'uomo al quale avete riservato l'ingrato compito di scegliere pubblicamente e irrevocabilmente anche per tutti voi. Quindi state tranquilli perché ormai nemmeno più i comunisti -i soli che, di tanto in tanto, vi rinnovano la patente di fascisti- vi potranno più rimproverare i vostri «cattivi» trascorsi.
Infatti Almirante subito dopo l'8 settembre ("Secolo", 17/9/71) risponde ai comunisti che non vollero presentarsi a Tribuna politica: il sottoscritto, quale segretario del MSI, ha reso di recente omaggio, nella ricorrenza dell'8 settembre, ai Caduti dell'altra parte, ai Caduti di Porta San Paolo in Roma; e non già perché il sottoscritto abbia qualche cosa da farsi perdonare, o perché sul partito che il sottoscritto ha l'onore di dirigere gravino responsabilità storiche... Sarebbe dunque andato a rendere omaggio ai Caduti. Noi, ad esempio, solo qualche anno fa, in occasione della inaugurazione della tomba-ossario di Susegana (Treviso) trovammo il cimitero esternamente circondato e internamente occupato da reparti in armi palesemente presenti non già per rendere omaggio ai nostri Caduti, ma, se di caso, per arrestarne le madri, le spose, le sorelle e le figlie, che con noi, fierissimamente, si erano recati ad onorarne la sepoltura. Poi, al Ponte della Priula, luogo in cui il genitore di uno dei nostri giovanissimi massacrati aveva meritato la medaglia d'argento al V.M. quale ardito nella I guerra mondiale, le nostre donne, i nostri bambini, i nostri vecchi, furono «caricati» da quei reparti in armi, sol perché tentarono di affacciarsi, forse per versarvi una lacrima, sulle acque del Piave che accolsero i corpi dei loro giovani congiunti maciullati (a guerra finita) dalle ruote di autocarri partigiani.
E allora? Allora, signori missisti di dentro e di fuori dal MSI, sappiate che noi ci inchineremo dinanzi a certi Caduti solo se, per i successivi 25 anni a partire da oggi, verranno esaltati il valore e il sacrificio dei Caduti e dei Dispersi, le sofferenze delle vedove, degli orfani, dei Mutilati e degli invalidi e dei Combattenti tutti dell'unica resistenza moralmente e storicamente accettabile: la resistenza della RSI contro tutti gli eserciti del mondo. Solo allora, per noi, i Caduti saranno caduti per renderci tutti migliori. I Caduti, comunque, al di sopra di ogni meschina speculazione, ci pongono ben altri imperativi, che non sono di vendetta ma di giustizia, di coerenza e di fedeltà.
Quanti fra gli scampati sapranno tenere ancora accesa la fiaccola della fede a dispetto del vento delle subdole pacificazioni e delle intemperie del deviazionismo missista? Noi crediamo che saranno molti. La coerenza e la fedeltà costituirono sempre le qualità più nobili dei nostri Combattenti, giacché essi scesero in campo non già per il successo, ma per la giustizia e l'onore, che sono i cardini di ogni bene intesa norma morale. Ad essi e ai giovani che li seguono, giunga il nostro cameratesco saluto e l'invito ad una sempre più tenace fedeltà alla Causa, poiché tutte le rivoluzioni, tutti i sommovimenti storici più decisivi e totali hanno potuto aver luogo solo per l'opera silenziosa e umile di valorose minoranze dotate di un più forte e profondo sentire i concetti e le idee morali. Per la rivoluzione di Mussolini non per la controrivoluzione di Almirante.

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