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Gli avvenimenti degli ultimi giorni in Egitto anche se non direttamente legati alla questione palestinese (ma neanche troppo slegati), riguardano di sicuro il destino di tutti i popoli del Mediterraneo, e quindi anche il nostro; spero mi scuserete se per una volta sposto l'attenzione ad ovest del Canale di Suez.
Trovate a seguire alcune corrispondenze dal Cairo aggiornate a questa notte. (2 febbraio 2011)

 

Diario da Il Cairo

Nathan Never


Date: 02 febbraio 2011 00:56
Oggetto: Dal Cairo (4)
Approfitto di uno spiraglio nel collegamento satellitare e vi invio una pagina del Diario dal Cairo per il sito Internet di LiMes, la rivista italiana di geopolitica, e un altro pezzo per Europa Quotidiano. Vi inoltro anche quanto scritto per Ansa nei giorni scorsi e che non ero riuscito a trasmettere.
(Errata corrige: in una delle pagine del Diario avevo scritto “tagammo” invece di “mugammaa” in riferimento al mastodontico edificio della burocrazia che incombe su piazza Tahrir. Gli arabisti coglieranno la svista)

Per tutta la giornata sono riuscito a caricare solo una minima parte dei video che ho con me. Su questo canale youtube trovate alcuni video di oggi.

http://www.youtube.com/user/lorenzobeirut

Ora vi saluto e vi do la buona notte. Ma ci tengo a descrivervi questo attimo mentre sono seduto al buio su un balconcino di un albergo che dà sul Nilo. L'acqua non la vedo tanta è la coltre d'umidità. Dietro un palazzo sento urlare "Vattene! Vattene!" da migliaia di manifestanti ancora a Tahrir. Loro e il Nilo sono rimasti. Anche gli elicotteri sono andati a dormire.


Diario da Il Cairo


Diario dal Cairo (4) Per Limes on line
La rivoluzione si fa a pancia piena, ma stasera salto una cena veloce perché è atteso il discorso di Mubarak. E mi tocca seguirlo, in attesa che annunci chissà quale notizia da comunicare a Roma. Probabilmente annuncerà solo che non intende candidarsi alle prossime elezioni presidenziali del prossimo autunno.
"Svegliati! Svegliati! Sei sordo? Non ci ascolti o Mubarak?", gridava oggi un manifestante in piazza. Un altro, intento a scrivere un cartellone gigante con su scritto "Vattene!" e da innalzare sulla facciata di un palazzo, mi diceva: "Continuiamo a scrivere cartelli di diverse dimensioni, ma lui continua a non saper leggere".
Il nuovo ministro degli interni, ex direttore delle carceri, ha deciso oggi di cambiare il motto della polizia: da "La polizia del popolo al servizio della nazione" in "La polizia al servizio del popolo".
Sarà sufficiente a ripristinare la fiducia tra gli egiziani e le temibili e criminali divise blu scure? Anche note come "spazzatura" e ora accusate di saccheggi, furti, intimidazioni. Accusate persino di aver danneggiato reperti del Museo egizio e di aver violentato donne indifese nelle loro case.
Anche oggi Internet non esiste. Mi sono trasferito in un albergo migliore, dove la Rete era disponibile. Ma oggi, giorno della manifestazione del milione, l'oscuramento telematico è stato totale. Trasmettiamo col satellite, inviatomi da due foto-giornalisti freelance che si erano da poco trasferiti a Beirut.
"Che noia!", mi avevano detto due settimane fa dopo che l'ennesima crisi libanese non si era trasformata in quella "guerra civile" da tanti paventata. Così sono corsi in Egitto. Dove rischiano di non poter spedire le loro foto a causa dell'oscuramento Internet e degli intralci al movimento imposti ai giornalisti negli alberghi, che usano il pretesto del coprifuoco per sbarrare le loro porte dalle 13:30 di ogni giorno.
Nonostante l'assenza di Facebook, a sentire la gente in piazza, questa "rivoluzione" si è compiuta moltissimo anche grazie all'antico metodo del passaparola. Le tv satellitari, e in particolare al Jazira, hanno dato una buona mano, ma molti manifestanti affermano di esser stati informati delle varie ondate della mobilitazione dai propri vicini, dai familiari, da altri dimostranti che dalla strada urlavano: "Scendete! Scendete!".
"Per impedirci di venire qui hanno fermato i treni, hanno bloccato le strade, ma noi ci siamo e ci resteremo!", mi ha detto un insegnante di scuola elementare. Ho il taccuino pieno di slogan diversi. Ne riporto solo alcuni: "Basta con il governo di Israele imposto all'Egitto"; "Questa non è la rivoluzione del pane, è la rivoluzione per la libertà", "Mubarak e Obama? Il pagliaccio e il traditore".
Intorno alle 23 locali, il raìs prende la parola e appare in tv sull'emittente di Stato. Tra tanta retorica afferma che non si ricandiderà per le prossime elezioni presidenziali. Solo due ore prima, da Washington, il Dipartimento di Stato aveva per la prima volta abbandonato il suo uomo al Cairo chiedendogli di rinunciare al sesto mandato.
A piazza Tahrir pensano che il discorso letto da Mubarak sia stato rivisto dalla Casa Bianca. In ogni caso, la sostanza non cambia: "Vattene! Vattene! Vattene!", urla la piazza al termine del discorso tv. E mi torna alla mente, a chiusura di questa ennesima intensa giornata, un dentista del Cairo che sorridendo stamani mi aveva detto: "Ogni generazione ha la sua guerra. Questa è la nostra. Pacifica. Senza violenza".


Per Europa Quotidiano

Lorenzo Trombetta


IL CAIRO - Un bambino di poco più di dieci anni tiene un cartello in mano su cui è scritto: "Mubarak vattene, perché sono stanco di tenere in mano questo cartello". A una settimana dalla prima ondata del'"Intifada della collera", l'Egitto pacifico che vuole il cambiamento è riuscito a portare nel centro del Cairo circa due milioni di persone, che dalla mattina sono affluite passeggiando verso piazza Tahrir, riempendola come non lo era mai stato prima.
Su alcuni organi di stampa stranieri inizia a circolare voce che la scena sia dominata dai "barbuti", dai Fratelli musulmani, ma la maggior parte dei manifestanti non mostra barbe lasciate crescere secondo il precetto integralista né ci sono solo donne velate. E' un fiume di gente comune, di famiglie, di persone sole che finalmente dicono di aver trovato compagnia e senso di condivisione. "In questi giorni sto facendo degli incontri unici", afferma Ayman, ragazzo appena diplomato. "Se tutto è iniziato via Facebook, è in questa piazza reale che ci stiamo conoscendo".
Lontano da Tahrir, di fronte al ministero degli esteri, va in scena una mini manifestazione pro-Mubarak, a cui partecipano un centinaio di persone, alcune delle quali in divisa da poliziotto. Di ritorno in piazza invece, il servizio d'ordine controlla l'identità di chiunque entri nel perimetro. Due uomini chiedono i documenti: “Non vogliamo poliziotti perché cercano di infiltrarsi tra i manifestanti e aizzare disordini. La tv di Stato cita intanto il ministero degli interni, secondo cui negli ultimi sei giorni sono fuggiti dalle carceri ben 17.000 criminali, tra cui molti condannati per terrorismo. "E' la solita arma del regime", commenta Muhammad al Ghuthi, giornalista del quotidiano d'opposizione Masriyy al-Yawm (Egitto oggi), presente in piazza. "E' un messaggio all'occidente per dire loro: 'Vedete? Se lasciate cadere il regime avrete terroristi e fratelli musulmani'". E’ singolare che da quando migliaia di detenuti sono fuggiti dalle carceri, quasi sempre armati, nessun prigioniero politico, oppositore del regime, sia riuscito a lasciare la sua cella.
Seguendo a ritroso il flusso di manifestanti, si incontra un giovane che tiene in alto un cartello con l'immagine di Mubarak e di Obama. Cosa c'entra Obama? "Obama è un traditore", afferma laconico. Due donne espongono uno striscione: "Basta col governo di Israele per l'Egitto", mentre a Tahrir si distinguono anche dei dignitari religiosi di al-Azhar, considerata la madre di tutte le scuole di scienze islamiche sunnite. Con i loro copricapi cilindrici rossi e bianchi, questi mashaykha (pl. di shaykh) partecipano ormai integralmente alla protesta, ma le loro posizioni sono più prudenti: "Il generale (Omar) Suleiman (nominato vice presidente da Mubarak) è la miglior scelta per questo periodo", afferma lo shaykh Ali. "Noi vogliamo che Mubarak se ne vada, ma non vogliamo portare il Paese alla distruzione. Suleiman può dunque gestire la transizione e assicurare la stabilità".
Si avvicina una donna di mezza età, Noha, non velata, che se la prende con il religioso: "Questo non è l'Iran! Non abbiamo bisogno delle guide della rivoluzione! Io sono musulmana, moderata, sono egiziana e americana". La interrompe la sorella Hoda, più giovane: "Gli egiziani non sono morti come si pensava. E ora ne abbiamo la prova".
In piazza si discute molto dell'ultimatum lanciato a Mubarak e ai suoi uomini da Muhammad al-Baradei, premio nobel per la pace, ex direttore dell'Aiea e uno dei presunti leader della protesta: "Dimettiti entro venerdì". In piazza sono scettici: "Sì, e poi? Che strumenti ha Baradei per costringere il raìs ad andarsene?", si chiede Munir. "Perché aspettare fino a venerdì? Per dar tempo a Mubarak di far le valige con più calma?", ironizza Massud.
Poco dopo è il turno di discutere di una possibile ascesa di Ahmad Zuwayl, altro premio nobel egiziano (chimica) e appena giunto al Cairo dall'estero. Nonostante i manifestanti sembrano apprezzarlo più di Baradei, nessuno sembra veramente avere le idee chiare su come progettare l'eventuale post-Mubarak. Alla domanda "cosa volete dopo la sua caduta?", la maggior parte dei dimostranti risponde di voler "il cambiamento", di esser "pronto a sostenere chiunque sia eletto dal popolo", chiede "giustizia sociale", "lotta alla corruzione", "libertà", "democrazia". Un bambino, Omar di nove anni, accompagnato dalla mamma, ostenta sicurezza: "Voglio il cambiamento perché non abbiamo soldi e perché il cambiamento è bello". Omar non ha paura di scendere in strada: "C'è l'esercito che ci protegge. L'esercito è buono di natura".
All'ingresso occidentale della piazza, tre ragazzi hanno aperto un banchetto dove si vendono bibite e biscotti. Un manifestante domanda di poter avere Coca-Cola. Crede che le distribuiscano gratis, ma scopre che deve pagare cinque ghinee (meno di un euro) per averne una: "Vergognatevi, non si fa!", dice il giovane ai venditori improvvisati. Più in là invece il servizio d'ordine offre datteri, biscotti e té alla gente. Un dentista di quarant'anni soffia nel bicchiere di plastica, sorride e dice: "Ogni generazione ha la sua guerra. Questa è la nostra. Pacifica. Senza violenza". ****
 


ANSA/EGITTO: FRATELLI MUSULMANI, NON VOGLIAMO STATO ISLAMICO
INTERVISTA A PORTAVOCE, CRISTIANI STESSI NOSTRI DIRITTI

(dell'inviato Lorenzo Trombetta)


(ANSA) - IL CAIRO, 1 FEB - E' stato rinchiuso per tre giorni in una cella di una prigione politica del Cairo assieme ad altri membri della Fratellanza musulmana. Rilasciato l'altro ieri, Essam Eryan, portavoce del movimento islamico parla con l'ANSA da uno dei suoi uffici del Cairo mentre segue, in diretta tv e tramite i suoi collaboratori, la protesta in piazza Tahrir.
D.In Occidente si torna a ripetere in questi giorni che i Fratelli musulmani, se dovessero arrivare al potere in Egitto, creeranno uno Stato islamico. E' cosi'?
R. ''E' la solita filastrocca che gli Stati Uniti, Israele e i loro alleati ripetono al mondo per associarci all'oscurantismo e alla limitazione di liberta'. Non e' affatto cosi'. Non intendiamo creare nessuno Stato o emirato islamico in Egitto. Siamo prima di tutto musulmani e l'Islam e' religione del rispetto dell'essere umano prima di tutto. Lavoriamo per uno Stato dove ci sia giustizia sociale, democrazia, alternanza politica''.
D. Nell'eventualita' che il regime di Mubarak cada e che voi parteciperete al futuro governo, come intenderete comportarvi con la minoranza cristiana egiziana?
R. Riconoscendoli come cittadini egiziani con i nostri stessi diritti. In questi giorni, stiamo lottando fianco a fianco contro il regime e non vogliamo uno Stato confessionale. Rimarremo tutti uniti, musulmani e cristiani.
D. All'inizio della mobilitazione popolare avete mostrato un profilo basso, dimostrando maggiore apertura alla nomina del generale Omar Suleiman come vicepresidente. Oggi, affermate di non voler piu' avere contatti con Suleiman. Perche'?
R. Perche' e' chiaro che Suleiman sta con Mubarak fino alla fine. Da quando e' stato nominato vice presidente sta soltanto eseguendo le decisioni del rai's, senza prender le distanze.
D. Chi sostenete allora per un eventuale dopo-Mubarak?
R. Chiunque sara' eletto dal popolo. Chiunque realizzera' le aspirazioni del popolo.
D. Ma ciascuna formazione ha le sue priorita'.
R. Adesso siamo tutti uniti nel volere la caduta del regime e avanziamo le stesse richieste delle altre opposizioni. Quando ci saranno elezioni democratiche, presenteremo il nostro candidato. Anche se sara' sconfitto rispetteremo il verdetto delle urne.
D. Quanti dei vostri membri sono oggi in piazza?
R. Migliaia, tantissimi, ma siamo li' come egiziani, non come fratelli musulmani. (ANSA).
 

 


ANSA/EGITTO: QUALE FUTURO, LA PIAZZA FA INTERROGARE E SI INTERROGA
Commercianti pro Mubarak, professionisti vogliono elezioni
(dall'inviato Lorenzo Trombetta)


(ANSA) - IL CAIRO, 31 GEN - Il fantoccio di Mubarak fatto di cartone e con su scritto "il tribunale del popolo egiziano ti ha condannato a morte" è appeso al palo di un semaforo di Piazza Tahrir, dove ormai da una settimana decine di migliaia manifestanti si riuniscono per gridare "che cada il raìs", ma nelle strade che conducono alla piazza molti commercianti, che oggi hanno rialzato per qualche ora le saracinesche stigmatizzano le proteste e si dicono fedeli al presidente, "nostro padre".
"Non è vero che tutto l'Egitto vuole mandar via Mubarak", afferma Mohammed Abdel Rauf, contabile di una società di computer, che parla all'interno di un caffè distante poche centinaia di metri dall'ingresso di Tahrir. "Io e mio figlio non siamo scesi in strada e non scenderemo. Perché qui abbiamo bisogno di ordine e non di caos, non abbiamo bisogno di un successore di Mubarak, lui è come un padre per noi e ci protegge dai complotti degli americani".
Interrogato sul generale Omar Suleiman, ora vice presidente, Mohammad afferma di stimarlo perché "è una personalità rispettata che ha sempre servito il Paese". "Non mi piace invece - continua - quel (Mohammed el) Baradei che due giorni fa è venuto e vuole ora comandare. Quando stava con i suoi ispettori (dell'Aiea), non ha mica messo il naso nei reattori nucleari israeliani… quello è un uomo degli israeliani…".
Il padrone di un vicino calzolaio inizialmente non vuole parlare con un giornalista straniero "perché voi diffondete un'immagine sbagliata del nostro Paese, fate vedere solo il caos che questi balordi stanno creando in piazza". Se la prende con la tv satellitare al Jazira, che "sta aizzando la fitna (sedizione) e vuole far scoppiare la guerra civile in Egitto". Il calzolaio è però un fiume in piena e ha voglia di parlare: "Se credo al futuro di questo Paese? Certo, ho tre figli e spero che possano conoscere ancora per molto il governo di Mubarak, che in questo ultimo periodo è stato mal consigliato. Ma ora che si è liberato del ministro degli interni, sta rimettendo il Paese sul binario giusto. Io gli do fiducia".
Entra un cliente. E' un giovane manifestante che vuole riparare le scarpe. E appena sente le parole del proprietario del negozio insorge: "Il caos lo stanno creando quelli della polizia segreta, noi siamo pacifici. Usate il cervello, è tutta una montatura per metterci gli uni contro gli altri". Si chiama Mahmud, ha 30 anni e da "quattro giorni" è in piazza. "E' la rivoluzione per il nostro futuro, la rivoluzione per dare voce al popolo". Su Baradei: "Chiunque sia il successore (di Mubarak), l'importante è che
realizzi le nostre aspirazioni".
Tornando verso Tahrir s'incontra il proprietario di un negozio di stoffe. "Non sono sceso a manifestare e nemmeno i miei figli. Con tutta sincerità, Mubarak ci ha garantito il pane per tutti questi anni, ma questa rivoluzione ancora da fare cosa ci garantisce? No, no", afferma scuotendo la testa, "qui bisogna pensare alle cose concrete".
Le stesse a cui dicono di pensare marito e moglie che da giorni si trovano in piazza. Lei microbiologa in una clinica di oftalmologia, lui in pensione, siedono su uno dei muretti la mattina, mentre il pomeriggio si danno il cambio con i figli. "Il futuro del Paese? Solo con elezioni libere e democratiche", affermano all'unisono. "Non sappiamo se riusciremo a mandar via Mubarak, ma facciamo del tutto perché questo accada", dice la signora velata. "Baradei? Può essere l'uomo della transizione, ma non come presidente".
Un attivista del partito liberale Wafd, all'opposizione, fa autocritica e si augura che quest'opportunità di apertura democratica sia colta dai partiti anti-regime, "poco abituati al confronto reale". L'attivista parla mentre in fondo alla piazza, il fantoccio di Mubarak continua a penzolare dal palo verde del semaforo. (ANSA).
 


Per Europa Quotidiano, 31 gennaio 2010
Una delle auto bruciate della polizia è ancora lì carbonizzata nel mezzo di Piazza Tahrir da tre giorni e ora è usata come cassonetto delle immondizie. Zebala, nell'arabo del Cairo, significa "spazzatura" ma è anche uno dei nomi usati da tempo dagli abitanti della capitale egiziana per parlare i poliziotti.
I sacchi di immondizia che ingombrano quelli che un tempo erano i sedili dove sedevano gli agenti sono ammassati da un servizio d'ordine e pulizia organizzato dai manifestanti che fanno di tutto per dimostrare all'opinione pubblica interna e internazionale che la loro protesta, oltre che esser pacifica, non porta il caos e le violenze ma s'impegna perché sia rispettato l'ordine.
All'imbocco occidentale della piazza, subito dopo i due Leoni del ponte di Qasr an Nil, un cittadino-vigile, con in bocca il fischietto organizza il traffico. Dietro di lui un manifestante sventola senza posa la bandiera egiziana. Visti da lontano sembrano due ballerini che muovono le braccia in modo sincronizzato e si aggiungono a un terzo dimostrante, in giacca e cravatta, che poco più giù fa segno con le braccia di affluire in piazza. Accanto a lui una donna velata col niqab (che lascia scoperti solo gli occhi) tiene aperto un sacco di immondizia dove un altro manifestante riversa i detriti appena raccolti con la scopa.
Mentre in piazza ci si prepara a sfidare il regime e il suo coprifuoco per il quarto giorno consecutivo, arriva la notizia della formazione del nuovo governo, con nessun membro dell'opposizione e con un nuovo ministro degli interni, Mahmud Wagdi, già capo del dipartimento criminale investigativo ed ex direttore generale degli istituti di pena. Lo stesso che nei giorni scorsi avrebbe dato ordine ai suoi uomini di liberare migliaia di prigionieri e di armarli perché compissero saccheggi e violenze, a dimostrazione che "o il regime di Mubarak o il caos".
La piazza respinge la formazione del nuovo governo e già si parla di 250.000 persone pronte ad affluire a Tahrir. Per oggi è indetta la "manifestazione del milione", in corrispondenza con lo sciopero generale, che nella speranza dei manifestanti dovrebbe mettere il Paese, e dunque il regime, in ginocchio.
Dopo aver calato senza successo le carte degli scontri con la polizia (martedì e venerdì) e del caos creato da agenti in borghese (sabato, domenica), i vertici del potere sembrano ora voler reprimere la protesta riducendola alla fame: in molti quartieri popolari della periferia del Cairo e di altre città scarseggiano i beni di prima necessità, mentre le banche sono chiuse da giorni ed è impossibile accedere ai propri conti. "Ho cinque figli e razioni per soli tre giorni. I soldi scarseggiano… cosa farò quando non avremo più da mangiare?", s'interroga Mona, donna delle pulizie.
Nei quartieri più benestanti di Dokki e Zamalek si registrano lunghe file alle casse dei supermercati e ai benzinai, anche se per ora pane, carne e frutta sono ancora reperibili, "ma alcuni forni stanno raddoppiando il prezzo del pane".
Poco distante da Tahrir, verso le vie attorno all'elegante piazza di Talaat Harb, qualche negozio di abbigliamento e di scarpe ha riaperto. Da Saadawi, "alta moda", la saracinesca è aperta a metà. "Siamo aperti, ma siamo anche pronti a chiudere subito". Si passa per via Shaarawi e s'incontrano un paio di negozi che vendono da mangiare, con un capannello di gente intenta ad afferrare panini. Poco lontano una signora pela delle patate e poi rientra in un porta laterale, forse di un ristorante. In fondo alla via un banchetto di legno con sopra dei giornali e dei fazzoletti per il naso è gestito da un'altra signora anziana, giornalaia.
Di fronte, un negozio di spezie è aperto "fino alle due", poco prima dell'inizio ufficiale del coprifuoco, anticipato ogni giorno di un'ora. Accanto, un caffè ospita cinque signori che discutono della situazione: "(Omar) Suleiman (ora vice presidente)? Quello è uno di Mubarak… niente cambiamento".
Un calzolaio lavora alacremente e ha la fila di clienti. Uno di loro è un soldato, scalzo, in attesa che gli venga riparato il suo stivale. Posa il piede nudo e sporco su un pezzo di lana nero, il calzino. Dentro al negozio di legno, un signore ben vestito si lamenta del "caos causato dai manifestanti". "Io sono un contabile, un impiego normale, vivo in un quartiere normale, ma non posso vedere il Paese ridotto in questo modo… Mubarak? Lui che deve fare? Ha fatto quel che poteva, ha cambiato governo. Cosa vogliamo di più da lui? No… no…, non pensiamo a un successore, non pensiamoci, perché dopo di lui non sappiamo cosa possa venire… Baradei? Ah, mi fa ridere quello… sta con gli israeliani e con gli americani".
Tornando in piazza lo sguardo si alza verso l'alto, verso un palo di un semaforo a cui dei manifestanti hanno appeso un fantoccio di cartone raffigurante proprio Mubarak e con su scritto: "Mubarak, il tribunale del popolo ti ha condannato alla pena di morte"..

       

la NOTA di Giorgio Vitali

 

Fra le tante cronache sui fatti d'Egitto da noi raccolte, le seguenti ci sembrano quelle maggiormente equilibrate. Seguiranno altri commenti che noi ri-commenteremo cercando di dare loro la nostra interpretazione. Per il momento, da queste cronache emerge un quadro positivo della situazione. Dalla naturale confusione delle manifestazioni di piazza, che non hanno mai rappresentato alcunché di concreto negli eventi sempre drammatici che costituiscono cambiamenti di regime in tutti i paesi, le manifestazioni di piazza sono coreografie cinematografiche finalizzate a far credere che le rivoluzioni si facciano in piazza. le rivoluzioni non possono avvenire in piazza per la semplice ragine che riguardano sempre rapporti fra CLASSI DIRIGENTI che si avvicendano. Ciascuna delle quali portatrici (vedi Pareto, Mosca, Michels, Pantaleoni) di ideologie, proposte e soluzioni particolari. Ricordiamo alcune rivoluzioni degli ultimi tempi: La rivoluzione atlantica (americana) fu realizzata da classi dirigenti e si estrinsecò nella guerra contro l'Inghilterra, quella francese, madre di tutte le altre nel Continente, dopo la prima manifestazione apparentemente di piazza (Presa della Bastiglia) fu costituita da una lotta interna alla rappresentanza parlamentare, con guerre ai confini, inclusa anche la repressione della Vandea. La rivoluzione russa, descritta da un solo film del grande regista Eisenstein, fu una guerra campale fra gli eserciti dell'Armata Rossa contro le Armate dei Bianchi sostenute dagli occidentali, si concluse poi lo scontro di carattere nazionalistico fra ebrei e caucasici con la vittoria di questi ultimi e conseguenti purghe staliniane, finite proprio con l'inizio del secondo conflitto mondiale (assassinio di Trotzkij-Bronstein nel 1940). La rivoluzione fascista, conclusasi dopo due anni di scaramucce a livello provinciale, non senza notevole spargimento di sangue, si concluse con una grande parata a Roma (Marcia su Roma) espressione di grande consenso popolare perchè il fascismo interpretava la Vittoria del 1918 ed il riscatto del valore italiano dopo tante cocenti sconfitte, non ultima, Adua, 1896, molto sentita dal popolo, come quella di Lissa, di cui fu espressione lo scrittore Giovanni Verga. Dopo di questa, gli altri grandi rivolgimenti (dalla guerra civile spagnola alle guerre di liberazione coloniale) sono state essenzialmente guerre guerreggiate, di riflesso delle Grandi Potenze. Forse l'unito tentativo di Rivoluzione di Piazza fu la Rivolta Ungherese, che fece molti morti compresa la classe dirigente nazional-comunista di quel paese.

Quali potrebbero essere le conclusioni da trarre da quanto sta accadendo? A nostro avviso, la trasformazione dell'area mediterranea è in atto. Come sempre, la prima scintilla parte da coloro che, nell'intenzione di conservare il conservabile, scatenano la folla per poterla reprimere. ma il più delle volte sbagliano obiettivo. Oggi tutta l'Africa e quindi il Mediterraneo, è scossa dalla presenza cinese nel Corno d'Africa. Ed i vecchi equilibri non reggono più, anche a causa della profonda crisi del pseudo Impero amerikano. Potrebbe essere una grande occasione per i paesi del Sud Europa. Certamente non dell'Inghilterra.

G.V.