da "Libero" (23/04/2012)
I Talebani e gli orrori
dell'Occidente
Massimo Fini
Mi stupisce che Camillo Langone, giornalista proteiforme che
stimo e al quale devo, se non ricordo male, una delle migliori interviste che mi
sono state fatte, non si renda conto che la sua critica è, in realtà, un elogio.
Scrive che molti dei pezzi raccolti in "La Guerra Democratica" appartengono, più
o meno, al pleistocene e che «se c'è una cosa che invecchia in fretta sono gli
articoli di attualità». (Oscar Wild diceva che nulla è più vecchio del moderno).
Ma il fatto è che i miei articoli erano inattuali quando sono stati scritti e
"anno dopo anno" sono diventati attuali. E oggi lo sono più che mai. E quanto è
avvenuto con "La Ragione aveva Torto"? (Torto maiuscolo, per la miseria, è un
Torto metafisico come metafisica è la Ragione illuminista) un libro che Langone
mi sembra apprezzi. Quando lo pubblicai nel 1985, dopo essere stato rifiutato da
molti editori, vendette 4000 copie ma oggi, dopo un quarto di secolo, sta per
essere pubblicata la settima edizione. Vuol dire che non era un libro di
giornata. Così nei miei articoli, pur nella concitazione del quotidiano che
Langone conosce bene, mi sforzo di guardare un po' più lontano del mio naso.
In ogni caso attaccare l'autore al posto del contenuto dei suoi scritti mi è
sempre sembrata una deplorevole mancanza di argomenti. Ed è di questi che vorrei
parlare.
Io non sono contro la guerra, non sono mai stato un pacifista («meglio rossi che
morti») tant'è che, come ricordava Borgonovo, ho scritto un libro intitolato
"Elogio della Guerra". La politica di potenza è sempre esistita. Ma prima che
comparissero le Superpotenze, all'epoca delle Potenze queste, se volevano una
cosa, mandavano le cannoniere e se la prendevano. Era un metodo brutale, basato
sulla legge del più forte, ma ancora intellettualmente onesto. Anche perchè se
poi qualcuno gli rendeva la pariglia, buttando giù l'equivalente delle Torri
Gemelle, non si mettevano a "chiagne" e non facevano il ponte isterico gridando
allo "sdegno" e alla "vigliaccata" se i loro soldati venivano uccisi come loro
uccidevano quelli altrui. La particolarità delle "guerre democratiche" degli
ultimi vent'anni è che l'Occidente invade, occupa, bombarda e uccide, come
sempre è avvenuto, ma con la pretesa di farlo per il superiore Bene delle sue
vittime. È questa ipocrisia che è intollerabile. Una sorta di Santa Inquisizione
planetaria.
Nulla è più lontano dalla mia sensibilità della cupa religione islamica (come mi
è lontano ogni altra forma di monoteismo, ebraico o cristiano che sia). Nei
Talebani io non difendo le loro idee ma il diritto elementare di un popolo, o di
buona parte di esso, a resistere all'occupazione dello straniero, comunque
motivata. E dovrebbe essere chiaro anche a un bambino, persino all'impubere
Langone, che non si tiene testa al più potente, sofisticato, tecnologico,
robotico esercito del mondo per undici anni, e anzi lo si mette sotto, se non si
ha l'appoggio della popolazione. Oggi anche le professioniste afghane, cioè le
donne che più sono state mortificate dalla interpretazione radicale che i
Talebani hanno dato della shariah, vogliono una cosa sola: che gli occupanti
stranieri se ne vadano. Saranno poi gli afghani a vedersela fra loro.
Ci azzecca di più Borgonovo quando legge nei miei scritti «un rimpianto per gli
antichi eroi». Io posso non essere d'accordo con le idee del Mullah Omar, ma
ammiro il coraggio di un ragazzo che, diciannovenne, va a battersi, come tanti
altri suoi coetanei, contro gli invasori sovietici, perde un occhio, se lo
strappa, si benda e torna in battaglia, che con un'avanzata strepitosa
sconfigge, in soli due anni, i ben più attrezzati "signori della guerra" (i
Massud, gli Heckmatyar, gli Ismail Khan, i Dostun) le cui milizie erano
diventate bande di borseggiatori, di taglieggiatori, di stupratori, di assassini
che agivano nel più pieno arbitrio, abusando in ogni modo della popolazione,
sbattendo fuori dalle loro case i legittimi proprietari per metterci i propri
seguaci, che una volta arrivato al potere non lo userà mai (né lui né i suoi
uomini) per fini personali ma continuerà a condurre la vita spartana che aveva
sempre condotto, e che infine si batte da undici anni, sacrificandovi la sua
intera esistenza, contro gli arroganti occupanti occidentali. Chi dovrei
ammirare, i Frattini, i Cicchitto, i Napolitano, i Fini, gli Schifani, i Casini,
i Bersani, i Rutelli, che non hanno mai alzato il culo dalla sedia e han sempre
vissuto, e vivono, solo di parole, perchè sono "democratici"? Io me ne fotto
della democrazia che in "Sudditi" ho definito brutalmente «un modo per metterlo
nel culo alla gente, e soprattutto alla povera gente, col suo consenso». Cosa
che, a quanto pare, anche gli italiani cominciano finalmente a capire. Chi
dovrei ammirare? Le nostre star televisive? Si può morire anche, senza
accorgersene, di Fiorello, di Chiambretti, di Bonolis. Esiste un radicalismo del
senso, ma anche un non meno pericoloso radicalismo del non senso, che è quello
di cui soffriamo noi occidentali, un vuoto di valori, che ci perderà e che
segnalavo già in quegli articoli del pleistocene (in quanto alla sessuofobia,
sia detto di passata, la Chiesa cattolica non è mai stata seconda a nessuno:
negli anni Sessanta, impleme Langone, in Vaticano campeggiava una grande foto di
Brigitte Bardot come simbolo del Male).
Il burqa, come anche Bin Laden non ce l'hanno portato in Afghanistan i Talebani,
è un'antichissima tradizione che appartiene a molti popoli dell'Asia Centrale e
del Medio Oriente. Per capire le cose del mondo non basta aver deambulato, come
Langone, fra Vicenza, Verona, Caserta, Viterbo, Pisa, Bologna, Reggio Emilia,
Milano, Trani e Parma, ma bisogna averlo girato, almeno un po'. A me il defunto
"Europeo" e un altrettanto defunto giornalismo questo la ha permesso. A Langone
no. E qui sta la differenza.
Massimo Fini
(Articolo uscito su "Libero" del 22 aprile
2012 come replica all'articolo scritto da Camillo Longone il giorno prima)
la NOTA di Giorgio Vitali
Noi apprezziamo molto il contributo che Massimo
Fini da alla cultura politica italiana, prendendo una posizione
netta nella GUERRA IDEOLOGICA e COMUNICAZIONALE in atto. E basta
leggere l'articolo che segue per rendersi conto di quanti temi
l'autore mette in circolazione.
Infatti, la guerra ideologica si basa proprio sulla capacità di
illustrare ai lettori come tutti i temi trattati da un qualsiasi
giornalista o scrittore nelle proprie opere siano collegati fra di
loro. In linea di massima, un "pacifista" di oggi è SEMPRE, in un
modo o nell'altro, al servizio (o alla mercè) del potere politico
prevalente... o ritenuto tale.
Difficilmente un pacifista o, meglio, un "panciafichista" si
discosta dai temi essenziali del POTERE GLOBALISTA e di chi lo
sostiene. Con la finanza o con le armi. Tuttavia, NOI abbiamo
l'impressione che Massimo Fini, in tutti i suoi scritti, dimostri di
STARE sulla DIFENSIVA. Anche oggi, momento CRUCIALE della STORIA del
MONDO, in cui buona parte dell'Umanità si è resa conto, NON solo che
siamo tutti nelle peste, ma che, se non ce ne libereremo al più
presto, PERIREMO in un ROGO infernale, che non è vivaddio, quello di
una guerra atomica, alla quale noi non crediamo, essendo questa più
che altro una spada di Damocle posta sulla testa dei popoli già
sottomessi, ma è la messa in atto dei PROPOSITI DIABOLICI DELLE
MULTINAZIONALI CRIMINALI ASSERVITE AL POTERE FINANZIARIO GLOBALISTA.
Il cui fine è l'annientamento di buona parte delle popolazione
terrestre, per ottemperare a PROFEZIE risalenti ad uno pseudo
passato, al quale solo alcune sètte sono portate a credere.
Massimo Fini sta combattendo una battaglia solitaria che, a nostro
avviso, lo sta sfiancando, laddove potrebbe facilmente affiancarsi a
tante realtà rivoluzionarie che stanno nascendo sul territorio
italiano. E LO DICIAMO NOI, CHE RIVOLUZIONARI LO SIAMO SEMPRE STATI.
Giorgio Vitali |
Condividi
|