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Il caso Nicola Pende

Giorgio Vitali


Nicola Pende, che ho avuto il piacere e l'onore di conoscere e di frequentare, è stato uno dei grandi medici del XX secolo, prendendo in considerazione la storia della medicina a livello mondiale, della stessa importanza e dello stesso calibro, per quanto ci riguarda, di Alexis Carrell, autore del fondamentale "L'uomo, questo sconosciuto" edito in Italia da Bompiani. Nicola Pende fu il creatore dell'Endocrinologia, nome che lui stesso diede a questa fondamentale branca della conoscenza medica, e della "Psico-neuro-endocrino-immunologia", termine che significa la sostanziale unità di tutte le componenti costitutive della natura umana, da prendere in considerazione ogni volta che si presenta una patologia di un certo rilievo. Di fatto, la natura umana è un tutt'uno, un'espressione unitaria (olistica), ed ogni manifestazione patologica può essere risolta soltanto prendendo in considerazione contemporaneamente TUTTI gli aspetti nei quali si sostanzia la natura dell'essere vivente uomo, al contrario di quanto avviene regolarmente nell'attualità, caratterizzata da una costante e diffusa presenza di "malati cronici" perché "curati" solo in alcune parti del corpo o della psiche, al fine di garantire un costante flusso economico all'industria della salute presa nel suo insieme.

Nicola Pende infatti così scriveva nei lontani (ma per noi molto vicini) anni trenta, sul suo "Trattato di Patologia Medica Sintetica":

«… cioè l'unità e la correlazione funzionale di tutte le parti del corpo non solo, ma di quelli che fino ad ora si erano tenuti separati come fatti anatomico-strutturali, (detti anche organici con termine improprio) e come fatti funzionali relativi ai processi normali come ai processi morbosi… L'anima e teologicamente e filosoficamente e medicalmente permea di sé, in unità vitale indissolubile, come vogliono S. Agostino e S. Tommaso, tutta la materia corporea, essa è per noi la sintesi di tutte le energie di tutti gli organi viventi, e questa sintesi è possibile in virtù delle correlazioni esistenti fra tutti gli elementi corporei, e per il dare ed il ricevere stimoli che avviene tra essi ad opera del Sistema Nervoso».

Egli fu anche il fondatore, con il Viola, il Di Guglielmo, della "Medicina italica correlazionistica, unitaria" detta anche "Neo-Ippocratica", in ricordo del grande medico dell'antichità, sintesi della cultura unitaria del mondo ellenistico-mediterraneo. Per comprendere la sostanziale "rivoluzione" attuata dal Pende nel pensiero medico ed in quello scientifico, è interessante leggere quanto egli scrive nel primo volume del suo testo "Patologia medica sintetica":

«La medicina è stata, fino ad oggi, troppo localistica, organicistica, divisionistica, e per di più comunistica, cioè ha considerato tutti gli individui malati di un dato processo morboso, come macchine fatte in serie, soggette allo stesso guasto, e meritevoli della stessa riparazione. Esiste oggi, anche in medicina, come in arte ed in politica, un novecentismo morboso ed un comunismo morboso: i trattati sui quali lo studente ed il medico plasmano la loro mente sono tutti analitici ed anatomici, spezzettano il corpo umano in una folla di processi morbosi locali, affezioni delle varie parti anche d'uno stesso organo: per esempio, per il cuore, si schematizzano ed insegnano quadri di malattie del miocardio, dell'endocardio, del pericardio, dell'aorta, della polmonare, delle coronarie, dei nervi del cuore... E così il medico generico che rimprovera al medico specialista di polarizzare la propria visione mentale su di una particella malata del complesso organismo, dimenticando il resto che pure soffre, non si accorge che egli agisce continuamente con la stessa mentalità e divide arbitrariamente un organismo dagli altri, come se l'organo e non l'Organismo fosse la sede della malattia».

Si potrebbero citare migliaia di pagine scritte dal nostro autore, che si impegnò per tutta la vita in una battaglia contro la concezione materialistica dell'esistenza, concretamente applicata dalla medicina positivistica e divisionistica su cui si basa ogni Servizio Sanitario Nazionale post-bellico. Ce ne era a sufficienza per attirare il livore degli avversari politici, i quali, quando hanno potuto, lo hanno colpito pesantemente, anche con il silenzio. Infatti, la prima applicazione concreta di una filosofia della vita è proprio quella alla cui ispirazione si impegna la società nel suo insieme quando ritiene di poterla utilizzare per risolvere i problemi esistenziali dei singoli. Prova nei sia il successo della psicoanalisi negli USA, che ha creato intere generazioni di spostati ed eterodiretti, come dimostrato ampiamente nella cinematografia americana di denuncia.

 

Il manifesto della razza

Giovedì 15 febbraio scorso è andato in onda un programma di Minoli dedicato al "Caso Pende" relativo, non al suo notevolissimo apporto al progresso medico, ma al fatto che egli avrebbe firmato il famoso manifesto degli scienziati razzisti.

E la faccenda è davvero esemplare.

A quanto mi risulta, il Pende non firmò questo manifesto. Ma esso venne pubblicato anche con il suo nome. Si tratta di fenomeni di sciacallaggio molto frequenti in Italia. Nel caso particolare, essendo quella del Pende la firma più prestigiosa, era molto difficile, dato oltretutto il clima del momento, poter piantare una "grana", anche perché qualsiasi rettifica non sarebbe stata pubblicata con il dovuto rilievo.

L'ampia trattazione televisiva dell'argomento, che si è giovata di importanti pubblicazioni non recenti, non può essere qui ripetuta, anche perché è importante sottolineare un altro aspetto del problema.

Nel dopoguerra, la questione Pende si trascinò per lungo tempo nei tribunali, con interventi in pro e contro. Molti furono gli elementi del mondo ebraico, per lo più personalità della cultura nazionale, che presero le sue difese. Evidentemente esisteva una cultura ebraica, formatasi fra l'ottocento ed il primo novecento, che nulla aveva a che fare con quella imposta al mondo dal fanatismo ebraico di provenienza mitteleuropea e slava di cui sono espressione gli esponenti della politica di aggressione statunitense, nonché delle politiche repressive in tutta Europa. A Pende fu tolta buona parte del suo precedente potere accademico, più per idiosincrasia culturale che per altro, mentre egli continuò la sua professione, sempre ad altissimo livello internazionale, circondato dall'affetto dei suoi allievi e dalla stima di colleghi che da tutto il mondo gli inviavano le loro pubblicazioni. Era inoltre presente in molte manifestazioni culturali, medico-scientifiche, soprattutto in quelle della nascente "medicina non convenzionale" ed in quelle promosse o sostenute dalla Chiesa, allora non completamente sottomessa all'ideologia liberal-razionalista ed impegnata, invece, nella difesa della visione unitaria dell'uomo Un grande ospedale romano, che era stato progettato dal Pende stesso a somiglianza del famoso castello di Federico II a Castel del Monte (Andria), venne intestato al papa regnante e divenne il Sant' Eugenio, degna soluzione di compromesso, tipicamente democristiana.

 

Un caso strano (visto con gli occhi di oggi)

L'assoluzione del Pende, pur tenendo presente la "valenza" internazionale del personaggio, sarebbe oggi impensabile.

Oggi si condanna per antisemitismo un Edgar Morin, lui stesso ebreo, seppur sefardita, per aver criticato Israele. Oggi sarebbe stato difficile trovare ed esibire "prove" di innocenza o peggio, testimonianze di ebrei a favore, perché la repressione religiosa funziona oggi anche e soprattutto sugli ebrei. (Come sempre, peraltro).

Ma ciò che maggiormente induce a pensare è il fatto che non solo Nicola Pende, ma tutti gli altri firmatari del "Manifesto" non furono perseguitati. Anzi. Continuarono tranquillamente la loro attività. Questo fatto ha indotto certi critici attuali a parlare di "complicità con i carnefici", di persistenza di un antisemitismo cattolico o altri residui culturali.

Parallelamente, e specularmente, dovremmo porci il problema di come e quando sia nato il mito olocaustico e se questo non sia stato funzionale alla gestione politica del "mondo occidentale" per un certo periodo, che possiamo situare dal 1967 in poi, in concomitanza con la nascita del mito resistenziale.

In questa convinzione siamo confortati da un fatto pubblico ancorchè poco noto. Gianpiero Mughini ha scritto di recente una biografia di Telesio Interlandi ("A Via Panisperna c'era un razzista"). Se si pensa che l'Interlandi fu il massimo divulgatore dell'antisemitismo in Italia, lascia per lo meno interdetti il fatto che, una volta finita la buriana e ritornato a Roma, questo personaggio fu accolto se non a braccia aperte almeno con molta apertura dall'ambiente intellettuale, che egli aveva a suo tempo beneficato ma che era ormai spostato totalmente a sinistra, avendo ai suoi vertici personaggi come un Moravia che era, come si sa, ebreo.

È una riflessione necessaria oggi, momento in cui siamo tutti minacciati dall'inquisizione promossa dall'integralismo ebraico.

 

Giorgio Vitali