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Facciamola finita con l’Europa
Enrico Galoppini ((18 aprile 2014)
Una decina d’anni or sono, sulla rivista di studi geopolitici "Eurasia", nel quadro di un confronto tra Claudio Mutti e Costanzo Preve sull’Unione Europea, qui rievocato, il primo propose la metafora del "bambino e dell’acqua sporca" per esporre il suo punto di vista fondamentalmente positivo circa l’opportunità d’un processo d’integrazione europeo (e, in prospettiva, eurasiatico), sebbene egli si dichiarasse scettico verso questa "Unione Europea" così com’era andata configurandosi. Si trattava di un’opinione suffragata da considerazioni d’ordine filosofico e culturale, nonché strategico e geopolitico, fornita dunque d’una sua fondatezza e solidità, specialmente teorica. Tuttavia si trattava di vagliarne la tenuta "sul campo", ovvero se, alla prova dei fatti, sarebbe stata smentita clamorosamente o meno. E così -secondo il mio modo di vedere- è stato. Il progetto incarnato nell’UE, pensato e realizzato da esponenti dell'europeismo occidentalista, procede a tappe forzate avendo messo la camicia di forza dell’euro e dei vari "trattati" -coi relativi "obblighi" e "parametri"- a tutte le nazioni europee. Per di più, allo stato attuale non esistono progetti "europeisti" alternativi, né in corso d'opera, né all’orizzonte, a meno che si consideri tra questi un’Europa "dall’Atlantico agli Urali" cara ad una "destra" che quando l’affermava a mo’ di slogan non teneva nel debito conto il fatto che gli Urali erano ben inseriti nell’(odiata) Unione Sovietica… E neanche vale la proposta di "integrare la Russia" in Europa, il che significa toglierla -come ben comprende Putin- dal suo naturale alveo, snaturandone così la funzione equilibratrice in Eurasia. A ben guardare, la questione dell’Europa, di questa Europa "unita", ricorda molto quella del famoso "Socialismo reale". Da parte dei comunisti europei si sosteneva che il Comunismo -cioè la realizzazione pratica del Marxismo-Leninismo- restava teoricamente valido, anche se di fronte alla sua pratica "realizzazione" bisognava "turarsi il naso", in attesa del "Sol dell’avvenire". Sappiamo tutti com'è finito il Comunismo storico otto-novecentesco. Scomparso, senza peraltro la magra consolazione della sconfitta militare, com’è accaduto al Fascismo e al Nazionalsocialismo. Assente da oltre vent’anni dai territori dell’Est europeo, la percezione comune (almeno nell’Europa occidentale) è quella di un’esperienza storica di un’altra èra (mentre il Fascismo vien fatto percepire come sempre attuale grazie alla martellante "cultura della memoria", anche se questa è un’altra storia …). La stessa cosa si può affermare al riguardo della Democrazia, con legioni d’illusi più o meno in buona fede che -di fronte agli innegabili fallimenti- stanno a lambiccarsi il cervello su quale potrebbe essere la "vera democrazia". Tutta fatica sprecata, ovviamente, perché la Democrazia parte da un errore di partenza sulla valutazione dell’uomo, da un’antropologia fasulla che conseguentemente si ripercuote su errori a ripetizione quando è in questione il piano dei rapporti tra gli uomini organizzati in comunità (per non parlare della negazione della natura teomorfica dell’essere umano, fonte di ogni disastro che lo colpisce e di cui non sa darsi conto concependosi come meramente "umano"). Ora, l’Unione Europea, è -per sua stessa dichiarata ammissione- "democratica" al 100%, nel senso che promuove tutto quel che rientra nel paradigma "filosofico" democratico, al di là del fatto -su cui si può discutere- che essa non si concretizzi nel "governo del popolo" (cosa del resto impossibile), si traduca di fatto in una oligarchia del denaro, dia il là ad una forma di "comunismo" di cui beneficiano solo le oscure burocrazie che la governano (il "super-Stato" europeo) eccetera. Ma una cosa è certa: i fautori del "progetto europeista" sono molto consequenziali, all’atto pratico, con quello che affermano, e che tutto ciò sia "democratico" così come ce lo s’immagina mediamente oppure no, conta ben poco, finendo nelle chiacchiere da forum di internet. Unione Europea e Democrazia realizzata dunque coincidono, la prima essendo il "laboratorio" in cui si sperimenta la teoria della seconda: libero mercato e libera circolazione degli uomini, abbattimento delle frontiere e delle sovranità, ideologia dei diritti umani e laicismo. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per stabilire un nesso simbiotico tra le teorie democratiche ed il progetto europeista. In altri termini, l’Unione Europea, al pari degli Stati Uniti d’America, rappresenta la forma più recente dell’Antitradizione: non a caso ormai si parla esplicitamente di "Stati Uniti d’Europa" e non si fa più mistero di una zona di "libero scambio" incentrata sull’Atlantico. La prospettiva che ci viene ammannita è perciò quella dell'Unione Euro-Atlantica, l’inevitabile e, in fondo, prevedibile esito del "progetto europeista". Come se ciò non bastasse, l’Unione Europea ha proceduto all’esproprio dei classici emblemi della sovranità, che sono il monopolio della forza (la Nato è di fatto l’Esercito Europeo) e quello del diritto di battere moneta (sull’euro, ogni commento è superfluo). Non vorrei dunque che parlando di Europa - l’Europa che prende forma concretamente e non quella ideale, "dei popoli", del "Medioevo cristiano" eccetera - scambiassimo le nostre legittime speranze e/o illusioni con la realtà, la quale ci mostra un’Unione Europea organizzata come una mostruosa burocrazia anonima nemica di ogni nazione e dei suoi tradizionali (e sani) modi di vita. Vogliamo ancora ripeterci che, in fin dei conti -parafrasando i "no global" (già spariti)- "un'altra Europa è possibile"? Penso proprio di no. E lo dico osservando la situazione, in costante e rapido peggioramento economico e sociale per la maggior parte degli europei a causa delle "terapie" (già la scelta del termine è indicativa: siamo "malati") della BCE, del FMI eccetera, col corollario del "terrorismo finanziario" delle "agenzie di rating". Altra cosa sarebbe stata una nazione-pilota di un certo calibro che, liberatasi dalla presa della grande finanza, si fosse posta alla guida di un manipolo di nazioni animate dal medesimo anelito di libertà ed indipendenza. In quest’ottica, il "nazionalismo" può ancora avere un senso, se declinato in senso non esclusivistico. E va da sé che le sole Ungheria o Islanda, sebbene abbiano dato segnali importanti, non bastano a svolgere questo necessario ruolo trainante. Per dirla tutta, non è "scritta" da nessuna parte un’Europa "unita" dai popoli scandinavi fino ai mediterranei passando per gli slavi ecc. Oggi constatiamo che la Norvegia è fuori da tutto (e non ha problemi), la Svezia si tiene ben stretta la sua moneta, e persino il popolo islandese dà battaglia perché ha capito che l'UE e l'Euro sono una gabbia. Per il resto, a livello di "sentire comune", abbiamo ben poco a che spartire con tedeschi e inglesi: i primi, da una parte, al di là delle esagerazioni che tendono a diluire i maneggi americani tra le cause della nostra "crisi", non ci amano affatto, né ci rispettano (si ricordi anche tutta la storia dei rapporti non facili tra Fascismo e Terzo Reich); i secondi si considerano un "popolo eletto", ed il discorso finisce lì. Noi, come italiani, dovremmo invece puntare a seguire le orme dello sviluppo di Roma. Farsi fagocitare dall'UE, senza nemmeno negoziare la cosa in maniera per noi conveniente, è pura follia. Veniamo meno alla nostra vocazione geopolitica, e quindi alla nostra natura, indebolendoci e girando perciò a vuoto. La verità è che ci hanno messo fuori gioco - noi italiani - con questa UE. E non a caso hanno dovuto eliminare tutti gli avversari di questo perverso progetto, com’è magistralmente spiegato nello studio di Antonio Venier, Il disastro di una nazione. Saccheggio dell’Italia e globalizzazione (ed. di Ar, Padova 1999), il quale stabilisce magistralmente un rapporto necessario tra: l’eliminazione della classe dirigente recalcitrante di fronte alla cessione di ogni sovranità; l’accelerazione del "progetto europeista" coi relativi "vincoli"; la demolizione del sistema industriale italiano grazie all’eliminazione della presenza dello Stato dai settori strategici ad alta tecnologia e dalla banca; l’insistenza monomaniacale sul "debito" e le svendite camuffate da efficienti "privatizzazioni" (comprese quelle di essenziali servizi pubblici); la creazione di un "mercato del lavoro" selvaggio e la correlata immigrazione di massa; l’esagerazione posta sulle esportazioni (difficilissime con un euro sopravvalutato) a scapito del mercato interno. Il risultato è sintetizzato nel titolo del libro: un disastro. Di cui dobbiamo ringraziare "l’Europa", cioè il "progetto europeista" ed i suoi fanatici esecutori. Gli "europeisti", i "padri dell’Europa", sono sempre stati dei perfetti sconosciuti, rinserrati nel loro "elitismo" snobistico, che non hanno mai combinato nulla di buono per i loro popoli. Degli amanti delle astrazioni, come minimo. Molto più probabilmente, degli agenti del nemico. Ben lungi, costoro, da personalità che un po’ d’amor patrio l’hanno dimostrato coi fatti, come Mattei, Moro e Craxi, checché ne possano dire oggi, mescolando le carte, dopo che li hanno sotterrati. Questi ultimi sapevano bene che Roma, trovandosi al centro del Mediterraneo, non può essere ridotta ad una succursale periferica di un "Asse franco-tedesco" o della City di Londra. Vediamo che fine hanno fatto i rapporti coi paesi del Mediterraneo dopo il "ricambio generazionale" della nostra classe politica (ed industriale). Non si riesce più a combinare nulla di buono con nessuno: né non la Tunisia (dove hanno appena installato una base Usa nel sud), né in Egitto, paese fondamentale per noi, in particolare da quando esiste il Canale. E lasciamo stare la Libia, che era il nostro partner privilegiato. Tutte queste "primavere" sarebbero state possibili con la vecchia classe dirigente della DC e del PSI? Certo che no! Hanno dovuto eliminarla per ridurci al loro scendiletto, alla prateria dove fare "shopping" con la scusa del "debito"! Un'altra cosa importante che va detta, a questo punto, quando il "malato" rischia davvero di schiattare, è che "l'idea di Europa" non può essere mantenuta nel mondo delle "pure idee" e della "filosofia", disgiunta dalle sue pratiche realizzazioni dovute agli inevitabili compromessi e soprattutto determinate dai rapporti di forza in gioco. Grazie all’Europa, a questa Unione Europea che non lascia spazio ad alternative, il Mediterraneo è sempre più diviso e terra di conquista per eserciti stranieri, che aprono la strada allo sfruttamento economico non certo a vantaggio dei popoli che ne abitano le sponde. Intanto, l’Italia è relegata a "portaerei" della Nato e a terra di conquista per novelli lanzichenecchi. E sullo sfondo prossimo venturo si staglia la prospettiva delle "secessioni" a catena, in un’orgia d’illusione "indipendentistica" delle "piccole patrie", che per nulla mette in allarme la stessa centrale "europeista", ma, anzi, facilita il compito di demolire definitivamente gli Stati-nazione in ossequio al dogma "federalista". I famosi ed incensati "padri fondatori dell'Europa" avevano in mente, facendo ricorso agli strumenti dell’unificazione e del federalismo, una precisa ideologia, quella cioè del mondo "senza più frontiere", all’insegna dei diritti umani e del laicismo. Che si traduce – per quanto ci riguarda - nella fine di ogni compagine statale di rilievo, capace di dettare una sua politica, al di fuori della loro struttura centralizzata e "commissariata" sine die. Ora, la dittatura delle banche e del potere finanziario facilita l’applicazione dei suddetti "diritti" perché destruttura quel che di sano esiste in una società, finendo per controllarne ogni ganglio, "pubblico" e "privato". Lo vediamo, ed è sotto gli occhi di tutti: gioco d'azzardo ad ogni angolo di strada, matrimoni gay addirittura "allo studio" nientemeno che del Papa in persona, atteggiamento comprensivo verso la pedofilia, vuote chiacchiere sul "femminicidio" per sabotare il matrimonio, presto anche la droga libera... e chissà cos'altro. Tutto questo non è un caso: era quello che volevano fin dall'inizio, ma fino a che hanno retto gli Stati nazionali non ci sono riusciti. Dirò di più. Questa "cura da cavallo" che impone cambiamenti mai visti prima con una velocità impressionante e, a dire il vero, sospetta, ha molto a che fare con la cosiddetta "Nuova era" che l’intero genere umano dovrebbe augurarsi al più presto, in trepidante attesa. Ecco perché per gli stessi fautori del "progetto europeista" il laicismo è così importante: le religioni non devono più dire nulla di "forte", di definitivo e di non negoziabile, bensì limitarsi, in un carnevalesco ‘mercato’ dove una vale l’altra, ad agenzie dispensatrici di belle parole, costantemente in "dialogo" per non ammettere di aver alzato bandiera bianca. In questo vuoto, scavato dallo stesso modo di vita "moderno" riscontrabile in tutte le "grandi capitali europee", s’inserisce alla perfezione il laicismo, che ha lo scopo di strutturare un "Uomo nuovo". Quello, per l’appunto, della "Nuova era" nella quale tutti, finalmente, saranno illusoriamente "liberi". Stando così le cose, come sovranisti convinti, ma soprattutto come portatori di una visione del mondo nella quale lo Spirito (che promana da Dio) ha la preminenza, non ci si può accodare al discorso dei grandi media coi loro "esperti", della "cultura" e della "politica" che da venticinque anni almeno ripetono la medesima filastrocca sulle "magnifiche sorti" che ci si dischiuderanno a fronte di qualche necessario piccolo "sacrificio".
Il "sacrificio" impostoci da questa Unione Europea è troppo grosso e
grave perché si debba stare ad attendere che si compia del tutto. Enrico Galoppini |