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L'icona della decadenza

Giorgio Vitali
 

L'immagine di Berlusconi che si esibisce al parlamento americano è un'icona degna di rimanere negli annali fotografici. Di quelli che le riviste alla moda e di Moda pubblicano alla fine di ogni decennio, ma anche alla fine di un secolo. La vedremo (se saremo ancora di questo mondo) alla fine del 2009 e la vedranno i nostri eredi (se ci saranno) alla fine del 2099. Assieme a quella dei funerali del papa. Sempre di un rito funebre (meglio lugubre) si tratta. La sanzione, meglio, la glorificazione, di un atteggiamento servile e compiaciuto, non nuovo nella storia del nostro paese, anzi presente da sempre, a volte egemone, a volte scorrente come un fiume carsico, ma pronto ad emergere nelle contingenze più opportune a riprendere il ruolo di guida, di immagine di un popolo. Di icona santa da ammirare compiaciuti. Fra quelle di Pulcinella e di Arlecchino. Maschere immortali del costume nazionale.

Ma questo “evento”, nella sua miseria, porta con sé qualcosa di più tragico: il senso della decadenza inarrestabile. Invecchiamento della popolazione, crisi demografica, rincoglionimento giovanile, invasione extracomunitaria e mistificazione ideologica con lo scopo dichiarato di scatenare il conflitto fra italiani ed immigrati. Crisi politica superbamente espressa dai volti ebeti degli uomini politici di governo e d'opposizione, crisi economica dilagante, manifestata tangibilmente da quell'Euro imposto agli italiani (in altri paesi rifiutato dal popolo chiamato alle urne) dalla solita gente, in rappresentanza dell'eterna classe dirigente economica, felicemente asservita agli interessi finanziari del potere globalista. Scollamento sempre più accentuato della classe dirigente economico-politica dalla vita comune del popolo. Smantellamento della produzione industriale e privatizzazione delle proprietà del popolo a favore di un orientamento turistico-ruffianesco dell'economia nazionale. Si tratta di una evidenza sotto gli occhi di tutti, che denota una mentalità terzomondistica, incapace di lotta per affermarsi nei mercati internazionali, energia propria del produttore industriale. Asservimento totale agli interessi globalistici per quanto riguarda il fabbisogno energetico.

Questo è il quadro reale dell'Italia di oggi, confermato dalle notizie che apprendiamo dai Media e che possiamo constatare movendoci per il paese. Condizione delle strade, delle ferrovie, funzionamento degli Enti di tutela (della vita, della salute, delle garanzie sociali e civili) e quant'altro. Ma non è tutto.

Anche gli USA non stanno proprio bene se hanno dedicato l'intero parlamento (governo ed opposizione) alle chiacchiere di questo coriandolo. Fintantoché, infatti, si tratta di incontri (sia pure ravvicinati del primo grado) fra singoli elementi di governo dei due stati, “amicizia” con Bush a parte, la cosa ci sembra del tutto naturale. Ma questo coinvolgimento di tutto il parlamento per un'operazione apparentemente di tipo elettoralistico ci deve far pensare.

Gli USA sono in crisi profonda. Il fallimento militare in Iraq ne è un sintomo diretto. L'Unione Europea, quatta quatta, si sta allontanando sempre di più, man mano che acquisisce potere economico, tecnico, militare. Il mondo islamico è in fermento e la stupida invenzione, elaborata dai cervelli sionistici dei Neo-cons, dello «scontro di civiltà», sta ritorcendosi contro i suoi ideatori. Cina ed India attendono al varco il momento della crisi economica del colosso dai piedi di argilla. Una crisi tale da non permettere le spese militari necessarie per un eventuale attacco all'Iran. Ed allora ecco che diventa interessante anche l'Italietta di Berlusconi. Non perché è (apparentemente) governata dal tycoon, ma per il ruolo geografico a suo tempo enunciato dal Metternich, e dove hanno posizionato 120 basi militari. Se defezionasse anche lo stivale dove andrebbero a ricollocarsi? In Israele?

Ecco perché il discorso di Berlusconi è destinato a diventare un' icona. L'icona della decadenza. Come certe immagini da “viale del tramonto” che ci restano nella memoria. Indelebilmente.

Giorgio Vitali