Italia - Repubblica - Socializzazione

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Guareschi, i Voltagabbana, l'Antifascismo ed il Neofascismo

Una lettera ed una risposta

Giorgio Vitali  

 

«Nella vita, sangue e conoscenza debbono coincidere. Allora sorge lo spirito»
Franz Schauwecker

«… Voglio dire che alla fine ha trionfato il peso, non il movimento. Ciò che era più passivo ha trionfato semplicemente perché le parti più attive si sono divorate a vicenda …»
E. Von Salomon, "I Proscritti"

«Può darsi che la storia degli "storici" non sia fatta anche con i "se", ossia con la coscienza delle alternative; ma certamente nella ridda delle ipotesi innescata dall'immaginario storico, nei sensi del possibile e dell'impossibile che si scavalcano vicendevolmente, nello scherzo e nello scherno di una maschera che si dimostra più vera del vero, la creatività artistica del desiderio trionfa sulla "copia conforme" del passato». Lucio Cabutti

«Diciamo che solo alla fine della sua vita e con un saggio brevissimo Kant ha concluso con Hobbes che lo stato di pace tra gli uomini non è uno "status naturalis"»
Silvia Ronchey

«I cannoni definiscono la ragione finale del denaro.
In lettere di piombo sul fianco di collina.
Ma il ragazzo morto tra gli alberi di olivo
Era troppo giovane e sciocchino
Per essere importante al loro sguardo.
Era miglior bersaglio per un bacio».
Staphen Spender, ("Ultima Ratio Regum")

«Perché devo avere fede nella fede degli altri uomini?»
Ingmar Bergman, "Il Settimo Sigillo"

 

la Lettera


Caro Giorgio,
Le irridenti vignette del "Candido" e i suoi trafiletti ci confermano quanto ben sapevamo (e sapeva anche Togliatti): l'impronta socializzatrice del fascismo repubblicano aveva lasciato un certo numero di fascisti per così dire di "sinistra".
Quella che purtroppo prevalse, nel dopoguerra, fu l'operazione di trasbordo dei fascisti repubblicani sulle sponde filo monarchiche, conservatrici e filo atlantiche (Romualdi, Almirante, ecc.) che fecero leva sull'odio ancora fresco per le stragi delle radiose giornate e sull'altra numerosa componente del fascismo, quella che contava anche un gran numero di nazionalisti, qualunquisti e conservatori generici.
Tutte queste componenti erano state tenute insieme da Mussolini, morto il quale ognuno è andato per conto suo.
A mio parere dobbiamo essere alquanto eclettici, ovvero partendo dal fatto che proprio il fascismo superò la contrapposizione destra-sinistra, possiamo affermare che avrebbero "diritto di cittadinanza nel fascio" sia i fascisti di destra e sia quelli di sinistra. Ed un notevole ruolo deve anche essere riservato alla componente Tradizionalista, forse la sola che può dare una visione della vita e del mondo organica e basilare alla ideologia fascista che altrimenti resta solo relegata ad un ciclo storico.
Resta però il fatto che la componente di destra non può riferirsi a quella che è stata la destra dal dopoguerra fino ad oggi, cioè un coacervo reazionario, bassamente conservatore senza alcuna prospettiva ed apertura che lo facesse trascendere dalla difesa di gretti interessi;
la componente di sinistra, invece, non può rifarsi in toto alla visione materialista della storia altrimenti la socializzazione, tanto per fare un esempio, diverrebbe il fine e non il mezzo per la risoluzione del problema sociale.
La componente Tradizionale, infine deve essere adeguata ai tempi moderni, purtroppo ai secoli delle masse, dove è proponibile la comunità nazional popolare e non il principio dello Stato regio, dove la socializzazione, le corporazioni, l'unità tra partito e popolo non sono altro che le moderne espressione dei principi tradizionali che restano come punto di riferimento metastorico (insomma è cretino teorizzare le caste e non capire che le aristocrazie oggi si esprimono in modo diverso dai tempi di Carlo Magno o Metternich). E la componente tradizionale deve anche considerare che, se pur è utile e necessario fare chiarezza sul ruolo massonico del Risorgimento, purtuttavia il patrimonio storico italiano non ha altro su cui basarsi e partire.
Ed infine, qualunque sia la predisposizione intellettuale dei fascisti: di destra, di sinistra, tradizionalsti, gentiliani o altro, la cartina di tornasole per giudicarli è ammetterli nel fascismo è una sola: la difesa degli interessi nazionali, per i quali ogni forma di collaborazione con i colonizzatori americani costituisce un tradimento della Patria, qualunque siano le motivazioni tattiche addotte.
La vera opposizione all'Atlantismo doveva essere costituita dai reduci della RSI, visto che quella delle sinistre era semplicemente funzionale a Mosca!
Ed invece, tranne la FNCRSI, è accaduto l'esatto contrario! Ed allora ogni discorso eclettico, destra-sinistra, di fronte a questo tradimento cade completamente.

Maurizio Barozzi.
 


la Risposta
 

«I paragoni storici, si sa, sono produttori di conoscenza solo nella misura in cui ci permettono di individuare, nei logori paludamenti del passato, fuggevoli riflessi del nostro presente»
Maurizio Vitta

«Noi impariamo a valutare l'istante appena lo consideriamo qualcosa di storico»
J. W. Goethe

«La Destra tua, che alle grandi opre è nata.
Si stringe al ferro, e all'oro si dilata»
Anonimo

«E siccome er Dio loro è libberale
Ma gira gira è sempre er Padreterno
Ne viè ch'er frammassone va ar governo
Ce trova er prete e ce rimane eguale»
Trilussa

 


Caro Maurizio, hai perfettamente ragione e cogliamo l'occasione per allungare il brodo.
La questione è così importante che varrebbe la pena spenderci più tempo di quanto in realtà non abbiamo e tuttavia nulla vieta che altri possa intervenire in questo dialogo facendolo diventare un dibattito fermentante nuovi umori. Perché la fissità della società italiana, che Pontiggia chiamerebbe «le sabbie immobili», permette qualsiasi equivoco. E non solo. Siamo di fronte a manifestazioni di velleitarismo verbale, ripetuto per decenni da tutti i componenti di destra e sinistra, che blocca qualsiasi tentativo di schizzarne fuori con un agire concreto capace di far uscire il nostro paese da una situazione di stallo ormai riconosciuta da tutti i commentatori nostrani ed esteri.
E forse, per uscire dagli equivoci, l'esempio di Guareschi può tornare utile.
Dunque, di recente, ed in occasione di una ricorrenza guareschiana, il quotidiano "Libero" è uscito con alcuni libri dedicati al grande scrittore (perché Guareschi fu, indubbiamente, un grande scrittore, uno dei pochi scrittori italiani diffusi all'estero, il solo "Don Camillo", appena uscito nel '48, totalizzò una vendita di 15.000 copie), e per di più con la ristampa di un certo numero di edizioni del "Candido" del 1948. Si trattava della famosa campagna anticomunista che portò alla grande vittoria democristiana del 18 aprile. Ri-leggendo quelle memorabili pagine abbiamo notato la manifestazione di un anticomunismo intelligente, che all'epoca ci appariva un po' esagerato [trinariciuti, contrordine compagni, visto da destra e visto da sinistra, etc…] ma che oggi, dopo sessant'anni di prove abortite e di fallimenti epocali, ci appare del tutto pertinente. Tra i trinariciuti descritti da Guareschi ed i post-comunisti di oggi non c'è alcuna differenza. Impossibile comunicare. Il tutto a vantaggio del Sistema, ovviamente.
Il secondo elemento delle polemiche del "Candido" è la questione dei "voltagabbana". Quegli intellettuali che, vicini al fascismo, si trasformarono subito in fiancheggiatori del PCI, il quale, su suggerimento togliattiano, cercava di applicare i princìpi dell'egemonismo gramsciano. Ma nei limiti dell'intelligenza comunista su descritta. Infatti, tale operazione si limitò ad intercettare prima gli intellettuali reduci dai littoriali, poi quelli reduci dalle trincee, infine i reduci dalla prigionia e dalle file socialrepubblicane. Tale reclutamento all'italiana portò ad un'egemonia di facciata, molto esteriore e falsa, che gli italiani percepivano facilmente, ed al primo stormir di vento, qual foglie precocemente ingiallite, tutti (scrittori, cineasti, artisti, consulenti, mediatori, critici) s'involarono nell'azzurro cielo del conformismo atlantico.
Il terzo elemento, quello che maggiormente ci ha colpito, è l'assenza di qualsiasi riferimento alla guerra civile che aveva colpito l'Italia del Nord, soprattutto la "Padania", col suo addentellato di stragi a guerra finita. Stragi sulle quali solo in questi ultimi anni è stato aperto uno squarcio, cioè si è riusciti a "forare" il muro della massa popolare, ad opera di uno scrittore non propriamente definibile "postfascista". La cosa deve far riflettere, perché opere in tal senso sono state nel tempo pubblicate, fra queste, oltre al noto e fondamentale lavoro di Giorgio Pisanò, peraltro molto venduto, possiamo annoverare: "I vinti di Salò" di Ugo Franzolin che aveva già scritto "Il repubblichino", e molte altre fra le quali quelle scritte da Fra Ginepro, da non perdere! Fra esse vale la pena ricordare anche "RSI addio" scritto dai "ragazzi" della GNR, e "Gli ultimi fascisti. Franco Colombo e gli arditi della Muti" di Luca Fantini. Va ricordato anche che nel 1948 erano da poco finite le fucilazioni retroattive, sanzionate dalla legislazione luogotenenziale. Infatti, il giorno 6 marzo 1947 furono fucilati nello spezzino Forte Bastia, Emilio Battisti, questore di La Spezia, Aurelio Gallo, capitano della 33ª BN, e Achille Morelli, maresciallo della Polizia Repubblicana di La Spezia. (Furono in tutto 91 le fucilazioni impartite dai Tribunali delle Corti Straordinarie d'Assise).
Ebbene, su questi fatti su "Candido" non c'è eco né traccia. Rimozione, occultamento, esecuzione di ordini rigorosi di stampo democristiano? Giovannino Guareschi era troppo onesto per accettare compromessi onerosi. Ricordiamo che egli accettò serenamente un anno di carcere, che avrebbe posto fine al ruolo politico del "Candido", pur di non chiedere la grazia che De Gasperi gli avrebbe di sicuro accordato in ringraziamento per il ruolo fondamentale da lui ricoperto nel conseguimento della vittoria del 18 aprile.
La condanna era stata comminata in seguito alla nota polemica suscitata dalla pubblicazione sul "Candido" delle lettere con le quali De Gasperi, che viveva in Vaticano, aveva chiesto agli Alleati il bombardamento di Roma. Fatto in sé del tutto plausibile, in quel momento, per far cadere il Fascismo; infatti il bombardamento di Roma mentre Mussolini si trovava in colloquio con Hitler antecedette di pochi giorni il 25 luglio. E lo stesso Guareschi, uomo ormai di successo, poco prima di morire mi disse privatamente che egli era perfettamente convinto dell'autenticità di quelle lettere.
Cosa pensare allora?
Proseguiamo con ordine.
Dalla fine della guerra all'inizio degli anni settanta, la scuola italiana ignorò la storia del novecento. Ricordo che noi trovavamo l'espediente abbastanza naturale, perché il potere DC giustificava quella scelta con lo scopo di evitare momenti di conflittualità. Non va inoltre dimenticato che Ugo Spirito, che di queste cose se ne intendeva, aveva stabilito la continuità del Regime Fascista (quello del Ventennio e non il Fascismo Movimento definito da De Felice), sulla base della persistenza nei posti di responsabilità economica, (privata e pubblica), politica e soprattutto istituzionale, di uomini cresciuti durante quel Regime, almeno fino alla metà degli anni settanta quando abbandonarono gradualmente per limiti d'età. (È utile ricordare la precedente esperienza del Francia, e dell'Italia post-napoleonica, con la presidenza e poi l'Impero di Napoleone III, nonché il processo di unificazione della penisola).
Ne era conseguita una sostanziale ignoranza relativa a quel periodo cruciale della storia non solo nostra, stante la valenza universale dell'ideologia fascista, e pertanto, quando proprio negli anni settanta si diede mano alla creazione del mito resistenziale in concomitanza con la nascita della "holocaustica religio" commissionata ai cineasti hollywoodiani, questa operazione di restyling incontrò l'indifferenza di parte della popolazione ma anche la disponibilità acritica all'accettazione del mito da parte di una gioventù incapace di comprendere avvenimenti di trent'anni prima e senza il conforto di una cultura familiare capace di contrastare con prove alla mano le balle raccontate nei libri di testo ed obbligatoriamente imposte dai professori. Né fu la contestazione o gli anni di piombo, con le loro contrapposizioni artefatte, che poterono chiarire le reciproche posizioni. Anzi! Col senno del poi, possiamo dedurre che è meglio affrontare all'epoca il problema a livello scolastico, anche se probabile fomite di disordini perché ne sarebbe stata avvantaggiata la cultura storica e l'educazione civica degli italiani.
Siamo pertanto giunti ai giorni presenti, nei quali è possibile che vengano diffuse dichiarazioni come quelle degli esponenti di spicco di Alleanza Nazionale, senza che queste generino reazioni di disgusto e repulsione, non tanto per i concetti esposti, quanto per la manifestazione intrinseca di poca serietà ed affidabilità dell'intera classe dirigente post ottosettembrina nel pieno rispetto della tradizione badogliana.
Pertanto, il problema non sono le piroette di Fini e compagni, ma il consenso che le segue.
Diciamo queste cose non perché siamo interessati al destino di AN, che è pur sempre un partito del panorama partitocratrico italiano, ma perché continuiamo a chiederci qual mondo sia questo neofascismo; anche perché una naturale propensione al compromesso ed all'accomodamento presuppone alcune idee che fanno da sfondo, e sulle quali la trattativa e la mediazione porta ad una apparente conciliazione, se la negoziazione riesce a mettere in evidenza interessi in comune.
E tuttavia, se l'atto stesso di elaborazione ideologica produce concetti totalmente ibridi, per cui anche un comportamento individualmente onesto, in quanto coerente con le idee precedentemente elaborate, diventa sostanzialmente ambiguo, cosa si deve dedurre?
Infatti, qui ci troviamo di fronte ad un sostanziale equivoco, talmente radicato che anche personaggi totalmente privi di cultura come Fini e soci, esprimono coi loro atti e parole la sostanza di un intero mondo. Questo è stato l'atteggiamento del mondo ex missista, fra cui anche tanti ex socialrepubblicani.
A tal proposito noi ci chiediamo a cosa pensassero e quale immagine del fascismo avessero gli intellettuali voltagabbana, e non siamo ancora riusciti a trovare una risposta. Perché il passaggio repentino, senza elaborazione sofferta, ci mostra una condizione umana di totale squallore. Puro opportunismo. Ciò vale, evidentemente, per coloro che hanno accettato nel loro seno queste persone, ben sapendo di quale pasta esse fossero fatte.
Per quanto riguarda gli ex combattenti repubblicani, potremmo trovare la risposta, con molta condiscendenza, in un atteggiamento fatalistico di rassegnazione ad un evento già compiuto, e completato con la fuga del re e dei generali felloni.
Per i tanti che aderirono alla RSI esclusivamente per una rivolta dell'ONORE offeso, e per difendere l'onorabilità dell'intero popolo italiano, la sconfitta era ineluttabile. Non si spiegherebbe altrimenti la passività, depressione psichica a parte, con la quale in molti "accettarono" con lo spirito del "capro espiatorio" (nel senso descritto da René Girard) la morte nelle giornate di sangue (importanti in tal senso le opere di Enrico De Boccard, e di Carlo Mazzantini) e, peggio, l'atlantismo. E questo senso di rassegnazione passiva si è perpetuato fino ad oggi, mascherato da velleitarismi puramente verbali. Tutto ciò non ha riguardato, ovviamente, coloro che aderirono alla RSI per ragioni politiche, perché sapevano che Mussolini avrebbe realizzato lo Stato socializzato. Ma erano e restano minoranza.
Sta di fatto che nella percezione popolare il neofascismo ha rappresentato, soprattutto a Roma, una forza d'urto a disposizione della Democrazia Cristiana.
La riprova ci viene da un libro di memorie scritto da un ex gesuita passato al PCI, padre Alighiero Tondi che all'inizio degli anni cinquanta fece da intermediario tra Gedda, a capo delle forze cattoliche, Vanni Teodorani, Borghese, Graziani e la Segreteria di Stato (Montini) vaticana.
Il libro "Vaticano e neofascismo" edito da Edizioni di cultura sociale nel luglio 1952, non è di facile reperimento, ma la lettura è assai istruttiva. Si era arrivati ad ipotizzare, e ne scrisse un giornale francese, di una repubblica italiana con Graziani come Capo della Repubblica e Gedda Capo del Governo.
Invitiamo a riflettere su questi elementi per comprendere ciò che è avvenuto in seguito. (vedi: Camillo Arcuri, "Colpo di Stato", e dello stesso, "Sragione di Stato" nonché di Paolo Toselli, "Storie di ordinaria falsità", BUR, nonché: Fasanella, Pellegrino, Sestieri: "Segreto di Stato", Sperling & Kupfer.)
 

Mussolini fu un dittatore?

«Chi dicesse che il fascismo ha disfatto la Massoneria, oggi come oggi, farebbe ridere. La Massoneria non ha mai funzionato così allegramente come dopo la distruzione delle sue logge. La Massoneria, persi i grembiulini, le squadre e le spade fiammeggianti, s'è messa a tirare al sodo, s'è insinuata tra le fila fasciste, ha acciuffato più posti di comando o di osservazione che ha potuto, ed ora lavora come mai non si potrebbe meglio e, a guisa di cancro e di tabe, alla disgregazione e rovina dell'organismo abitato. Chi se n'è accorto, ne ha le prove e lo dice, ma nessuno gli crede. In verità siamo ancora impelagati, impantanati, rivoltati nella Massoneria»
Ardengo Soffici

«Noi conosciamo lo scopo finale di ogni azione, mentre i gentili ignorano la massima parte di ciò che riguarda la Massoneria, essi non sono neppur capaci di vedere i risultati immediati di quello che fanno. Generalmente essi considerano soltanto i vantaggi immediati; si contentano se il loro orgoglio personale è soddisfatto per l'adempiersi del loro intento; non si accorgono che l'idea originale era nostra e non loro»
Sergio Romano, "I falsi protocolli", XV protocollo

«Il Fascismo era sorto per la rivendicazione della Vittoria e per la riconsacrazione dell'amore di patria. Non poteva trovare strano di camminare a fianco della Massoneria, che della vittoria era stata la feconda animatrice e che dell'amor di patria si onora di formare la propria bandiera. Il guaio è stato che, specialmente dopo la fusione coi nazionalisti, il Fascismo ha preteso di monopolizzare il patriottismo, applicando anche in questo il suo deprecabile e deprecato temperamento totalitario»
Michele Terzaghi, "Fascismo e Massoneria", Arktos

«Lo stupido è solito trasalire per ogni parola di verità»
Eraclito, "Dell'Origine"


Se all'inizio di questo paragrafo abbiamo riportato tre citazioni non l'abbiamo fatto certamente per il gusto delle citazioni, ma perché le poche frasi qui riprodotte ci danno un quadro di una situazione che occorre sempre prendere in considerazione, quando si affrontano i problemi italiani in generale e del neofascismo in particolare. Infatti, l'ex gesuita Alighiero Tondi parla espressamente di un blocco d'ordine costituito da Massoneria, Vaticano e Neofascismo. E così stanno le cose.
Fermo restando che, inequivocabilmente, dietro la Massoneria ci sono "altre" forze. Per cui, se di recente un convegno con l'entusiasta partecipazione di Fini e di Frattini perorava l'ingresso di Israele nell'Unione Europea una qualche ragione (meglio: retroscena) dovrà pur esserci.
Inutile ripetere che, se le marionette sopra citate si agitano in una direzione predeterminata da altri, noi siamo assolutamente contrari, e non per antipatia, bensì per ragioni esclusivamente geopolitiche d'interesse nazionale.
Un elemento essenziale della questione, tanto per dimostrare che il signor Fini dice idiozie, riguarda la dittatura di Mussolini. Fini, al fine di giustificare il suo antifascismo, va dichiarando che il fascismo fu "totalitario". Ma la dichiarazione ufficiale di totalitarismo, accettata dagli studiosi e dagli Organismi Internazionali, esclude categoricamente che il Fascismo lo fosse.
Se Fini ed i suoi sodali avesse studiato la storia del novecento avrebbe imparato che, a seguito del primo conflitto mondiale, avvennero alcune sostanziali trasformazioni dell'assetto di tutti i governi del mondo. Tutti i governi, chi più chi meno, divennero "autoritari". Le ragioni sono state esaurientemente descritte da William H. McNeill, professore di storia all'Università di Chicago, nel libro "Tramonto di una civiltà" edito da Gherardo Casini nel 1969.
Scrive McNeill che, mentre gli economisti avevano predicato per tutto l'ottocento i vantaggi del "libero mercato", all'inizio del primo conflitto mondiale tutti i paesi impegnati nella lotta si dovettero conformare alle necessità degli eserciti, che non erano certamente influenzati dal libero mercato. Tutt'altro! Le strutture produttive furono influenzate esclusivamente dalle esigenze belliche, i governi si indirizzarono ad un dirigismo funzionale agli interessi del momento. Le opposizioni scomparvero. Ebbero il sopravvento le Burocrazie, che dovevano coordinare le attività umane e produttive. Si arrivò al punto di fare piani strategici in funzione di macchine che non erano ancora state inventate. Questa burocratizzazione uscì anche dal ristretto ambito nazionale.
L'autore ricorda la fusione dell'economia bellica americana ed alleata, quando i prestiti governativi sostituirono i crediti privati, mentre i comandi sul Fronte Orientale, che riunivano truppe tedesche, austriache e persino turche e bulgare in un unico esercito, erano esempi drammatici di coordinamento internazionale. Qualsiasi persona in condizione di ragionare può capire quanto scriveremo in seguito. La prima guerra mondiale costituì, come sempre nella storia del genere umano, la presa di coscienza di un cambiamento essenziale. La macchine e le macchine che costruiscono le macchine, avrebbe rappresentato l'essenza dei rapporti politico-sociali. È la macchina lo strumento che determina i comportamenti. Quindi tutti i sistemi politici si devono conformare non più ad un liberismo, ideologia nata in funzione di interessi commerciali, ma all'interesse fondamentale della produzione di macchine e macchinari. La programmazione dei quali è rigida, al limite dell'automazione, non ancora preminente, ma in via di costituzione.
Per chi è in condizione di capire, pertanto, è chiaro che nel XX secolo le società si trasformano.
Quelle più arcaiche, come il sistema russo, si trasformano attraverso una pseudo rivoluzione chiamata bolscevismo. che affida tutto il potere alla burocrazia, quella struttura sociale che sostituisce la vecchia aristocrazia zarista incapace di affrontare le sfide della modernizzazione e perde due guerre essenziali. Quella contro il Giappone e quella contro gli imperi centrali. E cosa fa questa Burocrazia? Elimina spietatamente tutti i vecchi rivoluzionari, socialisti e comunisti, che avevano costituito l'ossatura dello spirito trotzki-leninista. Una categoria di rivoluzionari puri, descritti da Malraux ("Les conquérants") e da Huntington. Questo è il senso delle grandi purghe degli anni trenta. Il sistema burocratico, cioè l'URSS, resiste fino all'impatto con la post-modernità, che non ha saputo affrontare per mancanza di cultura adeguata (vedi rivolta degli ingegneri espressa da Sacharov), e cede di fronte all'assalto della mafia ebraica costituita dagli oligarchi. Infine, il potere cade nelle mani del KGB, rappresentato da Putin, unico ente capace di conoscere e gestire tutti gli aspetti anche i più sofisticati del progresso tecnologico.
Ma se torniamo all'inizio del novecento, meglio, nell'immediato dopoguerra, vediamo che i paesi si ristrutturano in funzione della produzione industriale, soprattutto della grande industria metalmeccanica. L'autore sottolinea anche il parallelismo fra Wilson e Lenin. Due vite complementari. Infatti, fu proprio la pace voluta da Lenin a permettere l'offensiva austro-tedesca che, mettendo in cristi lo schieramento italo-franco-inglese, dette l'opportunità agli USA di sbarcare sul Continente per non abbandonarlo più, con, in più, la possibilità di creare le premesse per lo scatenamento del secondo conflitto mondiale. O del terzo, come appare evidente in questi giorni.
Insomma: la necessità di una mobilitazione a lunga scadenza, determinata inizialmente da esigenze belliche, si dilatò anche in tempo di pace, perché fu presto osservato che la coordinazione totale (totalitarismo) degli sforzi di milioni di individui aveva ottenuto risultati superiori ad ogni previsione. Ed è a questo punto che le vecchie democrazie liberali hanno finito definitivamente di esistere. E da allora non esistono più.
Se a tutto questo si aggiunge che le politiche del novecento, per ogni paese impegnato nella trasformazione sociale sulla base dell'industrializzazione e conseguentemente di una ricerca a sfondo militare sono state sempre di più impregnate dalla necessità di "trovare e governare" il nuovo (elemento fondamentale di competitività economico-militare), possiamo comprendere come il "dirigismo" è assolutamente necessario ovunque.
Ed infatti, la trasformazione della struttura di governo statunitense dopo Wilson, anche se realizzata in sordina, ha accentuato il potere della Presidenza. Anche se, come nel caso di Bush, non è il presidente in persona che prende le decisioni.
Per quanto riguarda la Germania, è utile ricordare che già nel 1916 il paese era passato nelle mani di Hindenburg e Ludendorff, che avevano di fatto instaurato una dittatura militare esautorando il potere civile e relegando il Kaiser al ruolo di pura comparsa. Tutto il resto, repubblica di Weimar in testa, è pura facciata. Furono esigenze produttive che favorirono l'instaurarsi del regime nazista, almeno dal punto di vista della struttura. Hitler infatti fu il successore diretto di Hindenburg. (vedi le ricerche di Antonella Randazzo). E va inoltre ricordato che i responsabili dell'organizzazione produttiva tedesca (interessi privati a parte) si salvarono a Norimberga perché tornavano utili alla produzione occidentale. Albert Speer, eccezionale programmatore, uscì di prigione nel 1966, a sessantun anni.
Ed invece fu proprio nel nostro paese che, assecondando un'antica tradizione innovatrice e mediatrice del nostro popolo, fu tentata la mediazione fra esigenze accentratrici dello Stato e nello Stato, esigenze popolari (socializzazione delle masse) ed iniziativa privata, al fine di coordinare gli sforzi per una modernizzazione accelerata (continuata peraltro nel secondo dopoguerra dalla classe dirigente sostanzialmente fascista citata da Ugo Spirito, ma non neofascista), e per la programmazione e l'integrazione di pubblico e privato al fine di lasciare ampio respiro all'iniziativa ed all'inventiva dei singoli, che all'epoca era completamente soffocata nell'URSS di Stalin. Tale funzione trovò in Mussolini la personalità capace di gestire l'immane sforzo, che non si poté conseguire per intero a causa di responsabilità totalmente esterne (crisi del 29, ostilità dell'Inghilterra che non vedeva di buon occhio il nostro sviluppo nel Mediterraneo, guerra d'Abissinia, guerra di Spagna, guerra mondiale e conseguente defezione della vecchia borghesia sabauda e massonica). La programmazione fu poi ritentata dai socialisti al governo (Giorgio Ruffolo), ma fu aspramente contrastata dall'establishment mondiale ("Tangentopoli") e da coloro, per lo più post-democristiani (Prodi e Britannia-Boys) incaricati dalla finanza ebraica (Goldman-Sachs) di liquidare il patrimonio pubblico degli italiani.
Inutile aggiungere che in tutta questa storia il neofascismo non è proprio esistito. Si è limitato ad assumere passivamente l'eredità formale di governi precedenti, accampando il diritto dell'onestà, per non aver partecipato alla corruzione, che peraltro, a livello locale, continua imperterrita. Occorre a questo punto ricordare che la vera innovazione politica è costituita dalla Lega, mentre Forza Italia, e di conseguenza i governi Berlusconi, sono una riedizione, anche con gli stessi uomini, dei governi di Centro-Sinistra craxiani. [Con venature di P2]
Il neofascismo di Fini qui entra come il cane da passeggio, non potendo vantare alcuna rappresentatività sociale, eccettuato un nostalgismo acritico a lungo coltivati negli ambienti missisti.
Intendiamo dire che qui, in quest'ambiente, di Mussolini non c'è nemmeno l'ombra.
Scriveva infatti Mussolini (Articolo "Trincerocrazia" su "Il Popolo d'Italia", 15 dicembre 1917): «Sono ammirevoli nel loro candore quelli che si tengono ancora disperatamente aggrappati ai vecchi schemi mentali. È gente che perde il treno. Il treno passa e quelli rimangono sul trottoir della stazione, con la faccia smorfiata fra l'ebetismo ed il dispetto. Le parole repubblica, democrazia, radicalismo, liberalismo; la stessa parola socialismo non hanno più senso: ne avranno uno domani, ma sarà quello che daranno loro i milioni di "ritornati". E potrà essere un'altra cosa. Potrà essere un socialismo antimarxista, ad esempio, e nazionale. I milioni di lavoratori che torneranno al solco dei campi dopo esser stati nei solchi delle trincee, realizzeranno la sintesi dell'antitesi: classe e nazione».
Così parlò Mussolini ancor prima della Marcia su Roma; sono passati novant'anni ma il discorso è sempre attuale. Soprattutto per il neofascismo.
Infine, contrariamente a quanto sostengono i quaquaraquà, Mussolini non fu il primo dittatore dell'Italia unita. Al contrario fu un continuatore, ed in sostanza il meno tirannico di tutti i precedenti, che si macchiarono anche di comportamenti infami, specie verso le popolazioni del Sud. E non siamo noi a dirlo, ma Mack Smith e Prezzolini. Si tratta di dittatori parlamentari: Cavour, Depretis, Crispi e Giolitti. Per individui abituati a beccheggiare ad ogni fischio dell'ambasciatore statunitense, questa "svista" storica può sembrare superflua. Per noi è essenziale. Mussolini in realtà pensava, illudendosi, che per governare gli italiani bastasse poco. Ufficialmente aveva dichiarato che era inutile. Ed aveva ragione. E tuttavia, anche con gli anglo-americani in casa pensava di tener sotto controllo la marmaglia dei generali sabaudi, che egli disprezzava avendone conosciuto le prodezze durante e dopo la Grande Guerra. Su questo argomento ne aveva a lungo parlato con Yvon De Begnac nelle interviste pubblicate postume, una ventina d'anni orsono. Dobbiamo considerare che da questo punto di vista si sbagliava, perché le anguille, solitamente sgusciano e si liberano da qualsiasi presa.

Opportunismo sbagliato

«Preferisco i malvagi agli imbecilli. Quelli almeno si riposano»
Dumas Figlio

«Anche tra i pesci, come tra i cristiani, i baccalà son più dei pescicani»
Trilussa

«Sionismo: un ebreo che chiede del denaro a un altro ebreo per mandare un terzo ebreo in Palestina»
Tristan Bernard

«Opportunista: colui che ad un pazzo che si crede Napoleone dice: Sire!»
Pitigrilli

 

Una delle caratteristiche principali degli italiani consiste nel fatto che sbagliano opportunismo. Riflettono a lungo su come cambiare casacca, ma poi quando si decidono è troppo tardi. Il quadro generale è di nuovo cambiato. Ciò è valso anche per il Savoia, che si illudeva, passando al nemico (che per lui non lo era mai stato), di salvare la dinastia… peraltro già in difficoltà per le note "difficoltà" di ben altra "natura" del figlio Umberto (soprannominato «il re di maggio»).
Opportunisti furono in buona parte i voltagabbana, forse nella speranza di campare bene all'ombra del PCI ma di essi è rimasto ben poco. La loro utilizzazione politica da parte di quel partito li ha definitivamente bruciati. Cervelli anche brillanti, sono passati come meteore e di loro non resta nulla. Ancor meno dei loro messaggi pseudo politici. Assorbiti nel nulla. A pagarne le spese fu anche il partito togliattiano il quale, volendo seguire pedissequamente la visione gramsciana, pensava di applicare alla lettera il principio dell'egemonia culturale utilizzando un esiguo numero di scagnozzi che in sostanza hanno bloccato lo sviluppo della cultura, gestendo in maniera inquisitoriale le società editrici. Non solo: monopolizzando alcuni personaggi nella propria area di controllo (un esempio è P. P. Pasolini, che sfuggiva ad ogni inquadramento) lo hanno fossilizzato dentro un recinto mettendolo in condizione di non poter diffondere il suo messaggio, che era nella sostanza di denuncia di quella società, la stessa che lo ha ucciso.
Possiamo dire tranquillamente che il partito di Togliatti, oltre ad eliminare fisicamente e moralmente (strage dei partigiani di Bandiera Rossa) gli oppositori di sinistra, ha eliminato qualsiasi movimento di idee al proprio interno, tanto da far emergere personaggi del calibro di Napolitano, D'Alema e Veltroni, degna espressione di un paese erede diretto dello Stato di Pio IX, che a "ritorno" aspira nel grembo materno di Santa Madre Chiesa. Penitenze, elemosine e benedizioni.
Ma l'opportunismo sbagliato infetta vieppiù i personaggi della destra al governo. Infatti, gli esponenti di questa formazione si accalcano nell'ossequio servile e plateale verso gli ebrei. Riti, processioni all'Arco di Tito, viaggi ad Auschwitz, prosternazioni a vario titolo denotano una propensione all'errore strategico mai prima eguagliato. Infatti, se nei decenni precedenti il MSI mostrava la faccia feroce ma in realtà si agitava nell'ambito del più evidente atlantismo, non gli si poteva contestare una scelta di campo che era anche frutto di una lunga storia e comunque approvata dalla maggioranza di detto partito. Ora invece la prosternazione è fine a se stessa, nel senso che ci risulta del tutto inutile, tanto più che le cose si vanno mettendo male proprio per quelle persone. La crisi finanziaria statunitense ha colpito brutalmente proprio quei santuari della finanza apolide che fino ad oggi ha retto le cavezze di tanti buoi in tutto il mondo. Pensiamo soltanto al rapporto Goldman-Sachs con Prodi ed i Britannia-Boys. È logico aspettarsi il crollo dei finanziamenti alla Lobby che come sappiamo, controlla il Senato ed il Parlamento di quel paese. Ciò dovrebbe significare una forte riduzione dei finanziamenti, in armi ed in moneta sonante, ad Israele, con un evidente crollo della pressione che questo effimero Stato svolge da mezzo secolo sul mondo intero. Si scorgono qua e là, sparsi nel deserto ideologico, cervelli che cominciano a ragionare. In ogni caso, ci sono alcuni libri che dovrebbero far testo per tutti. Ne citiamo almeno tre: "Scacco matto all'America e a Israele", di Luca Lauriola, e Palomar; "Dilemma euratlantico", dell'Istituto Gramsci; "Parigi, Berlino, Mosca" di Enry de Grossouvre, Fazi; e "Strappo Atlantico" di Rita di Leo, Laterza. E non sono solo questi. Di recente abbiamo notato anche alcuni articoli a forte contenuto eurasiatico nientemeno che su "Panorama". Il clima, evidentemente sta cambiando. Ma pare che i nostri amici non se ne avvedano. Peggio per loro.
 

Chiesa, Massoneria, Atlantismo,

tutto concorre alla paralisi di cervelli quasi artificiali

 

«Aver pietà della pantera equivale ad essere ingiusti verso le pecore»
Saadi

«Si crede generalmente che il primo dovere del soldato sia morire per la patria. Non è così. Il suo primo dovere è procurare che il soldato nemico muoia per la sua»
David Goldberg

 

E non siamo noi a sostenerlo.
Scrive infatti Federico Mavì, in un simpatico libro dal titolo "Voglio essere massone" Eurobook, Guida ed. 1993: «Ecco, insomma, come il sadismo dei rituali massonici si rispecchia nel masochismo degli affiliati, che pure vi appartengono per loro libera scelta. E ciò mi pietrifica. Come Medusa»; gli fa eco un altro massone di rango, Tommaso Ventura, nel suo libro "Massoneria alla sbarra", Atanòr, 1961: «Ora, l'arrogarsi il "principio di laicità" quando si è ad un tempo "confessionale", produce quell'ibridismo che corrompe attualmente la Massoneria, dandole una fede suggerita in luogo di una fede illuminata, e provocando quell'incertezza in religione, in politica, in morale, da cui derivano le infermità del carattere, i sùbiti trasformismi e gli altri fenomeni di riversione».
Non pubblichiamo queste poche frasi per il gusto della battuta, né potremmo andare oltre perché non stiamo scrivendo un trattato. Sta di fatto che l'immobilismo dell'Italia di oggi può essere inquadrato come convergenza "Chiesa - Massoneria - Neofascismo", quest'ultimo essendo espressione proprio di impulsi che derivano palesemente dalle due centrali. Questa è la ragione anche delle citazioni sulla Massoneria poste all'inizio di questo articolo.
 

Conoscere la Storia

significa anche saper risalire dalle conseguenze alle cause

 

«La malattia si manifesta dopo che la psiche ne ha dato il preannuncio. Noi, prima di ammalarci in questo o in quell'organo, ci siamo ammalati nello spirito»

 

Che la salvezza del nostro paese, che deve essere concepito come un ponte fra l'Eurasia e l'Africa, dipenda direttamente dalla capacità della eventuale classe dirigente futura di agganciarsi sempre più strettamente al Continente, è ormai un dato acquisito. E non siamo noi a dover dire come. Sta di fatto che il momento è arrivato. La Storia ha già fermato il suo treno alla stazione, e questo treno non può essere perduto. Lo dichiariamo con la massima tranquillità.
Il fatto che, durante il secondo conflitto mondiale, l'Italia si sia schierata con l'Europa centrale, malgrado la precedente esperienza conflittuale, è un segnale. Il nostro destino non può essere che eurasiatico.


Dall'invenzione della staffa nascono i Templari

Pariamo subito con una dichiarazione. Se non si trattasse di omuncoli dalle qualità umane sotto zero, non ci troveremmo a dover prendere atto di comportamenti apparentemente estemporanei che ignorano alcuni secoli di dibattiti geopolitici sulla nostra posizione come abitanti d'Italia nel mondo. Il posto adatto per questi personaggi da operetta è in tribuna, le domeniche, alle partite di calcio. Epperdipiù gratis. Siamo pertanto nelle mani di incoscienti.
Non si potrebbe definire diversamente il tanto agitarsi di queste persone per portare Israele dentro l'UE. Si vuole forse supplire con i soldi di noi europei alla mancanza di fondi a spese del popolo americano? Ne immaginano le conseguenze? Per fare un esempio di come agisce la storia, se presa adeguatamente in considerazione, è utile prendere in esame l'evoluzione della cavalleria in conseguenza di una apparentemente piccola invenzione. [Tra l'altro c'è da stupirsi che la staffa, strumento così utile, sia stata inventata così tardi]
In breve: prima dell'invenzione della staffa l'uso della spada era limitato. Bastava un piccolo sbilanciamento nel menare un fendente ed il cavaliere era per terra, mentre la lancia era sostenuta soltanto dalla forza del braccio. La staffa, consentendo un appoggio laterale, in aggiunta a quello anteriore e posteriore offerti dal pomello e dall'arcione, saldava cavallo e cavaliere in una sola unità di combattimento, capace di una forza d'urto senza precedenti.
Di qui l'importanza in guerra della cavalleria, che per alcuni secoli, almeno fino all'uso massiccio del cannone introdotto da Napoleone, costituì l'ossatura degli eserciti. Da qui la canonizzazione nei suoi particolari attraverso la formazione di ordini religioso-cavallereschi. È di particolare importanza che i primi ordini sorsero in Oriente, per la fusione di antiche e convergenti tradizioni. L'Ordine dei Templari fu fondato a Gerusalemme nel 1118 e nel Concilio di Troyes, nove anni dopo, fu assegnato a quei cavalieri un abito: l'abito bianco. Ma non è tutto. Pochi infatti sono a conoscenza che la Regola dell'Ordine Francescano è quella dell'Ordine Templare. Se dalla nascita del templarismo vogliamo scendere per i rivoli della storia fino ai giorni odierni, possiamo vedere l'enorme incidenza che ebbe questo ordine, al quale alcuni fanno risalire anche la Massoneria, negli avvenimenti umani. Ecco perchè i personaggi sopra citati dovrebbero conoscere almeno queste nozioni.

Due scrittori di lingua francese danno ragione a Mussolini

«Il genio Romano impersonato in Mussolini, il più grande legislatore vivente»
W. Churchill

«Mussolini è il massimo statista dell'Europa moderna»
Sir Samuel Hoare


Si tratta di due noti scrittori del novecento. Uno, Paul Gentizon, ("Difesa dell'Italia", Cappelli, 1949] scrive: «L'ultima guerra mondiale non è stata una guerra democratica, fascista o bolscevica. Inghilterra, Francia. Stati Uniti non hanno realmente lottato per il liberalismo; la Germania non ha lottato per il nazionalsocialismo, la Russia non ha lottato per il bolscevismo, come l'Italia non ha lottato per il fascismo. Tutte queste Potenze hanno lottato per il loro avvenire, per il complesso dei loro diretti interessi, cioè per uno scopo imperialista che, per talune, consisteva nel difendere posizioni già acquisite e per altre nel conquistarne di nuove. L'aspetto ideologico non è entrato che in un secondo tempo; facendo fuoco con tutta la legna, le Potenze in lotta hanno sventolato le loro dottrine come segno di raggruppamento, come mezzo di propaganda e di combattimento».


Il vaticinio mussoliniano

L'altro, Pierre Pascal, intervistò Mussolini fino alla fine. Nel suo libro ("Mussolini alla vigilia della sua morte e l'Europa", L'Arnia, 1948) così ci riferisce: «Esposi allora a Mussolini la mia convinzione in questi termini. I nazionalisti fanno le nazioni. L'unione dei nazionalisti farà l'unione delle nazioni dell'Europea continentale, contro la colonizzazione degli Insulari. Soggiunsi che questo ragionamento mi sembrava minacciato e ricondotto a tempi indeterminati, senza aggiungere nulla di più. E Mussolini rispose con ansietà: Ah! Voi credete in questo? Voi ne avete il sentimento? Questo sarà il compito della vostra generazione. Ed anche della successiva. Quella dell'anno 2000, Pascal!»
Ed allora noi siamo pronti all'appuntamento.

Giorgio Vitali