Italia - Repubblica - Socializzazione

QUINDICINALE ANNO II - N. 11
Roma, 15 maggio 1967


SOMMARIO

ATTUALITÀ POLITICHE
1 - Si è costituito il Centro Politico Autonomia Europea
2 - La mozione conclusiva della settima Assemblea FNCRSI
3 - Grecia: la via militare alla democrazia

POLITICA INTERNA
4 - SIFAR: De Lorenzo al Consiglio di Stato ovvero la rivoluzione per via gerarchica
5 - La proposta di Legge del SINAPS per i collaboratori scientifici dell'industria farmaceutica

POLITICA ESTERA
6 - Il Protettorato USA sugli Stati dell'America Latina

POLEMICHE
7 - Perché non siamo finiti nella scuderia Volpe.
Lettera aperta all'ing. Giovanni Volpe, editore e mecenate in Roma

MISCELLANEA
* L'occidentalista vecchia maniera
* L'occidentalista dernier cri
* L'occidentalista di complemento
* Per la Grecia la parola d'ordine è: ripristinare
* Kennedy Round: come volevasi dimostrare
 

 

ATTUALITÀ POLITICHE

1 - il Centro Politico Autonomia Europea

Si è costituito a Roma il Centro Politico Autonomia Europea.
Esso intende promuovere una iniziativa politica al di fuori di tutti i partiti e di tutti i movimenti dello schieramento italiano.
Nell'attuale momento storico esso persegue le finalità rispondenti ai valori della Tradizione civile e politica europea e alle esigenze dello Stato italiano. Pertanto pone come suoi principali obiettivi:
1) il rinnovamento dello Stato italiano in termini di unità, di personalità e di missione storica;
2) la ristrutturazione corporativa dell'economia e il ristabilimento del giusto rapporto di subordinazione di essa al potere politico;
3) la ripresa politica degli Stati europei, fondata innanzitutto sulla loro autonomia.

Nel prossimo numero di Corrispondenza Repubblicana -che fin da ora diviene l'organo ufficiale del Centro- sarà pubblicato il programma politico.

Gli organi del Centro sono:
la Segreteria politica, formata da tutti i responsabili degli organi e dei settori;
il Segretario politico: Maurizio Giraldi;
l'Organizzazione quadri: Ignazio Schirò;
l'Organizzazione propaganda: Fabrizio Riparbelli;
le Informazioni: Pietro Giubilo;
la Stampa: Maurizio Giraldi;
il Settore studentesco: medie: Ernesto Roli - Università : Mimmo Pilolli;
il Settore attività parallele: Gaspare Fantauzzi;
il Settore sindacale: Giorgio Vitali.

Il Centro ha dato vita alla prima manifestazione pubblica il 28 aprile scorso. Nella sala conferenze della CIPA in Roma. Pietro Giubilo e Maurizio Giraldi hanno parlato sul tema: «L'irreversibilità del centro-sinistra e la crisi delle opposizioni, oggi in Italia».


2 - La mozione conclusiva della VII Assemblea FNCRSI

Pubblichiamo di seguito la mozione approvata dalla VII Assemblea Nazionale della FNCRSI tenutasi a Treviso il 27-4-1967, ritenendo utile sottoporre all'attenzione dei lettori un documento perfettamente in linea con la nostra tesi.
Premessa
I documenti conclusivi delle due ultime Assemblee Nazionali della FNCRSI ne hanno solennemente riaffermato natura e funzioni. La mozione acclamata a Firenze afferma testualmente... «È bene ricordare che la Repubblica Sociale Italiana, prima di un alto e nobile episodio del combattentismo italiano, ha rappresentato una rivoluzione istituzionale, una profonda rivoluzione sociale e, prima di tutto, una rivolta ideale. Nel riprendere oggi la lotta, abbiamo il dovere di non dimenticare né sottovalutare questi fatti, tenendo nel contempo ben presente che l'azione della Federazione potrà avere un valore costruttivo unicamente su di un piano politico ... perché noi non siamo stati i combattenti di una qualsiasi guerra fatta per difendere soltanto ed unicamente «i sacri confini della Patria», la «bandiera» e l'«onore militare» ma abbiamo voluto essere -e siamo stati- i combattenti di una guerra ideologica».
In assoluta coerenza possiamo quindi ribadire che compito della Federazione resta quello di difendere il patrimonio storico-ideale della RSI e di agire per la riaffermazione dei principi ideali.
Diciamo subito che a tal fine è stato fatto molto ed è stato fatto poco, da Firenze ad oggi.
La fedeltà ai princìpi ed il rifiuto di mescolarci con uomini ed ambienti del sistema costituisce una componente positiva della nostra azione ed un esempio di ciò che si deve ritenere per intransigenza. Si è trattato di mantenere una posizione piuttosto scomoda ed i contrasti hanno assunto punte drammatiche imponendo un sacrificio organizzativo indubbiamente molto pesante. Ma oggi noi possiamo affermare contro gli scoraggiati, i dimentichi e gli immancabili detrattori che l'avere tenuto, l'essere riusciti a resistere, ha rappresentato e rappresenta un saldo punto di riferimento -per noi e per le generazioni future- ed in questo consiste la nostra vera forza.
Inconsistente appare invece il risultato ottenuto a proposito della ripresentazione politica degli ideali che la Repubblica Sociale Italiana nobilitò.
Nell'individuare le cause dell'insuccesso non dobbiamo perderci alla ricerca di alibi e non dobbiamo nasconderci dietro la crisi organizzativa; contro tale paravento non vi sono rimedi. È infatti la mancanza di una precisa attività politica che ha favorito la confusione ed il travaso di forze, una volta attive in mezzo a noi, verso altre esperienze; non viceversa.
È quindi necessario definire una linea politica intesa alla ripresentazione di cui abbiamo discorso a ciò anche chiamati dalla norma statutaria che recita... «educare le nuove generazioni affinché esse siano adeguatamente preparate a realizzare una lotta ad oltranza per l'affermazione e la difesa dello spirito contro ogni manifestazione del dilagante materialismo ...». E dobbiamo essere coscienti che questa norma va oltre le definizioni. Essa ci impegna alla realizzazione di idonei strumenti perché la linea politica della Federazione acquisti vitalità e diventi operante.

La linea politica della FNCRSI - Tesi politiche
La linea politica va impostata sulla base di tesi ideologico-politiche le quali possano operare nell'attuale situazione -italiana ed internazionale- che deve essere valutata nel modo seguente.
In Italia il ventennio democristiano ha portato a compimento un processo di sfaldamento dello spirito unitario dello Stato italiano, per conseguire il quale aveva invece felicemente operato il Fascismo. Gli italiani hanno in sostanza perduto la ragion d'essere italiani. Gli uomini possono sentirsi uniti per sangue, per tradizioni comuni, per finalità comuni. Gli italiani di oggi non sentono nessuno di questi legami. L'individualismo democratico trionfa. Da ciò il potere dei partiti (è in questo senso che noi critichiamo la partitocrazia, non nel senso liberale-missino volto a tutelare il parlamento rispetto ai partiti), di organizzazioni straniere come il Vaticano, dei gruppi di pressione privati come la Confìndustria, la Fiat, la Montecatini Edison, degli Enti di Stato, ecc. Il perseguimento dell'interesse particolare ha ormai travolto ogni residuo perfino del galantomismo d'altri tempi ed è stato eletto a sistema di vita da amministratori e burocrati di ogni livello.
Il sistema che ha portato a questi risultati è quello della democrazia parlamentare (regime d'assemblea) in sede istituzionale; della combinazione liberistico-statalista in sede economica; della piccola borghesia salariata in sede sociale; del neoilluminismo radicale in sede culturale e dell'alleanza fra modernismo cattolico e riformismo socialista in sede governativa.
Questo sistema trova il suo punto di forza, cioè la possibilità di reggere, non nella saldezza della sua struttura ma nell'inserimento in un più vasto e robusto sistema, che è quello del «mondo libero» o «dell'occidente». Ancora una volta torna quindi valida la affermazione -e la validità della nostra tesi è nei fatti- che il sistema democratico è stato imposto all'Italia violentemente dagli eventi della politica internazionale per cui invano l'esaltazione della «resistenza» cerca di accreditare un'origine italiana e popolare del sistema stesso.
L'Occidentalismo è la Santa Alleanza del mondo democratico. I suoi punti fondamentali sono:
1) la leadership statunitense rispetto ai cosiddetti «alleati»;
2) la negazione dell'autonomia militare e quindi politica degli Stati Europei;
3) il mantenimento delle sfere di influenza occidentali e orientali stabilite a vantaggio rispettivamente degli USA e dell'URSS a Yalta;
4) La conservazione dei regimi importati nell'ovest e nell'est europeo dopo Yalta.
Altrettanto dannosi che questi effetti politici sono stati gli effetti etici e culturali dell'occidentalismo. Esso ha infatti provocato quel processo di accostamento e di subordinazione del costume e della cultura europea a quella americana che ormai va al di là delle mode, minacciando di intaccare tradizioni millenarie. Trattasi di un nuovo cosmopolitismo i cui valori sono esattamente antitetici a quelli spiritualistici, etici e religiosi che noi affermiamo.
Da ciò consegue che ogni accettazione dell'occidentalismo, anche se limitata ad uno solo dei punti sopra elencati, conduce inesorabilmente al rafforzamento del sistema democratico. In particolare, per quanto riguarda l'Italia, si è visto come l'opposizione, sia di sinistra che di destra, sia stata stemperata nel suo vigore polemico dall'approccio occidentalista fino ad essere trasformata in sostegno del sistema.
Il PCI infatti, che dell'occidentalismo accetta la premessa di Yalta, cioè la divisione del mondo nella sfera sovietica ed in quella americana, ha trasformato il suo carattere di partito rivoluzionario fino a proporsi ormai esclusivamente per funzioni di appoggio alle punte avanzate della sinistra democratica radicale. Vivente Stalin, l'aggressività sovietica faceva considerare in malafede al PCI gli accordi di Yalta, nel sottinteso che la spartizione nei termini stabiliti non sarebbe stata rispettata. Da Kruscev in poi si è ridato a quell'accordo nuova veste (la distensione o coesistenza competitiva) nel timore che la Cina e la Germania potessero metterlo in crisi, rivendicando la nuova autonomia politica. Mentre -quindi- nel 1946 si poteva credere che l'appoggio del PCI alla costituzione borghese italiana fosse di origine tattica, oggi lo stesso appoggio al sistema democratico (politica unitaria fino ai cattolici, rinuncia alla ortodossia rivoluzionaria, pacifismo, clientelismo organizzativo, ecc.) non può che definirsi di carattere strutturale.
Il MSI, che nella leadership militare e politica USA rispetto agli Stati Europei trova l'unica garanzia di fronte ad una aggressione sovietica è poi costretto ad accettare gli altri due punti dell'occidentalismo; Yalta ed il sistema democratico. Ogni prospettiva rivoluzionaria viene in tal modo a chiudersi ed il problema politico di fondo diventa quello dell'inserimento e della collaborazione con il sistema, magari con la giustificazione di volerlo modificare. Tutta l'azione politica del MSI è stata una testimonianza di questo indirizzo riformista e collaborazionista. La linea di colloquio al vertice con la DC (culminata con Tambroni e tappezzata di voti «dati e non richiesti» o addirittura «non graditi» dai vari Zoli e Segni) ne è la prova maggiore ma la stessa qualificazione di partito di destra sollecitata in mille modi e poi provocata mediante l'apparentamento coi monarchici hanno fatto assumere al MSI addirittura la funzione di scialuppa di salvataggio o di valvola di scarico del sistema democratico. È inutile ripercorrere le tappe di un cammino ignobile che sta ora per terminare, ma non possono tacersi gli effetti che il sacrificio dell'indirizzo politico rivoluzionario ha prodotto nella stessa struttura organizzativa del MSI e che consistono esattamente nella strutturazione di vertice del partito (la cricca al potere), nell'abbandono della preparazione dei quadri, nella rescissione di ogni rapporto con una dottrina politica derivante da una concezione del mondo e nella conseguente adozione di una tematica e di una prassi politica impostata sulle piccole idee occasionali, più o meno provocate dalle deficienze altrui.
Una attenta critica deve essere da noi esercitata anche verso gruppi ed uomini che un comune passato ci fa considerare positivamente sotto l'aspetto umano. La cosiddetta «sinistra fascista», la quale oltre a questo passato ha avuto anche il pregio di valutare negativamente l'attività parademocratica del MSI, deve tuttavia essere considerata criticamente con riferimento ai suoi due classici errori. Essi consistono:
1) nel piccolo nazionalismo di carattere risorgimentale e con tendenze geopolitiche, che si conclude nel concetto di Stato italiano ma che non intende esattamente il concetto di Idea fascista, per cui non riesce poi a stabilire un rapporto tra Stato ed Idea. Conseguenza dannosa di tale errore è la teoria della pacificazione nazionale, perseguita per rafforzare (illusoriamente) lo Stato a scapito della intransigenza sui princìpi ideali;
2) nel sinistrismo economicista che riduce il Fascismo esclusivamente alle polemiche contro Gruppi di potere economico accettando, su un piano empirico, lo spirito ed alcune tesi del materialismo storico, che vengono sganciati da quel preciso e concatenato sistema filosofico.

Conclusioni
Dall'analisi fatta deriva che gli strumenti politici che la Federazione dovrà realizzare avranno il compito di reagire al sistema democratico negli aspetti e nelle articolazioni, interne ed internazionali, sopraelencate e nel contempo affermare un programma politico i cui punti cardinali, fissati nella rispondenza ai princìpi ideali e nella considerazione del presente momento storico, sono:
1) autonomia degli Stati europei nei confronti dei blocchi;
2) ripresa del disegno unitario dello Stato italiano;
3) sistemazione corporativa dell'economia e subordinazione di essa alla politica (per evitare scivolamenti di carattere tecnocratico).
La Federazione dovrà in particolare assicurare che venga sempre mantenuto il giusto rapporto tra programma ed iniziative politiche. A questo fine la Direzione Nazionale dovrà curare con immediatezza la specificazione delle varie tesi derivanti da ciascuno dei tre punti programmatici e la elencazione delle attività che è possibile prendere fin da ora per attuare quei punti stessi.


3 - Grecia: la via militare alla democrazia

Il putsch attuato dai militari in Grecia ha sollevato speranze negli ambienti della destra sedicente rivoluzionaria italiana. Si è guardato di nuovo al «golpe» militare come al sistema ideale per prendere il potere nella presente congiuntura storica.
Noi che abbiamo sempre condannato il golpismo in linea di principio e in linea di fatto dobbiamo a questo punto definire di nuovo la nostra posizione acciocché non sorgano equivoci e soprattutto affinché rimanga ben chiara la condanna di quella che è una falsa prospettiva rivoluzionaria.
In Grecia è avvenuto in sostanza il rafforzamento del potere di una classe sociale che nei grandi armatori del Pireo trova la sua più forte espressione. Il prepotere di questi ceti economici sulla vita politica del Paese non è da noi rilevato in base a suggestioni classiste di carattere marxista, ma è piuttosto un fatto riscontrabile nella posizione internazionale e nella struttura interna della Grecia.
Venuto a crollare il quadro internazionale facente perno sull'Inghilterra e sulla sua politica mediterranea, nel quale si trovava perfettamente inserita, utilizzata come uno dei tanti mandati inglesi nel Medio Oriente, la Grecia ha dovuto affrontare l'adattamento ad un altro quadro internazionale, quello imperniato sugli Stati Uniti. Le classi dirigenti greche, che nell'Inghilterra trovavano la massima garanzia per la loro stabilità, hanno subito l'attacco di nuovi gruppi facenti riferimento a correnti di pensiero e a centri di potere statunitensi. In altri termini la monarchia greca, classica pupilla dell'Inghilterra, ha dovuto fare i conti con i gruppi radicali che in Andrea Papandreu, noto frutto di Harvard e di Berkeley, avevano trovato il loro capo.
All'interno i motivi di critica radicale al sistema monarchico si alimentavano con le condizioni di sottosviluppo della Grecia, del suo ritardato progresso industriale e nello stesso tempo della sua ottocentesca agricoltura.
La funzione della monarchia e il peso della sua dipendenza e filiazione dalla Gran Bretagna si fecero sentire in modo negativo soprattutto riguardo alla formazione di un vero movimento rivoluzionario greco. La Grecia fu uno dei pochi paesi che negli anni trenta non sentì il soffio potente e suggestivo dei regimi autoritari d'Italia e Germania, alla pari in questo con l'Olanda, la Danimarca e le altre classiche dependences inglesi.
Quando il movimento radicale greco facente capo ai Papandreu mise in difficoltà la monarchia, questa non reagì cercando di socialdemocratizzare il radicalismo, cioè di trovare una formula di compromesso analoga a quella che nei Paesi scandinavi è data dalle monarchie socialdemocratiche; pensò invece di poter reggere il confronto irrigidendosi e contando sul mantenimento dell'adesione popolare. Vari fenomeni di politica internazionale, massime fra tutti la distensione kennediana, dettero invece intorno al 1960 una prospettiva politica più ampia per i radicali, e soprattutto consentirono a questi di poter osare l'attacco diretto sulle piazze e all'interno stesso di un gruppo di potere come quello militare (affare dell'ASPIDA) contro il regime monarchico.
La vittoria sui comunisti di Markos aveva fatto credere alla monarchia greca che nessun avversario avrebbe potuto più contestare la legittimità del trono e la garanzia delle libertà democratiche che esso rappresentava, senza con ciò esporsi all'accusa di essere o di fare il gioco dei comunisti. Invece i Papandreu nella mutata situazione internazionale, forti dell'appoggio kennediano, concepivano e iniziavano ad attuare una strategia basata sull'utilizzazione dei comunisti e su una contestazione da parte democratica e di sinistra, cioè radicale, del sistema monarchico.
Quando nell'aprile scorso fu chiaro, con la mancata fiducia al governo Canellopulos, che i rapporti di potere in Grecia erano mutati a danno della monarchia e nella certezza che nuove elezioni avrebbero confermato quel mutamento, i militari scelsero la via dell'azione.
Da quanto precede, consegue chiaramente che il golpe militare è stato attuato nella sola prospettiva di restaurare il potere minacciato dai radicali, fino a mantenere con opportuni correttivi il sistema democratico parlamentare.
Si è trattato in sostanza di una variante greca e caporalesca della legge truffa di scelbiana memoria. Hanno concorso alla riuscita del putsch le passate esperienze rivoluzionarie comuniste in Grecia che in sostanza hanno dato una sorta di giustificazione al colpo, consentendo ai militari di presentarlo come la prevenzione di un male imminente.
L'azione dei militari va giudicata per quello che essa è: positiva per essi e per i ceti da essi sostenuti. Non lo è altrettanto per noi, che rifiutiamo di essere confusi o di appoggiare i movimenti conservatori e borghesi.
Possiamo compiacerci da un punto di vista esclusivamente sentimentale della sconfitta inflitta ai radicali di Papandreu ma nello stesso tempo siamo ben consci che essa non scalfisce minimamente le posizioni di potere del radicalismo al livello mondiale.
Avvertiamo invece un grosso pericolo nella vittoria dei militari; esso consiste appunto nella suggestione che essa può avere verso gruppi politici di altri paesi. Nella grande confusione fra vari movimenti di centro e di destra che è sorta all'insegna dell'anticomunismo e quindi dell'occidentalismo, queste suggestioni possono aprire false prospettive a movimenti anche seriamente rivoluzionari. Lo abbiamo visto in Italia con la questione del SIFAR, allorché, in luogo della strategia che concepisce il gruppo rivoluzionario come il centro e il motore delle varie iniziative, si è preferita da parte di vari gruppi quella che li pone a servizio e in funzione dell'organismo militare. In altri termini riteniamo valida la via del golpe se tenuta sul piano tattico, falsa se accettata sul piano strategico, poiché mentre nel primo caso rimangono i fini rivoluzionari, nel secondo subentrano quelli dei militari che sono sempre di carattere conservatore.
In Grecia questo carattere si palesa sempre più evidente non solo agli occhi di chi come noi riconosce immediatamente la mancanza di un superiore disegno rivoluzionario, ma anche agli occhi di chi ha visioni più parziali.
Una ventilata riforma agraria a carattere demagogico non pare che si distacchi da provvedimenti come quello con cui in Italia Tambroni decise il ribasso del prezzo della benzina o come quello con il quale Fanfani concesse ai contadini di poter vendere direttamente i loro prodotti senza passare attraverso intermediari. Non è neppure il caso di evidenziare la differenza corrente tra l'annunciata riforma e quella a carattere veramente organico con la quale Stolipyn pensava di poter fermare in Russia agli inizi del secolo la crescita dei movimenti di sinistra.
Pittoresche e nulla più sono altresì le proibizioni (…) non pare che si distacchi da provvedimenti come aspetti di un costume che è uno dei frutti della supremazia USA nel cosiddetto mondo libero piuttosto che colpire e rifiutare quella supremazia. Anzi una delle prime dichiarazioni è stata quella di fedeltà alla Alleanza Atlantica, la quale fa bene il paio con il placet concesso dagli ambasciatori inglese e americano, a Re Costantino.
Il grande pericolo in sostanza dei colpi di Stato come quello greco è di offrire nuova validità alle tentazioni deviazioniste che sempre allignano nei movimenti rivoluzionari e che finora trovavano in Franco e in Salazar due viventi modelli. Oggi c'è anche la Grecia.
A queste tentazioni opponiamo tre tesi che definiscono la nostra posizione verso esse:
1) i regimi conservatori borghesi non hanno nessuna reale affinità ideologica e politica con i movimenti della destra rivoluzionaria per cui credere in essi è un errore di ottica politica, dovuto a confusione ideologica o a qualunquismo dottrinale;
2) la loro maggiore caratteristica è quella di svilupparsi su un piano nazionalistico e settoriale incapaci di potere influire sulla vita politica internazionale, anzi da questa influenzati e determinati, per cui essi precludono un discorso politico svolto in termini di civiltà (cfr. isolamento franchista nell'ultimo conflitto mondiale);
3) il loro maggior pericolo consiste nell'uso di alcune tecniche comuni ai movimenti rivoluzionari e nella contrapposizione alla sinistra radicale e comunista, alla stregua dei predetti movimenti, per cui facilmente si accreditano parentele che non esistono e che portano in realtà allo snervamento delle classi dirigenti e alla distorsione delle tesi rivoluzionarie.


POLITICA INTERNA

4 - SIFAR: De Lorenzo al Consiglio di Stato ovvero la rivoluzione per via gerarchica

Deludendo le aspettative di molti estimatori, il gen. De Lorenzo ha preferito affidare il suo futuro ad un buon avvocato piuttosto che... fare la rivoluzione! In mancanza di un programma politico si sono ancora una volta dimostrate valide per la classe dirigente militare italiana le vecchie ma sicure e tranquillanti norme dello «stato giuridico dei pubblici dipendenti».
Le vicende del SIFAR ci trovano ancora una volta in contrasto con altri ambienti politici a noi apparentemente affini, per cui, a parte la facile ironia per l'operato di De Lorenzo, riteniamo necessario precisare brevemente ancora una volta la nostra posizione riguardo a quelle vicende e più in generale al rapporto fra militari e politici.
La storia dei movimenti rivoluzionari ci ha insegnato che è il partito politico e solo esso a fissare strategia e tattica, a decidere e a promuovere ogni iniziativa. Il partito è il centro dell'azione politica. Ogni dottrina che tenda a proporre altri centri ha carattere riformistico o deviazionistico, sia essa di sinistra e pertanto proponga il sindacato in luogo del partito sia essa di destra e pertanto proponga analogamente l'organismo militare.
La lunga polemica di Lenin contro il sindacalismo aziendalista e l'azione di Hitler per distinguere prima il suo movimento dalle innumerevoli organizzazioni militari di destra e per subordinare poi al partito lo Stato Maggiore tedesco sono a tale proposito esemplari. Sindacalisti sono, a sinistra, i capi della II internazionale che nel '14 votano i crediti di guerra e militari sono, a destra, i venticinqueluglisti in Italia e i ventiluglisti in Germania.
L'organismo militare può essere valido soltanto se strumentalizzato dal movimento politico così come a sinistra il sindacato è utile, secondo Lenin, soltanto se funge da «cinghia di trasmissione» del partito. Mentre per il sindacato però ciò avviene abbastanza spesso, per l'organismo militare avviene rarissimamente, in quanto su di esso agiscono due classiche componenti antirivoluzionarie: il legalismo e il conservatorismo.
In Italia poi un terzo elemento, cioè l'origine badogliana della classe dirigente militare, ci impedisce di poter seriamente pensare ad una sua strumentalizzazione. Lasciamo che essa sia strumentalizzata dai vari Segni, come nel luglio del 1964, per manovre e ricatti ad entrambi congeniali. Crediamo infatti che ormai sia chiaro a tutti che nel '64 non si sia trattato neppure di un colpo di stato, sia pure a carattere democratico borghese, progettato da democristiani e acclamato dalla solita povera destra nostrana. Si trattò più semplicemente di un meccanismo ricattatorio con il quale la DC riuscì a sconfiggere gli estremisti radicali del PSI e ad imporre al centrosinistra l'indirizzo moderato che tuttora trionfa. Fatto cadere il governo Moro il 25 giugno, la DC, ormai in mano al gruppo moderato cioè ai dorotei, Rumor, Colombo e Piccoli, ricattò il PSI dicendosi disposta a riprendere la collaborazione di centrosinistra soltanto sulla base del programma esposto con la famosa lettera di Colombo del maggio precedente.
Se i socialisti non avessero ceduto, mettendo con ciò ai margini i radicali lombardiani oppositori del programma moderato, la DC avrebbe trovato soluzione alla elisi o con un governo di centro destra o con una riforma costituzionale. I carabinieri avrebbero garantito l'esecuzione di questa nuova linea. L'ex capo della corrente dorotea, cioè Antonio Segni, al momento Presidente della Repubblica, appoggiava intanto la manovra chiamando a frequenti consultazioni i maggiori capi militari.
I socialisti così cedettero, anzi più precisamente cedettero i radicali del PSI sia rispetto alla DC sia rispetto ai nenniani che, in nome della salvezza della repubblica parlamentare, si erano accodati al ricatto doroteo e avevano preso la guida del partito.
Oggi i radicali, di fronte al rafforzamento crescente del moderatismo italiano, tentano di riprendere l'iniziativa e per prima cosa dalle colonne de "l'Espresso" giustificano la loro sconfitta con il ricatto subìto e nel contempo lo addebitano in pari misura a Segni e a Nenni.
De Lorenzo e i militari rappresentano, come si vede, solo l'occasione per la ripresa di quella vecchia polemica.


5 - La proposta di Legge del SINAPS per i collaboratori scientifici dell'industria farmaceutica

Si è svolto a Firenze il congresso nazionale dell'ANCSIF, organismo che raccoglie i collaboratori scientifici dell'industria farmaceutica. L'ANCSIF in sostanza è un pre-albo professionale in attesa della legge che regolerà questa moderna ed utile professione. Nell'ANCSIF sono riconosciuti tutti i sindacati, per cui il collaboratore scientifico, che è un dipendente, è invitato all'atto della iscrizione a segnalare a quale sindacato intende aderire o ha già aderito.
Al congresso ha presenziato il ministro della sanità il quale, a nome della comunità nazionale, ha sancito l'importanza ed il valore di questa professione che collega direttamente la società produttrice del farmaco con il medico.
Il congresso è durato tre giorni ed ha avuto come presidente il senatore Lessona il quale si era precedentemente adoperato ed aveva in brevissimo tempo ottenuto il riconoscimento della figura giuridica del collaboratore scientifico.
In notevole considerazione è stata presa dalla industria farmaceutica, di cui un rappresentante era presente durante i lavori congressuali, la proposta di legge per la regolamentazione della attività del collaboratore scientifico, presentata dal SINAPS, sindacato riconosciuto dall'associazione. Questa nuova legge, di cui è già stata data notizia su "Corrispondenza Repubblicana", ha superato la grave impasse di altre leggi presentate da altri sindacati, che erano ferme perché giudicate in apposita sede non costituzionali. Le speranze ora di una rapida soluzione del problema sono di molto aumentate.
 


POLITICA ESTERA

6 - Il Protettorato USA sugli Stati dell'America Latina:

1 - Da Monroe alla II Guerra Mondiale

I Paesi latino-americani rivestono, nel sistema di alleanze degli Stati Uniti, un ruolo particolare per motivi geografici e politico-economici, dal punto di vista della sicurezza, del commercio estero e degli investimenti. Gli Stati Uniti hanno mostrato questo loro «speciale interesse» dagli anni di indipendenza del Sudamerica fino ai giorni nostri in vari modi, attraverso interventi di tipo economico, finanziario, politico e militare. Ora, se questa condizione di sudditanza dell'America Latina è ormai un fatto evidente che solo pochi osano negare, i termini nei quali si è manifestata e le conseguenze che ne sono derivate sono meno noti e meritano, per l'interesse che suscitano e che valica l'ambito continentale, una certa analisi.

L'intervento militare
Il rapporto coloniale tra Stati Uniti e America Latina ha inizio con il 1823, l'anno nel quale il Presidente Monroe, ponendosi contro ogni tentativo di intervento della Santa Alleanza nel continente americano, proclamava il diritto degli Stati Uniti sull'area di influenza sudamericana. Questo fatto, d'altra parte, dimostrava gli stretti legami esistenti tra la massoneria e i circoli politici ed economici nordamericani e quindi l'influenza diretta e indiretta degli USA sugli sconvolgimenti anticristiani che caratterizzarono a lungo le lotte civili in alcuni Paesi latino-americani.
Nei primi anni successivi alla promulgazione della «dottrina Monroe», gli Stati Uniti si danno alle prime sistemazioni territoriali: ne fa le spese il Messico che paga duramente il peccato di trovarsi «troppo lontano da Dio e troppo vicino agli Stati Uniti».
Tra il 1835 e il 1853 in tre guerre successive il Messico perde il Texas e la California e deve «vendere» agli Stati Uniti l'Arizona Meridionale.
Sempre nel quadro della conquista del subcontinente gli Stati Uniti affrontano la guerra con la Spagna che rivela il carattere laicista ed economicista della volontà colonizzatrice degli Stati Uniti. La guerra si conclude nel 1898 con l'annessione di Porto Rico e la riduzione di Cuba allo stato di semiprotettorato.
Nei primi anni del '900 con la famosa teoria del Grande Bastione (Big Stick), gli Stati Uniti si pongono come gendarmi dell'ordine interamericano e si danno ad una globale sistemazione della zona dei Caraibi: nel 1903 viene creata la Repubblica di Panama sotto il tiro dei cannoni della corazzata Nashville; negli anni successivi fino al 1933 gli Stati Uniti collezioneranno ben trenta sbarchi nella zona (Nicaragua, Haiti, San Domingo, Cuba, Panama).
Anche negli anni successivi, come vedremo, l'intervento militare resterà uno dei mezzi più efficaci della politica americana verso l'America Latina (Guatemala, San Domingo), e porrà in evidenza la diminuzione continua delle possibilità di autonomia politica della zona anche in una fase di provincializzazione della regione, rispetto all'area d'influenza degli Stati Uniti nel mondo.

I caratteri del colonialismo americano
Oltre che sul piano dei valori civili e religiosi il carattere negativo del colonialismo americano si rivela anche sul piano strettamente economico.
Rispetto alla precedente subordinazione la condizione dell'America Latina subisce un sostanziale abbassamento di livello.
Infatti il colonialismo britannico si era orientato nei suoi investimenti verso i valori pubblici e il potenziamento del settore infrastrutturale, esercitando sì una azione predatoria con gli esosi tassi d'interesse composto, ma aveva anche permesso ad alcune nazioni (Argentina soprattutto, ma anche Brasile, Messico e Cile) di sviluppare una propria struttura nazionale. Da parte sua, invece, l'intervento americano tende a orientarsi unicamente nei settori di più facile redditività quali quelli estrattivi e agro-commerciali, tralasciando quello infrastrutturale, mentre la diversa sensibilità dell'economia americana alle importazioni, rispetto a quella inglese, e la presenza della stessa produzione statunitense negli stessi settori dell'esportazione sudamericana, pone quest'ultima ad un valore assai basso e soggetta alle condizioni economiche americane.
In queste situazioni, come vedremo, l'unica via di uscita per i Paesi latino-americani è rappresentata dalla possibilità di trovare nuovi mercati (soprattutto Europa e Estremo oriente), via che non potrà essere percorsa da quelle economie prima per il controllo diretto delle compagnie americane sulle materie prime e poi per le condizioni stesse che accompagneranno gli aiuti finanziari degli USA negli anni successivi.
In queste condizioni mentre la situazione economico-industriale della maggior parte dei Paesi permane in uno stato di «pre-decollo industriale permanente», la esasperazione della mono-cultura e mono-esportazione fa sì che lo stesso sviluppo di questi settori aumenti lo stato di servaggio economico nei riguardi degli Stati Uniti.

La politica del buon vicinato
Alla fine degli anni venti termina il primo ciclo della politica americana nei riguardi dell'America Latina caratterizzato, come abbiamo visto, dall'intervento diretto militare e dal controllo e l'accaparramento delle materie prime.
La crisi del ventinove si ripercuote sull'economia latino-americana. Innanzitutto fa discendere il valore delle esportazioni verso gli Stati Uniti a meno di un terzo, l'eccedenza delle materie prime così formata provoca un'ulteriore discesa dei prezzi, mentre i prezzi dei beni durevoli si mantengono ad un livello alto, riducendo le possibilità di importazione di questi Paesi.
Il fatto provoca un risveglio in senso nazionalistico nel continente. In alcuni Paesi (Messico, Argentina, Brasile) si inizia una politica economica di tipo autarchico: intervento dello Stato, protezione delle nuove industrie, nazionalizzazioni (che si dimostrano comunque sostanzialmente inefficienti venendo facilmente raggirate dai trusts USA).
Si attua il più importante tentativo di rafforzamento delle istituzioni statali, con interventi sul piano dell'economia che arriveranno in alcuni casi a mettere in pericolo la presenza americana nel continente.
A indirizzare questo processo nazionalistico sono le oligarchie militari cioè, in assenza di una forte borghesia industriale locale, il gruppo sociale più forte.
In Argentina dove una oligarchia militare produrrà poi il peronismo si impone al Paese una politica protezionista con forte sviluppo del capitale nazionale. Nel 1939 l'Argentina stringe un accordo economico con il Brasile, primo sostanziale esperimento di una integrazione economica tra i Paesi dell'America Latina. Nel 1938 Cardenas in Messico nazionalizza il petrolio.
Il movimento indipendentistico che prende piede trova delle condizioni oggettive favorevoli: lo stato di prostrazione dell'economia americana dopo la grande depressione, con la conseguente diminuzione degli investimenti nella zona, e soprattutto l'impegno della politica americana, nella imminenza della seconda guerra mondiale, volta ad influire e a orientare la situazione europea.
Nel Sudamerica tende a formarsi una coscienza politica nazionale e a questo proposito il contributo più forte sarà dato dal peronismo, che alla fine della guerra opererà politicamente molto più in là delle varie dittature di tipo militare.
La inconsistenza politica del movimento indipendentistico sudamericano si rilevò particolarmente nei confronti del nuovo orientamento statunitense: la cosiddetta politica del buon vicinato (good neighbour policy) portata innanzi dall'Amministrazione Roosevelt.
Gli Stati Uniti si accorgono che hanno a che fare con alcune realtà nazionali e statali, quindi comprendono che non basta più il singolo investitore privato o la compagnia mineraria a comprare intere regioni, a metter su governi e a fare guerre. Questo tipo di penetrazione non può più imporsi anche perché gli investimenti dei privati hanno perso la capacità iniziale di attuare il condizionamento politico.
All'investimento privato (che tuttavia continua a sussistere in una forma tutt'altro che moderata) si sostituisce l'aiuto finanziario.
Nello stesso tempo l'area di controllo degli Stati Uniti si allarga. Non basta più metter ordine tra le piccole repubbliche dell'America Centrale e spedire qualche battaglione a occupare basi, occorre considerare l'intero continente sudamericano, nella sua totalità.
Nel 1933 si abbandona il Nicaragua, nel 1934 Haiti e Cuba, nel 1936 perfino Panama ottiene migliori condizioni di vita. Nel 1936 a Buenos Aires ha luogo la famosa "Conferencia de Consolidacion de la Paz". Agli interventi militari locali l'America preferisce porre le basi per una politica di condizionamento globale.
I gruppi nazionalistici non comprendono gli effetti a lungo termine della politica radicale del «buon vicinato». Le apparenti concessioni, e revisioni dei rapporti di sudditanza che sul piano economico saranno particolarmente generose durante la seconda guerra mondiale e che comportano il prezzo politico per questi Paesi di schierarsi con gli Stati Uniti nella guerra (occasione più che unica per questi Paesi di porre una contestazione rivoluzionaria al protettorato americano) vengono accettate perché presentate sul piatto d'oro dei rapporti paritari. Numerose conferenze, riunioni interstatali caratterizzano questo periodo e sembra che Roosevelt si diverta a dare l'impressione ai dirigenti dei Paesi sudamericani di trattare sul piano di parità.
Nel momento nel quale sembrano aver raggiunto la massima indipendenza politica gli Stati Sudamericani si trovano di nuovo pesantemente subordinati agli Stati Uniti.
Con la fine della seconda guerra mondiale e con l'affermarsi degli Stati Uniti a potenza mondiale egemone i Paesi Latino-americani che credevano di aver raggiunto una sostanziale indipendenza politica ed economica si accorgono di avere la «catena misurata».
Il rapporto di subordinazione risulta sostanzialmente invariato e le economie sudamericane subiscono un peggioramento delle condizioni. Il crollo dei prezzi delle materie prime, e soprattutto la diminuzione del valore delle esportazioni agricole imposto dai programmi di esportazione delle eccedenze agricole degli Stati Uniti impoveriscono di nuovo quelle regioni. Nello stesso tempo gli Stati Uniti approfittano della loro condizione di fornitori principali dell'America Latina praticando prezzi assai superiori a quelli di mercato, come il caso dell'acciaio che il Trust Betlehem Steel vendeva nel 1948 all'America Latina a un prezzo tre volte superiore a quello del mercato mondiale.
La situazione postbellica mostra il fallimento della politica del nazionalismo delle dittature militari tra le due guerre.
Prima di esaminare i caratteri della nuova situazione di subordinamento che si apre nel dopoguerra varrà bene fare un rapido esame dei motivi del fallimento della politica indipendentistica, motivi che ritroveremo sempre nei continui tentativi indipendentistici e negli errori strategici dei gruppi nazionali rivoluzionari locali:
1) l'inesistenza di una contestazione che propugni una rottura con gli Stati Uniti, essendo al più ognuna di esse un mero tentativo di miglioramento del rapporto di subordinazione, di mutamento delle condizioni di sudditanza, sempre però nel quadro dei rapporti interamericani;
2) l'incapacità di comprendere i termini di soggezione imposti dai gruppi radicali rooseveltiani che operano con sistemi diversi da quelli usati fino alla fine degli anni venti; e questo per la ignoranza dei profondi termini politico-ideologici del radicalismo;
3) l'inesistenza di strumenti politici (partito) atti ad impostare una autentica politica rivoluzionaria (unica eccezione per qualche tempo il peronismo) e quindi continua ispirazione e sottomissione alle direttive dei gruppi militari facilmente corrotti dal dollaro, concezione superficialmente rivoluzionaria che per non riuscire ad impostare tesi politiche e incapace di porsi una strategia politica finisce per lo più verso le note forme delle congiure di palazzo.

(Continua nel prossimo numero con l'articolo «Dalla II guerra mondiale a Punta del Este»)


POLEMICHE

7 - Perché non siamo finiti nella scuderia Volpe.
Lettera aperta all'ing. Giovanni Volpe, editore e mecenate in Roma


Egregio Ingegnere,
la recensione del libro del Quaroni "Il Patto Atlantico", apparsa sul numero 10 di "Corrispondenza Repubblicana", Vi ha fatto prendere cappello, come si dice, e nel contempo Vi ha indotto ad usare espressioni che si addicono più ad un emulo di Trimalcione che di Mecenate. Vuol dire che in futuro staremo più attenti a dare patenti di signorilità a chi è a mala pena sul piano del perbenismo.
Vi siete in particolare indignato per il nostro comportamento, da Voi definito come quello di chi «con una mano chiede e con l'altra offende», comportamento che, sempre secondo il Vostro dire, è tipico di chi non vuol colloquiare.
In verità ci sembra che in questo caso Voi reclamiate trattative più che colloqui, secondo un costume mercantilistico che, neppure esso, era proprio di Mecenate. Comunque, noi siamo per principio contro i colloqui e i dialoghi e siamo per natura estremamente esigenti nella trattativa per cui è da escludere che, dovendo trattare, dovendo scendere a compromessi, dovendo dare le contropartite da Voi reclamate sceglieremmo quale controparte la Casa Editrice Giovanni Volpe.
È vero peraltro che abbiamo tentato l'approccio alla Vostra borsa, al punto che già avevamo annunziato agli aderenti e ai lettori l'uscita di una collana di "Quaderni politici" da noi curata e da Voi pubblicata. La collana uscirà ugualmente ma è bene che chi ci segue conosca le ragioni per cui essa non farà parte delle Vostre edizioni. Perciò questa è una lettera aperta.
I motivi della rottura sono esattamente questi: l'editore Volpe era stato da noi ritenuto un oppositore del sistema politico e culturale vigente in Italia, unicamente intenzionato a promuovere e sostenere sul piano editoriale tutte le iniziative avverse a tale sistema e praticamente indifferente alla parte positiva e costruttiva delle stesse. La reazione suscitata con l'articolo sull'opera del Quaroni ha mostrato invece che l'editore Volpe promuove e sostiene solo un certo tipo di opposizione al sistema, esattamente quello del conservatorismo di destra. La Casa Volpe è per l'appunto il pendant editoriale della diplomazia occidentalista (Quaroni), dei patiti del «golpe» (Beltrametti), del lealismo militare e atlantista (Liuzzi), del liberalismo di destra (Bon Valsassina, Panfilo Gentile), del venticinqueluglismo (De Stefani), del corporativismo parolaio, missista e parlamentare (Delfino), dell'hispanidad dei Matarazzo, del franchismo e del salazarismo.
Pertanto essa svolge un'azione parallela alle edizioni de "il Borghese", ma più negativa in quanto meno legata all'attualità politica e tutta operante sul piano delle impostazioni tematiche. In modo analogo essa agisce sul piano propriamente culturale quando ripresenta il pensiero di destra in modo indistinto senza operare né facilitare una scelta fra Sorel e Ploncard d'Assac, fra Schoeps e Thiriart, fra Jünger e Marcel.
A dire il vero una scelta viene fatta: è quella che esclude dalle edizioni Volpe ogni opera ancora feconda capace cioè di aprire prospettive e luci e di fornire parametri dottrinali ad una azione politica rivoluzionaria. Sotto questo profilo la Casa Volpe è una specie di cimitero degli elefanti: vi si trovano puntualmente le opere riferibili ai movimenti di destra che fecero unicamente combattimenti di retroguardia, che agirono nelle pieghe della storia, parziali, settoriali, frammentari e che pertanto non ressero di fronte ai movimenti modernisti e progressisti. Sociologi cattolici, Action Francaise, sindacalismo nazionalista: ecco alcuni dei cadaveri riesumati. Stona tra essi Julius Evola, ma solo apparentemente, basta che si guardi alle due opere finora pubblicate: "Il Fascismo" in cui esso è appunto criticato in quanto movimento rivoluzionario e "Gli uomini e le rovine" in cui molte pagine sono spese a sostenere la necessità delle alleanze occidentaliste. Sui limiti di J. Evola e sui guasti che egli ha prodotto rispetto alla formazione di una nuova classe politica è peraltro opportuno aprire un più ampio discorso, cosa che faremo in futuro.
Egregio Ingegnere, non Vi facciamo tuttavia il torto di ritenere la Vostra attività editoriale sprovvista di precisi riferimenti ideologici: sappiamo bene che la Vostra concezione della vita è grande-borghese e che di conseguenza in termini di dottrina politica e sociale vale per Voi la potenza e la competenza, secondo l'accezione tecnicistica (ma non spirituale o etica) che si ritrova in Machiavelli, Pareto, Mosca, Michels, Prezzolini e Burnham.
Questo significa in sostanza che le nostre posizioni ideologiche sono inconciliabili con le Vostre e perciò siamo grati alla recensione del libro del Quaroni che ci ha consentito di evitare una collaborazione che nasceva evidentemente su un equivoco e che ci avrebbe condotto proprio... nel campo di Agramante.
Messa la sordina al nostro antioccidentalismo, anche la linea dell'autonomia politica degli Stati europei e infine la stessa critica del sistema parlamentare, vanto e orgoglio del mondo libero, si sarebbero ridotte ad un sussurrio. Avremmo con ciò indubbiamente confortato i Vostri sforzi tesi a proporre una sola forma di opposizione al sistema, la quale ci sembra che sia però più una variante che una alternativa ad esso. Avremmo insomma indossato la Vostra divisa.
A tale proposito Vi confessiamo, Egregio Ingegnere, che il nostro maggior timore al momento dell'approccio era quello di finire con la nostra collana nei Vostri magazzini (dove trova immeritata collocazione la maggior parte delle opere da Voi pubblicate) mentre a ben guardare il vero pericolo era quello di finire nella Vostra scuderia!
Prima di lasciarvi alle Vostre fatiche editoriali Vi dobbiamo ancora alcune precisazioni, sempre in relazione al lamentato articolo sul Quaroni.
Innanzitutto Vi confermiamo il nostro disgusto, tale da darci il voltastomaco, per l'opera in questione. Voi trovate ridicola la delicatezza dei nostri stomachi come se la sensibilità politica fosse una pecca. E invece è proprio tempo di risvegliarla dove è addormentata, di suscitarla dove manca e di alimentarla dove già c'è.
Il libro del Quaroni contiene, da un punto di vista europeista, tesi e idee talmente sconce che soltanto un antieuropeo e un occidentalista come l'autore stesso (o come Voi) può rimanere indifferente leggendole. Vi sareste dovuto augurare mille e mille lettere di condanna del libro ed invece lo avete sostenuto nonostante che contenesse ignobili idee come queste:
«Possiamo soltanto cercare di diventare un elemento di cui l'America tenga conto nelle sue decisioni»; «A Hiroshima Truman non aveva gettato la bomba atomica contro i giapponesi ma in realtà l'aveva gettata contro i russi»; «Non c'è nessuna combinazione che possa togliere agli USA la decisione suprema»; «Il pericolo della proliferazione atomica è grande, di nuovo sarebbe necessario che Russia e USA si impegnino a sanzioni nucleari congiunte contro i refrattari»; «Gli europei si rendano conto che essi possono discutere, consigliare, difendere i loro interessi ma che la decisione ultima non può che restare agli americani».
Dinanzi a frasi come queste, ribadiamo il nostro impegno di lotta per impedire che chi la pensa in tal modo abbia diritto di cittadinanza o, peggio, potere politico in Europa.
A parte il dissenso dalla nostra critica, Illustre Ingegnere, non siamo riusciti a capire le ragioni della Vostra irritazione. Forse il Quaroni è per Voi qualcosa di più che un amico, forse fra Voi e lui esiste più di una comunione di idee; per questo abbiamo maliziosamente pensato che l'accusa di «vecchio massone» rivolta al Quaroni abbia fatto scattare la molla della Vostra solidarietà...
Infine, Ingegnere, Vi dobbiamo invitare a rileggere a mente fredda la suddetta recensione perchè, mentre Voi l'avete definita «leggera e malfatta», noi la troviamo molto ben argomentata. L'ira, come si sa, offusca la vista e distorce i giudizi. Insistiamo in particolare nel sostenere che gli unici argomenti effettivamente «europei» sono quelli da Noi portati a sostegno delle nostre tesi, cioè quelli per l'appunto usati nella recensione che ci riguarda.
Voi ci avete invece preannunciato, quasi a sfida, un libro del Ministro bavarese Strauss, in cui sarebbero addotte ben altre argomentazioni che le nostre a sostegno di una posizione diversa di quella del Quaroni. Conosciamo Strauss, sappiamo della «cotta» presa per lui dai vari Pacciardi, Michelini, Tedeschi, Nelson Pagè, Giovannini, né ci meravigliamo che Voi lo abbiate accaparrato per la Vostra casa Editrice, ma proprio per questo riteniamo le sue idee collaterali ed affini a quelle del Quaroni, anche se su una linea apparentemente più avanzata. Sono anni che Strauss combatte il radicalismo tedesco da una posizione sbagliata, cioè da quella occidentalista. Sono anni che pertanto va di sconfitta in sconfitta fino a ridursi ora a sostenere il governo che fa fare la politica estera tedesca al signor Willy Brand e che all'interno è solo preoccupato di escogitare un nuovo meccanismo elettorale per vanificare le affermazione del NPD. Ecco, Ingegnere, la differenza tra noi e Voi sta tutta qui: trasferiti in Germania, Voi stareste con Strauss, noi staremmo con il NPD. Voi stareste affannosamente cercando come fa Strauss di ricucire la livrea atlantista e occidentalista strappata dal nuovo corso post-distensionista mentre noi staremmo impostando la lotta per conseguire l'autonomia degli Stati europei affossata a Yalta dagli USA e dall'URSS. Ma di Strauss parleremo meglio all'uscita del preannunciato libro. Intanto abbiatevi, Ingegnere, i nostri saluti che, per ovvie ragioni e in deroga alla solidarietà di cui parlavamo sopra, Vi potete esimere dal trasmettere al signor Pietro Quaroni.
Corrispondenza Repubblicana


MISCELLANEA

L'occidentalista vecchia maniera
«Se le richieste comuniste fossero accolte e se Londra, Parigi, Bonn, Roma, Oslo, Lisbona e Bruxelles si privassero della garanzia americana nella loro politica di equilibrio con Mosca, quale possibilità avrebbero di salvare la loro indipendenza, anzi la loro esistenza?».
Il sen. Ugo D'Andrea nell'articolo di fondo de "Il Tempo" del 10-5-1967.

L'occidentalista dernier cri
«La nostra azione non è antiamericana, essa è allineata con le forze più vive della democrazia americana le quali vogliono evitare la perdita di prestigio mondiale degli Stati Uniti derivante dalla prosecuzione di una guerra che non possono vincere senza lo sterminio del popolo vietnamita».
L'on. De Martino nel discorso di Napoli del 16-3-1967.

L'occidentalista di complemento
«Dimenticare che Europa e Stati Uniti devono essere uniti nella salvaguardia della civiltà occidentale è quanto mai pericoloso».
"Il Secolo d'Italia" del 27-4-1967

Per la Grecia la parola d'ordine è: ripristinare
«Spetta a queste due forze (monarchia ed esercito) estranee alla lotta delle fazioni, di far sì che presto le garanzie costituzionali possano essere ripristinate e che, nel rispetto del gioco democratico, il popolo possa manifestare liberamente, senza indebite pressioni e minacce di violenza, la propria volontà»
Emanuele Bonfiglio su "Il Tempo" del 22-4-1967

Kennedy round: come volevasi dimostrare
«Negli ambienti del MEC si afferma che per i "sei" gli accordi di Ginevra non sono dei più equilibrati e si ha l'impressione che la comunità economica europea abbia finito per pagare più di quanto abbia effettivamente ottenuto».
Guido Tonella su "il Corriere della Sera" del 16-5-1967.