Infantilismo italico
Giorgio Vitali
Dovendo preparare un lavoro dedicato all’otto settembre, giornata da NON
dimenticare, sto dedicandomi al reperimento ed alla lettura di articoli e libri
recenti, che accolgono i documenti man mano desecretati da tutte le potenze in
guerra, relativi agli anni 1943-45. La ricerca è di grande interesse perché
emerge una realtà storica e politica che ben poco ha a che vedere con quanto
finora raccontato dalla storia cosiddetta «ufficiale» e da cronachisti il cui
interesse prevalente consiste nel trovare delle scusanti al proprio
comportamento. La cosa che più dovrebbe lasciare perplessi i lettori di quanto
via via è stampato anche in Italia sul quel periodo -e qualche lettore
sicuramente c’è, anche se non molti- è la distanza abissale da quanto
"ufficialmente" riconosciuto (e non mi limito alla sola "vulgata" di defeliciana
memoria, contrassegnata da un’idiozia fondamentale, ma anche alla
contro-retorica post-fascista che ha avuto fino ad oggi la sola funzione di
convalidare la vulgata). Il fatto che tanti "storici" accademici non solo non
abbiano immaginato fino ad ieri, ma soprattutto continuino a non capire oggi,
convalida la tesi dell’incapacità di questo popolo ad uscire da una fase di
infantilismo psicologico e morale che lascia poco da sperare per il futuro.
"La menzogna di Ulisse" e la critica di Andrea Caffi
"La menzogna di Ulisse" è il titolo di uno dei più interessanti libri di Paul
Rassinier, dedicato alle esagerazioni degli ex-detenuti nei campi di
concentramento nazisti.
Attraverso questo libro, Rassinier dimostra come esista nei racconti reducistici
una tendenza ad esagerare i disagi patiti. Si tratta di un fatto naturale, che
porta anche alla distorsione dei ricordi. Un fenomeno ricorrente anche nei
giorni nostri e che rende obiettivamente difficile la comprensione degli
avvenimenti storici partendo dai ricordi scritti dei partecipanti. Andrea Caffi
invece è stato un autentico socialista del primo novecento. Nato a Pietroburgo
da genitori italiani nel 1886, ha studiato con Simmel a Berlino, ha conosciuto
il carcere in Russia sotto lo zar e sotto i bolscevichi. Ha fatto da volontario
la prima guerra mondiale, ha vissuto come socialista libertario e
sostanzialmente apolide in molti paesi d’Europa, soprattutto in Francia,
osservatorio dal quale ha potuto analizzare gli avvenimenti politici del nostro
continente col disincanto e la penetrazione di una grande intelligenza integra,
non condizionata da interessi politici contingenti, ma supportata da una
mentalità tutt’altro che provinciale, che gli proveniva dalla sua vita nomade.
Non è vissuto isolato, al contrario ha sviluppato una
collaborazione-corrispondenza con i migliori intellettuali d’Europa, soprattutto
italiani di tutte le tendenze politiche. Insomma, un socialista autentico. È
morto a Parigi nel 1955. Avremo modo di trattarne più estesamente in futuro.
In un ottimo libro di recente ristampato: Gino Bianco: "Socialismo e Libertà:
l’avventura umana di Andrea Caffi", Jouvence ed. l’autore descrive con molta
precisione l’acume di Caffi nel sintetizzare quanto elaborato dalla cultura
europea durante quegli anni travagliati. Ad esempio: «... Caffi mette in
questione stereotipi ed idee fatte, solleva interrogativi imbarazzanti, pone in
luce con rigore, al di là di ogni astrazione o ideologia, la complessità del
"reale". Raymond Aron, ha spiegato, ne "l'oppio degli intellettuali", come aveva
già dimostrato Julien Benda nel "Tradimento dei chierici" che l’intellettuale
del nostro tempo mente o si sbaglia il più delle volte volontariamente giacché
per la maggioranza degli intellettuali, degli uomini politici, dei ricercatori
scientifici ed economici, la parola e la ricerca servono non tanto per esprimere
la verità ma per imporre il proprio punto di vista o quello degli interessi che
essi rappresentano ...»
Si tratta di un giudizio quanto mai esatto, che combacia con il vissuto degli
intellettuali italiani che ancor oggi, con puntiglio peggio che infantile,
continuano a sostenere tesi che solo la loro sostanziale IGNORANZA può avallare.
Condizionamento religioso o quasi
Un caso clamoroso di condizionamento mentale è dato in questi giorni dalle voci
di contrasto con quanto sta emergendo in relazione ai presunti attacchi dell’11
settembre 2001. Va subito detto che da quanto visto attraverso il DVD pubblicato
da "Nexus" e reclamizzato anche su "Rinascita": "9/11. In Plane Site" e da altri
programmi, di cui uno recentemente diffuso da Rai3 attraverso "Report", non ci
sono dubbi di sorta sulla matrice dell’«attacco». La vista, peraltro, documenta
quanto chiunque, dotato di un minimo di razionalità, poteva immaginare. Inutile
dettagliare. Tuttavia, ho letto due articoli veramente indicativi di come sia
possibile travisare anzi invertire i concetti.
Si tratta di un articolo di Mario Pirani su "Repubblica" e di Marco Respinti,
cattolico di destra ed atlantista, su "Il Domenicale" di 21 ottobre 2006. Pirani,
israelita, difende indirettamente Israele, con una dialettica priva di contenuti
ma soprattutto di documentazione, per arrivare ad una verità assiomatica. Con un
sillogismo degno degli accusatori di Giordano Bruno o del Savonarola, Pirani
arriva alla conclusione che l’accusa contro i responsabili del Colpo di Stato in
USA, negherebbe l’esistenza dei terroristi. L’articolo del Pirani, se non altro,
dimostra proprio che l’autore è ben conscio della responsabilità indiretta se
non diretta d’Israele in tutto lo svolgimento dell’operazione, come ben
documentato da Maurizio Blondet, che questi signori si guardano bene dal
contestare. Nella loro foga d’autodifesa, questi intellettuali perdono il filo
del ragionamento ed impongono una visione manichea della realtà. Si parte dal
preconcetto dell’esistenza dei "terroristi", fatto tutto da dimostrare, per
arrivare alla conclusione che se ci sono i terroristi costoro devono ben fare
qualcosa di terroristico. Come, perché, in che modo, poche persone munite di
temperini possano dirottare e soprattutto "guidare" all’unisono quattro aerei
verso obiettivi determinati, nessuno di loro sa spiegare. Come nessuno di loro
saprebbe spiegare come sia possibile che giganti quali le torri gemelle, più
l’edificio numero sette, siano cadute perfettamente in linea quando MAI fino
allora un edificio di grandi proporzioni è crollato sotto l’impatto di un aereo.
Marco Respinti giunge perfino a concludere il suo articolo, senza prima aver
minimamente dimostrato e documentato le sue asserzioni, con una frase
illuminante: «Quando si comincia a dubitare gratuitamente della realtà, undici
settembre in primis, e quanto prima ancora di aver approcciato, conosciuto,
accettato la realtà stessa, la fine è dietro l’angolo. La fine della capacità di
usare correttamente la ragione, vale a dire d’essere uomini. È questo che ciò
che ci occupa e ci preoccupa più d’ogni singola mena complottista».
Siamo veramente al delirio! E per chiarire meglio la questione, spiego le
ragioni di questo delirio. Respinti interviene in prima pagina contro il libro
recentemente edito da Editori Riuniti, che riporta tutti i dubbi esposti da
coloro che hanno denunciato alla Corte Distrettuale di Filadelfia Gorge Jr Bush
per «complotto e strage». I dubbi sono infiniti, mentre quanto diffuso dalle
televisioni embedded è del tutto ed esclusivamente, come chiunque può capire,
apparenza. Quindi coloro che legittimamente espongono il dubbio della ragione
sarebbero gli "alienati" mentre quelli che accettano con religioso fervore quel
pochissimo che le immagini di regime hanno trasmesso, sono nel vero. Si arriva
ad accusare coloro che ipotizzano un crollo controllato come presuntuosi esperti
in demolizioni, mentre ci si nasconde che la vera presunzione è di prendere per
buona, circa la demolizione, una tesi completamente a-logica.
Per questa ragione, ripeto, ho scritto di delirio. Delirio infantile, prodotto
di una cultura infantilizzante, quale la nostra comune matrice religiosa (o
quasi-religiosa) che esclude il senso di responsabilità. Pertanto, quando
entrano in crisi alcuni supporti della nostra autostima, anzi, quando ci si
rende conto che si sta incrinando tutto un mondo nel quale si erano poste le
coordinate della propria esistenza, (atlantismo, filo-occidentalismo, sionismo)
scatta un meccanismo inconscio d’auto preservazione, che fa perdere di vista le
vere coordinate della realtà.
La cintura della Madonna
Solo di recente, visitando la mostra dedicata in Firenze a Leon Battista Alberti,
sono venuto a conoscenza che in una chiesa toscana è contenuta, in un prezioso
cofanetto d’arte rinascimentale, la cintura che la Madonna, mentre stava salendo
al cielo, regalò a san Tommaso che le chiedeva un «ricordino».
Credere che l’impatto di un aereo in cima ad un grattacielo di quella portata lo
possa sbriciolare del tutto o, peggio, credere che un Boeing possa attraversare
il buchetto che tutti abbiamo visto sul muro esterno del Pentagono, è come
credere alla cintura della Madonna.
Presupposti culturali dell’11 settembre 2001
Il premio Pulitzer E. B. White, famoso columnist del New Yorker, così scriveva
in un afoso pomeriggio del 1948: «Una flotta aerea non più grande di uno stormo
di oche può mettere rapidamente fine alla fantasia di quest’isola (Manhattan)» e
«nella mente di un qualunque perverso sognatore, che voglia lanciare l’attacco,
New York deve esercitare un fascino costante, irresistibile».
C’è da chiedersi CHI ha letto queste frasi e di conseguenza progettato tutta
l’operazione.
Strumentalizzazione delle parole
Terrorismo e nichilismo sono due parole utilizzate da Giovanni Paolo II
apparentemente in senso generico ma in realtà con lo scopo di stigmatizzare
l’islamismo.
Dice infatti il papa: «Chi uccide con atti terroristici coltiva sentimenti di
disprezzo verso l’umanità, manifestando disperazione nei confronti della vita e
del futuro: tutto, in questa prospettiva, può essere odiato e distrutto»; eppoi:
«Non solo il nichilismo, ma anche il fanatismo religioso, oggi spesso denominato
fondamentalismo, può ispirare ed alimentare propositi e gesti terroristici».
Questi due sono sicuramente messaggi che agiscono nel subconscio. Mentre
apparentemente si condanna un comportamento per se stesso, in realtà s’intende
colpire quello che in precedenza (tramite imbonimento mediatico) è stato
definito il solo terrorismo: gli atti di autodifesa che il mondo islamico sta
disordinatamente compiendo.
Della strage di iracheni, della distruzione dei tesori della cultura
assiro-babilonese, alcun cenno. E sì che due principi cardinali del
cattolicesimo sono proprio la Prudenza e la Temperanza! Anche in questo caso il
riferimento è l’infantilismo mentale al quale possono essere imposte, attraverso
un abile sistema di occultamento dei fatti e di parole a doppio senso, le
credenze ritenute più funzionali al sistema dominante.
Ira infantile contro Gianpaolo Pansa
Prima di giungere alle conclusioni finali, occorre citare un documento recente,
molto utile per la comprensione dei fenomeni seguenti il 25 luglio 1943.
Si tratta di un libro edito nell’ambito di una serie distribuita nelle edicole
dal quotidiano "Libero", in collaborazione con le edizioni "Le Lettere",
editrice della preziosa rivista "Nuova Storia Contemporanea" diretta da
Francesco Perfetti.
Il libro è: "Dino Grandi. La fine del Regime", nel quale il noto "affossatore"
del fascismo racconta gli avvenimenti che portarono al 25 luglio. È facile
notare, dalla lettura del documento, come l’autore riferisca alla propria azione
tutto quanto di buono sia stato fatto dal fascismo.
Mussolini vi viene messo proprio in un angolino. Infantilismo autistico.
Per quanto concerne il "caso Pansa", espedienti di pubblicità editoriale a
parte, occorre citare almeno tre casi. Il primo riguarda un gruppo di giovani
"no profit" romani che sono partiti in camion per andare a contestarlo a Reggio
Emilia. Un leader di questo gruppo, intervistato per il nuovo quotidiano "E
Polis", ha dichiarato che Pansa va criticato perché non ha «contestualizzato» le
ragioni delle stragi di fascisti dopo il 25 aprile.
A parte il fatto che sarebbe molto facile identificare non solo le ragioni del
massacro del 1945, qualora si «contestualizzasse» realmente l’accaduto, ma anche
le fondamentali ragioni della nostra guerra 1939-45, è evidente che un’animosità
irrazionale smuove gli individui accecandoli di fronte a qualsiasi avvenimento
capace di mettere in crisi credenze religiosamente accettate.
Da una pagina di "Repubblica" del 20 ottobre 2006
Due articoli mi hanno particolarmente colpito. Il primo, di Michele Serra,
contesta pacatamente il modo in cui Vittorio Feltri ha montato il "caso Pansa",
arrivando a scrivere che Pansa ha rischiato una "piazzale Loreto".
Concordo con Serra. La caciara che è stata sollevata sul caso non serve a
risolvere i molti problemi d questo paese. Al contrario li complica, come
sempre, ampliando a dismisura le sacche di infantilismo sociale.
Il secondo è una ammissione di Cossiga, il quale scrive che: «Il carattere
popolare di massa della resistenza al nazifascismo, l’unità della resistenza e
nella resistenza, il valore determinante della resistenza nella liberazione, il
rifiuto di massa della Repubblica Sociale Italiana, costituiscono il "mito
storico" sul quale è stata fondata questa repubblica». Ritengo questo ultimo
scritto una pagina di realtà politica quale poche volte ci è stato dato di
leggere fino ad oggi. Concisa e completa e chiara.
Conclusioni
Ho l’impressione che il quadro internazionale, con l’incrinamento della
leadership statunitense stia facendo venire alla luce, gradualmente, le crepe
del Sistema, mentre sono riconosciute come falsità le vecchie credenze sulle
quali è stato costruito il "Sistema". C’è chi se ne rende conto, chi si sta
parando le terga, chi, come Giorgio Bocca, che durante la sua vita ha già fatto
più di una giravolta, mostra apertamente di aver perso l’elasticità necessaria
per un nuovo salto sul carro del vincitore. C’è chi, invece, mancando di solidi
appigli neuronali, perde le staffe e si agita.
Il memoriale di Alexander
Riporto da "Storia del Novecento" n. 66, dedicata all’otto settembre, due frasi
dal memoriale del generale Alexander: «L’esperienza del Governo Fascista
Repubblicano dimostrò che un governo italiano avrebbe potuto continuare a
funzionare e ad esercitare la propria autorità sulla maggior parte dell’Italia
per un lungo periodo. (...) Dopo la fuga di Badoglio e del Re le difficoltà dei
tedeschi non furono aggravate e lo furono in modo insignificante dalle forze
italiane della resistenza».
Deduzioni personali
Sicuramente, anche per ricordi personali, la situazione dell’Italia sotto il
governo delle Repubblica Sociale era molto più tranquilla di quello che i
bombardamenti alleati lasciassero immaginare. L’errore dei governanti
socialrepubblicani fu quello di favorire un certo laissez-faire, tendente a
blandire la conflittualità latente, piuttosto che prendere l’esempio (tanto
citato a chiacchiere) della Roma antica che colpiva pesantemente tutte le forme
di ribellione.
Ciò ha comportato:
1) che non si è riusciti a fermare per tempo, contrastandole con la massima
forza come sarebbe stato doveroso fare, tutte le stragi tedesche:
2) che i fascisti sono stati lasciati alla mercé dei pochissimi killer dei SAP e
dei GAP, con la conseguenza, anche in questo caso, dello scatenamento di
ritorsioni irrazionali ed incontrollate, perché esercitate per lo più contro
persone che non erano coinvolte negli omicidi.
Le conseguenze le abbiamo viste dopo.
Giorgio Vitali
Bibliografia:
* Collins-Glover: "Linguaggio collaterale.
Retoriche della guerra al terrorismo". Ombre Corte, gennaio 2006
* William Bloom: "Con la scusa della Libertà. Si può parlare di impero
americano?" Marco Tropea, 2002
* Giorgio Bertolizio: "Breve storia degli USA e getta". Edizioni Clandestine,
2006
* Fasanella-Pellegrino: "La guerra civile". BUR, 2005
* Franco Bandini: "1943. L’estate delle tre tavolette". Giovanni Iuculano ed.
2005 |