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Lettera al quotidiano "Rinascita"

Guerra civile e cerchiobottismo

Giorgio Vitali
 

Mi riferisco a due articoli piuttosto importanti pubblicati di recente su "Rinascita".
Si tratta degli articoli di F. Riccardi dedicato all’otto settembre ed alla fuga conseguente ("Rinascita", 10 luglio 07) e di M. Managò dedicato ad un libro di A. Lepre su Via Rasella e Fosse Ardeatine ("Rinascita", 12 luglio 07).
I due argomenti trattati sono utili per valutare la differenza fra la realtà, come emerge dalle testimonianze più recenti, assieme a quelle che circolano da qualche tempo e non sono prese in considerazione per ragioni politiche, e quella che appare all’occhio dello "storico accademico" costretto a cimentarsi con i documenti ufficiali.

I due fatti salienti della recente storia nazionale
Per uno di questi si è anche parlato e scritto a lungo di "morte della patria" (si sarebbe dovuto interloquire di morte di un’idea risorgimentale e retorica di patria, meglio specificabile di stampo mazziniano-garibaldino che non ammette vigliaccheria, cedimento e resa quindi tradimento collettivo), e di conseguenza sostanzialmente antisabauda, stante la cronaca di compromessi e cedimenti sottobanco propria di questa dinastia. Contro quest’interpretazione, che risale a Galli della Loggia, è prontamente insorta la reazione della fazione post-azionista che ha invece pontificato di "rinascita" della patria proprio in conseguenza del tradimento, secondo una logica infantile di ripicca e di controffesa, che in sostanza intende rivalutare il comportamento di ufficiali in SPE, incapaci di comandare un plotone ma in cambio capacissimi di trattare il destino di un popolo come levantini che discutono ore sul prezzo di una pentola di rame. Da notare il tradimento dell'ideologia nazional-risorgimentale messo in atto proprio da coloro che pretenderebbero di rappresentarne l'eredità nell'Italia postbellica.
Tuttavia, le logiche della guerra segreta e di quella civile non sono razionali. Si muovono attraverso vie secondarie, subdoli, spesso inimmaginabili. Coinvolgono persone inimmaginabili per arrivare a conclusioni ancora più eccentriche.
Sugli argomenti in questione la letteratura è fortunatamente vasta. Fra i libri più recenti varrebbe la pena di annoverare il romanzo di successo scritto da Buttafuoco, "Le uova del drago", edito da Mondadori e l’ultimissimo "I compagni al caviale" pubblicato da "Libero", in edicola col quotidiano, a cura di Brunetta e Feltri, e dedicato alla biografia di 15 "compagni". Conoscere la biografia di questi mezzicalzini non è in sé utile, ma serve per rendersi conto di che cosa s’intenda per «cerchiobottismo» e della decadenza dell’Italia e della sua immagine nel mondo, giacché delle persone di cui si tratta molti rappresentano ufficialmente il nostro paese. Diretta conseguenza, in ogni caso, di quell’otto settembre e di quel 23 marzo, che costituiscono il preambolo al 25 aprile.

Considerazioni di uno scrittore sconosciuto
In "Giustizia e bellezza" edito di recente da Bollati, Luigi Zoja esprime alcune considerazioni di rilievo. Egli scrive: «Una differenza fra l’uomo e gli altri animali è il bisogno di distinguere tra giustizia ed ingiustizia. Questo desiderio ha una conseguenza che unifica le forme del conoscere: tutte le scienze dell’uomo contengono una prospettiva etica… Il fatto che le situazioni in cui ci troviamo siano giuste o ingiuste, alla fine ci riguarda…»
Si tratta di un concetto essenziale che richiama l’etica laica mazziniana. Senza etica l’uomo non esiste. Non esiste Storia; o meglio, un popolo senza fondamento etico al proprio agire non può fare storia. Se questo popolo accetta dagli esponenti del potere politico ed a giustificazione di "quel" potere, l’enfasi in positivo di comportamenti palesemente privi di etica, quel popolo è destinato al declino ed all’eclissi fino a che, uno o più nuovi eventi, spesso traumatici, non lo riportino alla ribalta della Storia.
Ron Hubbard ("Integrità ed onestà", New Era, 2007) aggiunge: «L’uomo ha imparato che quando aderisce a dei codici di condotta o a ciò che è ritenuto giusto sopravvive; quando invece non lo fa non sopravvive. Di conseguenza, ogni volta che formano un gruppo le persone compilano una lunga ed estesa serie di patti che definiscono ciò che è morale (in altre parole quello che contribuisce alla sopravvivenza) e ciò che è immorale (quel che risulta distruttivo per la sopravvivenza)».
Possiamo aggiungere un altro aspetto che riguarda la psicologia del profondo. Il caso tipico è rappresentato da ciò che avviene nelle persone sottoposte a «mobbing». Se queste non si accorgono per tempo del "trattamento" cui sono sottoposte, si sveglieranno un certo momento in preda a sensi di colpa che mascherano uno stato di grave depressione. A questo punto cercheranno tutte le scuse rintracciabili per giustificare ai propri occhi il loro stato morale. Un esempio molto chiaro c’è dato dal popolo palestinese. Un popolo inesistente prima della traumatica conquista ebraica. Oggi quello palestinese sta dimostrando al mondo d’essere un grande popolo. Proprio nel momento in cui, rifiutando l’invasione, subisce la repressione ma tenta di reagire, difende contemporaneamente l’identità nazionale e religiosa e si qualifica come popolo invitto.
Tanto da costringere un vecchio sionista, Furio Colombo, presidente di "Sinistra per Israele", a scrivere un libro di lamentazioni ("La fine d’Israele", Il Saggiatore) profetando la distruzione dell’entità sionistica, la potenza più armata della terra per mano, nientemeno, che dell’Iran. Che si tratti di un ennesimo tentativo di manipolare l’opinione pubblica rendendola succube all’attacco congiunto USA-Israel all’Iran secondo vecchie tecniche già collaudate di dominio globale [controllo dell’economia, saccheggio delle risorse naturali, controllo dei governi di 191 paesi ONU, occupazione militare] è probabile. Ma resta il fatto che, di fronte all’ostinata difesa suolo-identità messa in atto dai palestinesi fino ad oggi anche il sionismo è costretto a ricorrere ai vecchi trucchi.

L’interpretazione di avvenimenti subdoli non può essere fatta secondo regole di tipo razionalistico
L’Italia degli anni 43-54 è stata "divulgata" con interpretazioni contrastanti; moltissime sono state le esagerazioni, come nel caso dei morti di Cefalonia, tuttavia su un punto gli scrittori sono d’accordo. Che il nostro paese è stato teatro di un’accesa, incessante e vasta attività di organizzazioni segrete la cui operatività si è ramificata fino ai giorni nostri.
Molte sono le ipotesi finora dimostrate, ma è bene soffermarsi sui due eventi citati. A cominciare dal primo: il 25 luglio. Infatti, prima di quel fatidico voto finale, i convocati del Gran Consiglio del Fascismo hanno discusso per nove ore consecutive. Che cosa si son detti? Non si sa. Per la prima volta nella storia di quel consesso non erano presenti stenografi. Dopo il voto, nessuno ha parlato. Nemmeno i condannati di Verona. E nemmeno i loro giudici, a cominciare da quel Vezzalini la cui morte fu voluta da Scalfaro, uomo del Vaticano, pur sapendo che non la meritava. Una delle tante forme di assassinio gratuito del dopoguerra.

La «fuga» di Badoglio e del re non fu una "fuga"
Similmente a quanto è stato raccontato ufficialmente sull’attacco alle Torri Gemelle, la fuga del re nulla ha di realistico. Così com’è impossibile che le torri siano cadute tutte diritte frantumandosi in una polvere assassina dopo un impatto sulla parte più alta, è altrettanto impossibile che una colonna di automobili che da Roma si dipana per chilometri lungo la Via Tiburtina possa esser passata inosservata ai tedeschi che controllavano tutte le strade da e per Roma. In realtà, come documentato da Zangrandi e dal comandante Napoli, uno dei pochi attivi nella cosiddetta resistenza a sud di Roma (e pertanto emarginato dopo la fine del conflitto), il corteo reale si allontanò indisturbato, recandosi sotto buona scorta (tedesca) a pochi chilometri dalla Capitale, nel paese di Carsoli, ove il re poté riposarsi. Solo dopo la partenza del corteo regale, le truppe tedesche attaccarono la città provocando anche molti morti tra militari e civili che potevano essere evitati, sol che la masnada dei felloni l’avesse voluto. Vergogna nella vergogna. D’altronde ai tedeschi, in quelle contingenze, interessava togliersi di mezzo dei cialtroni che avrebbero recato più danno che vantaggio. In più, si poté lavorare sulla fellonìa della corte, perché, in effetti, la fuga ci fu. Anzi, maggiormente vile fu il comportamento, anche perché propiziato da accordi sottobanco dei quali non sappiamo ancora le clausole e le conseguenze. Non va peraltro dimenticato che precedenti incontri erano avvenuti in Vaticano tra Wolff, Dollmann ed altri, nell’ambito della strategia geopolitica di Himmler con gli alleati, le cui conseguenze principali si fecero sentire in Italia proprio dopo il 25 aprile e non è da escludere che ci sia di mezzo anche il trattamento recentemente inferto a Priebke. Dopo la fine del conflitto Dollmann, che nonostante le indubbie responsabilità legate al ruolo ricoperto in Italia, non subirà, assieme a Wolff pene adeguate, ebbe una costante e pregiata collaborazione (era un ottimo scrittore in italiano) con "il Borghese" di Longanesi e di Tedeschi ma su questi argomenti non ha mai lasciato nulla di scritto, anche se ne esistono i documenti, come quell’atto di compravendita della Villa Wolkonsky, già ambasciata tedesca a Roma, agli inglesi che ne sono tuttora proprietari. Ma non è questo il caso di riaprire vecchie ferite.
Che il cosiddetto governicchio del sud sia da ricordare com’esempio d’ignominia basti il caso di Radio Bari, una radio dalla quale alcuni loschi individui, tra cui un certo Calosso, incitavano i partigiani ad assassinare fascisti dei quali descrivevano indirizzi, percorsi stradali, abitudini. Autentici sciacalli. D’altronde Alexander, già capo delle truppe d’invasione anglo-americane ha scritto nelle sue memorie che l’esperienza della RSI aveva dimostrato che l’Italia sarebbe stata difendibile a lungo. Sicuramente, aggiungiamo noi, l’esito della guerra sarebbe stato assai differente se non ci fosse stato il nostro tradimento. Ma anche in questo caso ritorna in gioco il ruolo chiave di Badoglio, già responsabile di Caporetto, anche nella conduzione fallimentare della guerra 41-43.

Stragi di Via Rasella e delle Ardeatine
Su quest’argomento si è scritto anche troppo, e spesso per coprire, nel gran polverone, verità da tenere il più possibile celate. Importanti le considerazioni di Lepre, riferite da Marco Managò nel suo articolo. Tuttavia, il fatto che il semi fallito attentato al corteo fascista di Via Tomacelli, che non diede adito, intelligentemente, a ritorsioni, non ne può costituire una giustificazione. Nell’imminenza dell’ingresso degli alleati a Roma al partito togliattiano interessavano due cose: eliminare la dirigenza clandestina badogliana, da poco arrestata, ma soprattutto togliersi dai piedi i trotzkisti, che in una Roma "liberata" avrebbero avuto una libertà di manovra tale da inviare direttive e mezzi adeguati al Nord. Quindi per l’esecuzione dell'attentato di Via Rasella fu scelto un giorno già fissato da alcuni partigiani di "Bandiera Rossa" per una riunione operativa proprio in una trattoria di quella via maledetta. Tant’è vero che, dopo quella terribile esplosione che aveva straziato anche alcuni italiani compreso un bambino, pensando di esser stati presi di mira dalla polizia per colpa di una soffiata (molto frequenti in quei momenti, come accadde a Bruno Buozzi), alcuni di costoro uscirono sparando e furono uccisi. [Vedi il dettagliato: "I partigiani di Bandiera Rossa" di Roberto Gremmo, ed. Storia Ribelle, CP 292, 13900 Biella).
Ma non è tutto. Chi conosce quelle vicende continua a coltivare molte perplessità. Ad esempio, perché il questore Pietro Caruso, potendo trasferirsi al Nord, si è fatto arrestare a Perugia. Perché fu deliberatamente lasciato linciare da un gruppo di facinorosi l’ex direttore di Regina Coeli, Donato Carretta, che si era presentato come testimone dell’accusa nell’udienza della causa contro il Caruso che si sarebbe conclusa con la condanna a morte di quest’ultimo. Il Carretta, come scritto in un recente ed esauriente libro (G. Ranzato, "Il linciaggio di Carretta", Roma 1944, Il Saggiatore, 1997), aveva avuto rapporti con Pertini ed altri, aveva aiutato la fuga di "qualcuno" ed aveva contribuito ad alcune "sostituzioni" di togliattiani già destinati alle Ardeatine con partigiani di "Bandiera Rossa". Pertanto era meglio non farlo parlare. (In ogni caso, il fatto che in quel drammatico e vile frangente nessun esponente delle forze del cosiddetto ordine prendesse l’iniziativa di difendere quel poveraccio, intervento di facile attuazione come dimostrato dalle foto pubblicate anche nel libro citato, la dice lunga sul Sistema che vige in Italia fin d’allora).
Tra le altre stranezze occorre a questo punto prendere atto che tale Kappler, che non aveva un grado da dover essere obbligato a risponderne, si sia preso il gravoso carico di "espiare" per conto di "altri", salvo «fuga dai Piombi alla Casanova» nell'imminenza della morte.
Una doverosa presa d’atto si deve fare al libro di Lepre per quanto riguarda le opinioni dei romani su queste vicende, ottenute tramite le intercettazioni telefoniche. Non si tratta d’eventi da poco e dimostrano come certe abitudini sono ancora lente a morire, fermo restando però che all’epoca erano necessarie. D’altronde, sono in molti ad asserire che i servizi segreti del Duce erano efficientissimi. C’era anche uno spione al Quirinale e faceva nientemeno che il centralinista. Ma se si voleva affrontare i servizi d’Intelligence inglesi, tedeschi ed americani non si poteva fare altrimenti. In questi casi l'abbiamo sempre vinta noi. Salvo poi annullare nei fatti ciò che il servizio (o meglio i servizi) riferivano. Ma anche queste faccende, assieme alle sempre nuove rivelazioni pongono alla nostra attenzione nuovi problemi.

Giorgio Vitali