Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Copioni cinematografici e spystories
all'origine delle operazioni coperte degli atlantici

Giorgio Vitali
 

Fino ad oggi, pochi analisti sociali hanno preso in esame le interconnessioni fra Media di successo ed operazioni ad alto contenuto geopolitico. Ciò è successo, probabilmente, perché finora gli esperti di cinema hanno trattato l'argomento con molta prudenza temendo, motivatamente, censure politiche ed attenendosi ad una critica prevalentemente estetico-moralistica, con invasioni nel campo dell'analisi di costume o, ancor meglio, del gossip.

E tuttavia occorrerebbe in primis evidenziare l'incidenza psico-sociale del cinema (inteso anche come spettacolo-racconto trasmesso per via televisiva), che esercita un impatto emozionale nel quale entrano e s'intrecciano un numero pressoché imprecisato di messaggi che, miscelati da un adeguato regista sotto la supervisione di "specialisti" delle varie branche comunicazionali, «improntano» (questo è il termine più opportuno), nelle menti delle masse, un ricordo indelebile costituito da un impasto di musiche, suoni, colori, immagini suggestive, parole, paesaggi d'interni e d'esterni, nei quali si possono miscelare a volontà anche messaggi subliminali, tanto... chi può accorgersene?

A titolo esplicativo, vorrei qui citare la funzione psicologica dei film western che con lo sfondo di spazi sterminati hanno trasmesso ad intere generazioni del vasto mondo un'idea di "libertà" associata al territorio statunitense. Il West immaginario è inoltre interconnesso col Mito della Nuova Frontiera, che sottintende un messaggio preciso: la libertà deve automaticamente espandersi. Da questo punto di vista occorre inoltre richiamare l'attenzione sul ruolo "politico" sostenuto da registi del calibro di un Sergio Leone, di cui era nota la fede politica, che hanno spostato l'interesse dello spettatore, pur nella finzione del film d'azione, su contenuti sociali molto espliciti. Dal dopoguerra fin quasi agli anni sessanta gli italiani sono stati nutriti dagli americani a base di "film rosa", con donne belle ed eleganti, ed ambientati in case lussuose munite d'ogni comfort, piscina inclusa!

L'evidente finalità politica dei medesimi, in piena guerra fredda, mi sembra non sia stata finora evidenziata dai soliti commentatori, come mi appare del tutto naturale l'interpretazione dell'esplosione sessantottina, già catalogata da P. P. Pasolini come fenomeno piccolo borghese, quale conseguenza di frustrazioni tipicamente borghesi provocate dalla percezione della differenza tra la realtà nazionale e quello che Hollywood ci proponeva come immagine dell'eterna America. In epoca televisiva infine, il mito americano è stato diffuso dalle televisioni di Berlusconi, appositamente finanziate dagli "amerikani" stessi, con «premio finale» per il successo ottenuto, consistente nella presidenza del consiglio dell'ennesima Repubblica delle Banane. Che non si distingue comunque, nella sostanza, nel "premio" assegnato a Ciampi, cioè la presidenza della repubblica (sempre delle banane), per i servigi resi a Soros e correligionari a spese del popolo italiano.

Da sottolineare che questo secondo flusso d'immagini dell'america d'esportazione riguarda in prevalenza (film militari a parte) le nevrotizzate metropoli di New York, Los Angeles e San Francisco, la "sana" provincia borghese, e poco di più. L'immagine dell'America reale è inesistente. Da quanto mi risulta, infine, solo due autori hanno esaminato a fondo, in opere esaustive e meritevoli della massima attenzione, il ruolo politico che Hollywood ha esercitato fin dalla sua nascita agli inizi del XX secolo, evidenziandone l'incidenza della componente ebraica, presente in altissima concentrazione (oltre il 90%) e le conseguenze che, fino ad oggi, è facile immaginare. Si tratta di: John Kleeves, "I divi di Stato" ed. Settimo Sigillo, 1999 e Gianantonio Valli "Dietro il mito americano" ed. Barbarossa, 1991. A questi due libri rinvio il lettore interessato ad approfondire l'argomento. Ma non posso chiudere questa digressione senza ricordare Maurice Bardèche, cognato di un "grande" della critica cinematografica, Robert Brasillac, che per anni ha costruito i suoi articoli di commento politico partendo dalla critica di un film d'attualità.

*   *   *

L'utilizzazione della comunicazione politico-ideologica attraverso "storie", è vecchia come il mondo. Le prime opere della classicità sono storie. Tutte le grandi culture sono nate e si sono sviluppate sulla trasmissione di storie. A noi bastino l'Iliade e l'Odissea. Tutta la cultura cosiddetta "occidentale" basa i propri riferimenti su questi due documenti essenziali. L'Iliade è lo sfondo dell'epica. L'Odissea significa l'evoluzione della personalità individuale. Qualsiasi poema, racconto o romanzo è ricalcato su di essa o su parti di essa. L'Odissea di una persona o di un popolo, se saputa raccontare ad arte, penetra profondamente nel subconscio degli ascoltatori e degli spettatori, i quali, introiettandola, la fanno propria aggiungendovi inavvertitamente, a rinforzo, ulteriori storie frutto della propria immaginazione.

L'utilizzazione del noto autore di gialli ed horror, Alfred Hitchcock, maestro nel mettere in campo una sottile strategia dell'angoscia, per la ripresa "verista" dei lager tedeschi dell'immediato dopoguerra, ne è un esempio. Di questo regista dobbiamo segnalare, fra le centinaia di pellicole girate, titoli come "L'uomo che sapeva troppo", "Notorious", "Intrigo internazionale", e, soprattutto, "Gli uccelli", del 1963. Questo film è una "summa" dell'arte hitchcockiana, carico di un senso d'oscurità apocalittica, d'angoscia dell'essere, di parossistica minaccia e d'insostenibile tensione. Si tratta di grandi successi di pubblico, ma nessuno ha mai analizzato cosa queste storie abbiano lasciato nel subconscio delle moltitudini. Ho scritto nessuno, riferendomi ai critici d'arte "palesi". Non agli analisti politici ed ai programmatori d'operazioni sotterranee, che di questa angosce si fanno promotori per proporre le loro "soluzioni". Da questo punto di vista ha sicuramente destato grande interesse il successo dei film di James Bond, il famoso 007, che hanno proposto ad una platea mondiale la figura di un oscuro simbolo del Male, una specie di "vecchio della montagna" che trama contro il mondo, difeso eroicamente e sempre con successo, dagli anglo-americani.

Indubbiamente i film in questione hanno registrato grande afflusso di pubblico per la spettacolarità ed incredibilità delle avventure dello spione per antonomasia e per la bellezza delle donnine ivi esibite, ma certamente l'assenza di critiche nei confronti dell'invenzione di questa nuova personificazione del Male (con o senza Asse) deve aver rassicurato le migliaia di programmatori di "operazioni coperte" al Pentagono ed all'USIA sulla sostanziale sottomissione della cosiddetta opinione pubblica alle invenzioni più cervellotiche della propaganda politica. È evidente che la figura di Bin Laden nasce in questo contesto. Bin Laden è infatti un'invenzione che serve per giustificare la "guerra permanente al terrorismo" codificata dai Teo-cons e derivata dal concetto di "rivoluzione permanente" di trotzkiana memoria, come ha denunciato a suo tempo Lyndon LaRouche. Il personaggio Bin Laden compare sempre e soltanto quando se ne sente il bisogno. Minaccia, attacca e, come la Primula Rossa, scompare. Imprendibile. Altro che Zorro! Tuttavia, come Zorro, egli è con noi, fra di noi. E si identifica con le spie e gli agenti degli svariati servizi atlantici, e con i giornalisti embedded. Bin Ladin è l'immagine che ha permesso di coprire l'attacco all'Afghanistan ed all'Iraq. Bin Laden è colui che ha programmato ed attuato l'attacco dell'11 settembre 2001. Fortunatamente, a dimostrazione che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, un DVD che circola nel mondo e che riprende ingranditi e rallentati i filmati ufficiali dell'evento, dimostra senza ombra di dubbio che i supposti aerei di linea erano in realtà aerei teleguidati abitualmente utilizzati dall'esercito yankee. La qualcosa non impedisce, ovviamente, a lorsignori ed a tutti gli embedded di continuare a vendere idiozie come oro colato. Non sono i primi e non saranno gli ultimi. Va sottolineato, per rimanere in tema, che l'attacco aereo ad opera di kamikaze islamici era e continua ad essere trattato dalla cinematografia statunitense. Anche di recente una pellicola sul tema, con Swarzenegger nelle vesti di un superman anti-islamico, aveva iniziato a circolare nel nostro paese, ma prudentemente era stata tolta dalle sale. Per venire all'ultimo e più clamoroso episodio, che ha registrato la morte di un sacerdote cattolico, occorre ricordare chi è il regista Spielberg e qual'è la sua funzione nella guerra mediatica. Il suo primo impegno nel circolo mediatico è stato quello di far circolare la parola "olocausto" in riferimento alla persecuzione antiebraica. Inutile ricordare quali significati di carattere strettamente religioso sono contenuti in questa parola. Sta di fatto che dopo la proiezione della fiction televisiva in ogni angolo del mondo, la parola ha cominciato a circolare come sinonimo di Shoah. Gioco e guerra delle parole. Poi, con Schindler List, viene accreditata un'immagine del regista al di sopra delle parti (apparentemente… perché il messaggio è chiarissimo). Quest'immagine è servita anche all'operazione in corso, collegata con l'immissione in circolazione della pellicola "Monaco". Anche in questo film, a dispetto dell'immagine che il regista vuol trasmettere di sé stesso, e supportata da accuse espresse ad arte da elementi sionisti secondo cui l'autore sarebbe troppo indulgente nei confronti dei palestinesi, il messaggio è evidente. Gli israeliani sono buoni. I palestinesi freddi e crudeli. Come i "nazisti". Ma gli israeliani vincono sempre perché sanno raggiungere ovunque i loro nemici più o meno occulti. James Bond docet. Nella realtà, come ampiamente documentato, i killer israeliani esaltati da Spielberg hanno assassinato per lo più palestinesi innocui. Il film "Monaco", (vedi la coincidenza!) esce nelle sale mondiali dopo un formidabile battage pubblicitario, che permette, come al solito, di vendere pubblicità politica a spese di coloro che la subiscono, in concomitanza con l'operazione vignette anticoraniche, pubblicate con un crescendo da opera lirica su tutte le testate occidentaliste!

Già questo fatto dovrebbe mettere in guardia qualsiasi persona raziocinante. In un mondo dove veder pubblicato qualcosa di "estraneo" alla redazione del periodico è un'impresa, queste vignette, con la scusa di "informare i lettori" vedono la luce sui grandi Media di tutti i paesi europei. Non solo danesi. Il retroscena è stato ampiamente documentato. Dopo cinque mesi di provocazioni, scoppia la reazione furibonda degli islamici, ma… attenzione! L'immagine che ne viene proiettata in Europa è sempre quella dell'iconografia ufficiale: grandi masse d'indigenti urlanti e sbraitanti. Questa è l'iconografia che deve servire per spaventare un'Europa vecchia e rincoglionita, che attende di essere difesa da Israele contro l'invasione barbarica degli islamici. Questo è il messaggio che DEVE passare. Ma non basta. Chiunque ricorda che qualsiasi coperta che si rispetti, nelle spy-stories, nei film gialli e neri, nella realtà, deve avere un imprinting a base di sangue. Generalmente viene ucciso un "innocente", un "buono", su cui piangere calde lacrime ed impostare recriminazioni a non finire. Se poi il buono è un prete cattolico, e magari uno di quelli che ha continuato a credere nel messaggio che fu una bandiera di Giovanni Paolo II, almeno fino al giorno dell'attentato del "turco" Ali Agca, di dialogo (se non unificazione vera e propria) fra le religioni, il risultato è migliore, per i pianificatori della "guerra di civiltà". Si elimina un nemico e si ottengono risultati promozionali. È una lezione che conosciamo da molto tempo. Almeno Noi italiani in là con gli anni. Dal 1943.

Giorgio Vitali