Geopolitica della
fecondazione assistita
Giorgio Vitali
Come sempre nel nostro paese, la
Democrazia è una facciata. Il vero motivo del contendere dell’argomento in
questione non è il diritto o meno di alcune famiglie in qualche modo sterili ad
avere una progenie, ma si tratta in verità degli aspetti geopolitici e militari
della ricerca genetica.
[Quest’intervento non vuole entrare nel merito di un dibattito sul quale si
stanno cimentando tutte le penne più forbite del panorama filosofico-religioso
del nostro paese. Una vera occasione per tanti “cattedratici” che non
aspettavano altro per mettersi in luce. Fra l’altro, sull’argomento è anche
reperibile nelle edicole l’ottimo volumetto di Giorgio Tonini, "La ricerca e la
coscienza", edito da Il Riformista].
Sull’argomento c’interessa invece evidenziare due aspetti.
1) Primo epifenomeno: Eugenetica
2) Secondo epifenomeno: Semantica.
Per eugenetica s’intende un’applicazione tecnica finalizzata al miglioramento
della razza umana.
L’eugenetica è stata ampiamente criminalizzata, attribuendone ogni aberrazione
al nazismo, ma ignorando che una politica eugenetica è stata attuata in molti
paesi del mondo, con esclusione, vedi caso, dell’Italia, paese nel quale lo
scientismo d’ispirazione darwiniana era ampiamente soverchiato dalla concezione
tradizionale della Medicina Italica Costituzionalistica del Pende.
Per estensione, s’intendono con questo termine tutti gli interventi atti ad
ottenere uno o più figli secondo un predeterminato programma di carattere
prevalentemente tecnico.
Quest’aspetto è meglio evidenziato dai dati statistici relativi alle richieste
dalle coppie che fino ad oggi sono ricorse alla fecondazione eterologa (usando
il seme di un altro maschio).
La stragrande maggioranza, potendo scegliere, richiede figli biondi con gli
occhi azzurri. Tralascio qualsiasi altra valutazione sull’argomento, anche
perché ci porterebbe lontano. Molto, troppo lontano.
Resta il fatto in se stesso, che il sottoscritto propende a sintetizzare così:
Lasciata a se stessa, l’umanità è portata creare mostri. Le chimere, i golem, i
frankenstein, Jekhill & Hyde sono presenze archetipiche incombenti fin dai
primordi della civiltà. Si può discutere quanto si vuole sull’embrione, sulla
definizione biologica dell’ootide (una fase ben caratterizzata del processo di
maturazione finale dell’oocita che di fatto necessita, per conseguire l’assetto
cromosomico gnomico, della fusione con lo spermatozoo), ma alla fine, sulla
linea dell’orizzonte, viene alla luce la spietata e peraltro ovvia verità. Si
tratta quindi, in questo caso, di decidere fin dove si vuole arrivare, comunque
non credo proprio che la soluzione sia dietro l’angolo, né che possa essere
delegata agli esegeti di uno specifico culto, o, in alternativa, agli esperti di
una particolare branca della cosiddetta “scienza”, né tantomeno ad un referendum
popolare più o meno manipolato da interessi “economico-politici” di parte.
L’aspetto semantico è molto più interessante, perché pone il problema
sostanziale sul quale poche volte si è riflettuto, per ovvie ragioni
manipolatorie, del rapporto fra scienza/tecnica e società.
Infatti, fino a che punto il riferimento al “dato scientifico” è comprensibile,
e da chi?
Eppoi, qual è il livello di comprensibilità fra specialisti di un settore della
scienza e specialisti di un’altra frazione della medesima “scienza”? Fra
scienziati ed umanisti? Fra scienziati e filosofi?
Fra scienziati e ministri di un determinato culto? Questo problema si pone
anche, e sempre con maggiore preoccupazione per le persone autocoscienti, nei
rapporti fra industria produttrice di farmaci e tecnologie specifiche con gli
operatori sanitari e nei rapporti fra questi ultimi ed i loro “pazienti”. In
questi casi le garanzie per un’autentica “salute pubblica” sono molto vicine
allo zero. Una prima eco in Italia dell’emergere del problema, [finora il
rapporto medico-paziente è stato improntato ad un’acritica e generica gerarchia]
è costituito dalla "Carta di Firenze".
È in atto anche un’evoluzione ideologica, di cui occorre prendere coscienza, che
ha come substrato concetti creati ed usati sulle metodologie messe a punto dalle
biotecnologie.
C’è una costante nella storia linguistica di tutti i popoli. Con gran velocità
parole create per esprimere concetti biomedici circolano nel linguaggio corrente
assumendo significati molto spesso divergenti da quelli con cui erano entrate
nei discorsi delle persone.
Ne consegue che coloro che intendono battersi per l’affermazione di contenuti
sociali (che di necessità implicano aspetti etici) devono prepararsi a sostenere
una scelta di campo essenziale per il futuro dell’umanità. Personalmente,
propendo per la totale supremazia dello Stato nei confronti della cosiddetta
“ricerca”, soprattutto se quest’ultima si svolge sulla tenue linea di
demarcazione fra l’uomo e la chimera.
E tutto ciò a maggior ragione se, come scrive Gilberto Corbellino su “Il
Riformista”: «A fronte della velocità con cui procedono le conoscenze biologiche
rese possibili dagli avanzamenti delle biotecnologie, la tradizione umanistica
che alimenta la riflessione politica o religiosa, ma anche giuridica, rimane
spesso vincolata ad una semantica piuttosto indeterminata. Dando allo steso
tempo per scontato nell’ambito della tradizione razionalista formale del
pensiero occidentale la possibilità, per finalità normative, di congelare
essenzialisticamente quegli stessi termini che la scienza definisce
operativamente. In tal senso si creano facilmente cortocircuiti ed
incomprensioni che alimentano una generale babele linguistica. Dove ognuno può
parlare all’interno di argomentazioni che non intercettano i problemi in modo
pertinente».
E poi: «Tutti i sondaggi dicono che sono minoranza anche in Italia coloro che
seguono i precetti cattolici quando sono in gioco la salute ed il benessere
personale o familiare. E non sono pochi i teologi ed i ricercatori cattolici che
aspettano che la Chiesa modifichi le sue posizioni circa l’identificazione dell’ootide
o dello zigote con la persona umana».
NOTA: non so se il lettore, anche se attento, ha compreso a fondo il problema.
Qui ci troviamo in una crisi di enorme portata. Da una parte c’è la minaccia di
una strumentalizzazione dell’uomo per fini meramente economico-politici.
Dall’altra, la strumentalizzazione dell’incomprensione linguistica basata su una
mistificazione durata decenni su di un falso concetto di conoscenza, che è fatta
coincidere con il mito della ricerca scientifica, senza specificarne i
contenuti. Fortunatamente, è proprio grazie alle recentissime conquiste della
“medicina basata sulle verifiche” (evidence based) che si è potuto appurare la
sostanziale falsificazione della maggior parte dei dati cosiddetti scientifici,
dovuta a conflitti d’interesse fra “ricercatori” ed industria finanziatrice.
All’interno di questa tenaglia deve sopravvivere la “condizione umana”. In
questo senso, il termine oscurantismo diventa una bazzecola. Retaggio di tempi
aurei.
La conclusione politica per noi non può essere che drastica: nessuna delega alla
Chiesa cattolica, la quale vive e fa vivere ai fedeli lo scontro nella
dimensione che non gli è propria. Quella di un’operazione di retroguardia di
ottocentesca memoria. Fra relativismo culturale e religioso e certezza di fede.
Tutto molto funzionale al Sistema.
Il retroscena geopolitica.
In un libro essenziale di Maurizio Blondet : "La strage dei genetisti",
Effedieffe editore, l’autore ci rende edotti che dall’11 settembre 2001 sono
morti in circostanze misteriose, definite per lo più suicidio, circa 20
scienziati studiosi di genetica. I dettagli vanno letti nel libro citato.
Qui è sufficiente sottolineare che la prese di posizione dei “Radicali” (guarda
caso!) e di certi scienziati a favore della “libertà di ricerca”, che oggi
tassativamente non esiste, sono finalizzate pressoché totalmente a favorire la
ricerca genetica per fini militari, per lo più si tratta di armi genetiche per
malattie non diagnosticabili e quindi inguaribili. [Sono in atto da qualche
tempo alcune epidemie sperimentali].
D’altronde lo stesso aspetto inquietante degli OGM si ricollega direttamente a
quanto finora esposto. Gli OGM, contrariamente a quanto si cerca di far credere,
sono utilizzati dalle Multinazionali all’esclusivo fine di imporre ai popoli la
supremazia statunitense anche a livello alimentare. Bastano a tal fine due
semplici notizie.
1) Il proprietario della più alta quantità di brevetti sugli OGM è il governo
statunitense.
2) Le piante OGM più utilizzate in assoluto non sono quelle che favorirebbero la
crescita anche in ambiente ostile, ma quelle più resistenti a particolari
pesticidi. (Quelli venduti dalla stessa Multinazionale che vende il seme OGM.)
A chi si pone il problema classico del «Cui prodest» la risposta è ovvia, perché
basta conoscere le persone (i cosiddetti scienziati) cui è affidato il
coordinamento internazionale della ricerca (spesso ineffabili “premi Nobel”).
Queste persone costituiscono per il potere delle Multinazionali
un’insostituibile garanzia. Occorre infine tener conto che “il Sistema”
(chiamiamolo così), è in condizione, oggi, di cooptare in qualsiasi momento ed
in qualsiasi luogo sulla Terra quel particolare giovane scienziato che si fosse
messo in vista con qualche geniale pubblicazione scientifica.
Per chi si opponesse, resterebbe sempre la soluzione delineata nel libro di
Blondet.
D’altro canto non si deve dimenticare che a guerra appena finita fu aperta la
caccia allo scienziato tedesco messa in atto dai vincitori.
NOTA: per chi pensa che stiamo esagerando nelle ipotesi complottiste, si ritiene
utile ricordare che la verità viene sempre alla luce, anche se con molti anni di
ritardo.
A titolo d’esempio, in un recente articolo pubblicato su “Internazionale” 21-28
aprile 2005, Noam Chomsky ricorda che nel 1991 Lawrence Summers, già segretario
del Tesoro sotto il presidente Clinton, mentre oggi presiede l’università di
Harvard, era chief economist della banca Mondiale.
In un memorandum interno, Summers sostenne che la Banca doveva incoraggiare le
industrie inquinanti a spostarsi nei paesi più poveri. (Lo abbiamo visto a
Bhopal). Il motivo era per lui molto semplice: bisognava produrre una parte di
inquinamento nocivo per la salute nei paesi che comportano i costi più bassi,
che sono anche quelli dove i salari sono più bassi. «A mio avviso, scriveva
Summers, nello scaricare i rifiuti tossici nel paese con i salari più bassi c’è
una logica economica impeccabile, e dobbiamo tenerne conto».
Quanto riportato è stato scritto un quindicennio fa, e se qualcuno avesse
ipotizzato qualcosa del genere sarebbe stato immediatamente tacciato di
fantasticheria. La realtà invece è di questo tipo.
Soprattutto a livello di potentati globalisti. Chi non lo capisce per tempo è
destinato a perdere una guerra tra le più pericolose per il futuro dell’umanità
e del mondo.
Giorgio Vitali
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