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da http://dossierscaccia.blogspot.com

 

Cermis, una strage impunita 

Pino Scaccia    

    

 

3 Febbraio 1998, i tempi della guerra in Bosnia. Dalla base NATO di Aviano parte in volo di addestramento un aereo dei marines. La missione è chiamata Easy 01, all'interno dell'operazione pianificata Deny Flight. Il velivolo è usato per la guerra elettronica: è un EA-6b detto "Prowler", il predatore. Decolla alle 14,36... Alle 15,12 minuti e 51 secondi trancia due cavi della funivia che da Cavalese porta al monte Cermis. Una cabina precipita fino a valle, a ridosso del fiume Avisio. Muoiono diciannove turisti e il manovratore della funivia. Alle 15,26 il "Prowler" atterra di nuovo ad Aviano. Il pilota dirà: «Ho sentito solo uno scossone».
L'hanno definita la strage impunita perché nessuno è stato condannato per quei morti, nonostante le prove precise e pesanti di responsabilità.
Cinque anni dopo, sul luogo della tragedia c'è una croce, a memoria. La funivia è da qualche tempo nuova, splendente. E la valle del Cermis è tornata un luogo di vacanza.
Anche perché adesso quei voli non passano più. Ma nessuno dimentica i lutti. E la rabbia. Morirono in venti, quel martedì, in piena settimana bianca: nove donne e undici uomini, se si può chiamare un uomo Philip, quattordici anni, polacco, morto con la madre Ewa. I turisti venivano da tutta Europa: anche da Germania, Austria, Belgio, Olanda. Gente di casa, da anni, su queste montagne. Ma di casa era soprattutto Marcello Vanzo, il manovratore, che quel giorno aveva scambiato il turno, e il destino, con un collega.
Una strage impunita, è stato detto. Ma anche piena di misteri, mai chiariti. Un volo radente autorizzato o no? Dieci minuti di silenzio radio (proprio in prossimità dell'impatto fatale, dalle 15,05 alle 15,15 quando il pilota lancia l'emergenza), un "missioni recorder" sparito, una cassetta video distrutta, una carta di volo contestata, un allarme lanciato da tempo, soprattutto un'assoluzione scandalosa.
Andiamo per ordine.
La missione era sicuramente autorizzata dalle autorità italiane. Quel volo era il quarto di una lista di dieci presentata dal comando dei marines. C'è una sigla sotto a quell'elenco, di un capitano italiano, il cognome comincia per F. Dal segreto militare filtra un particolare: gli americani avrebbero inserito il "Prowler" in un elenco che invece era destinato solo agli F16. Un errore. Resta il fatto che nessuno se ne è accorto. Né l'altro ufficiale italiano, M.B.G, che controfirmò, né il centro di controllo di Martina Franca.
L'inchiesta, immediata, della procura di Trento stabilisce in ogni caso la gravissima responsabilità del pilota. I voli normali erano autorizzati ad una quota di 1100 metri , anche se fosse stato autorizzato al volo radente non poteva scendere più in basso di 650 metri. L'impatto, invece, è avvenuto a 150 metri da terra. L'aereo volava sicuramente anche ad una velocità nettamente superiore a quella prevista. Secondo i dati forniti da un aereo-radar USA "Awacs" che in quel momento volava a una quota superiore, il "Prowler" andava a 500 miglia orarie e non a 100 come previsto dal regolamento. Lo conferma il 12 marzo, quaranta giorni dopo la strage, il rapporto della commissione d'inchiesta americana presieduta dal generale Michael Delong. «Il motivo dell'incidente -si legge nel documento- è stato un errore dell'equipaggio che ha guidato in modo aggressivo l'aereo, superando la velocità massima e volando ben al di sotto della quota richiesta».
I periti italiani vanno oltre. Stabiliscono che l'aereo si è infilato fra i due cavi tranciati, distanti fra loro fra i trenta e i quaranta metri. Una bravata, insomma. Una scommessa, come tante altre volte, in cui ci si giocava una birra la sera. La gente di montagna è di poche parole. Ma ricorda. Testimoni quel giorno hanno visto passare l'aereo pochi istanti prima della tragedia a volo radente sul pelo del lago artificiale di Stramentizzo. E non era certo la prima volta.
La battaglia legale è lunga. Ma vince la politica, con Clinton impegnato in prima persona. I militari americani evitano il processo in Italia. Sul "Prowler" erano in quattro. Il comandante, il capitano Richard Ashby, 32 anni, californiano, 750 ore di volo, veterano della Bosnia. Il navigatore Joseph Schweitzer, 30 anni, dello Stato di New York. Dietro, seduti nel retro della cabina, c'erano i due addetti alle attrezzature di ricognizione: Chandler Seagraves 28 anni dell'Indiana e William Raney, 26 anni del Colorado. Quasi esattamente un anno dopo, l'8 febbraio 1999, si apre il processo davanti alla corte marziale di Camp Lejeune, la base dei marines, nel North Carolina. Il capitano rischia 206 anni di carcere. Il 4 marzo invece è assolto, dopo sette ore e mezza di camera di consiglio, da tutte le imputazioni. Uno scandalo: la corte gli riconosce che il volo era autorizzato a una quota di 500 piedi (ma lui stava molto più sotto, altrimenti non avrebbe tranciato i cavi), che le mappe di volo non contenevano le indicazioni della funivia (lo stesso comando dei marines lo ha smentito: sulla TPC, la carta di pilotaggio tattico la funivia era segnata) e che il radar-altimetro presentava difetti di funzionamento (circostanza mai dimostrata).
Dopo il verdetto Ashby dice: «Adesso le mie preghiere sono tutte per le vittime».
Ma i giornali americani scrivono che il giorno dopo sta a Las Vegas a festeggiare la libertà. Sia pure in minima parte, comunque ha poi pagato. Perché anche quel giorno, come consuetudine, era stato girato un video delle prodezze. Il video del Cermis non esiste più per un motivo semplice: è stato distrutto. La confessione è del co-pilota, Schweitzer. Preso dal rimorso, ha dichiarato: «Alla fine del volo ho consegnato la cassetta al comandante. Non l'ho più rivista». Ma intanto, perché reo confesso, lui evita il carcere. A maggio c'è dunque un nuovo processo al pilota, Ashby, per ostruzione di prove. Stavolta è condannato, a sei mesi. Ma esce dal carcere, non si capisce perché, con un mese di anticipo.
Dal 2 ottobre di quattro anni fa è nuovamente un uomo libero. Torna a vivere nella villetta di Jacksonville, vicino alla base dei marines. Non apre più bocca. Ma è la sua ragazza, Dodie, a parlare. È infuriata: «La cella di Richard, pensate, non aveva l'aria condizionata. Ha passato i primi mesi da solo a leggere davanti a un tavolo. E io potevo andarlo a trovare solo il fine settimana». Povero cowboy.
 

Pino Scaccia