Introduzione a:
Il Fascismo visto da
sinistra
Giorgio Vitali
La POLITICA è sicuramente un'Arte. Ma un'arte,
come la medicina, legata a definite basi teoriche. Che affondano da sempre le
proprie radici in una sicura conoscenza del terreno ove far proliferare questa
magica e creativa scienza.
Nel "Dizionario Politico Popolare" un'opera dell'ottocento, la Politica è
definita così:
«Scienza del governo, che in sostanza è semplice come la religione del cuore, e
che i politici della bottega hanno fatta misteriosa come la teologia».
L'esempio è quanto mai pertinente, in un paese come il nostro nel quale le linee
guida della politica nazionale sono dettate da personaggi molto sensibili alle
sollecitazioni del clero.
Si tratta in questo caso di gerontocrati, che controllano il sistema
informativo, politico, burocratico, statale, con la mentalità affine ai
gerontocrati del clero.
Secondo Vilfredo Pareto, studioso che dovrebbe essere considerato sempre un
riferimento in Italia, «... all'opera degli uomini di Stato sovrasta quella
delle forze profonde esistenti nella società, generalmente dei sentimenti e
degli interessi ...»
E qui entriamo nel vivo del problema.
«Se scrivere storia significa fare storia del presente, -scriveva Antonio
Gramsci ne "II Risorgimento" (pag.63)- opera di storico vero sarà quella che nel
presente aiuta le forze in sviluppo a divenire più consapevoli dì sé stesse, e
quindi più concretamente attive e fattive».
Tuttavia, se da un'analisi politica si esclude la componente sociologica non si
viene a capo di nulla, perché ci si esclude aprioristicamente la possibilità di
interpretare i movimenti della storia (o della cronaca) nelle loro varie
componenti, per portare alla ribalta solo alcuni momenti, e probabilmente i meno
importanti. È altresì vero che una corretta comprensione dei fenomeni richiede
la capacità di affrontare la complessità.
Secondo Norbert Elias, citato da Maurizio Ghisleni e Roberto Moscati in "Che
cos'è la socializzazione" Carocci, 2003, la società moderna è espressione di
trasformazioni intervenute tanto sul piano delle strutture economiche che delle
singole psicologie e che quindi vi sia stata una coevoluzione tra le strutture
sociali e le strutture psichiche.
Tesi del tutto condivisibile in quanto i comportamenti, soprattutto nella
società moderna e postmoderna sono stati molto più condizionati dagli apporti
culturali di quanto non lo fossero nelle società precedenti, nelle quali buona
parte delle popolazioni vivevano di pratiche agricole tramandate per via
famigliare da secoli.
E tuttavia, l'incontro-scontro vissuto all'interno della classe dirigente della
Rivoluzione Francese, apparentemente un monolite dal punto di vista sociologico
(neoborghesia massonico-postilluminista) rivela ad uno studio più attento la
reciproca interferenza fra gruppi sociali differenti e contrastanti su posizioni
apparentemente coperte da asserzioni ideologiche o puramente verbali. E forse
l'unico momento unificante di tutte queste componenti è stata la ribellione
contro i diritti signorili.
Dall'analisi sociologica possiamo tranquillamente estrarre un'interpretazione
del fascismo come movimento dei ceti medi.
Di sicuro i ceti medi, che in tutte le società, quando sono emersi, hanno agito
come mediatori fra le forze in gioco, sono stati sempre compressi se non
schiacciati nel nostro paese, anche oggi che dell'attualità e necessità del
coinvolgimento diretto dei "ceti medi professionalizzati" la coscienza nazionale
sembra non rendersi conto, vista l'esclusione delle organizzazioni dei Quadri da
ogni dialettica sull'evoluzione nazionale, da sempre strutturata a favore di
un'alleanza concordataria e sottobanco fra sindacati operai, privi ormai di
autentica rappresentatività e legittimazione storica, ridotti a pura
rappresentazione feudale, come previsto da Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca ad
inizio secolo XX, e porzioni datoriali egemoniche composte per lo più da
esponenti di un'industrializzazione di tipo "pesante", superata dall'evoluzione
della ricerca.
Per anni abbiamo dovuto subire un'impostazione politica del giudizio sul
fascismo basata esclusivamente su presupposti marxisti scolasticamente
interpretati, cioè classisti, che anacronisticamente giudicavano l'evoluzione
sociale solo in termini di conquista del potere da parte del cosiddetto
proletariato.
In realtà il problema deve essere visto solo in funzione della positività
evolutiva di una società, ed in questo caso è evidente che portare alla ribalta
ed affidare la guida di una nazione ai ceti medi ha rappresentato, e lo
rappresenterebbe ancora oggi, un innegabile progresso, proprio nell'ambito del
superamento delle vecchie formulazioni classiste, dove la logica operaista è la
logica del capitale dell'industria pesante, e quella alternativa, gestita fino
ad oggi dalle forze più o meno sindacalizzate del cattolicesimo politico, è
costituita per lo più dalla burocrazia statale e dal contadinato. Proprio quello
che aveva previsto Mussolini già nel 1943, precisamente dopo l'otto settembre,
su quanto sarebbe accaduto in Italia nel dopoguerra, subito dopo l'eliminazione
delle Leggi socialrepubblicane sulla Socializzazione.
Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano, nel discorso
del 12 febbraio 1944 pronunciato in occasione dei funerali di Ettore Muti a
Ravenna, parlò di un fascismo nato nei borghi. Questo concetto che era stato
ripreso dalle opere di due toscani di razza, Ardengo Soffici e Curzio Malaparte,
contiene buona parte di verità. Perché quello che in Toscana sono i borghi, in
altre parti d'Italia sono altre forme di vita associata, ma tutte fulcro di
quella borghesia che fece grande il Medioevo italiano.
Un ricordo particolare merita Ardengo Soffici che, nato a Rignano sull'Arno nel
1879, fu una delle personalità artistiche più complete, a livello mondiale, del
novecento. Fra i tanti suoi libri, editi quasi tutti dall'editore d'avanguardia
Vallecchi, "Lemmonio Boreo, l'allegro giustiziere", ed "Il taccuino di Arno
Borghi". Già i titoli sono significativi. Dal "Taccuino" ricaviamo una pensiero
che proprio in questi giorni dovrebbe far riflettere. «L'architettura è lo
specchio della civiltà. Ogni popolo veramente civile ha la sua, e dal
perpetuarsi o l'imbastardirsi dei caratteri di essa si può argomentare del vero
rigoglio e della decadenza civile dei popoli e delle nasoni».
Quando, nell'immediato dopoguerra, Soffici fu interrogato dalla commissione
alleata di epurazione, alla domanda di quando si fosse iscritto al fascismo,
egli rispose di esserlo sempre stato, avendo scritto il libro "Lemmonio Boreo",
che anticipava le avventure scanzonate ma politicamente molto consistenti, degli
squadristi.
Altri due autori che occorre ricordare per non contribuire alla dispersione
della memoria, sono Lorenzo Viani ("Parigi", "Angiò uomo d'acqua") e Fabio
Tombari, del versante adriatico dello stesso parallelo geografico d'Italia. ("I
ghiottoni", "Tutta Frusaglia", "La Vita", "L'Incontro").
Senza conoscere l'opera di questi artisti, anche per il loro apporto figurativo
e linguistico, non si può comprendere l'origine del fascismo, e quindi non se ne
può parlare.
La storia del fascismo è semplice ma è viziata dall'ignoranza di coloro che
pretendono scriverne senza conoscere gli avvenimenti. Ernesto Massi, in una
delle interviste concesse a proposito del programma del 23 marzo 1919, ricorda:
«C'è chi vedeva nel nuovo movimento l'ala sinistra del nazionalismo, chi un
sindacalismo nazionale, chi come Massimo Rocca, (Libero Tancredi), l'ala
marciante e riformatrice del liberalismo. Mussolini vi vide qualcosa di nuovo.
La continuazione del sindacalismo interventista, il riabbraccio del lavoro con
la nazione; vi vide la possibilità di svuotare il socialismo del suo contenuto,
trasferendo alcune delle sue istanze sul piano nazionale, affermando la
solidarietà dei fattori produttivi e la subordinatone degli interessi dei
singoli e dei gruppi ai fini etici della Nasone e della Giustizia sociale. Se
non ci è lecito qui esprimerci sul grandioso tentativo, ci è consentito invece
affermare in sede di critica storica che e proprio in tale evoluzione dal
socialismo che sta l'originalità della concezione. Respingere questa parte dì
Mussolini ed immaginarsi il fascismo senza di essa significa immiserirlo e
snaturarlo. Al di sopra della funzione innovatrice svolta dal capo, il fascismo
senza Mussolini sarebbe forse divenuto quella sintesi di sindacalismo, di
liberalismo e di nazionalismo, di cui Rocca auspica ancora oggi l'avvento nel
nostro paese, e di cui abbiamo avuto con il "Qualunquismo" un inconcludente
anticipo».
Va aggiunto che, il programma Rocca-Gorgini della primavera del 1922, che
iniziava la trasformazione in senso liberale del fascismo, fu benevolmente
commentato dal "Corriere della Sera" come «… un trionfo della pura concezione
liberale manchesteriana ...». Questo per dire che nel fascismo erano
necessariamente presenti molti aspetti delle concezioni politiche presenti nella
cultura europea, e tuttavia Mussolini si sbarazzò di questa concezione con
quattro frasi, in un breve articolo di fondo sul "Popolo d'Italia", definendolo
inutile e sorpassato.
D'altronde Maurice Barrès ed altri autori francesi ci permettono di individuare
la successione delle generazioni nel fascismo. La generazione dei precursori e
dei padri va all'incirca da George Sorel (1847-1922), passando per il marchese
de Morès (1858-1896) fino a Barrès (1862-1943) e Rene Quinton (1865-1925). Punto
di comparazione, Gabriele D'Annunzio (1863-1938) e Gottfried Benn (1886-1956).
La generazione intermedia, quella che incarna il fascismo in senso stretto, nata
tra il 1890 e 1905, è costituita da: Drieu La Rochelle, Celine, Monthérlant,
Rebatet, Ernst Junger, Roberto Farinacci, Oswald Mosley, Doriot, Codreanu, José
Antonio Primo de Rivera, Leon Degrelle, Brasillach (1909-1945). (Armin Mohler,
"Lo stile fascista", Settimo Sigillo.).
Ci sembra evidente, anche dal non piccolo numero di nomi coinvolti, che il
fascismo non possa essere definito movimento di destra e tanto meno nuova forma
di liberalismo. È esattamente il contrario. Basti leggere gli autori citati.
Di recente, in occasione della pubblicazione dei discorsi di Mussolini con
"l'Espresso", il commentatore faceva notare che in quei discorsi non si notavano
critiche alla Russia comunista mentre erano sempre presenti precise accuse al
mondo anglosassone liberal-massonico. Lo stesso commentatore aggiungeva che il
duce criticava la liberaldemocrazia perché è sempre stato socialista. La stessa
RSI è la dimostrazione storicamente evidente (ma ancora non esattamente
percepita) che lo Stato ideale per il duce era una repubblica che fondeva i
princìpi fondamentali del socialismo con quelli del mazzinianesimo. Infatti il
nome assegnatole, come ripeteva sempre Nicola Bombacci durante i suoi affollati
comizi, era proprio quello scelto da Mazzini stesso. Ed alla fine il duce
intendeva trasmettere proprio al Partito Socialista, che non aveva gli uomini
capaci di gestirla, l'eredità del "suo" Stato. Carlo Silvestri, nel libro
"Turati l'ha detto", pubblicato da Rizzoli nel 1947, trascrive la lettera che
Mussolini gli fece scrivere, indirizzata ai dirigenti del PSI. Di questa è
giusto riportare le primissime frasi. «All'esecutivo del Partito Socialista
Italiano di Unità Proletaria. Al Comitato Centrale. Compagni socialisti, Benito
Mussolini mi ha chiamato e mi ha dettato (il 22 aprile 1945) questa dichiaratone
che mi ha autorizzato a ripetervi: poiché la successione è aperta in conseguenza
dell'invasione anglo-americana, Mussolini desidera consegnare la Repubblica
Sociale Italiana ai repubblicani e non ai monarchici, la socializzazione e tutto
il resto ai socialisti e non ai borghesi».
Questi ultimi anni hanno visto una svolta epocale degli studi storici sul
Fascismo.
Dopo De Felice l'approfondimento sui temi essenziali emersi con i documenti via
via recuperati hanno permesso una conferma delle tesi defeliciane, nonché di
tutti coloro che hanno seguito, fino ad oggi con linearità le direttive lasciate
dal Fascismo Repubblicano.
Negli USA, una recente ricchissima ricerca di James Gregor, professore di
Scienze Politiche alla Università della California, Berkeley, ("The search for
Neofascism. The use and abuse of social science", Cambridge University Press,
New York, 2006, pag.306), ricostruisce sinteticamente, ma bibliograficamente
completa, l'evoluzione del fascismo dalla nascita fino ai giorni nostri. Un
lavoro simile era già stato fatto da Maurice Bardèche, che aveva preso in esame
il regime di Nasser, quello di Castro ed altri, verso la fine degli anni
sessanta. Quello di Gregor ne può essere considerato un proseguimento, perché
arriva ad analizzare movimenti politici più recenti, come il "Black Nationalism",
con le figure di Marcus Garvey, leader dell'"Universal Negro Improvement
Association" e di Elijah Muhammad del movimento "Nation of Islam".
L'autore esamina anche l'influenza esercitata dal pensiero italiano nel Medio
Oriente ed in India (con la chiara influenza di Mazzini sull'ideologo indiano
Savarkar, già esaminata in una precedente opera dello stesso, pubblicata in
Italia negli anni sessanta). Infine è molto interessante l'esame del Fascismo
Cinese movimento politico che sta nascendo dopo il crollo dell'esperienza
maoista.
Ma non è tutto. Lo scrittore Jonah Goldberg, giornalista del "Los Angeles Times"
e del "National Review" nel suo recente libro dal titolo significativo: "Liberal
Fascism", Penguin Book, pp.488, dichiara stentoreamente: «Tutto quello che
sapete sul fascismo è sbagliato!».
Con questo libro che sta avendo successo nel mondo anglosassone e che speriamo
di leggere presto in italiano, egli dimostra, prove alla mano, che il fascismo
non è affatto un movimento di destra o, ancor peggio, reazionario, bensì uno dei
più riusciti esperimenti della sinistra rivoluzionaria, figlio diretto di quella
rivoluzione francese da cui trae origine tutto il pensiero di sinistra e
progressista.
Tutta la politica del Ventennio deriva dai medesimi princìpi di giustizia
sociale che hanno ispirato anche la rivoluzione bolscevica ed il "New Deal",
ottenendo però risultati assai migliori.
Infine non potrebbe mancare la voce di Ernst Nolte, che invitato dall'Istituto
Jacques Maritain per una tre giorni a Treviso sul "Concetto e realtà dei
movimenti radicali di resistenza del XX e XXI secolo" ha dichiarato che
Mussolini fu un marxista erudito che sapeva ciò che la maggioranza dei marxisti
non sapeva. È stato il più importante marxista convertito al socialismo
nazionale.
Questo revisionismo in atto è doveroso e, a nostro parere, anche anticipato se
si procede secondo i ritmi della storia che sono, disgraziatamente per
l'umanità, molto lunghi. Basti pensare che solo oggi alla luce di ricerche e
scoperte fondamentali è possibile una riflessione storica pacata sul
cristianesimo. Eppure, ci vuole una minima intelligenza per capire che l'idea di
fascismo come reazione non poteva che nascere dalla frustrazione dei movimenti
antagonisti dopo la sconfitta degli anni venti. L'odio e l'istinto di rivalsa
hanno obnubilato le coscienze, l'elaborazione concettuale di queste primitive
forme di emozionalità scomposta è arrivata in un secondo tempo, con
elucubrazioni farraginose (e basti pensare alla massa di opere, provenienti per
lo più dagli USA, pubblicate negli anni sessanta che hanno costituito alcune
fortune editoriali e provocato anche parte del '68, lette, se lette,
frammentariamente, e finite inesorabilmente al macero).
Siamo comunque felici che possa definitivamente essere chiarito un grande
equivoco, che ha falsato la storia nazionale per tutto il dopoguerra fino ad
oggi, con l'identificazione tanto del MSI (fascismo in doppio petto), quanto dei
gruppi della Destra Radicale (naziskin etc), con il movimento fascista che
dimostra oggi una vitalità proprio dove meno lo immaginiamo.
Come previsto da Mussolini il quale aveva dichiarato che i suoi veri figli non
saranno quelli che dicono di esserlo.
Giorgio Vitali
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