da
Due parole sull'articolo
"FNCRSI, il contesto
politico delle origini"
Maurizio Barozzi ("RInascita",
sabato 17 aprile 2010)
FNCRSI, il contesto
politico delle origini
Francesco Fatica ((Rinascita", martedì
13 aprile 2010)
A proposito degli articoli apparsi su "Rinascita" nelle settimane
scorse, ritornano alla mente in questi giorni di aprile, le vicende
di sangue di quell'atroce aprile del 1945 e dei mesi seguenti che
portarono i combattenti della RSI a reagire in mille piccole
associazioni e gruppuscoli clandestini, confluiti, poi in buona
parte nell'organizzazione unitaria voluta da Pino Romualdi e dal
cosiddetto "Senato", i Fasci d'Azione Rivoluzionaria (FAR).
Continuava la persecuzione degli antifascisti: condanne a morte,
all'ergastolo, alla galera per diverse decine di anni, epurazione,
famiglie allo sfacelo; era la fame più nera, la disperazione di
migliaia di italiani che erano stati la spina dorsale della Nazione.
C'erano stati seicento giorni di guerra civile, di provocazioni
sempre più feroci per scavare il fosso dell'odio. Gli
anglo-americani fomentavano: distribuivano finanziamenti, fornivano
armi e vettovaglie e paracadutavano consiglieri. Migliaia di
prigionieri di guerra erano stati liberati dai campi di
concentramento, le carceri avevano aperto i battenti ai detenuti
comuni. Tante occasioni per farne feroci partigiani; ma per fortuna
non tutti osarono andare in montagna. Il fenomeno partigiano non
aveva una valenza militare, ma serviva per rompere la compagine
della Nazione, per arrivare a lavarne il carattere onde ottenere un
asservimento completo e duraturo.
Vediamo, come ha scritto Filippo Giannini, quale era «il sistema di
lotta condotta dal partigiano». Beppe Fenoglio ne "Il partigiano
Jonny" così sintetizza le azioni da compiere contro il fascista:
«Alle spalle, beninteso, perché non si deve affrontare il fascista a
viso aperto: egli non lo merita, egli deve essere attaccato con le
medesime precauzioni con le quali un uomo deve procedere con un
animale». Perché secondo quanto ha ammesso lo storico partigiano
Giorgio Bocca: «Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire
quello dell'occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è
autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le
rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso
dell'odio. È una pedagogia impietosa, una lezione feroce» (sic!).
Mussolini aveva tentato di bloccare le rappresaglie e per un lungo,
lancinante, interminabile periodo, migliaia di fascisti furibondi si
sforzarono scalpitando di tenere "le mani legate", ma poi la
"strategia impietosa" dei comunisti e degli utili idioti da loro
trascinati, ebbe il sopravvento.
Dopo la resa, poi, quando ci si era fidati delle "garanzie" dei vari
CLN, dei tanti parroci intromessisi a sollecitarla, dopo, quando
furono consegnate le armi, soltanto allora, avvennero le stragi più
abiette e feroci e si scavò inesorabilmente più a fondo «il fosso
dell'odio». Gli anglo-americani stavano impassibili a guardare
dietro le quinte; non intervennero perchè tutto era previsto e
faceva parte del loro piano strategico di lavaggio del carattere del
popolo italiano, che non era più Nazione. Bisognava che le stragi
continuassero per stroncare l'élite che resisteva all'asservimento.
Ai partigiani fu lasciato il lavoro sporco di assassinare i fascisti
più convinti. Il senatore comunista e poi ministro Concetto Marchesi
aveva preannunciato cinicamente le future stragi: «quattrocentomila
teste dovranno cadere in Italia» (Vincenzo Caputo, "Ferrara 1945 - I
giorni dell'odio"). Dunque era tutto preordinato e organizzato;
altro che reazione spontanea alla fine della guerra. Invece avvenne
che qualcosa nel grande massacro per fortuna non funzionò secondo il
cinico, dettagliato e complesso programma predisposto. E le Vittime,
seviziate orrendamente, furono molte di meno. Ma è innegabile che
una certa organizzazione ci fu. Si erano preparate per tempo le
liste dei fascisti da massacrare; si erano costituite squadre armate
autonominatesi "polizia partigiana", che imperversavano fuori della
loro provincia per non essere facilmente riconosciuti e si
"autofinanziavano" esigendo pesanti offerte volontarie da benestanti
terrorizzati. Si voleva intenzionalmente spargere il terrore più
assoluto per farne scaturire l'asservimento totale al nuovo
salvifico "verbo democratico". Pertanto, dopo il 28 aprile, quando
oltretutto non c'era più da rischiare, furono perpetrate nefandezze
ancora più feroci, secondo un programma e un coordinato piano
finalizzato alla presa del potere assoluto, avvalendosi dello
"stile" e della strategia bolscevichi. Infatti in Germania, dove non
c'erano partigiani delegati a fare il lavoro sporco, gli "alleati"
dovettero agire direttamente.
In tutto, ci furono approssimativamente undici milioni di
prigionieri di guerra tedeschi. Un milione e mezzo non tornarono mai
a casa. La Croce Rossa non intervenne. Furono arrestati anche
civili: uomini e donne nazionalsocialisti e ragazzi della
Hitlerjugend; li lasciarono morire di fame, di freddo, di stenti,
all'aperto senza alcun riparo nel gelido inverno del nord, con
scarsissimo cibo. Eisenhower non si vergognò d'inviare corrieri
speciali dappertutto per imporre che ogni civile trovato a dare
aiuto alimentare ad un prigioniero fosse condannato a morte. (Giles
MacDonogh, "After the Reich. The brutal history of the Allied
occupation"). Eppure -miracoli della propaganda- gli americani
conoscono la seconda guerra mondiale come "the good war" e coloro
che la combatterono sono noti come "the greatest generation". "La
generazione più grande".
Gli anglo-americani, ma gli americani in particolare, avevano
intrapreso una colossale operazione di "lavaggio del carattere" dei
popoli d'Europa con particolare attenzione al popolo tedesco (Caspar
Schrenck-Notzing, "Lavaggio del carattere. L'occupazione americana
della Germania e sue conseguenze") e con altrettanta attenzione al
popolo italiano. Bisognava distruggere l'anima tedesca, bisognava
distruggere l'anima "romana" e fascista degli italiani, le loro
tradizioni, i costumi, le loro peculiari qualità in nome della
obbligatoria "rieducazione democratica", attraverso una gigantesca
operazione psicologica di persuasione palese e occulta, di
"trasbordo ideologico inavvertito", somministrato sotto l'alta
direzione scientifica del PWB (Psicological Warfare Branch),
un'operazione della guerra psicologica "scientifica", ma condotta
replicando in sostanza l'eterna grossolana tecnica del bastone e
della carota. Soffocare nel sangue la rivolta dei popoli contro
l'asservimento al Grosso Capitale Apolide (il cui braccio armato
erano e sono ancora gli USA) e dare nel contempo la possibilità a
chi si piegava al vassallaggio, di sopravvivere, anche lautamente,
entrando nella "Casta" dei politicanti camerieri dell'alta finanza e
degli americani. Un'opera di assoggettamento economico e culturale
attraverso l'imposizione di un sistema di partiti, media, enti
economici, sindacati, enti culturali, giuridici e amministrativi,
tutti asserviti al Grosso Capitale attraverso finanziamenti
essenziali per la sussistenza degli enti vassalli.
Ma torniamo alle nostre stragi. I comunisti fecero il lavoro sporco
e gli anglo-americani, alla fine finsero di intervenire, presero i
prigionieri in vari campi di concentramento, mentre pretendevano dai
partigiani la consegna delle armi. Ma, come ha confermato tra gli
altri Dante Gorreri: «non tutte le armi furono consegnate dai
partigiani».
D'altra parte «tutti in montagna pensavano al dopo». E "dopo"
scalpitavano credendo di essersi conquistata la dittatura del
proletariato.
Dal lato opposto Pino Romualdi conosceva fin troppo bene lo stato
d'animo di tanti fascisti, esasperati da più di un anno di stenti:
quarantamila in galera, decine di migliaia latitanti o costretti ad
arruolarsi nella Legione Straniera, o espatriati; tutti disoccupati,
centomila famiglie allo sbando.
Non poteva durare.
L'organizzazione clandestina costituiva uno spauracchio per il
governo; quindi, facendo leva su di essa, bisognava ottenere
l'amnistia. Ha scritto Romualdi che, mentre tutti erano impegnati a
vincere la sfida elettorale del 2 giugno 1946, egli ed altri
camerati erano impegnati soltanto nello sforzo di ottenere
l'amnistia, comunque fosse. Dalla monarchia o dalla repubblica.
L'amnistia si ottenne anche per il potere contrattuale di tanti che
premevano su questo o quel partito, che poi sperava di accaparrarsi
una fetta dell'elettorato fascista, o anche per le sollecitazioni
che pressavano sulla Massoneria, sul Vaticano, sugli ebrei, sugli
americani. Non bisogna dimenticare, però, che l'amnistia faceva
comodo anche a tanti antifascisti che avevano trasgredito il codice
penale. D'altra parte il fascismo clandestino faceva un po' paura e
si riteneva prudente da più parti non esasperare ancora gli animi.
Il ministro dell'interno Giuseppe Romita, con una nota della
divisione affari riservati, nell'aprile 1946, comunicava ai prefetti
i risultati delle indagini invitandoli a vigilare per evitare che i
"neofascisti" "possano associarsi", potendo così passare ad una fase
di "maggiore concretezza". Con l'amnistia, però, migliaia di
fascisti si illusero di poter uscire dalla latitanza e di poter
rientrare nella vita civile, altri, usciti dalle carceri fecero
ritorno alle proprie case, ma molti di loro caddero sotto il piombo
dei "rossi".
Togliatti aveva sperato di portare tanti fascisti "verso le proprie
rive" sfruttando la loro avversione agli "alleati occidentali" e
insistendo sulla base di campagne di apertura sociale, di
antiborghesismo e di anticlericalismo. Aveva bisogno soprattutto di
sindacalisti esperti e preparati e riuscì a farne traghettare
parecchie centinaia nella CGIL, tantissimi altri seguirono Stanis
Ruinas che pubblicava "Pensiero Nazionale". La direzione del PCI
dichiarò più tardi che: «circa 34mila fascisti erano passati nelle
file comuniste». Tuttavia, nonostante ciò, la massa dei fascisti,
ben memore delle stragi e delle persecuzioni subite, si sentiva
molto più ostile ai comunisti che non agli americani, i quali invece
erano stati ben attenti a nascondere le loro fondamentali
responsabilità, e pertanto la massa dei fascisti trovò più consono
ai propri sentimenti, oltre che più accorto tatticamente, seguire i
secondi per combattere i primi, inserendosi concretamente nel
rapporto anticomunismo-comunismo, che nel dopoguerra sembrava andar
sostituendo gradualmente il feroce rapporto antifascismo-fascismo.
Militanti dei FAR promossero anche la costituzione ufficiale della
Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana
(FNCRSI), che aprì legalmente federazioni provinciali in moltissimi
capoluoghi di provincia.
Tanti sentivano il bisogno istintivo di tornare alla luce del sole.
Alla fine del luglio 1946, in una combattuta riunione del "Senato",
Pino Romualdi propose di dar vita ad un nuovo partito per svolgere
attività politica legale, ma Vanni Teodorani, Giuseppe Pizzirani,
Edoardo Moroni, Olo Nunzi, Piero Parini, Cesco Giulio Baghino,
Federico Baistrocchi, Antonio de Pascale e Luciano Lucci Chiarissi
dissentirono poiché ritenevano che non fosse giunto ancora il
momento di lasciare l'attività clandestina. Tuttavia si avviò la
procedura per lanciare un nuovo partito controllato dal "Senato",
almeno nelle intenzioni. Fu dato mandato a Giovanni Tonelli,
anch'egli membro dello stesso "Senato", di cominciare a lanciare
l'idea della nascita di un movimento politico legale attraverso il
suo settimanale "La Rivolta Ideale", che era stato fondato
nell'aprile del 1946 e che usciva regolarmente nelle edicole.
Preliminari alla fondazione del MSI furono affannose trattative con
vari partiti, ma è chiaro che gli antifascisti avevano tutto
l'interesse a tenere ingessati nel rispetto delle regole
democratiche tanti potenziali ribelli, esasperati dalle
persecuzioni, i quali anelavano, sia pure velleitariamente, la
riscossa; ma comunque non era del tutto illogico temere una qualche
azione eversiva; pertanto sarebbe stato meglio tenerli sott'occhio,
questi riottosi fascisti, tutti raggruppati in un'unica formazione
più controllabile di tanti piccoli gruppi, per giunta clandestini ed
eversivi. Tuttavia, a maggior garanzia degli antifascisti, pendé
presto sul movimento la minaccia dello scioglimento «per
ricostituzione del partito fascista». Non è difficile riscontrare
una sia pur limitata, influenza occulta dell'OSS, che non poteva
certo lasciar correre la "campagna acquisti", lanciata da Togliatti
e da Pajetta, senza reagire. E non si può non tener conto del peso
che ebbe lo stretto legame che allacciò l'OSS al Vaticano,
riscontrabile nell'anticomunismo di James J. Angleton (dirigente di
una branca dell'OSS) e di monsignor Giovanni Battista Montini,
futuro Papa Paolo VI. […]
Osservando gli avvenimenti a posteriori, inoltre, può risultare
semplice avanzare l'ipotesi che uomini di governo o di
"meta-governo", come ad esempio, uomini della Massoneria, fecero
arrestare Romualdi per togliere di mezzo un politico troppo
autorevole, troppo poco arrendevole, e comunque "compromettente" per
le sue referenze fasciste troppo note, onde poter consentire un
avvio addomesticato del «partito dei fascisti in democrazia». Ma si
deve tener conto, forse ancora più compiutamente, della linea
politica che Pino Romualdi, intendeva dare allo sviluppo di un MSI
aperto a tutti e non soltanto ai fascisti. Questa intenzione,
chiaramente, dava fastidio alla Democrazia Cristiana a cui rischiava
di togliere una fetta di elettorato; ciò non si poteva consentire e
non si consentì mai in seguito. Si completava così, l'inquadramento
delle schiere fasciste entro gli argini della politica
pluto-democratica. Il partito rimase in mano di ex fascisti di
posizione più morbida, flessibile e possibilista, come Michelini, De
Marsanich, Roberti, o anche un Foschini, il quale né dopo il 25
luglio e nemmeno dopo l'8 settembre aveva sentito il dovere di
continuare la lotta nella RSI e neppure da clandestino. Lo stesso
Michelini riconoscerà poi, nel 1963: «L'inserimento non incomincia
con Pella, con Zoli, con Segni, o con Tambroni, ma con la nascita
stessa del MSI». Comprensibile quindi che tanti fascisti siano stati
abbagliati dalla necessità di una politica anticomunista tanto da
accettare senza troppo discutere l'alleanza atlantica. Del resto il
"pericolo rosso" incombeva molto appariscente non solo nei rapporti
internazionali, ma anche in Italia: raduni e sfilate di migliaia di
partigiani venivano ostentate al nord, ma vennero partigiani anche a
Roma, dove furono quasi centomila, e per di più armati. Tra i tanti
treni speciali avviati verso Roma, il convoglio che proveniva da
Genova e che aveva imbarcato altri partigiani a La Spezia, fu fatto
fermare per cause di traffico ferroviario in Maremma. Ad un certo
punto, essendo corsa la voce "sabotaggio", «dal carro degli spezzini
partì un colpo di bazooka… seguì una sparatoria infernale. Raffiche
di sten, colpi di pistola e scoppi di bombe a mano». (M. Mafai,
"L'uomo che sognava la lotta armata"). Molto, molto peggio avvenne
quando i rossi insorsero dopo l'attentato di Pallante a Togliatti;
ma la rivoluzione non andò oltre i primi conati; l'ambasciata
sovietica bloccò i fili dei suoi burattini italiani, dopo averli
lasciati sfogare un po'. Dall'altra parte i carabinieri dell'AIL si
ripresero i mitra "Beretta" prestati ai tanti fascisti, che erano
stati mobilitati in appoggio. Secchia, vice segretario del PCI
assieme a Longo, spiegò in un apposito saggio che la rivoluzione era
impossibile in quel dato momento «perché non preparata adeguatamente
né decisa dal partito, non perché sia esclusa, in via di principio,
dai suoi obiettivi e dalla sua strategia».
Armi, infatti, ne erano state conservate e ben nascoste in quantità
stupefacente; quelle che polizia e carabinieri riuscirono a scovare,
soltanto quelle, pure sarebbero bastate ad armare una decina di
divisioni. Secondo dati del ministero degli Interni, tra il 1946 ed
il 1953 furono scoperti 173 cannoni, 719 mortai, 35.000 fucili
mitragliatori, 37.000 pistole e rivoltelle, 250.000 bombe a mano,
309 radio rice-trasmittenti. Anche se si vuol pensare ad
un'interessata gonfiatura dei dati del ministero, si può capire che
all'epoca parecchi fascisti ne restarono seriamente impressionati.
[…]
Nel commentare la storia della FNCRSI è stato tirato in ballo il
libro di Giuseppe Casarubbea e di José Cerghino, "Lupara nera". Ho
scritto che ci furono strumentalizzazioni in senso anticomunista. Ma
da qui ad ammettere che sarebbe vera la storia della "lupara nera"
ce ne corre; si è troppo superficiali se si dà credito a Giuseppe
Casarubbea ed al suo teorema, puntellato in partenza sulla base di
illogici indizi, quali ad esempio il fatto che per la strage di
Portella delle Ginestre furono usati i mitra e una mitragliatrice
del tipo in dotazione anche alla Decima Mas, quando tutti sappiamo
che quelle armi passarono di mano ai partigiani. Altro
insignificante indizio sarebbe che a Palermo, secondo un rapporto
del SIM, riportato in una comunicazione dell'OSS: «È stato stabilito
un contatto diretto con un membro di alto livello del Partito
fascista recentemente tornato dall'Italia centrale. Sospettiamo che
stia organizzando sezioni fasciste repubblicane in questa città». Ma
Casarubbea, trascinato dal suo pallino ossessivo, non si avvede
della precarietà del suo teorema e arriva ad inventare che il
bandito Giuliano sarebbe stato arruolato nella Decima Mas, avendo
attraversato le linee assieme agli agenti speciali della RSI tenente
di vascello Rodolfo Ceccacci e guardiamarina Aldo Bertucci, nel
rientro alla loro base di Penne in Abruzzo. La menzogna appare
chiara in quanto è documentato, invece, che i due agenti speciali
della RSI, per il rientro partirono da Torregaveta (Napoli) assieme
al capitano di corvetta Rodolfo Scarelli e ad un sottocapo della
regia marina, (che si erano aggregati per andare a combattere per la
RSI) in una barca di pescatori che li trasportò al largo di Gaeta,
dove approdarono servendosi di una barchetta a remi che avevano
rimorchiato per la bisogna. Lo stesso Nicola Tranfaglia, storico
comunista, che in un primo tempo aveva avallato le ricerche del
Casarubbea, ha dovuto prendere le distanze per non screditarsi
troppo e con lui ha preso le distanze buona parte della sinistra che
conta, compreso il sindacato.
Francesco Fatica
|
L'articolo di rievocazione storica "FNCRSI, il contesto politico delle origini",
a firma Francesco Fatica, apparso su queste pagine martedì 13 aprile,
formalmente corretto e storicamente ineccepibile, come del resto altri articoli
dello stesso autore che abbiamo avuto il piacere di leggere in varie
pubblicazioni, risulta tuttavia a mio avviso parzialmente incompleto e
sostanzialmente fuorviante per una piena comprensione delle vicende che
riguardano storia e genesi, non certo edificanti, del neofascismo.
A conclusione della lettura dell'articolo citato, infatti, si ricava la
considerazione che la scelta di fatto conservatrice e filo americana, compiuta
da molti ex fascisti nel dopoguerra, fu la diretta conseguenza di una serie di
tragiche situazioni del momento (leggi i massacri e la caccia al fascista
praticati in quegli anni dai comunisti) e di una necessaria strategia
opportunista che spingeva verso una pratica politica che, partendo dai FAR, finì
per dar vita al MSI con tutto quello che questo partito ha rappresentato negli
anni successivi.
È indubbio che gli abominevoli massacri a cui furono sottoposti i fascisti nelle
"radiose giornate" della primavera del '45 e la caccia al fascista che perdurò
in alcune località anche negli anni successivi ebbero un loro peso, ma questo
peso non fu determinante, nè ad esso può essere fatta risalire tutta la
responsabilità di quella scelta scellerata
Una scelta ideologica e politica di stampo piccolo nazionalista e conservatore
che permeava il pensiero di una parte di ex appartenenti alla RSI, alla quale si
deve aggiungere un perfido manovrare dietro le quinte da parte di autentici
traditori del fascismo, di ambienti massonici, intelligence americane, lobby
vaticane, industriali, ecc., insomma tutto un complesso di uomini, conventicole
e settori che tenevano sotto controllo i reduci del fascismo repubblicano e
influenzarono poi, nel dicembre 1946, la costituzione di un partito nel quale
far confluire, con tutte le conseguenze che questo comportava, il qualunquismo
borghese, ex venticiqueluglisti, monarchici, conservatori e gente simile, ed in
cui alcuni esponenti, dotati di appoggi ambigui e notevoli mezzi, riuscirono a
prenderne in mano le redini direttive e quindi, a poco a poco, emarginarono
ovvero spinsero i reduci del fascismo repubblicano sulle sponde della reazione e
del filo atlantismo.
La tesi riduttiva, costituita dal momento di necessità e dalla opportunità di
praticare una scelta anticomunista, che portasse gli ambienti dei reduci del
fascismo repubblicano sulle barricate filo occidentali, poteva giustificarsi
solo se si fosse trattato di un fatto transitorio, legato appunto a quelle
contingenze straordinarie e sanguinose del dopoguerra, ma invece tale
"collaborazione" (oltretutto sempre con un ruolo subordinato, da servi) continuò
anche negli anni seguenti, fu idealmente compenetrante, configurandosi come una
vera e propria scelta di campo in favore della reazione e dell'americanismo.
E così i neofascisti, che sotto una qualsiasi forma politica si fossero
eventualmente dati nel dopoguerra, avrebbero dovuto costituire i veri e
irriducibili oppositori agli occupanti, alla NATO, alla "way of life americana",
perchè in effetti l'opposizione delle sinistre era funzionale agli interessi
sovietici, ne furono invece i più balordi sostenitori.
Siamo quindi in presenza di un doppio tradimento, continuato nel tempo: ideale,
nei confronti di tutto quello che il fascismo repubblicano aveva rappresentato e
che in tal modo si rinnegava e tradimento effettivo, perchè con la sconfitta, si
concretizzava l'occupazione Alleata del nostro paese brutalmente colonizzato e
subordinato militarmente, economicamente e soprattutto culturalmente agli Stati
Uniti d'America e ogni forma di collaborazione con gli occupanti (il futuro
atlantismo) rappresentava un tradimento degli interessi della Nazione.
Di fatto, con la scusa dell'anticomunismo e della ricerca di una nuova agibilità
politica, ci si mise a disposizione dell'OSS americano, e ci si rese
"disponibili" verso uno Stato democratico antifascista, post ciellenista, uno
Stato che senza alcuna obiezione accettò e sottoscrisse l'infame art. 16 del
trattato di pace imposto all'Italia e firmato a Parigi il 10 febbraio 1947,
quello che, retroattivamente, impediva di perseguire «alcun cittadino italiano,
particolarmente gli appartenenti alle forze armate, per avere tra il 10 giugno
1940 e la data di entrata in vigore del presente trattato, espresso la loro
simpatia per la causa delle Potenze Alleate o avere condotto un azione a favore
di detta causa».
Un diktat questo, sempre rimasto in vigore, che ci squalificava in faccia a
tutto il mondo per i secoli a venire e con il quale si lasciavano impuniti ,
anzi si premiavano, coloro che avevano tradito il proprio paese e contribuito
alla morte di migliaia di nostri soldati. E tutti questi traditori, un numero a
quanto si è poi potuto accertare alquanto elevato, invece di essere passati per
le armi come il Codice Penale Militare di guerra contemplava e degradati se
militari, o almeno emarginati, furono liberi di riprendere o intraprendere, con
titoli di merito, le loro funzioni e carriere nello Stato post ciellenista.
E i neofascisti, in varie occasioni, e con pretesti di balordo anticomunismo, si
misero a disposizione di questo Stato antifascista, oltre che a disposizione,
quando occorreva e veniva richiesto, dei Carabinieri e dello Stato Maggiore,
cioè di quelle forze armate, eredi di Badoglio, che per inquadramento
politico-militare, clausole segrete, protocolli (mai revocati!), ecc., erano
subordinate allo straniero, e per di più, in quel dopoguerra, i quadri di
comando furono ricoperti da elementi il cui merito principale era quello di
essere stati uomini della Resistenza o addirittura elementi da "art. 16".
E per finire in bellezza non pochi accettarono poi di far parte di quelle
strutture segrete della NATO, come le cellule "Gladio", funzionali alle
strategie occidentali dette «stay behind», progettate contro i sovietici, ma
soprattutto (e questa era la loro vera e nascosta funzione) contro l'Italia e
contro l'Europa. Meglio stendere un velo pietoso.
Ora si da il caso che tutte queste situazioni, collusioni, traffici dietro le
quinte, non solo si possono dedurre dalla logica evoluzione delle vicende di
quegli anni, dalle testimonianze di tutte le persone perbene che le hanno
vissute, ma oggi sono attestate da una serie di documentazioni inoppugnabili,
perchè elaborate anche sulla scorta di archivi, recentemente desecretati, che
non è possibile ignorare. E quando si apriranno in pieno gli archivi americani e
quelli Vaticani, ne vedremo delle belle.
In questo senso possiamo citare alcune opere, tra le più importanti, quali
quelle di Giuseppe Parlato: "Fascisti senza Mussolini", Ed. Il Mulino 1996,
quello di Ennio Caretto e Bruno Marolo: "Made in Usa. Le origini americane della
Repubblica Italiana", Rizzoli, 1996; di Marco Dolcetta: "Politica occulta",
Castelvecchi, 1998; di Kate Tuckett: "Cospirazioni", Castelvecchi, 2007, a cui
si aggiunge il libro, citato dall'autore dell'articolo in questione, "Lupara
Nera", di Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino, Bombiani 2009.
Proprio il libro di Casarubbea e Cereghino, avemmo modo di recensire su queste
pagine ("Lupara Nera: un libro fondamentale" vedi "Rinascita" del 28 novembre
2009) ed in quella occasione sottolineammo una certa faziosità degli autori e le
loro forzature per dimostrare, generalizzando e senza distinguo alcuno, attività
criminose, in particolare nella Sicilia del dopoguerra, da parte di esponenti
della ex RSI, finendo per dare la qualifica di "fascista" a elementi come
Salvatore Giuliano, che invece hanno tutta una loro storia a parte.
Resta però il fatto che, a parte la faziosità degli autori, anche questo libro
fornisce tutta una serie di documentazioni, che aggiunte a quanto oggi
conosciamo, dimostrano una collusione che all'epoca effettivamente ci fu con i
servizi segreti americani.
Vediamo ora di puntualizzare quanto, a nostro avviso, nell'articolo di Francesco
Fatica non è particolarmente esaustivo ed anzi, così come è espresso, può
risultare alquanto fuorviante.
Rispetto alle stragi delle radiose giornate, si afferma che: «...gli americani
stavano impassibili a guardare dietro le quinte, non intervennero perchè tutto
era previsto e faceva parte del loro piano strategico di lavaggio del carattere
del popolo italiano...».
Verissimo, ma non pienamente esatto, perchè in realtà gli americani non solo
rimasero a guardare ed in alcuni casi anzi favorirono certe mattanze, ma in
altri casi intervennero per sottrarre quegli elementi, in particolare ufficiali
e sotto ufficiali della RSI a loro congeniali per inserirli, con la scusa
dell'anticomunismo, nel sistema di controllo coloniale del paese che sarebbe
tornato utile quando le loro truppe avrebbero lasciato il territorio.
È il caso, per fare un esempio che vale per tutti, di Valerio Borghese, che a
Milano nei giorni successivi al 25 aprile, venne fatto prelevare da James Jesus
Angleton, che dirigeva l'OSS americano, e messo in salvo.
Storie di questo genere, del resto, si possono leggere nel libro di memorie di
Giorgio Pisanò, "La generazione che non si è arresa", ristampa Ed. CDL 1993, e
sappiamo bene poi come andò a finire, laddove molti quadri ufficiali della ex
RSI furono indotti a collaborare con il nascente stato sionista, altri entrarono
a far parte di strutture supersegrete come quella del "noto servizio" detto
"Anello", ed altri in seguito nelle famigerate cellule della "Gladio", ecc.,
tutte strutture dell'Occidente, avverse agli interessi nazionali e controllate
dai servizi americani.
Quindi gli americani, non si diedero da fare nel cercare di reclutare ex reduci
RSI perchè non potevano, rimanere impassibili ad assistere che una parte di
questi reduci finesse nel PCI, ma soprattutto perchè misero in atto nel nostro
paese, ancor prima che la guerra finisse, una sottile strategia ed una apposita
rete tesa a catturare alla loro causa tutti quei fascisti che potevano tornargli
utili e tra questi ce ne erano non pochi, da tempo desiderosi di riciclarsi in
qualche modo nel dopoguerra come anti sovietici e anticomunisti.
In un importante, interessante e documentatissimo libro di Ferruccio Pinotti:
"Fratelli d'Italia", Ed. Bur si può leggere quanto segue:
«In Italia la strategia dei servizi segreti americani, dal 1941 in poi,
individuò nella massoneria, nella Chiesa, nei fascisti disposti ad abbandonare
Mussolini e nella mafia, gli alleati che avrebbero permesso, prima di vincere la
guerra, e poi di fronteggiare il comunismo e ogni proposito contrario agli
interessi statunitensi.
Alcune Logge americane agirono in Italia sin dal 1941, in collegamento con l'OSS
i cui capi erano tutti massoni di Rito scozzese e affiliati a ordini
cavallereschi. (...)
...Ci fu una convergenza di interessi che oggi, consultando gli archivi della
CIA, si può anche documentare. Per esempio, agenti speciali americani hanno
lasciato le loro tracce a Portella della Ginestre. All'epoca l'OSS era guidato
dal capitano James Jesus Angleton. Una decina di uomini che Angleton aveva
reclutato tra le file della X Mas e della sbirraglia fascista sbarcò a Palermo
in anticipo su quel primo maggio».
A questo proposito noi però, in base a vari altri riscontri, non crediamo in una
effettiva partecipazione di uomini della X Mas nel crimine di Portella della
Ginestre, ma resta il fatto che, per altri versi, la collaborazione alle sporche
manovre americane, nello scacchiere siciliano, al tempo area geopolitica di
enorme interesse per gli interessi statunitensi USA, in qualche modo ci fu e
probabilmente lasciò strascichi e contatti che si perpetuarono fino al tempo di
quella pagliacciata che fu il cosiddetto "Golpe Borghese".
Certo potremmo discutere per ore ed arrivare alla conclusione che il fascismo
nella sua storia e nei suoi componenti fu un agglomerato alquanto eterogeneo di
ideologie, pulsioni e passioni. Che il ventennio fascista praticò anche, sia
pure per necessità nazionali, una politica conservatrice e quindi certi
schieramenti dal carattere reazionario per molti fascisti furono del tutto
naturali e consequenziali. Possono quindi anche capirsi, ma non giustificarsi,
certe scelte, certe collusioni che portarono molti reduci del fascismo a
collaborare con i sionisti, tra parentesi i massimi responsabili della
distruzione dell'Europa e del fascismo, con la Legione Straniera, tra parentesi
già nemica in armi del nostro paese, poi in seguito con i mercenari africani, al
soldo dei paesi coloniali nemici dell'Italia o delle multinazionali anglo
americane, con l'OAS, di fatto il braccio armato della CIA in Europa e così via,
ovvero con tutte quelle realtà che con il fascismo non hanno nulla a che fare e
che per un fascista (fatte forse salve esperienze personali esistenziali di
singoli individui) avrebbero dovuto provocare una immediata ripugnanza ideale e
istintiva.
Comunque sia, se questi precedenti, nella storia del fascismo, possono pur aver
avuto un loro peso, resta il fatto che la Repubblica Sociale Italiana era stata
uno spartiacque, tra il fascismo del ventennio e quello rivoluzionario,
socialista e repubblicano dell'epopea 1943–'45, ed aveva rappresentato, anche
ideologicamente, una definizione esaustiva del fascismo stesso, ma soprattutto
c'era di mezzo l'interesse imprescindibile della nazione, minacciato
dall'occupazione, di stampo colonialista, del nostro paese da parte
dell'occidente liberista, tutti fattori questi che avrebbero dovuto orientare
senza remore e riserve i reduci del fascismo.
Ma andiamo avanti. L'autore ricorda Romualdi quando dalla clandestinità dirigeva
i gruppi dei FAR e disegnava, attraverso un organismo a cui venne dato il nome
di "Senato", le strategie politiche dei reduci del fascismo. Il suo sforzo
maggiore si afferma era quello di ottenere l'amnistia per i reduci.
Anche questo assunto risponde al vero, ma la considerazione storica di quei
tempi è molto più complessa di quanto si creda e ci dimostra che la politica,
cosiddetta "opportunista" per una equidistanza di fronte al referendum
monarchia-repubblica e di fronte alle prime elezioni democratiche, consigliata
ai reduci del fascismo, era solo apparente, perchè in molti modi, sotto banco e
qualche volta palesemente, si diede sostegno alle correnti più conservatrici del
paese ed alla stessa monarchia, di fatto rinnegando l'indicazione emersa al
Direttorio del PFR di Maderno del 3 aprile 1945, presieduto da Pavolini, quando
si cercarono di buttare giù le linee di una politica da seguire nel dopoguerra,
una volta determinatasi la sconfitta militare.
E guarda caso proprio Pino Romualdi, il vice segretario del PFR, quello che poi
sarà tra i responsabili della "tregua" o meglio "resa" di Como (che sancì la
fine del fascismo e lasciò Mussolini isolato a Menaggio) e nel dopoguerra uno
dei massimi esponenti della destra missista, non si trovò allora d'accordo sulle
proposte di Pavolini, che sostenuto da Zerbino, Solaro e Porta prospettava un
"socialismo fascista" che avrebbe dovuto difendere le innovazioni sociali della
RSI contro ogni restaurazione monarchica e liberista.
Nella realtà la storia del dopoguerra, come giustamente in questo caso, afferma
il libro "Lupara Nera" ci consegna, senza ombra di dubbio, tutta «una miriade di
formazioni eversive, spesso isolate, ma comunque poste agli ordini dell'arma,
dell'esercito e delle prefetture, che agiscono su disposizioni precise
dell'intelligence anglo-americana…», quindi a disposizione dei "servizi" per
l'appunto ed è la dimostrazione di come tutti quei gruppi, associazioni, fronti
antibolscevici, fronti monarco-fascisti (sic!), fasci di azione rivoluzionaria,
ecc., già erano in qualche modo manipolati dall'OSS e dall'onnipresente James
Jusus Angleton. E questo a prescindere dalla dedizione, buona fede e coraggio
dei singoli fascisti ignari che ne facevano parte.
Che alcuni dirigenti di quelle strutture lo fecero in aperta malafede o altri
per la precedentemente richiamata mentalità reazionaria, per un senso di rivalsa
verso i "rossi" artefici di tante stragi di camerati e con la caccia al fascista
che ancora perdurava o per una demenziale scelta politica che riteneva
necessaria questo tipo di lotta, il risultato non cambia.
Si legge, significativamente, in un rapporto dei servizi segreti americani
intitolato "Il movimento neofascista - 10 aprile 1946, segreto":
«I neofascisti intendono stabilire un contatto con le autorità americane per
analizzare congiuntamente la situazione del paese. La questione politica
italiana sarà quindi collocata nelle mani degli Stati Uniti».
E fu così che grazie a questi presupposti e alla tragica situazione in cui si
ritrovarono molti fascisti e soprattutto grazie al nefasto operato di un
gruppetto di pseudo ex fascisti (e persino non fascisti) oramai legati mani e
piedi al carro americano e conservatore, dietro un sottile affaccendarsi di
massoni, con la benedizione del Vaticano e avallati dal Ministero degli Interni
democristiano dell'epoca, venne dato vita ad un partito di destra, il MSI, il
cui scopo fondamentale era quello di traghettare sulla sponda conservatrice e
filo atlantica i combattenti e reduci fascisti repubblicani e i giovani che, con
molto coraggio ed idealismo si riconoscevano ancora negli ideali della RSI.
È inutile ricordare un penoso cammino fatto di inganni, di strumentali
contrapposizioni, di favolette per imbecilli, come quella che non ci si poteva
sedere a sinistra del parlamento perché lì c'erano gli assassini dei camerati
(come se a destra ci fossero gli amici!).
Ma la collocazione a destra del parlamento italiano, già di per sé stessa
ignobile, rispetto ai valori e ai contenuti del fascismo repubblicano, non fu di
convenienza, fu strategica, ideale e integrale, come testimonierà un percorso
pluriennale di atti parlamentari e iniziative politiche in cui deputati e
senatori del MSI, consiglieri comunali, ecc., pseudo sindacalisti, non faranno
altro che propugnare e difendere bassi interessi di classe, posizioni codine e
reazionarie, asservimento dell'Italia alla NATO, e via dicendo.
Anni dopo Caradonna, parlamentare missista, confidò candidamente che il metodo
migliore per portare i missini dalla parte dell'atlantismo e della destra era
stato quello di farli scontrare il più possibile con i rossi. Più ci si menava e
più si rafforzava quell'anticomunismo viscerale utile al destrismo e
all'atlantismo!
In sostanza l'operazione di trasbordo sulle sponde della reazione, che venne da
subito attuata, non appena finita la guerra, ed in cui si tuffarono un po'
tutti, anche perché c'era da spartirsi le briciole di qualche seggio
parlamentare o negli enti locali, fu quella di snaturare il fascismo
repubblicano socializzatore e soprattutto di convincere i reduci della RSI, che
avevano combattuto la guerra "del sangue contro l'oro" a schierarsi, «per
difendere l'Italia dai rossi» sulla ignobile (e contraria agli interessi
nazionali!), sponda atlantista dell'Occidente e in supporto del neonato esercito
post badogliano democratico e antifascista
Già nel 1947 con i primi eletti al Consiglio Comunale di Roma, dove il MSI
raccolse quasi il 4% dei voti, si ebbe un anticipo di quello che sarebbe stato
il pluriennale balordo cammino di questo partito missista, cioè la ruota di
scorta dei governi democristiani. I primi consiglieri del MSI, infatti, votarono
a favore del sindaco democristiano Rebecchini iniziando così da subito, quel
penoso cammino dell'apparentamento con i conservatori, i liberali, i monarchici,
i democristiani di destra, in funzione di ruota di scorta o di supporto alla DC.
Un triste epilogo per quanti, soprattutto giovani avevano in buona fede dedicato
ai primi anni di quel partito, spacciato per neofascista, sudore, sangue e
magari anni di galera.
Un ultimo appunto, non si comprende per quale motivo l'autore ha premesso al suo
articolo il termine FNCRSI (leggesi: FNCRSI, il contesto politico delle origini)
chiamando in causa una delle pochissime organizzazioni degli ex combattenti del
fascismo repubblicano irriducibilmente avversa alla destra, agli americani, alla
NATO ed al sionismo, i cui dirigenti ebbero a coniare il motto «Noi non siamo
fascisti, NOI SIAMO I FASCISTI». a cui anni dopo, di fronte all'evidenza dei
fatti fecero seguire la puntualizzazione che «se per fascismo si intende quello
che rappresenta il MSI, allora noi siamo "antifascisti!"».
Tempo addietro il bravo Rutilio Sermonti, su queste stesse pagine, ebbe a
sostenere di voler giudicare le persone in merito a come queste si pongono nel
considerare la data del 25 aprile: liberazione, oppure occupazione?
Giustissimo, ma noi crediamo, che questa condizione non sia sufficiente,
bisognerebbe infatti aggiungere anche un altro spartiacque, una altra
irrinunciabile condizione, quella che, senza concedere alcun alibi, porta a
considerare come si comportarono gli italiani dal dopoguerra in avanti:
irriducibili nemici o collaboratori degli atlantici?
Maurizio Barozzi
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