La "Difesa Servizi Spa"
Considerazioni sulla privatizzazione nel
settore logistico delle forze armate
il commento di Giorgio Vitali
L'articolo che segue, quanto
mai completo e convincente, non a caso scritto da un esperto del
settore, l'amm. Falco Accame, firma molto nota nell'ambiente
militare e politico, ci da un quadro esaustivo non solo di "quanto
bolle in pentola", ma di quanto il sistema industriale degli
armamenti incida nell'economia del nostro paese come in quella di
tutti gli altri paesi del mondo, siano essi più o meno globalizzati.
È un fatto non precisamente piacevole, anzi è proprio il contrario,
ma tant'è!
[Scrive Erodoto: La Pace è l'epoca in cui i figli seppelliscono i
padri; la Guerra è l'epoca in cui i padri seppelliscono di figli]
Pertanto, la conclusione è una sola: quando si entra nel pieno della
discussione politica (INTERNA ED ESTERA) è del tutto inutile
dilungarsi in polemiche di stampo moralista, di tipo pacifista o
pseudo nazionalista (facciamo le guerre degli altri... atlantici in
testa). Per essere creduti bisogna entrare nella concretezza del
problema. E saper scegliere soluzioni autenticamente differenti da
quelle del Sistema o del Governo che si intende criticare. [Il
Sistema tiene SEMPRE in mano qualsiasi Governo!]
In questi giorni è di nuovo alla ribalta la polemica legata alla
morte in campo di battaglia di due uomini del nostro contingente
militare in Oriente. Pertanto, la maggior parte dei polemizzanti,
nel criticare le scelte di governo per l'invio di tale contingente,
accusa i nostri governanti, soffermandosi sull'aspetto più
appariscente, cioè sui legami che ci tengono avvinti al Sistema
Occidentale, che ci sono ma esistono solo di copertura, ignorando
invece gli aspetti più concreti e cogenti, che sono quelli di usare
armi di nostra fabbricazione, mostrarne apertamente la "consistenza"
nella speranza di poterle vendere a chiunque. (E ripeto:chiunque).
È noto che l'Italia è uno pei più grandi produttori di mine, ma non
mi risulta che finora nessun "pacifista" sia riuscito a distogliere
l'industria italiana dalla loro produzione. Al contrario... Spesso
basterebbe dedicare anche solo qualche minuto di riflessione alle
notizie filtrate dai Media, per capire che dietro a certi
avvenimenti, come la scomparsa di qualche giornalista, la
fucilazione di qualche "guardia del corpo", il rapimento di qualche
altro personaggio apparentemente "innocuo" si cela la concorrenza
nella vendita di armi, lo spionaggio industriale o più semplicemente
il gioco delle tre carte di organizzazioni internazionali più o meno
governative, più o meno private.
Ad esempio, in Afghanistan, come dichiarato di recente da Daniel
Estulin, autore del noto libro sul Bildelberg, o dal generale
Ivashov, dell'Accademia moscovita di Geopolitica, l'intreccio è
complicato dai differenti ruoli giocati dalla produzione agricola di
droga, della quale il principale utilizzatore è la CIA, che la usa
per il controllo della popolazione mondiale.
Ma non è solo questo! La questione è ulteriormente aggravata
dall'accettazione da parte di molti paesi di NORME INTERNAZIONALI
UMANITARIE per cui esiste un controllo a monte che, ovviamente, è
svolto o non è svolto a seconda delle opportunità di geopolitica.
Se pensiamo che buona parte della tratta di schiavi o pseudo tali è
finalizzato al traffico della droga, come è emerso, ma solo di
sbieco, nel caso Marrazzo di cui ancora non si capisce bene il
bandolo, possiamo capire cosa significa per uno Stato essere
presente in un conflitto come quello afghano.
E qui l'asservimento agli interessi anglo-amerikani c'entra ben
poco. Anzi, non c'entra per nulla. (Ci è già accaduto altre volte:
in Somalia, in Libano, in Iraq, ove la strage di Nassirya non è
stata mai chiarita).
Infine, ricordiamo che le forze armato necessitano di addestramento
SUL CAMPO. Nessun esercito può essere credibile, ed il nostro meno
degli altri per i precedenti che conosciamo, se non ha del personale
allenato in territorio bellico, e presumibilmente in ambiente nel
quale si prevede possano aprirsi ulteriori scenari di guerra.
CONCLUSIONE: quanto scritto non significa che si debba percorre ad
aeternum la stessa strada. Tuttavia è bene ricordare che in politica
le astrattezze servono a molto poco. Se intendiamo pensare ad un
futuro italiano di indipendenza (possibilmente in un'Europa "libera"
da ingerenze atlantiche) dobbiamo pensare ad un'Italia ARMATA con un
Esercito efficiente ed addestrato. Non c'è scampo!
Va ricordato che, nella generale falsificazione da cui sono coperti
gli anni 1943-45, un dato è certo: le nostre industrie hanno
lavorato a pieno ritmo per la guerra fino alla fine di questa. Con
pochissimi tentativi sciopero da parte di maestranze che erano ben
contente di poter lavorare... per l'ASSE! È grazie a queste
industrie ed a queste manovalanze che è stata possibile la
"ricostruzione" ed il "Miracolo italiano".
Giorgio Vitali
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La "Difesa Servizi Spa" è un organismo per ora largamente sconosciuto, che nasce
con la Legge Finanziaria n. 191 del 23.12.2009 e che dovrebbe costituire una
innovazione nella struttura delle Forze Armate. In merito, nella citata
finanziaria, si legge quanto segue:
Al par. 27: «Ai fini dello svolgimento dell'attività negoziale diretta
all'acquisizione di beni mobili, servizi e connesse prestazioni strettamente
correlate allo svolgimento dei compiti istituzionali dell'Amministrazione della
Difesa e non direttamente correlate all'attività operativa delle Forze Armate,
compresa l'Arma dei Carabinieri, da individuare con decreto del Ministro della
Difesa di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, nonché ai fini
dell'articolo 7 della legge 24 dicembre 1985, n. 808, nonché delle attività di
valorizzazione e di gestione, fatta eccezione per quelle di alienazione, degli
immobili militari, da realizzare anche attraverso accordi con altri soggetti e
la stipula di contratti di sponsorizzazione, è costituita la società per azioni
denominata "Difesa Servizi Spa", con sede in Roma. (…) le azioni della Società
sono interamente sottoscritte dal Ministero della Difesa e non possono formare
oggetto di diritti a favore di terzi».
Al par. 32 si legge: «La società di cui al comma 27, che è posta sotto la
vigilanza del Ministro della Difesa, opera secondo gli indirizzi strategici e i
programmi stabiliti con decreto del medesimo Ministero, di concerto con il
Ministero dell'Economia e delle Finanze. La medesima società ha ad oggetto la
prestazione di servizi e l'espletamento di attività strumentali e di supporto
tecnico-amministrativo in favore dell'Amministrazione della Difesa per lo
svolgimento di compiti istituzionali di quest'ultima».
Al par. 34: a proposito dello Statuto della "Difesa Servizi Spa" si precisa tra
l'altro: «… la nomina da parte del Ministro della Difesa dell'intero consiglio
di amministrazione e il suo assenso alla nomina dei dirigenti; le modalità per
l'esercizio del "controllo analogo" sulla società, nel rispetto dei princìpi del
diritto europeo e della relativa giurisprudenza comunitaria; le modalità per
l'esercizio dei poteri di indirizzo e controllo sulla politica aziendale;
l'obbligo dell'esercizio della attività societaria in maniera prevalente in
favore del Ministero della Difesa».
Al par. 35: «Gli utili netti della società sono destinati a riserva, se non
altrimenti determinato dall'organo amministrativo della società previa
autorizzazione del Ministero vigilante. La Società non può sciogliersi se non
per legge».
Di fronte alla nascita di questo organismo c'è da chiedersi innanzitutto se
costituisca qualcosa di interamente nuovo oppure possa considerarsi come legato
a un retroterra già esistente al quale fa riferimento. Pare che questo
retroterra possa essere, almeno in parte, assimilato a quello del "Complesso
militare-industriale".
Infatti la "Difesa Servizi SpA" può probabilmente essere intesa come una
protesi, un supplemento, un ampliamento del complesso militare industriale, una
"annessione" caratterizzata anche da un connotato politico.
Si afferma che la "Difesa Servizi SpA" riguarda il settore logistico, un settore
che peraltro inevitabilmente si intreccia col settore operativo. Si tratta
comunque di un ambito vastissimo, che va dall'approvvigionamento di strutture
come caserme, di mezzi meccanici, automezzi, combustibili, viveri, indumenti,
materiale di casermaggio, di arredamento uffici e alloggi, alla gestione di
istituti, enti, scuole, centri di addestramento, centri di trasmissione,
pubblicazioni, magazzini, arsenali, parti di ricambio. E molte altre attività
che comunque sono descritte nella legge di "bilancio della Difesa".
Anche se è difficile capire come potrà configurarsi la suddetta "Difesa Servizi
SpA", è chiaro comunque che si creerà una rete di rapporti tra sfera militare,
sfera della produzione e sfera politica e che quindi si produrrà un
allacciamento, come sopra accennato, alla problematica dei legami con il
complesso militare industriale.
È quindi partendo da questa problematica che possiamo cercare di capire quali
potranno essere le caratteristiche del nuovo organismo. [1]
1) In cosa consiste il complesso militare industriale.
Per chiarire in cosa consiste il Complesso militare industriale, possiamo
partire dalla definizione che ne ha dato anni orsono l'economista USA S. Melman
[2], secondo cui l'industria militare può operare in base a due possibilità:
a) «una situazione di concorrenza tra le imprese fornitrici del Ministero della
Difesa» in cui «queste imprese -appaltatori diretti e subappaltatori- sono anche
giuridicamente e economicamente autonome dal Ministero della Difesa»;
b) una situazione in cui «gli appaltatori diretti sono giuridicamente delle
imprese autonome, ma economicamente non sono che delle sezioni del Ministero
della difesa. È in questo secondo caso che si parla di "Complesso Militare
Industriale» (CMI).
Il complesso nacque negli Stati Uniti agli inizi degli anni '60 e venne promosso
dall'allora Segretario del Ministero della Difesa, Robert Mac Namara.
Nel complesso militare industriale:
a) le decisioni fondamentali (quantità e tipi di prodotti, prezzo del prodotto,
raccolta del capitale, ecc.) sono prese all'interno del Ministero della Difesa;
b) i dirigenti dell'impresa si specializzano nella gestione della produzione
piuttosto che nella ricerca di nuovi mercati;
c) la produzione dell'impresa deve soddisfare certi requisiti molto specifici, e
ciò fa passare in secondo piano la minimizzazione dei costi e la connessa
massimizzazione dei profitti. L'obiettivo fondamentale dell'impresa del CMI
sembra essere in effetti "il mantenimento e l'allargamento dei sussidi
governativi". [3]
Per capire il meccanismo che viene messo in essere con la creazione del
Complesso militare industriale è importante tener presente che il capitale viene
investito di preferenza nella produzione di armi e nel commercio di armi perché
in questi settori la realizzazione del valore prodotto è garantita dalle
commesse governative. Inoltre l'insorgere di conflitti e tensioni internazionali
fornisce un alimento per l'esistenza di questo apparato. L'apparato logistico
segue naturalmente le decisioni prese nel settore degli armamenti («l'intendenza
segue» diceva, notoriamente, Napoleone).
Il capitale finanziario (il capitale produttivo di interesse) finanzia, la
produzione di armi e il commercio di materiale bellico perché è possibile
portare a termine speculazioni finanziarie di vario tipo e comunque ottenere
saggi di interesse elevati.
Questa è la base economica in cui si sviluppa il Complesso militare-industriale
e che vede ovviamente un fondamentale coinvolgimento delle banche e che rende
possibile anche un allargamento nell'ambito politico.
Circa i legami del complesso militare industriale con la produzione di armamenti
è bene tener presente che, come scrive M. Pivetti [4]:
«A differenza poi che per qualsiasi altro bene, capitale e di consumo, non si
pone per gli armamenti alcun problema di produzione in eccesso rispetto a
fattori come l'ammontare della popolazione o l'estensione del territorio. [5] È
del tutto indifferente per il sistema economico che successivamente alla
produzione e all'acquisto gli armamenti siano impiegati, immagazzinati o
semplicemente distrutti. La spesa militare può quindi essere ripetuta
indefinitivamente a livelli che incontrano solo il limite posto dalla capacità
produttiva di volta in volta disponibile dei settori direttamente e
indirettamente interessati».
In Italia il complesso militare industriale ha avuto un particolare sviluppo nel
settore del commercio delle armi, tanto che l'Italia è stata considerata
"l'albergo spagnolo" per la vendita di armi. Infatti il settore ha operato con
molti limiti nella trasparenza. Tra la produzione bellica italiana più venduta
all'estero è stata quella riguardante il settore delle mine, e in particolare
delle mine antiuomo. Questo tipo di vendita ha avuto un riflesso negativo
sull'immagine dell'Italia all'estero. Ma questa attività subì un brusco calo
qualche anno or sono con la proibizione in campo internazionale, delle mine
antiuomo».
L'Italia ha venduto grandi quantità di armi anche a paesi per i quali esisteva
un "embargo" internazionale, come ad esempio il Sud Africa.
Il problema degli armamenti e della sua scarsa trasparenza è stato oggetto anche
dell'interesse delle Nazioni Unite che a suo tempo proposero l'istituzione di un
"registro degli armamenti". [6]
2) I pericoli del complesso militare industriale
Il complesso militare dunque non è esente da riflessi negativi. In merito è
interessante ricordare quanto disse, il 17 gennaio 1961, in proposito, il
Presidente degli Stati Uniti Generale Eisenhower nel suo discorso di congedo
dalla Presidenza degli Stati Uniti. In questo discorso Eisenhower menzionò il
Complesso militare-industriale e così si espresse in merito alle sue
implicazioni: «... dobbiamo guardarci, nei consigli del governo, dalla
ingiustificata influenza volontaria o involontaria, del Complesso
militare-industriale poiché esiste, e continuerà a persistere la disastrosa
crescita di un potere mal riposto. Non dovremo mai permettere che il peso di
questa coalizione metta in pericolo la nostra libertà e la nostra democrazia.
Non dobbiamo mai accettare nulla come scontato, e soltanto dei cittadini attenti
e consapevoli potranno imporre un giusto equilibrio fra la vasta macchina
industriale e militare ed i nostri fini e metodi pacifici, in modo che la
sicurezza e la libertà possano prosperare insieme». [7]
In sostanza Eisenhower sentiva il bisogno di mettere in guardia il paese da un
pericolo che egli aveva avuto modo di individuare come militare e come
presidente e sul quale riteneva indispensabile richiamare l'attenzione di tutti
gli americani.
Il pericolo di una crescita del complesso militare industriale in America era
anche derivato dalla valutazione dei gravi pericoli che si profilavano e per gli
Stati Uniti e che erano stati individuati già negli anni '60 dagli analisti del
Pentagono. Tali valutazioni portarono, tra l'altro, nel '61, il Presidente
Kennedy a concepire la teoria delle "due guerre e mezzo". Secondo questa teoria
gli Stati Uniti avrebbero dovuto avere forze sufficienti per condurre
simultaneamente due guerre su vasta scala, una in Europa e una in Estremo
Oriente e nel contempo per affrontare un conflitto limitato (la mezza guerra) in
qualche altra parte del globo.
In proposito è bene non dimenticare che in Vietnam si presentò per gli USA il
pericolo costituito dalla "guerra di guerriglia". Il Vietnam divenne anche un
terreno di verifica delle nuove armi e delle azioni tattiche di
controinsurrezione. Una simile situazione favorì la crescita e lo sviluppo del
complesso militare industriale. [8]
Secondo John K.Galbraith [9]:
«I comitati parlamentari incaricati di un controllo sulle attività delle forze
armate e sulle forniture a esse destinate, debbono ovviamente divenire oggetto
di speciali sforzi. Attualmente, eccezion fatta per taluni loro esponenti,
questi comitati svolgono la mera funzione di timbri di approvazione asserviti ai
militari. Tanto è vero che alcune personalità liberali si sono dimostrate
riluttanti, allorché si è trattato di entrare a far parte di tali combriccole.
(…) Questa non è una crociata antimilitare. L'attacco non si rivolge contro i
generali, gli ammiragli, i soldati, i marinai o gli avieri. Il suo scopo è di
restituire l'ente militare al ruolo che tradizionalmente ricopre nel sistema
politico americano, giacché esso mai è stato destinato a divenire un
potentissimo comproprietario dell'industria degli armamenti; e nemmeno è stato
costituito per divenire la voce guida in fatto di politica estera. I generali e
gli ammiragli assurti a fama prima dell'ultimo conflitto mondiale, avrebbero un
moto di stupore e finanche di orrore, nel vedere che i loro successori nella
professione militare sono in realtà esponenti commercial della General Dynamics».
3) Il problema del controllo sul "complesso militare industriale"
Il problema della possibilità di controllo politico sul complesso militare
industriale rientra, per le Democrazie, nel più generale contesto del problema
di controllo politico parlamentare sull'ambito militare, un problema per inciso
che è stato messo in evidenza dal generale Von Clausewitz nella sua celebre
formula secondo cui l'ambito militare, l'ambito della guerra, è la continuazione
dell'ambito politico con altri mezzi. Clausewitz nella sua "formula" mette in
evidenza il primato che deve avere l'ambito politico su quello militare. Un
principio, come si è detto, ormai fatto proprio non solo dai paesi democratici
ma anche in quelli in cui si è affermato il marxismo. Questo ultimo aspetto
viene evidenziato dal sociologo F. Battistelli nella sua opera "Esercito e
Società borghese". [10] Battistelli cita anche in proposito i saggi di Marx
Engels, Kausky, Lenin, Trotskij, Togliatti, Gramsci e altri e si sofferma sulla
lettura che Lenin fece dell'opera di Clausewitz "Della Guerra".
In particolare per ciò che riguarda il problema del controllo politico
sull'ambito militare scrive Battistelli: «Quanto all'influenza di Clausewitz su
Lenin, è ben noto quanto questi apprezzasse Clausewitz, ma la conoscenza diretta
del polemologo tedesco avvenne quando la formazione di Lenin era compiuta (la
certezza della lettura del Vom Kriege, testimoniata dal citato quaderno di note
di Lenin non va oltre il 1915). Ciò che non esclude che tutta una serie di
osservazioni di Clausewitz siano state tenute presenti e utilizzate da Lenin
nella sua elaborazione politica. È da notare, a quest'ultimo proposito, che
quello che di Clausewitz Lenin ha approvato ed eventualmente recepito,
appartiene alla dimensione politica della visione clausewitziana, e non a quella
strategico-militare. In Clausewitz, Lenin cerca le intuizioni politiche (come
quella della natura politica e "commerciale" della guerra, non i fondamenti di
"una nuova scienza militare? (ambito del quale, fra l'altro, Lenin non si reputa
un esperto)».
In relazione a quanto precede, appare evidente che esiste in Italia un problema
del controllo a livello governativo e in particolare da parte del Ministero
della Difesa (ma non solo, in quanto sono certamente coinvolti in questa
tematica vari altri Ministeri, come ad esempio il Ministero dell'Economia, degli
Esteri, dell'Interno). Inoltre, ovviamente, il problema del controllo si pone
anche a livello del Parlamento.
In proposito è bene ricordare che nel Parlamento venne istituita una Commissione
d'inchiesta, la Commissione Ariosto (dal nome del suo Presidente, On. Egidio
Ariosto). La Commissione venne istituita con la L. 865 del 18 dicembre 1980.
Da notare che alla Commissione fu concesso peraltro un solo anno di tempo per
svolgere i suoi lavori. Il titolo della legge istitutiva fu il seguente:
"Istituzione di una commissione d'inchiesta di studio delle commesse di armi e
mezzi ad uso militare e sugli approvvigionamenti".
La commissione indagò su vicende sconcertanti, tra cui quelle riguardanti la
concessione per le costruzione di cacciamine alla ditta Intermarine che aveva il
suo cantiere nel retroterra del fiume Magra e quella riguardante una commessa di
scarpe di ginnastica per l'Esercito.
In merito alla prima vicenda venne accertato tra l'altro che i cacciamine non
avrebbero potuto giungere in mare perché tra il cantiere e il mare si trovava un
ponte che ne impediva il passaggio. Per quanto riguarda la seconda vicenda,
quella delle commesse di scarpe da ginnastica (ben 200 mila pezzi)
approvvigionati dalla ditta Lotto per l'Esercito Italiano, si scoprì, tra
l'altro, che in realtà erano state fabbricate in Corea.
Purtroppo, come si è detto, questa commissione (che a parere dello scrivente
dovrebbe essere una commissione permanente di controllo del Parlamento), ebbe
vita per un solo anno ed è facile intuirne i motivi.
Per quanto riguarda le possibili modalità di controllo, scrive il sociologo F.
Battistelli [11]: «Nel sistema politico italiano (anche se non solo italiano) il
ministro è responsabile dell'indirizzo politico ma non della sua esecuzione: il
ministro cioè "governa" ma non "amministra"». Questo è oggi un dato di fatto, al
di là di ogni progetto o valutazione di carattere soggettivo, al quale hanno
contribuito la dilatazione dell'intervento statale, la progressiva
politicizzazione dell'apparato amministrativo. Due sono le conclusioni del
dibattito politico e costituzionale su cui si basa la nostra analisi:
1) sempre meno l'amministrazione tende a controllare l'area politica, sociale ed
economica, nei cui contenuti opera e sempre più tende a rappresentarla.
(sottolineatura mia, ndr).
2) a sua volta il responsabile politico dell'amministrazione, cioè il ministro
sempre meno controlla e sempre più rappresenta l'amministrazione cui è
preposto". (sottolineature mie, ndr).
Aggiunge Battistelli: «Persiste altresì tra Ministero e apparato amministrativo
una interazione che sempre meno può definirsi dialettica e che sempre più si
configura come una vera e propria dipendenza dell'organo politico da quello
amministrativo».
È in quest'ottica che probabilmente va analizzata la questione del progetto
della "Difesa Servizi SpA". Infatti ne potrà derivare un mutamento nelle
possibilità del controllo politico.
Peraltro va tenuto presente che finora il controllo politico è stato esercitato
praticamente solo sotto l'aspetto formale e contabile.
Circa la capacità del controllo politico in questo settore, vi è chi ha espresso
anche dei giudizi più drastici, come lo storico G. Rochat, secondo cui in Italia
«il controllo politico sulle forze armate non c'è mai stato». [12]
Scrive Massimo Bonanni nella succitata opera collettiva, "Il potere militare in
Italia", a riprova di quanto sopra, che per quanto riguarda le spese militari:
«in Italia si incontrano minori resistenze nelle sedi parlamentari rispetto a
quelle relative ad altri settori perché spesso non si urta contro interessi
precostituiti ed anzi si trovano elementi di convergenza in merito». Vediamo a
proposito, a conferma di questa tesi, che pressoché unanimi consensi
parlamentari che si sono registrati negli anni recenti circa l'impiego di forze
militari in missioni all'estero.
Sempre secondo Bonanni, «il Ministro a cui venga affidato il dicastero della
Difesa ha di fronte a sé due possibili alternative: di imporre una sua politica
agendo contro la tecnostruttura (variandone le regole del gioco e creando una
organizzazione alternativa) oppure di allearsi completamente alla tecnostruttura
recependone i valori e gli obiettivi. (…) e divenendone in ultima analisi il
portavoce al Consiglio dei Ministri e al Parlamento».
Il problema del controllo degli armamenti è stato oggetto di numerose proposte
di legge.
Lo scrivente avanzò una proposta di legge nel 1977 dal titolo "Norme per il
controllo sull'esportazione degli armamenti", a firma anche degli onorevoli
Codrignani Giancarla, Milani, Spinelli e Fracanzani. Tale proposta fu fortemente
avversata nell'ambito del complesso militare industriale.
In merito F. Battistelli richiama in un suo libro [13] uno scritto dell'Ing.
Stefanini, presidente dell'Oto Melara pubblicato sulla rivista Aviazione di
linea Difesa e spazio (1977 n. 113 pag. 161), nel quale si legge: «Ogni proposta
di intensificare il controllo sulle esportazioni belliche -come quella
presentata dalla Camera da Accame ed altri nel 1977- è dunque accolta con
estremo allarme dagli industriali».
Con riferimento al succitato scritto aggiunge Battistelli: "Vede onorevole -dice
ad Accame l'ingegner Stefanini nel corso di un dibattito destinato a rimanere
negli annali del nascente complesso militare industriale italiano per la qualità
degli interventi e per la spregiudicatezza della discussione- noi abbiamo
seguito il suo progetto di legge e ci siamo spaventati, perché già con le leggi
che ci sono ora ci troviamo in grande difficoltà; è talmente difficile esportare
che ci sembra che una recrudescenza delle norme ci renderebbe la vita pressoché
impossibile»...
Per scongiurare la minaccia di limitazioni all'esportazione, Battistelli ci
ricorda che l'ingegnere Stefanini fa appello alla responsabilità rappresentata
dalle 10 mila famiglie che vivono sulla produzione militare delle sue due
aziende. «Noi siamo povera gente che senza nessun aiuto, né del governo né di
nessun altro, teniamo in piedi le nostre aziende e cerchiamo di tenere questi
posti di lavoro -assicura ad Accame Stefanini- Lei non ci deve guardare come dei
fanatici mercanti di cannoni, assolutamente no, noi siamo della gente che cerca
del lavoro e basta». «Per noi -conclude Stefanini- i mille carri armati o i
cento carri armati o i 10 missili rappresentano ore di lavoro (...) Se potessimo
veramente fare trattori, le do la mia parola che preferiremmo fare trattori».
4) Gli effetti collaterali
Si è già fatto cenno ad alcuni aspetti di questa problematica, ma possiamo
indicarne altri che hanno lasciato una traccia nel nostro Paese.
Pensiamo ad esempio al grave problema delle tangenti che si è creato in ambito
del commercio di armi. Ad esempio nello scandalo Lockheed [14], concernente la
vendita di aerei di tale ditta all'Italia. Possiamo ricordare quanto ha scritto
in proposito il Gen. Nino Pasti [15]: tutto l'affare Lockheed dimostra in
maniera molto esplicita come un Capo di Stato Maggiore di Forze Armate in
accordo con il Ministro della Difesa ha un potere decisionale incontrollato e
assoluto nell'acquisto di materiali d'armamento anche quando questi non servono
alla difesa del paese, anche quando sulle richieste si inseriscono fatti
illeciti.
Pensiamo, per quanto riguarda invece la vendita di armi dall'Italia ad altri
paesi, alla tangente di 180 miliardi di vecchie lire che venne pagata
dall'Italia per vendere una flotta di navi all'Iraq (si tratta di quattro
fregate, sei corvette e un rifornitore di squadra). La maxitangente venne
denunciata dallo stesso ministro della Difesa pro-tempore, On. Spadolini.
Potremmo altresì citare la vendita di una grandissima quantità di armamenti alla
Libia nel 1973. Una vicenda che ebbe anche pesanti conseguenze processuali.
Per quanto riguarda gli effetti collaterali coinvolgenti il campo economico è da
menzionare il fatto che la produzione bellica produce effetti inflazionistici.
Potremmo in proposito citare quanto affermò l'economista F. Caffé in un suo
scritto "Armamenti e inflazione" a proposito di alcune critiche negli USA alla
politica degli armamenti.[16]
Un altro aspetto degli effetti collaterali riguarda la "trasmigrazione" di
personale militare nell'industria bellica. È successo infatti che numerosi
militari, specie di alto grado, lasciassero il servizio per passare
all'industria bellica. È un problema che ha avuto origine negli Stati Uniti già
nel 1969-70. Vedi il rapporto Edward Hebert. Hebert in cui venne proposta una
legge che poneva delle limitazioni al passaggio di militari nell'industria
bellica.
Circa il passaggio di militari nell'industria bellica, scrive Claude Moisy17:
"Il pericolo non consiste soltanto nell'influenza che i "generali-businessmen"
possono esercitare a beneficio delle industrie belliche. la prospettiva di un
impiego altamente remunerativo può indurre un ufficiale superiore che abbia
grosse responsabilità nell'attribuzione o nella gestione dei contratti di
appalto a dar prova di "comprensione" nei confronti della società con la quale
si trova a trattare. Non è raro infatti che una ditta assuma, al momento del
congedo, il generale o l'ammiraglio incaricato dell'esecuzione di uno dei suoi
programmi...." ..."il generale Earle Wheeler, Capo di stato maggiore interarmi,
non condivide però le apprensioni del senatore Proxmire e di altri parlamentari
di fronte al reclutamento massiccio di ufficiali per le industrie belliche.
"Secondo me, sono pochissimi coloro che cercano di approfittare della loro
vecchia posizione nelle forze armate per venderci materiale bellico – dichiarò
un giorno baldanzosamente a Warren Rogers, corrispondente del Look di
Washington. – I nostri ufficiali non sono dei mercanti".
In Italia il fenomeno ha avuto un ampio sviluppo [18]. Basti in proposito citare
il caso di un Segretario generale della Difesa, responsabile perciò dei
contratti tra Difesa e Industria, che passò direttamente da questo incarico ad
un incarico di rilevantissimo livello in una delle più grandi industrie di
armamento bellico italiano [19].
In Parlamento sono state avanzate proposte per limitare il fenomeno [20].
Un altro aspetto della questione riguarda le modalità di sicurezza (in
particolare concessione del Nos – nullaosta di sicurezza/segretezza) che
potranno essere stabilite nei riguardi delle ditte facenti parte della "Difesa
Servizi Spa".
Questa questione tocca il tema della selezione delle ditte autorizzate a fornire
approvvigionamenti alla Difesa. A queste ditte deve essere infatti concesso il
nullaosta di sicurezza/segretezza (il NOS). Finora questo "lasciapassare" è
stato rilasciato dall'UCSI (ufficio centrale di sicurezza, ribattezzato UCSE
nella L. 124/2007). Tra l'altro la procedura di rilascio del Nos a ditte
fornitrici della Difesa ha già in passato suscitato non poche perplessità. La
questione è stata anche oggetto di esame da parte del Copaco (il Comitato di
controllo parlamentare sui servizi segreti e sul segreto, attualmente
ridenominato Copasir). Ad esempio nella relazione del Copaco del 6 aprile 1995
(pag. 40) a firma dell'On. Massimo Brutti si legge che "è necessaria una
profonda revisione alla procedura attinente al Nos".
Altra problematica, ancora, riguarda l'influenza che può essere esercitata dai
Servizi Segreti nel settore.
Può essere interessante ricordare in merito che in Italia anche i Servizi
Segreti vennero a suo tempo interessati a promuovere la vendita di armi. Venne
prodotta anche una circolare per gli addetti militari accreditati all'esterno,
contenente l'invito a compiere ogni azione di sostegno alla esportazione bellica
italiana.
Scrive in proposito F. Battistelli nella citata opera "Armi: nuovo modello di
sviluppo" (pag. 260-61): "Per quanto riguarda i servizi segreti, dopo una pausa
succeduta al 'suicidio' del colonnello Rocca responsabile dell'ufficio 'Rei' del
Sifar e grande patrono dell'industria militare italiana, un nuovo dinamismo
viene impresso dalla direzione del nuovo ufficio 'Ri.S.' (Ricerca e Sviluppo,
n.d.r.) ad opera del generale Michele Correra. Lasciando l'incarico nel 1975 il
Generale Correra appoggia la nomina di un suo successore destinato
istituzionalmente ad un ruolo di primo piano nel comitato interministeriale che
decide delle licenze di esportazione. Un normale avvicendamento gerarchico se
non per il fatto che a pochi giorni dal pensionamento lo stesso Correra viene
assunto alla Selenia, una delle maggiori società esportatrici di materiali
bellici, passando così da controllore a controllato (da parte del successore che
ha contribuito a nominare). La Selenia, peraltro, è direttamente rappresentata
nel comitato interministeriale da un proprio dipendente, l'ingegner De Martino,
che funge da esperto del Ministero dell'Industria".
5) La problematica dell'approvvigionamento di materiali alla Difesa in rapporto
al contesto europeo
La proposta di creare in Italia l'organismo "Difesa Servizi Spa" e la
possibilità di controllo governativo e parlamentare, va messo in relazione anche
a quanto già esiste in campo europeo a proposito dell'integrazione delle
industrie che operano nel settore della Difesa. Si tratta di un problema che si
è posto fin dalla nascita dell'Unione Europea.
Un primo provvedimento in merito fu quello legato alla presentazione del
rapporto Klepsch dell'8 maggio 1978 [21]. Questo rapporto si riferisce alla
possibilità di istituire un unico mercato comunitario di equipaggiamenti
militari che avrebbe dovuto costituire l'elemento portante dello sviluppo di una
politica industriale comune europea intesa in senso globale, evitando però di
trasformarsi in un complesso militare industriale. In proposito lo stesso
Klepsch mette le mani avanti: "Lo scopo della mia relazione non è quello di
creare un nuovo complesso industriale nell'Europa occidentale" [22].
Ancora in campo europeo è da menzionare che venne proposto un progetto di
un'"agenzia europea degli armamenti". L'agenzia venne pensata come uno strumento
per realizzare la produzione bellica europea in cui tutti avrebbero potuto
contribuire con propri armamenti.
6) Tentativi del passato di realizzare un accordo sugli approvvigionamenti della
Difesa
Può essere utile ricordare che nel luglio-agosto 1982 questo problema venne
affrontato con il decreto legge 428/82, in seguito a una richiesta del Ministro
per la Protezione Civile pro-tempore, l'on. Zamberletti, in relazione appunto
alle attività di emergenza affrontate dal suo Ministero, attività per le quali
si rendeva necessario saltare alcuni pareri preventivi sui mezzi necessari per
le operazioni. In proposito si sosteneva che ci si sarebbe dovuti affidare al
solo giudizio di un apposito "Comitato tecnico"stabilendo che vi potesse essere
solo un controllo "a posteriori" da parte della Corte dei Conti.
Naturalmente si trattava di un modo di procedere che poteva far sorgere degli
effetti collaterali.
Era in questione tra l'altro la possibilità di avvalersi della trattativa
privata nei riguardi di enti, società ed imprese che avessero particolare
competenza e idonei mezzi tecnici e fossero da considerare "di fiducia". Si può
osservare per inciso che una simile problematica si è ripresentata in tempi
recenti con le commesse per il "G8".
In queste procedure vi è il pericolo delle deroghe, come quella che è stata
adottata in alcune leggi sulle forniture militari, in cui viene stabilito che i
pareri su determinate commesse non dovrebbero più essere considerati come
vincolanti ma solo come obbligatori.
In sostanza la preoccupazione riguarda, nei limiti in cui è accettabile, lo
svincolamento da normative esistenti relative ai controlli. In passato si cercò
di stabilire delle modalità appropriate. Vedi ad esempio la proposta di legge
1197 del 1986 presentata dai deputati Alberini, Cerquetti, Di Re, Zamberletti,
"Provvedimenti per l'area tecnico-amministrativa della Difesa".
Per ora si conoscono solo le linee generali in base alle quali verrà costituita
la "Difesa Servizi SpA". Ma è bene preoccuparsi fin da ora, quanto meno, del
fatto se potranno valere adeguati principi di controllo da parte del Parlamento
e da parte di altri organi istituzionali, e ciò per evitare che si ripropongano
condizioni che in passato hanno destato non poche preoccupazioni, in merito ad
alcune delle quali si è fatto cenno nel presente scritto.
In conclusione, giunti al termine di questa riflessione circa le procedure
relative alle commesse in ambito militare, non possiamo non mettere in guardia,
in relazione alla nascita dell'organismo "Difesa Servizi Spa", da possibili
improvvisate, superficiali valutazioni, e ciò per il fatto che potrebbero trarre
vantaggi determinati gruppi industriali e determinati settori della burocrazia
civile e militare della Difesa e anche per evitare che possano essere aggirate
alcune possibilità di controllo da parte delle Istituzioni. Vi è inoltre la
preoccupazione che possano sorgere organizzazioni parassitarie in grado di
compiere attività speculative ed affaristiche, anche in contrasto con gli
indirizzi per lo specifico settore individuati a livello governativo e
parlamentare.
Falco Accame
Presidente Anavafaf
Note:
1] Per rifarsi ad una nota formula del generale Von Clausewitz "La Difesa Spa"
potrebbe forse essere considerata come la "continuazione in altre forme del
complesso militare industriale".
2] Ten propositions on the war economy – American Ec. Review 1972.
3] Ma vedi anche i lavori pionieristici di G. Galbraith "Il nuovo spazio
industriale", Torino 1968 e "Il potere militare negli stati Uniti", Milano 1970.
Di C. Wright Mills, "La élite al potere", Feltrinelli, 1966
Su questo tema vedi anche G. Graziola (Possibilità e conseguenze di un processo
di riconversione dell'industria bellica, in AA.VV., Il problema degli armamenti.
Vita e Pensiero, 1980, pag. 73).
4] M. Pivetti, Armamenti ed Economia, Angeli, 1969, pag. 12.
5] Si potrebbe parlare di produzione in eccesso rispetto alle esigenze della
sicurezza nazionale. Ma queste dipendono dall'idea che si ha di sicurezza
nazionale, idea che può mutare continuamente anche, ad esempio, perché si è
deciso di aumentare le spese militari,
6] La questione della scarsa trasparenza in materia di commercio di armi è stata
oggetto dell'attenzione delle Nazioni Unite. Nel 1978 l'Assemblea Generale con
la risoluzione 36/67 dette il via ad un esperimento di registrazione
standardizzata di dati sulle spese militari. Nel 1991 venne istituito il
registro delle armi convenzionali. Il 15 dicembre 1992 l'Assemblea Generale
adottò la risoluzione 47/52L sulla trasparenza in materia di armamenti. (vedi
New Dimensions of arms regulation and disarmament in the post cold war era (United
Nation pubblication sales no. L.93IX8).
7] vedi G. William Fulbright, "La macchina di propaganda del Pentagono, Editori
Riuniti, 1972.
8] Per inciso, l'esperienza del Vietnam costrinse gli USA a riflettere
sull'insegnamento di Clausewitz secondo cui "Appena il dispendio di forza
diviene così grande che il valore dello scopo politico non lo compensi più, tale
scopo deve essere abbandonato...". Ma fece riflettere gli USA anche sul fatto
che forse la guerra del Vietnam avrebbe potuto essere stata evitata. Questa
considerazione a sua volta ci rimanda a quanto ebbe ad affermare Norberto Bobbio
(Il problema della guerra e le vie della Pace, Il Mulino 1984) secondo cui "Che
ci siano sempre state guerre non implica affatto che ci siano state tutte le
guerre che avrebbero potuto esserci".
9] John K.Galbraith ("Il potere militare degli Stati Uniti", Mondadori, 1969,
pagg. 70-71).
10] F. Battistelli, "Esercito e Società borghese. L'istituzione militare moderna
nell'analisi marxista", Savelli 1976, pag. 63.
11] F. Battistelli, Sociologia della corsa agli armamenti. Teoria e pratica del
riarmo negli anni '80. Il Mulino, n. 286, 1983, pag. 200.
12] Vedi: AA.VV., Il potere militare in Italia, Laterza, 1971 a cura di C.
Forcella.
13] F. Battistelli, "Armi: nuovo modello di sviluppo", Einaudi 1980, pag.
264-265.
14] Sulla vicenda Lockheed vedi Il processo Lockheed, "Supplemento a
giurisprudenza costituzionale", anno XXV n. 10.
15] Nino Pasti, "Falchi, colombe e struzzi. Problemi militari", Carecas 1978, p.
56.
16] Vedi rivista L'amministrazione della Difesa n. 3, 1973, ed anche nella
stessa rivista lo scritto contenuto nel n. 4/69: Esiste un dilemma armamenti o
disoccupazione.
17] Claude Moisy, L'America sotto le armi, Editori Riuniti, 1972, pagg. 75-76.
18] Possiamo anche ricordare la vendita alla Libia di un'enorme quantità di
armamenti. Nelle commesse alla Libia anche qualcosa di paradossale perché questa
vendita alla Libia suscitò tra l'altro una presa di posizione italiana
concernente la "minaccia libica". Infatti l'allora capo di stato maggiore della
Marina, Ammiraglio Monassi, intervenendo all'assemblea dell'Unione Europea
occidentale alla fine del 1981, ricordava ai parlamentari la minaccia
rappresentata nel Mediterraneo dalla Marina libica "dotata di moderne unità
missilistiche". Quattro corvette libiche (armate con i missili antinave Otomat
della Oto-Melara) sono state costruite in Italia, mentre una fregata libica, di
costruzione britannica, venne riequipaggiata con armamento italiano (tra cui gli
Otomat). Il paradosso dunque di aver causato un riarmo libico che poteva veniva
considerato addirittura come una minaccia per l'Italia.
19] Il Comandante A. D'Amato, ex ufficiale di Marina, addetto ai rapporti del
settore elettronico della Montedison, con la pubblica amministrazione, in uno
scritto su "Difesa Oggi" 1977, pag. 83, dal titolo "Le forze armate clienti di
se stesse", afferma che "Ai militari in quanto responsabili delle attività di
ordine superiore rispetto a tutte le altre che concorrono alla difesa del Paese
[...] compete il ruolo di coordinamento per una politica di sviluppo del
potenziale industriale". "La proposta mira alla creazione presso il Ministero
della Difesa, di un Direttore Generale degli armamenti. Vedi in proposito anche
F. Accame, "Uno stivale pieno di armi", Critica Sociale, 22 giugno 1979.
A proposito di questa problematica Maurizio Simoncelli nel libro "Armi, affari,
tangenti" (Ediesse 1994, pag. 33) fa un elenco di alti ufficiali passati
all'industria.
"Per quel che riguarda le Forze armate italiane numerosi erano e sono gli alti
ufficiali transitati sino ad oggi, in qualità di dirigenti o di consulenti, nei
vertici delle aziende. Ne ricordiamo qui solo alcuni: Francesco Mereu, ex capo
di stato maggiore dell'esercito, poi presidente della Lancia veicoli speciali;
Giuseppe Aloja, ex capo di stato maggiore della Difesa, poi presidente dei
Cantieri navali di Taranto; l'ammiraglio Enzo Zanni, vicepresidente della Breda
meccanica Bresciana; Aldo Rossi, ex capo di capo di stato maggiore della Difesa,
poi vicepresidente della Contraves; il generale Mario Matacotta, vicepresidente
dell'Aeronautica Macchi; il generale Valentini, ex vicecapo di stato maggiore
dell'aeronautica, poi presidente dell'Aeritalia.
Il fenomeno non rimane isolato nel tempo, tant'è che ancora ai primi anni
novanta si troveranno altri ufficiali in ruoli analoghi: il generale Fulvio
Ristori, presidente dell'Alfa Romeo Avio; l'ammiraglio Angelo Monassi,
presidente della Selenia Elsag sistemi navali; l'ammiraglio Filippo Ferrari
Aggradi, presidente onorario della Lips italiana, il generale Mario Rossi
vicepresidente della Breda meccanica bresciana, il Generale Piovano,
vicepresidente dell'Oto Melara, il Generale Basilio Cottone vicepresidente dell'Agusta".
20] Ad esempio la proposta di legge Accame 2275/1978 "Limitazioni per il
passaggio di alti ufficiali delle forze armate nell'industria degli armamenti".
21] "Rapporto Klepsch per una industria europea degli armamenti", La Pietra Ed.,
1979. Vedi anche un breve riassunto di questo rapporto in Corriere della Sera, 9
maggio 1979, "Perché la CEE non ha un esercito", a firma di D. Fe.
22] Per inciso potremmo ricordare che questa preventiva presa di posizione di
Klepsch può essere vista come una specie di "de-negazione", del tipo di quella
di cui ci ha parlato Freud, quando accenna al suo paziente, il quale afferma:
"ma questa non è mia madre" (riferendosi alla donna che nel sogno voleva
uccidere), una frase che Freud interpretava in senso esattamente opposto, cioè
nel senso che era proprio la madre che il paziente voleva uccidere.
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