Italia - Repubblica - Socializzazione

 

INTRODUZIONE

Giorgio Vitali

 

«… un grande condottiero è al tempo stesso un capo d'idee …»
V. Hugo, "Novantatre"

«Scrivere un libro di chimica senza saperla non riesce. Ma scrivere un libro sulla democrazia per darsi lustro seguendo le parole d'ordine di moda riesce benissimo»
Giovanni Sartori

«In democrazia nessun fatto di vita si sottrae alla politica»
Mohandas Gandhi

«Fa scaturire la vittoria dalla giustizia, impedisci al forte di prevalere ingiustamente sul debole,
e persegui il Bene di tutto il popolo»
Shamash. Dio del Sole babilonese, a Hammurabi, 1700 Aev.



Un raro esempio di coerenza: dalla R.S.I. alla F.N.C.R.S.I.


 

«Esistono due storie: la storia ufficiale, menzognera… e la storia segreta, in cui si rinvengono le vere cause degli accadimenti. Una storia vergognosa»
Honoré de Balzac

«Modificare il passato non è modificare un fatto isolato; è annullare le sue conseguenze, che tendono ad essere infinite»
J. L. Borges, "L'Aleph"

«Dopo un tempo di declino viene il punto di svolta. La luce intensa che era stata scacciata ritorna. C'è movimento, ma non è determinato per violenza…»
F. Capra, "Il punto di svolta"

«La lotta politica non si arresta mai, e la propaganda non può mai scioperare»
S. Tchakhotine, "Lo stupro delle folle"

«Ex fructibus eorum cognosetis eos» [«Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere»]
Mat, 7, 16.

«La guerra ed il coraggio hanno operato cose più grandi dell'amore del prossimo»
F. Nietzche, "Così parlò Zaratustra", "Della guerra e dei guerrieri"

«Ma se un Re può diventare un ex-Re, è escluso comunque
che un buffone possa diventare un ex buffone»
V. Vassilikos, "Il Monarca"

«Già dal tempo della Resistenza avevo capito che i giochi erano ormai fatti, e fatti molto male. Quello che accadde dopo, (ovvero la cacciata della monarchia, che fu l'unico successo della Resistenza; la democrazia fondata su una Costituzione, che conteneva un articolo assolutamente inaccettabile, l'art. 52, che rimetteva saldamente in sella la casta militare quasi tutta monarchica e reazionaria), mi deluse ma non mi sorprese:
il fallimento della Resistenza lo avevo previsto già da tempo»
Carlo Cassola, "Conversazione su una cultura compromessa". Antonio Cardella (a cura di)

«La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore ed il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati»
Antonio Gramsci

«Le idee degli economisti come quelle dei filosofi politici, sia giuste che sbagliate, sono più potenti di quanto generalmente si pensi. In verità il mondo è governato da poco d'altro. Uomini pratici che si credono esenti da qualsiasi influenza intellettuale, sono di solito gli schiavi di qualche economista defunto»
John Maynard Keynes

«Uomini di parte saremo. Perché ci ripugnano tutte le neutralità e tutti gli eclettismi.
Partitanti come ci insegnò l'Alighieri, come ci piacque amare il Maremmano
nella sua maschia virilità e il nostro Pascoli nella sua prima giovinezza.
Avremo non una tessera, ma un pensiero ed una fede»
Aldo Spallicci, medico romagnolo, poeta, mazziniano, volontario della Iª guerra mondiale

«I sovrani legittimi non possono mai trovarsi in seno alle armate straniere»
Napoleone.


La Repubblica Sociale Italiana (1943-1945) fu, come sanno anche gli storici seri ed i nostri avversari, un fenomeno di massa. Non spetta a noi, in questo contesto, citare numeri e dati statistici. Si trovano ovunque. Basti ricordare che l'Esercito della RSI era composto di quattro Grandi Unità: "Italia", "San Marco", "Monterosa" e "Littorio"; battaglioni costieri e del genio, reparti autonomi di volontari, reparti territoriali comandi, etc.. per un totale di 143.000 uomini; la Marina contava su 26.000 uomini (tra cui la divisione Decima: 6.000), l'Aeronautica 79.000 (tra cui Folgore e Nembo, 4.000), 100.000 i volontari in ausilio di forze tedesche, non contando i 10.000 della Legione Italiana SS. Infine, 150.000 della Guardia Nazionale Repubblicana (Carabinieri, Guardia di Finanza, Milizia, Milizia Confinaria, etc.), nonché le Brigate Nere.
Il noto card. Schuster, nel suo noto libro bianco, elencava un totale di 1.500.000 uomini in armi fra italiani e tedeschi. Sulle cifre c'è sempre da discutere, perché l'esagerazione e la minimizzazione fanno parte integrante di qualsiasi esposizione storica che si compiace di definirsi "scientifica" o, peggio, "religiosa" come dimostrano certi resoconti "biblici" che molti fedeli continuano a considerare veritieri. Tuttavia è logico partire da queste cifre, anche facendo riferimento ad opere di largo respiro come "Gli ultimi in grigioverde" di Giorgio Pisanò, o all'altrettanto noto "La resa degli 800.000" di Ferruccio Lanfranchi per avere un'idea approssimativa del fenomeno RSI, contro le molte insinuazioni ed omissioni tendenti a minimizzarlo.
Premesso pertanto che un esercito di quest'entità non si può improvvisare in pochi mesi se non c'è unanimità di consensi nella società a cominciare dalle famiglie, un esempio penoso di pratiche mistificatorie che denotano un inevitabile complesso di inferiorità è l'espressione "Repubblica di Salò" inventata ed usata per indurre un riflesso condizionato e far pensare ad un territorio di dimensioni ridotte, mentre la repubblica amministrava, alla fondazione, un territorio pari ai due terzi dello stivale.
Altra parola utilizzata a tal fine è "repubblichini" per significare i combattenti e gli aderenti alla Repubblica «Sociale».
Poiché però le parole assumono il significato che la realtà loro assegna, questo termine, escogitato con intenti spregiativi, ha perso in breve tempo questa connotazione per esprimere una realtà umana e numerica a se stante, da tutti accettata. Al contrario, il tentativo messo in atto nell'immediato dopoguerra di chiamare "patrioti" gli italiani dell'altra parte è subito fallito, per cui oggi si continua a chiamarli "partigiani", parola che esprime inequivocabilmente un contenuto "di parte". Ed infatti costoro rappresentavano e continuano a rappresentare "una parte", peraltro molto ristretta, della popolazione italiana, anche perché fra di essi erano in molti i non-italiani, oltre a quelli che, italiani di nascita, facevano professione di antitalianità in quanto, illusi, si identificavano con l'internazionalismo comunista. Pertanto, sistemate le parole dentro il loro significato, a noi spetta invece il compito di mettere in chiaro alcuni concetti sui quali molti autori dei due schieramenti, hanno il vezzo di sorvolare. Altrimenti non avrebbe alcuna ragion d'essere la prefazione ad un testo che si spiega da solo, costituendo la storia di una realtà sociale e politica che durante tutto il dopoguerra e fino ad oggi ha seguitato ad esprimere una «linea ideologico-politica rigorosamente lineare oltreché inequivocabile».
A tal fine, poiché non dobbiamo scrivere un trattato, anche perché sull'argomento si è scritto e si continua a scrivere molto, concentreremo alcuni elementi conoscitivi in piccoli capitoli utili a fare il punto della situazione attuale, cioè della vita politica della nostra nazione.



La Repubblica Sociale fu una Forma-Stato compiuta

Stupisce come, leggendo le tante opere sull’argomento, per lo più autobiografie di personaggi più o meno importanti che si trovarono implicati in quella storia, pochi abbiano pensato di illustrare un fenomeno per lo meno inconsueto. Non soltanto l’altissimo numero delle adesioni al Partito Fascista Repubblicano l’altrettanto alto numero dei volontari, giovanissimi e persone mature, la sostanziale fedeltà della Milizia, ma anche la piena copertura delle posizioni della tradizionale autorità dello Stato a livello provinciale: prefetti, questori, presidenti di tribunale, magistrati d’ogni grado e livello.
Un miracolo, se si pensa che, come si dice, l’Italia era allo sbando, paragonabile ai cento giorni di Napoleone, ed all’estrema dedizione degli uomini, già provati dalle campagne precedenti, durante l’ultimo enorme sforzo conclusosi a Waterloo. Ma ciò che maggiormente si cerca, forse inconsciamente, di celare è il fatto incontestabile che tutto il sistema funzionò egregiamente durante l’anno e mezzo di esistenza della Repubblica, nonostante le innegabili difficoltà di approvvigionamento, aggravate dai bombardamenti angloamericani e dall’interferenza dei tedeschi. Un miraggio se si pensa ai disservizi che siamo costretti a subire oggigiorno. Tutto ciò ha comportato la sostanziale tenuta dell’apparato statale e della popolazione, invano intaccata da attentati ed omicidi di uomini politici, per lo più fascisti "moderati" e disponibili al dialogo, perpetrati con l’intento di creare scompiglio e disordine.
Sull’argomento si è scritto poco anche perché gli storici ed i cronachisti si sono finora interessati più a magnificare l’estensione e la gravità di questi omicidi o a sottolineare l’atrocità della "guerra civile". Va colta l’occasione per ricordare un’identica tenuta dimostrabile anche nella Francia del Presidente Pétain, a dimostrazione che tanto in Italia quanto in Francia l’atteggiamento antinglese non è mai stato minoritario né è mai venuto meno, avendo per di più i francesi non poche ragioni storiche per questo sentimento che riemerge sempre quando i tempi ne ricreano la possibilità d’espressione. Fra i tanti francesi occorre ricordare il caso di Pierre Laval, presidente del Consiglio di Pétain, eletto inizialmente nelle file del Fronte Popolare, socialista da sempre, (come Mitterrand peraltro), non a caso fucilato nell’immediato dopoguerra.
Ci rendiamo conto, peraltro, che è molto difficile per i posteri, cioè per le giovani generazioni, la comprensione dei fenomeni complessi del passato se non vissuti personalmente. Goethe scriveva che «nessuno può giudicare la storia se non chi ha vissuto la storia in se stesso».
È sicuramente per questa ragione che spesso le tragedie, se si vuole riviverle senza le stesse passioni, si trasformano in farse. D’altronde il particolare impedimento alla comprensione viene proprio dalla polarizzazione ideologica, per cui risulta difficile associare un evento ad una motivazione che non si riesce ad interpretare per i propri limiti culturali. È per questa ragione che spesso il comportamento di molti repubblichini può apparire contraddittorio o anche conflittuale, com’è stato facile constatare negli ultimi decenni studiando i «fascisti senza Mussolini».
Inoltre non possiamo ignorare l’ignobile campagna di diffamazione contro il fascismo, tentata fin dalla nascita del movimento stesso e subìta dalla maggioranza degli italiani dal dopoguerra ad oggi. Questa operazione è stata illustrata magistralmente da Augusto Del Noce. Secondo lo storico d’estrazione cattolica, il fascismo è stato rappresentato, di volta in volta, come una sorta di barbarie irrazionale ed oscura, poi come esito della coalizione di tutte le forze conservatrici e reazionarie a difesa d’interessi particolari. In questa prospettiva il fascismo è identificato come un’entità a se stante e, nel contempo, caratterizzato come male assoluto, mitizzato come un abisso di negatività al di fuori di qualsiasi analisi critica e storica. Da ultimo, trasformato in una sorta di essenza, il fascismo diviene la categoria alla quale ricondurre tutti gli aspetti legati alla tradizione, alla metafisica, al tema dell’autorità etc. secondo uno schema per cui non si può affermare la tradizione senza essere nel contempo, almeno incoativamente, fascisti e repressivi.
Ovviamente a noi interessa solamente sottolineare gli aspetti di infantilismo correlati con l’uso indiscriminato dell’offesa gratuita. Solo i bambini, infatti, si offendono reciprocamente ricercando affannosamente e compulsivamente l’epiteto che ritengono possa ferire maggiormente l’avversario. Va da sé che qualsiasi movimento politico che si affaccia come autenticamente innovativo sullo scenario storico, incontra inevitabilmente l’ostilità di coloro, e sono i più, che temono qualsiasi cambiamento. È quindi proprio dalla massa di offese acrimoniose che il fascismo riceve dai soliti nemici che noi deduciamo la sua intrinseca positività. Naturalmente, è bene chiarire che se la RSI è stata costituita da fascisti, non tutto il fascismo si identifica nella Repubblica, anche se questa ne rappresenta gli aspetti più innovativi e rivoluzionari.
 



Natura giuridica della RSI

 

«Nessun progetto politico nasce in laboratorio, ma è il frutto di percorsi storico-culturali fondati sulle identità storiche. (...) Così capita spesso nella storia dei popoli: c'è un savio, ed i mediocri lo chiamano pazzo, e si reputano savi perché mediocri. Prendono un'idea del savio e per farla propria la tagliano a metà: dimezzata, la trovano della propria statura. Ma quando non esce bene danno la colpa al savio, che la pensò intera, alta, viva, e dicono che era l'idea di un pazzo
e non poteva andar bene»
Giuseppe Prezzolini, "Vita di Niccolò Machiavelli", Mondadori, 1948

«Non sono esploratori coloro che negano l’esistenza di una terra quando vedono solo il mare»
Francesco Bacone


Un principio fondamentale della società civile sostiene che la legittimità di un Istituto pubblico proviene dai suoi atti.
L’autorità si esprime attraverso la capacità di elaborare leggi entro un quadro normativo in precedenza accettato, e soprattutto di far rispettare queste leggi. Questa è la realtà fattuale costituita dall’azione di governo della RSI.
Inoltre, occorre non dimenticare che erano pronte per essere votate anche due differenti versioni della Costituzione, preparate da Carlo Alberto Biggini e da Vittorio Rolandi Ricci. Ne abbiamo una compiuta documentazione nel saggio di Franco Franchi: "Le Costituzioni della Repubblica Sociale Italiana" edito da Sugarco nel 1987.
Queste Costituzioni non furono votate per una sorta di debolezza istituzionale. Si preferì delegare l’aspetto innovativo, ma consequenziale con l’evoluzione dottrinaria del fascismo, al Congresso del Partito Fascista Repubblicano, il quale però rappresentava solo una parte della Repubblica. Non era la "Repubblica Sociale". Con il senno del poi, ma anche alla luce dell’esperienza storica, noi riteniamo che una volta che si è dato vita ad un’iniziativa politica, questa vada eseguita fino in fondo, come molto opportunamente l’insegnamento della Repubblica Romana del 1849, Stato che non esitò a definire i propri connotati pur avendo ormai in casa i francesi intenti a restaurare il potere dei papi. Quella costituzione rappresenta una pietra miliare nella storia dei popoli. E, d’altronde, sulla base del numero dei votanti rispetto a quello degli esclusi contro la propria volontà, la costituzione dell’attuale repubblica, brogli a parte, è da considerarsi del tutto illegittima.
Se si considera che oggi, con un governo di centrosinistra in carica ma controllato direttamente, come già tante altre volte, dal potere finanziario, il lavoro in tutte le sue manifestazioni è sempre più penalizzato e spesso ignorato, come dimostra l’azione dei cosiddetti "Sindacati di Regime" che non trattano più il lavoro ma gli interessi di sopravvivenza di pensionati o disoccupati, ignorando del tutto il lavoro dei Quadri, espressione quanto mai evidente dell’evoluzione intellettuale del lavoro dipendente, risulta piuttosto indicativo quanto scrive Franco Franchi: «C’è assoluta linearità e coerenza nell’evoluzione di quest’idea: dagli "Orientamenti teorici e postulati pratici dei Fasci Italiani di Combattimenti" (1920), al "Programma del Partito Nazionale Fascista" (1921), alla "Disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro" (1926), alla "Carta del Lavoro" (1927), alla "Dottrina del Fascismo" (1932), alla "Costituzione e funzione delle Corporazioni" (1934), ai 18 Punti del "Manifesto di Verona" (1944), al decreto legislativo del Duce per la "Socializzazione delle Imprese" (1944), alla "Premessa fondamentale per la creazione di una nuova struttura dell’economia italiana" (1944)»
Ma la sovranità si esprime anche e soprattutto dal possesso (signoraggio) sulla moneta. Così, mentre il governicchio del sud doveva vedersela con le "AM-lire", moneta d’occupazione priva di valore reale, BASATA SU UN CAMBIO LIRA/DOLLARO uno a 100, che provocò aumenti dei prezzi fino a 40 volte il livello del 1943, il costo della vita aumentò del 750% a fronte di salari aumentati solo del 30%, secondo una tecnica applicata agli italiani fino ad oggi, la Repubblica Sociale Italiana "socializzava" in primis la moneta, grazie all’operato del Ministro delle Finanze Pellegrini Giampietro, chiudendo in attivo il bilancio dello Stato, si tratta di 20 miliardi e 900 milioni «vecchio conio» ceduti al sopravveniente e parassitario governicchio del sud, tanto che nell’aprile 1945 la lira repubblicana valeva tre volte di più di quella sudista, situazione impensabile anche nell’Italia attuale, governata direttamente ed in prima persona dagli uomini al servizio della finanza internazionale.!
Le AM-lire (Allied Military Lire Currency), stampate da due aziende americane, cessarono di essere moneta d’occupazione dal dicembre 1946 e furono equiparate alle emissioni normali fino al 3 giugno 1950, quando, avendo svolto egregiamente la loro funzione inflattiva, furono ritirate dalla banca d’Italia. Per la verità, anche le truppe inglesi avevano messo in circolazione le loro monete d’occupazione, che furono prontamente ritirate di fronte ai preminenti interessi economico-finanziari statunitensi.
Il Pellegrini fin dall’inizio del suo mandato, aveva espresso questo programma essenziale: a) Ripresa dell’attività finanziaria dello Stato nell’interesse esclusivo dell’Italia unitaria con il ripristino delle Intendenze di Finanza.
b) Difesa ad oltranza del potere d’acquisto della lira.
c) Controllo della circolazione monetaria.
d) Tutela assoluta degli interessi economici e finanziari dell’Italia, in ogni settore ve con tutti i mezzi.
Gli americani, nell’immediato dopoguerra, così si esprimevano in una loro relazione ufficiale: «La situazione economica dell’Italia settentrionale è molto migliore non solo rispetto alle altre regioni dell’Italia centrale e meridionale, ma anche in confronto di altri paesi europei come Norvegia, Olanda, Belgio e certe zone della Francia».
Questo dato di fatto dovrebbe far riflettere per una serie di ragioni, fra le quali non è un caso che il Sud costituisca, Mafia a parte, un peso economico apparentemente insuperabile per tutto il paese e che se è esistita una "Ricostruzione" detta anche "miracolo italiano" è probabile che tutto sia derivato dall’«avanzo di cassa» donato dalla RSI alla repubblica antifascista.
Una piccola digressione. Jean Bodin, (1530-1596) giurista francese fiorito fra il Rinascimento e l’Illuminismo di cui fu un precursore, per una significativa coincidenza fu colui che pose con grande rigore giuridico le basi teoriche dello Stato di Diritto e fissò il concetto di sovranità come summa in cives ac subditos legibusque soluta potestas. La questione è piuttosto semplice, ed attiene ad un principio universalmente riconosciuto: il potere risiede ove viene di fatto esercitato.
Il discorso è ovviamente complesso e non riguarda questa prefazione, tuttavia è necessario fornire ulteriori informazioni in merito, visto che non si trovano facilmente nei testi in circolazione. D’altronde, l’elaborazione concettuale più completa alla luce di una riflessione sui nuovi concetti di diritto costituzionale per la futura ineluttabile società della NUOVA EUROPA, proviene da un pensatore come Carl Schmitt, le cui opere più importanti sono state ripubblicate di recente ("La Dittatura", Settimo Sigillo, 2006; "Il Nomos della Terra", Adelphi, 1991) che non appartiene di certo al mondo intellettual burocratico delle democrazie d’importazione anglosassone.
Anche a voler considerare legittimo il governo fellone del sud, sta l’evidenza che: «dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943, la sovranità di fatto, o meglio l’autorità del potere legale nella parte d’Italia ove tale governo risiedeva, fu esercitata dalle potenze alleate occupanti, come dimostrato dall’immediata messa in circolazione delle AM-lire. E ciò non poteva essere altrimenti dal momento che, durante il regime d’armistizio permaneva lo stato di guerra e l’occupante era sempre giuridicamente "il nemico". Alexander, già a Cassibile, era stato chiarissimo e soprattutto giusto: "Avendo combattuto per tanto tempo contro gli anglo-americani gli italiani non avrebbero mai potuto essere trattati come alleati". Infatti, tutte le leggi e tutti i decreti, compresa la legge sulle sanzioni contro il fascismo (ordinanza n. 2 della Commissione alleata in data 27 aprile 1945) ricevevano piena forza ed effetto di legge a seguito di ordine degli alleati. Pertanto, quello del cosiddetto (N.d.R.) re era un governo che esercitava il suo potere sub condicione, nei limiti assegnati dal comando degli eserciti nemici». Sentenza n. 747 del 26 aprile 1954 del Tribunale Supremo Militare (ora: Procura Generale Militare presso la Corte Suprema di Cassazione).
In tal modo era evidentemente negata la funzione insita nella parola "rex", che sottintende una "potestas" ormai, per il Savoia, priva di significato. Tant’è vero che la monarchia è facilmente precipitata nel discredito, sostenuta soltanto dal discredito ancora superiore che la popolazione italiana sentiva nei confronti del comunismo.
Ciò significa che, in ogni caso, tale governo, sempre se supposto legittimo, non poteva avere alcuna giurisdizione nel territorio controllato dalla RSI, che peraltro sovrintendeva buona parte del territorio nazionale, non avendo il minuscolo reame giurisdizione nemmeno sul contado costituito da alcune province controllate sotto mandato alleato. E poiché il governo di detta Repubblica, (governo di fatto sia pure a titolo provvisorio), che oltretutto manteneva relazioni diplomatiche con non pochi Stati, emanava leggi senza la preventiva autorizzazione del governo tedesco e spesso contro di esso; e non solo esercitava de facto la sovranità ma i suoi combattenti, che indossavano una specifica divisa, devono essere considerati a tutti gli effetti belligeranti. Si tratta di una "presa d’atto" che l’opinione pubblica ha sempre fatto, sia pure a malincuore, quando ha dovuto pubblicare (pressoché costantemente, visto che di questi argomenti si scrive ogni giorno) malgrado pressioni politiche e disinformazioni varie.
Si potrebbe obiettare che certe disposizioni erano funzionali all’alleanza strategica col potente apparato militare germanico, ma nella sostanza i trattati furono rispettati, gettando nel ridicolo qualsiasi pretesa dei regimi postbellici di rappresentare un’ipotetica "Italia Libera".
Lo stesso Decreto Legislativo luogotenenziale 5 ottobre 1944 n. 249, emanato in regime di sudditanza ma nella previsione della vittoria alleata, pur discriminando le leggi emanate dal governo repubblicano con contenuto politico, cioè le norme relative alla "socializzazione", riconosce implicitamente la validità e l’efficacia degli atti d’ordinaria amministrazione della RSI, in quanto attuati sulla base della legislazione preesistente la quale, pur se controfirmata dal sovrano, in realtà era stata elaborata dagli esponenti giuridici del Regime.
Su questo argomento, e sul persistere delle leggi fasciste a decenni della cosiddetta fine del Regime, sarebbe lecito esprimere qualche opinione, che non può che essere negativa sulla "reale consistenza" dell’attuale repubblica, (è sufficiente il solo articolo primo della Costituzione, che esprime lo «scopo dello Strato italiano»), ma essa esula da questa trattazione.
Bastino in questo caso due considerazioni.
1) La Storia non è mai stata creata, per ovvie ragioni, da "governi legittimi". Al contrario, il progresso è sempre avvenuto grazie ad atti rivoluzionari, più o meno mascherati di legittimità. Infatti, ci si richiama ad ipotetiche legittimità solo quando si deve rispondere a qualche padrone, mentre un atto considerato a posteriori come rivoluzionario non può essere percepito come tale dai contemporanei, che ne colgono con molta difficoltà le componenti innovative.
2) Un caso esilarante (ed umiliante per tutti gli italiani) è costituito dalla dichiarazione di guerra presentata dal governo Badoglio a Germania e Giappone. Indagando di recente sulla questione, uno storico italiano ha scoperto che mai è stato firmato un trattato di pace fra l’Italia post 1945 e queste due Nazioni. La ragione, pochissimo recondita, consiste nel fatto che il governo del regnicolo non aveva l’autonomia sufficiente per fare passi diplomatici di tale importanza e quindi queste velleitarie dichiarazioni, peraltro accettate con disprezzo dai destinatari, risultano inesistenti. Per ulteriori informazioni è utile consultare di Roberto Bonini, docente universitario, "La Repubblica Sociale Italiana e la socializzazione delle imprese dopo il Codice Civile del 1942", Giappichelli Editore, Torino, 1993.



Legittimità etica e storica della RSI

 

«Eppure dalla storia non possiamo aspettarci che delle sorprese. Sorprese sordide e nello stesso tempo magnifiche. Magnifiche perché l'imprevisto arricchisce spiritualmente. Sordide perché, per ottenere novità, la storia crea legami illeciti, scandalosi, fra elementi che sembravano inconciliabili. Lo spirito aveva fatto alcuni piani che adesso vengono mandati all''aria nella misura in cui si sono realizzati su strade impreviste ed un po' complesse»
Pierre Drieu La Rochelle, "Socialismo fascista", 1934

«Si sa bene che ci vorrebbe una maggiore dose di coraggio a svincolarsi dagli obblighi morali; quantunque non sia mancato chi nel furore dionisiaco dell’estro poetico e filosofico pretendesse di stare per suo conto al di sopra del bene e del male. Che era poi un equivoco, perché questo collocarsi al di sopra dei correnti criteri morali era, e sarà sempre, se effetto di riflessione e di bisogno d’elevazione spirituale, esso stesso una risoluzione morale per attuare più alto regno dello spirito in una forma di moralità superiore»
Giovanni Gentile, "Genesi e struttura della società", Le Lettere, 2003


Nel 1530, in mezzo al decadimento generale del patriottismo e d’ogni grande sentimento in Italia, la strenua opposizione dei fiorentini a Carlo V, opposizione che fu detta dai contemporanei «da matti» salvò l’onore italiano.
Succede spesso, pertanto, che avvenimenti apparentemente privi di significato, rappresentino invece un alto valore aggiunto per la sopravvivenza del legame sociale e nazionale. Tanto più che la politica estera d’Italia, fin prima del secondo conflitto mondiale, fu determinata da una totale assenza di pregiudiziali ideologiche. Ma fu dopo l’avvento di Roosevelt al potere negli USA che la strategia geopolitica di quel paese fu modificata, essendo il capitalismo americano interessato per ragioni di sopravvivenza identicamente a quanto sta accadendo oggi, a scatenare una guerra, per cui passò del tutto inosservata o fu volutamente ignorata l’importanza dell’Italia come garante di stabilità politica in Europa.
Questa ineccepibile strategia, che si riflette anche nel comportamento mussoliniano durante il conflitto e nei rapporti con i responsabili della politica inglese, è messo in evidenza nel recente libro di Manfredi Martelli, "Mussolini e l’America", edito da Mursia.
A tal proposito è interessante, soprattutto per sfatare i troppi luoghi comuni che ci affliggono, un libro non nuovo edito dalle Edizioni di Cultura Sociale nel 1953. Si tratta di "Così si fanno le guerre!". L’autore è Albert Norden. In questo libro sono documentate, almeno fino al 1952, le interconnessioni fra il capitalismo anglo statunitense e quello mitteleuropeo, causa non ultima dello scatenamento del primo e del secondo conflitto mondiale, al quale, invano cercarono di opporsi personaggi come Mussolini e papa Pacelli (vedi: Edgardo Sulis, "Storia della seconda guerra mondiale"). Una conferma a queste tesi ci viene anche dal recente libro di Antonella Randazzo, "Dittature. La storia occulta". Il Nuovo Mondo ed.
Pochi, anche se lo sanno teoricamente percepiscono il significato del fatto che la causa prima del secondo conflitto mondiale deve esser fatta risalire alla crisi del 1929. Cioè alle speculazioni finanziarie che avevano sede negli USA e che sottintendevano alla politica di liberalizzazione imposta da Wilson, a sua volta sostenuta dalle 200 multinazionali protese alla conquista del mondo e già influenti sui partiti, soprattutto il democratico da cui proveniva Roosevelt. (Vedi: di Vincenzo Caputo, "Da Sarajevo a Pearl Harbour. Gli angloamericani alla conquista del mondo". Settimo Sigillo, 1999 e Lionel Robbins, "Le cause economiche della guerra", Einaudi, 1944).
Difficilmente l’italiano medio di oggi, frastornato dalla filmica hollywoodiana veicolata in Italia dalle emittenti berlusconiane, può immaginare quale fosse il livello di povertà (alla quale si stanno nuovamente avvicinando tante popolazioni), degli strati più deboli della popolazione statunitense dopo quella grande crisi, ma un libro scritto da un noto autore, pubblicato in Italia nel 1939, ce ne rende edotti. Il libro s’intitola "Dobbiamo salvarli? La sopravvivenza dei fanciulli negli USA. Contrasto tra progressi della scienza ed interessi economici". L’autore è nientemeno che quel De Kruif, autore del famoso "Cacciatori di microbi". Sembra di leggere uno dei tanti appelli che oggi si riferiscono ai bambini africani!
Scrive il generale Alexander nel suo memoriale: «L’Italia era nel 1943 in una posizione militare diversa da quella in cui si trovava la Germania nel 1945, completamente battuta sul terreno delle armi. Questo non era il caso dell’Italia… La resistenza certamente era ancora possibile… e l’esperienza del Governo Fascista Repubblicano dimostrò che un governo italiano avrebbe potuto continuare a funzionare ed a esercitare la propria autorità sulla maggior parte dell’Italia per un lungo periodo. (…) Dopo la fuga di Badoglio e del Re le difficoltà dei tedeschi non furono aggravate e lo furono in modo insignificante dalle forze italiane della resistenza».
Rincara la dose Eisenhover: «La resa dell’Italia fu uno sporco affare, tutte le nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e guerre perdute, ma l’Italia è la sola ad aver perduto con questa guerra anche l’onore, riscattato in parte solo dal sacrificio dei combattenti della Repubblica Sociale».
Tuttavia, se i militari non hanno difficoltà a bollare i felloni per quello che sono, la linea politica atlantica per tutto il lungo dopoguerra (ed ora stiamo vivendo in un’altra lunghissima guerra chiamata eufemisticamente: guerra al terrorismo), non ha certo esaltato i badogliani, dovendo tutelare un minimo di prestigio militare alle truppe italiane inserite nella NATO, ma gli storici americani "accreditati" non hanno mai pubblicato documenti definitivi su quel periodo.



Geopolitica e geostrategia della RSI. Funzione politica dell'otto settembre

 

«Annientare le plutocrazie parassitarie e fare del lavoro, finalmente, il soggetto dell'economia e la base infrangibile dello Stato. La nostra volontà, il nostro coraggio, la nostra fede, ridaranno all'Italia il suo volto, il suo avvenire, la sua possibilità di vita ed il suo posto nel mondo»
Radiodiscorso da Monaco di Baviera, 18 settembre 1943.

«Si ricorda cosa si dice dei Principi che lasciano il loro paese? Partire, quando il paese è in pericolo, è il disonore e l'onta per sempre. Se parto, non abbiamo più che da nasconderci.
Nei momenti gravi bisogna avere energia e coraggio»
(Maria Clotilde di Savoia al padre Vittorio Emanuele II, il 25 agosto 1870,
da Parigi, dopo la grande sconfitta francese)

«Nel gioco delle drastiche contingenze, la RSI prese corpo nel mio spirito non come un'improvvisazione, ma come una conclusione. Dove non era riuscito il regime, doveva riuscire la repubblica».
O. Dinale, "Quarant'anni di colloqui con Lui", Ciarrocca ed.


Un elemento essenziale per il giudizio storico sulla RSI è la sua geopolitica, cioè il sistema delle alleanze e le strategie elaborate con i governi degli Stati alleati. Sarebbe logico pensare che, in quelle condizioni, le alleanze fossero per così dire obbligate; tuttavia, se teniamo conto delle linee strategiche dell’ideologia mussoliniana, chiunque dovrebbe convenire che questa è stata coerente per tutto l’arco della conduzione della vita pubblica nazionale, compreso il periodo della campagna per l’entrata in guerra d’Italia contro gli Imperi Centrali, spesso contro la maggioranza degli esponenti della classe dirigente economico-politica, monarchica e fascista che fosse. Infatti, se leggiamo con attenzione i discorsi di Mussolini, e non solo i più importanti pubblicati di recente da "l‘Espresso", vi troviamo difficilmente un attacco diretto al regime comunista russo (il ché non significa che egli approvasse il marxismo o la sua applicazione bolscevica), mentre in ogni occasione utile il Duce si sforza di esplicitare, spesso con intenti educativi per le masse, la sua chiarissima posizione antiliberale, o per meglio dire, antioccidentale.
D’altronde… «L’intento dell’élite anglosassone non era quello di sradicare la mentalità nazifascista, ma di costruire un dopoguerra utile ai loro intenti di dominio sul mondo intero: non era importante che emergesse come la gente inerme fosse stata massacrata ovunque, ma che la Germania di Hitler fosse considerata l’unica responsabile, e che gli angloamericani fossero visti come i liberatori dei popoli. (…) Gli inglesi speravano di distruggere la potenza sovietica attraverso una guerra scatenata dalla Germania mentre gli americani volevano una grande guerra per destabilizzare l’Europa ed acquisire un maggior controllo attraverso le ricostruzioni successive» (A. Randazzo, op. cit.)
Sul tema delle "linee guida" di politica nazionale che hanno improntato lo scontro politico interno del nostro paese dall’unità (1848-1896, data della sconfitta di Adua) ad oggi, occorre avere le idee chiare, perché la ragione essenziale che portò alla divergenza ed alla rottura definitiva fra la FNCRSI ed il partito egemone di uno specifico movimento politico, con proprie connotazioni ideologiche ed operative del neofascismo: il MSI, fu proprio la scelta atlantista di quest’ultimo.
Dal netto rifiuto della scelta atlantica da parte della nostra Federazione nacque quella scissione che ridusse di molto la nostra capacità di manovra, non riuscendo tuttavia ad intaccarne i princìpi informatori e lo spirito d’indipendenza, il quale, sia detto per inciso, non poteva esercitarsi che contro i detentori del potere in quest’area del globo. Ma sarebbe del tutto superfluo argomentare ulteriormente sull’atlantismo, in un momento quanto mai drammatico per l’intero pianeta che permetterebbe a chiunque di costatare fin dove può trascinare un’alleanza giugulatoria, della quale non si conosce bene l’origine. Infatti, siamo ancora in attesa di conoscere, in nome della tanto decantata trasparenza, la forza coercitiva dei patti segreti sottoscritti dal governo italiano nel famigerato "trattato di pace". Superfluo, inoltre, ricordare che un partito come Alleanza Nazionale trae la sua legittimazione oltre al suo ipotetico diritto al governo del nostro paese, proprio da quella strana cosa che molti definiscono «libera scelta».
Dobbiamo al libro postumo di Franco Bandini, "1943: L’estate delle tre tavolette" edito da Gianni Iuculano la conferma di molte ipotesi, mai riscontrate in documenti ufficiali ma giustificate da testimonianze raccolte nel tempo. Invero, i fatti effettivamente accaduti nell’ultimo conflitto mondiale trovano una spiegazione che è molto lontana da quanto è abitualmente raccontato ed accettato come conseguenza logica di certe particolari premesse peraltro del tutto supposte. (Sarebbe meglio scrivere: immaginate). Non solo per la copresenza d’interessi ideologici, geopolitici, nazionalistici, egemonici, economici, di approvvigionamento energetico, di produzione industriale, demografici… e ci limitiamo a quelli maggiormente evidenti.
Franco Bandini è stato lo storico che, anche grazie alla sua attività giornalistica, ha avuto durante l’arco dell’attività professionale la possibilità di esporre il frutto delle sue investigazioni del tutto libere da condizionamenti, potendo anche raggiungere un largo pubblico. Resta in ogni caso scontato che una storiografia indipendente può incidere sull’opinione pubblica, ma non può scalfire la storiografia ufficiale alla quale si è costretti ad attingere e che, per quanto riguarda il nostro paese, rimane saldamente ancorata agli interessi di carriera degli "studiosi" universitari i quali, a loro volta, valutano non la verità cosiddetta storica, ma ciò che può far comodo al loro individuale percorso accademico. Il caso sollevato dallo storico Moffa dell’Università di Teramo sulla reale esistenza dei "campi di sterminio" nazisti, sui quali ormai è molto più abbondante la letteratura negazionista di quella filosionista, (mancano solo gli aspetti più spettacolari come i film e le fiction), ne è un esempio.
Come ci comunica Bandini attraverso il suo libro, nel 1943 la situazione bellica, dal punto di vista geopolitico, era statica. Tutto era fermo e tutto era possibile. Gli schieramenti erano, essi stessi, modificabili. La conferma ci viene da alcuni libri ancora in circolazione che qui è necessario citare. Si tratta di "D-Day", di Stephen Ambrose, Rizzoli; "Un esercito all’alba" di Rick Atkinson, Mondadori; "Salerno" di Hugh Pond, che ci illustrano in maniera impietosa le difficoltà degli angloamericani nell’impatto con la "Fortezza Europa".
Di fronte ad uno scontro, che si presentava con estrema chiarezza agli occhi dei responsabili come un bagno di sangue sempre più crudo, tale da comportare sacrifici enormi per le popolazioni, i governi erano totalmente liberi nelle loro decisioni, in ogni caso giustificabili. A posteriori. Nessun’autorità superiore avrebbe potuto condannare alcun uomo politico per il proprio comportamento. Solo i vincitori del conflitto avrebbero avuto il diritto di giudicare i perdenti. Ed infatti, in questo totale vuoto di autorità morale i vincitori hanno usato il massimo della violenza per tacitare i vinti, anche allo scopo di non fa trapelare i contatti tenuti tra i loro emissari al di fuori ed al di sopra delle fazioni in lotta. Vedasi la documentazione esposta da Antonella Randazzo nel libro in precedenza citato.
In questo contesto era ovvio che in ogni paese fra quelli coinvolti nel massacro si sarebbe reso concreto uno scontro frontale fra linee di tendenza divergenti ed a volte confliggenti… L’intento dell’élite anglosassone non era quello di sradicare la mentalità nazifascista, ma di costruire un dopoguerra utile ai loro intenti di dominio sul mondo intero. Non era importante che emergesse come la gente inerme fosse stata massacrata ovunque, ma che la Germania di Hitler fosse considerata l’unica responsabile, e che gli anglo-americani fossero visti come i liberatori dei popoli… Gli inglesi speravano di distruggere la potenza sovietica attraverso una guerra scatenata dalla Germania, mentre gli USA volevano una grande guerra per destabilizzare l’Europa ed acquisire un maggior controllo attraverso le ricostruzioni successive. In questo contesto inoltre si verificano alcuni avvenimenti significativi: la nascita del contingente russo filo tedesco comandato da Vlassov, e quello tedesco filo russo, comandato da Von Paulus. Due comandanti prestigiosi ed una strana coincidenza. Evidentemente si stavano preparando le premesse per un repentino cambiamento di fronte. Che a guerra finita i perdenti abbiano pagato con la vita l’iniziativa intrapresa, anche per farli tacere, è un dato scontato. Che gli stessi attori conoscevano in precedenza.
A noi in ogni modo interessa maggiormente lo scontro latente da qualche tempo ma molto vivace in Germania fra la linea del partito nazista e delle SS, favorevole ad un accordo con gli inglesi (vedi, di C. Leibovitz e A. Finkel: "Il Nemico comune", Fazi editore, 2005) e rappresentato con solare evidenza dal viaggio di Rudolf Hess nel 1941 che fu molto meno segreto di quanto finora ci sia stato fatto credere, ed il cui fallimento è strettamente correlato alla ridotta influenza della vecchia aristocrazia inglese sul governo e nella società, (dimostrato anche dalla "abdicazione" di Edoardo VIII, come risulta evidente dai diari di Rochus Misch usciti di recente anche in Italia (R. M., "L’ultimo", Castelvecchi, marzo 2007), e quello favorevole alla collaborazione con la Russia degli Junkers, d’antica tradizione ostpolitik prussiana (E. Crankshaw, "Otto Von Bismarck e la nascita della Germania moderna", Mursia), che porterà all’attentato a Hitler del 20 luglio 1944, represso con particolare ferocia dalle SS di cui magna pars sarà quello Skorzeny che ritroviamo negli anni settanta in Spagna nelle vesti d’agente della CIA cooperante al cosiddetto "golpe Borghese".
È interessante anche la sorte di un altro personaggio piuttosto importante, il generale SS Hans Kammler, responsabile di tutte le attività di ricerca sulle armi segrete agli ordini diretti di Hitler, sparito dalla circolazione a guerra finita, va infatti prendendo sempre più piede l’ipotesi che le due bombe atomiche fatte scoppiare dagli USA contro il Giappone siano di ideazione se non proprio di costruzione tedesca. Va inoltre ricordato che anche Valerio Borghese riparerà in Spagna, dove troverà una morte scontata di quelle per le quali il dubbio resta, ma non può essere comprovato, dopo il fallimento del predetto presunto e molto chiacchierato "golpe" a lui intitolato. (Daniele Lembo, "La guerra nel dopoguerra in Italia", MARO Ed; Fasanella-Pellegrino, "La guerra civile", BUR, 2005)
Ma in Italia il quadro è, da molto tempo, più semplice. Perché la linea anglofila è rappresentata dalla Monarchia sabauda, che deve all’Inghilterra l’allargamento del "Regno di Sardegna" all’intero territorio nazionale, e che si avvale di persone del calibro di un Pietro Badoglio, responsabile di Caporetto per conto della Massoneria francese (Carlo De Biase. "Badoglio Duca di Caporetto" e "L’otto settembre di Badoglio", "Il Borghese", 1968) nonché da buona parte della classe dirigente fascista formatasi nelle trincee della guerra antigermanica.
Mussolini è apparentemente isolato in questa profetica battaglia geopolitica, nonostante la personale avversione per i tedeschi, ma i fatti dimostreranno che, una volta spazzata letteralmente via la vecchia, statica e stanca classe dirigente del regime, ministri, deputati, senatori, vertici del partito e della milizia e quant’altro, sarà possibile ricreare uno Stato con uomini nuovi animati da una visione geopolitica del tutto divergente dalla vecchia anglofilia d’origine massonica e post-risorgimentale. Per la comprensione di quest’aspetto apparentemente eccentrico è utile il libro di Fulvio e Gianfranco Bellini: "Storia segreta del 25 luglio 1943" edito da Mursia nel 1993. Si tratta di un libro che disgraziatamente non ha lasciato la traccia che meritava. Per la precisione, lo scontro fra esponenti dell’esercito e partito nazista ha, anche in Russia un equivalente braccio di ferro, che Stalin seppe brillantemente prevenire con lo spettacolare attacco dalle parti di Kiev contro il generale Nicolaj Federovic Vatutin ucciso in una "imboscata" assieme ai seicento uomini della sua scorta, peraltro composta dai duri dell’NKVD.
Pertanto la resa dell’otto settembre e la fuga della monarchia da Roma, appoggiata e facilitata da Kesselring (Albert Kesselring, "Soldato fino all’ultimo giorno", Libreria Ed. Goriziana), rappresentano un atto politico "autonomo", messo in atto non per ragioni incombenti d’interesse nazionale, che ne costituiscono la giustificazione a posteriori, ma per assecondare una linea politica antimussoliniana di pure ragioni geopolitiche, equivalente a quella emersa durante il voto del 25 luglio precedente. Scrive infatti Silvio Bertoldi ("Il Regno del Sud", BUR, 2003): «… In cambio della rinuncia ad ogni resistenza e ritorsione, addirittura in cambio dello scioglimento dell’esercito, Albert Kesselring gli lascia libera la via Tiburtina per trasferirsi al Sud. Com’è intuibile, dopo la guerra non si trovò nessuno dei protagonisti di quegli avvenimenti disposto ad avallare la tesi di Zangrandi (R. Zangrandi: "1943, l’8 settembre", Feltrinelli, 1967). Meno che mai Kesselring o il suo capo di Stato Maggiore, Siegfried Westphall, o i responsabili italiani di quel verosimile pastrocchio. Avevano tutto l’interesse a star zitti.
Rimane il fatto che negli ultimi momenti, nell’affannata confusione del panico, Badoglio ebbe il tempo e la calma per trasferire proprio alla sede di Bari della Banca d’Italia 162 milioni di lire, perché va bene arrivare nudi alla meta (o con una matita soltanto, come dirà il maresciallo), ma un po’ al riparo dagli imprevisti è meglio. Ma ora occorre illustrare come si è arrivati a questo spartiacque della politica nazionale.
Quanto detto non può certamente nascondere l’ignominia di una capitolazione che resterà citata nei testi di storia di tutto il mondo come il massimo della cialtroneria. (vedi: Gino Bambara, "Non solo armistizio. Tragico sfacelo dell’Armata italiana in Jugoslavia").
Il danno creato all’immagine degli italiani come popolo è immenso e va anche ricordato l’effetto deleterio sul morale di tutti i connazionali che si fecero internare dai tedeschi, oltre alla crisi creata nell’animo di tutti quelli che erano da qualche tempo prigionieri degli alleati, ed al quale reagirono con gran coraggio i soli non collaborazionisti, soffrendo angherie ed umiliazioni. Come ci ricorda un sociologo molto noto, Ron Hubbard, in un suo libretto dal titolo "Integrità ed onestà", ogni comportamento tanto individuale quanto collettivo che non attiene all’esecuzione di uno o più codici morali, decreta la "morte" dei gruppi e dei singoli. Che anche se non è fisica, ci si avvicina molto.
La crisi del "sistema Italia", la crisi dei costumi e delle classi dirigenti, la decadenza civile, l’assenza di una Giustizia capace di garantire le convivenza, qualsiasi convivenza, la proliferazione delle mafie e delle camorre sono tutte conseguenze dell’equivoco morale generato dall’aver voluto giustificare se non esaltare l’otto settembre. Se esiste la depressione, malattia esiziale che riguarda l’immagine esistenziale che ciascun individui ha de sé, a maggior ragione esiste e si propaga per decenni una "depressione civile" che si sostanzia nel cinismo delle giovani generazioni, nel fallimento dei processi educativi pubblici, nell’impotenza delle precedenti generazioni di fronte a manifestazioni d’anarchismo inconcludente dei giovani, ma anche nella crisi delle vecchie credenze religiose, con una particolare caduta della Chiesa, incapace ad affermare parole di verità tanto su quei due tragici anni quanto sugli avvenimenti dell’attualità.
C’è un altro aspetto che ci preme rilevare. Leggendo la letteratura internazionale, gli autori non italiani che hanno sempre avuto ammirazione per il passato del nostro paese, che hanno visto con un senso di sollievo per i destini dell’umanità, il fascismo come una forma di rinascimento nazionale e di potenziamento delle indiscusse qualità del nostro popolo, hanno ampiamente dimostrato nelle loro creazioni post belliche una cocente delusione.



La guerra rivoluzionaria. Ragioni geopolitiche della guerra del sangue contro l'oro

 

«Si è detto che la guerra è la levatrice delle rivoluzioni: è anche la levatrice delle nazioni.
La guerra mondiale del 1914-1918 permise ai due nazionalismi
arabo ed ebraico di compiere entrambi un passo decisivo»
Maxime Rodinson, "Israele ed il rifiuto arabo", Einaudi, 1969

«Per quanto scandaloso sia dirlo, in un'Italia che ama le favole più che la verità, Mazzini mai ebbe tanti onori postumi e tentativi di farne penetrare la figura nell'immaginario quanto nel tempo e nello spazio geopolitico in cui si consumò l'avventura della "Repubblica di Mussolini"»
Sandro Consolato, "Politica Romana" 6/2000-2004.


Tutto il "Secolo breve" discende in maniera diretta dal primo conflitto mondiale, contrariamente a quanto avvenuto nel secoli precedenti con eccezione di quello precedente dipanatosi quale conseguenza delle conquiste napoleoniche.
Come scrive Antonio Gramsci, tanto la rivoluzione russa quanto quella italiana nascono e si sviluppano in conseguenza della guerra, anche in funzione di un rallentato precedente sviluppo sociale rispetto a quanto avvenuto in altri paesi d’Europa nei quali la rivoluzione industriale aveva provocato, anche e soprattutto a scapito delle categorie più deboli cioè delle masse proletarie, trasformazioni che imponevano un pronto adeguamento nei paesi ritardatari. Esattamente come accade al giorno d’oggi nel processo di integrazione europea nel quale dobbiamo registrare diversi gradini di adeguamento in una graduatoria nella quale l’Italia non fa certamente un’ottima figura. Sappiamo com’è andata con la cosiddetta rivoluzione leninista. Invece il processo d’evoluzione sociale dell’Italia postbellica si pone fin dall’inizio, proprio per l’immanenza della cultura mazziniana nel pensiero rivoluzionario nazional popolare elaborato dopo la conclusione deludente del processo risorgimentale (vedi l’intera opera di Alfredo Oriani e gli scritti politici di Giovanni Gentile), il progetto della trasposizione dell’uomo nel cittadino ed il cittadino nello Stato. E ciò avviene certamente non in collaborazione con la politica liberale, necessariamente a-morale, espressa dalla vecchia classe dirigente del notabilato, ma contro di essa, perché questo processo può avvenire solo attraverso l’etica secondo l’insegnamento di Mazzini e prima di lui di Kant.
Di qui il necessario compromesso, che impone la dittatura mediatrice mussoliniana (dittatura di sviluppo) tra le forze rivoluzionarie post-risorgimentali che rivendicano la vittoria nella terribile prova della guerra, anche attraverso gli scritti dei più importanti scrittori italiani del secolo fra i quali Papini, Prezzolini, Soffici e soprattutto Malaparte, e la borghesia capitalista che vede nella monarchia e nell’esercito sabaudo lo stesso baluardo che aveva frenato cinquant’anni prima la rivoluzione garibaldina, non arretrando nemmeno di fronte alla progettazione dell’assassinio di Mazzini e di Garibaldi stessi.
Tra parentesi, è evidente che Mussolini poté sentirsi liberato dall’abbraccio mortale solo dopo la presunta fuga della monarchia e dei suoi scagnozzi (non potremmo definire diversamente l’accozzaglia d’alti gradi dell’esercito che si accalcano e sgomitavano nel tentativo di sfuggire ai tedeschi) i quali avevano confermato a tutto il popolo italiano l’ormai abituale ed acclarata incapacità sabauda a gestire una guerra (tradimenti massonici a parte). Tuttavia, poiché non temiamo i confronti, vogliamo riportare alcuni giudizi di Gramsci, che fu vittima più del comunismo che del fascismo, improntati sulla falsariga della pura concezione classista.
Secondo Gramsci il fascismo, per un verso è considerato il continuatore del blocco protezionista e nordista che ha dominato l’Italia dall’unità in poi, per un altro esso presenta una grande novità nella base di massa del Partito Nazionale Fascista, costituita dalla piccola borghesia inquadrata per la prima volta in una formazione politica unitaria, e nella necessità di procedere ad una trasformazione autoritaria dello Stato, basata sulla identificazione di Stato, governo e partito unico. Sempre secondo Gramsci, lo strato intellettuale intermedio, che fornisce a tutta l’Italia il personale statale, proviene principalmente dalla piccola borghesia rurale ed assolve il ruolo di subordinare le masse contadine al blocco agrario, ma… la piccola borghesia intellettuale assolve una funzione reazionaria nella faccia rivolta verso lo Stato, ma è anche influenzata dalle pulsioni radicali che percorrono il mondo contadino e gli strati popolari poiché è legata ad essi dalle sue funzioni professionali e politiche.
Non abbiamo difficoltà ad accettare questo quadro per una serie di ragioni. La prima può benissimo rappresentare l’aspetto rivoluzionario della RSI, dove la supposta faccia radicale della piccola borghesia di provincia (dei borghi direbbe Alessandro Pavolini) decide di prendere in mano la situazione elaborando uno Stato su misura di una realtà sociale anticipatrice e chiaramente antiglobalista ante litteram.
Sull’importanza della RSI e di Mussolini in particolare possiamo portare molte prove, fra cui il fatto che il territorio della RSI era pieno di spie di tutti i servizi segreti di questo mondo, come dimostrazione dell’interesse generale per l’esperimento mussoliniano, nonché il programma roosveltiano d’esibizione pubblica di Mussolini, una volta consegnatogli dai felloni. Una missione militare degli USA avrebbe preso sotto la sua protezione Mussolini alla presenza di operatori cinematografici, fotografi, radiocorrispondenti e giornalisti, ed infine trasportato via aerea a New York indi a Washington. Roosvelt intendeva accogliere come prigioniero Mussolini alla Casa Bianca, alla presenza di Churchill, il 16 settembre. (Marco Patricelli: "Liberate il Duce", Mondadori, 2001)
Come noto, l’operazione mediatica fu anticipata dai paracadutisti tedeschi, con una controperazione di valore mediatico uguale e contrario, a dimostrazione, ancora una volta, dell’importanza che il mondo intero dava a Mussolini, interpretato come autentico genio politico italiano a dimensione rinascimentale.
Ed una seconda è costituita dall’azione politica del partito togliattiano nel dopoguerra. Togliatti, nell’impostare una politica basata sulla "egemonia culturale" che abbiamo ben conosciuto anche nei suoi effetti reali, apparentemente mutuata dal pensiero di Gramsci, il quale invece era preoccupato di portare avanti un’improbabile rivoluzione proletaria propiziata dal pensiero gentiliano, non può che rivolgersi ad una piccola borghesia acculturata che è il vero tessuto del nostro paese, dove le grandi masse operaie sono state portate alla ribalta solo all’interno dell’economia industriale di guerra e nel periodo della "ricostruzione", che ne è stata la diretta conseguenza, come negli USA, peraltro. Tale forza sociale è però destinata a dissolversi nel breve spazio di qualche decennio a causa del progresso tecnico e della modernizzazione conseguente degli impianti di produzione industriale.
Togliatti, la cui abilità nel cogliere gli aspetti evolutivi della società è indiscussa, conscio del fallimento imminente dell’internazionalismo proletario, si muove durante il lungo dopoguerra nell’ambito di un comunismo che non rinuncia mai agli aspetti nazionali. Non a caso in un comizio egli aveva affermato che «con la liberazione si restituiva la nazione al popolo», mentre non a caso un fratello di Gramsci era stato gerarca fascista arrivando al livello di federale nientemeno che di Varese, volontario in guerra e prigioniero degli inglesi, mentre anche il fratello di Alceste De Ambris fu coerentemente fascista fino alla fine.
Durante la guerra civile tanto spagnola che italiana preoccupazione del partito togliattiano è sempre stata l’eliminazione fisica oltreché politica dei trotzkisti e degli anarchici, in Italia rappresentati dal partito della "Bandiera Rossa" come documentato dal lavoro molto dettagliato dello storico Roberto Gremmo. ("I partigiani di Bandiera Rossa. L’opposizione rivoluzionaria del Movimento Comunisti d’Italia", 1944-1947. "Edizioni di Storia Ribelle", Biella)
Gli avvenimenti, pertanto, sono molto diversi, una volta conosciuti a fondo, da come sono descritti ed inculcati. Gramsci stesso, come documentato in un recente libro di Rossi e Vacca, i nomi più qualificati per trattare l’argomento, "Gramsci fra Mussolini e Stalin", Fazi, si è trovato a svolgere sia pure in condizioni piuttosto ristrette, un ruolo di mediazione interrotto solo con la morte, certamente non voluta da Mussolini. Sostituito, con molta probabilità, da Nicola Bombacci.
Il partito Liberal-DS di Fassino, Veltroni, D’Alema, e Napolitano costituisce la logica evoluzione del PCI di Togliatti, contiguo al sottosviluppo turbocapitalista e degna compagine di un paese integrato nella globalizzazione turboliberale americanocentrica, mentre i rimasugli dei partiti prefascisti, assieme a quelli storicamente "antifascisti" hanno continuato a vegetare fino ad oggi all’ombra del potere clericale. Per ulteriore conferma e per una documentazione sufficientemente credibile dei passaggi che hanno caratterizzato quest’integrazione, leggere di Pier Giuseppe Murgia, "Il Vento del Nord. Storia e cronaca del fascismo dopo la resistenza, 1945-1950", Kaos Edizioni, 2004, nonché di Franco Bandini, "Le ultime 95 ore di Mussolini", Sugar editore, terza edizione, 1963.
L’ambiguità che ha sempre accompagnato il PCI è ulteriormente dimostrata dal libro di Berselli e Bigazzi, "PCI, la storia dimenticata", Mondadori. Un degno compendio può essere rappresentato anche dal noto ma introvabile: "Politica occulta. Logge, lobbies, sette e politiche trasversali nel mondo", Castelvecchi, 1998.
E, d’altronde, anche Lejba Bronstein, in arte Trotzky, aveva formulato la teoria della "rivoluzione permanente" (ripresa poi, con altre parole, dai post-trotzkisti Theocons) secondo la quale al proletariato spettava il compito di realizzare la rivoluzione borghese e democratica nei paesi arretrati, semplicemente perché in quei paesi la borghesia era giudicata troppo debole. (Enciclopedia Biografica Universale Treccani)
Come epitaffio definitivo al ruolo politico e storico dei "compagni" occorre citare alcuni recenti commentatori.
Si tratta di Giuliano Da Empoli, de "Il Riformista", secondo il quale: «Tutte le forze che cercano di innovare sono strangolate, dopo essere state munte, perché rappresentano l’unica fonte di guadagno e di reddito …».
Virgilio Ilari, storico della Cattolica: «Le forze vitali sono represse perché non prendano coscienza di sé. La società si regge ancora sul patto fondato da Agnelli nel 1992, la pax sociale tra i ceti garantiti che sono i Sindacati di regime e la Confindustria dominata dalle grandi famiglie».
Lucio Caracciolo, direttore di "Limes", «La mancanza di coscienza geopolitica deriva dalla scarsa attitudine, propria della Seconda Repubblica, ad articolare i propri interessi nel quadro globale. Non esistono più sponde internazionali e non siamo riusciti ad organizzare il nostro gioco. Ci sono anche problemi interni, di insufficiente pedagogia nazionale, che hanno il loro peso».
Quale differenza con la vitalità sempre dimostrata a livello interno ed internazionale anche in condizioni tutt’altro che felici, dalla RSI! Il fascismo repubblicano è pertanto caduto, anche se per noi si tratta solo di un’eclissi, indossando la veste rivoluzionaria, e RISULTA DEL TUTTO PATETICO IL TENTATIVO DI DECRETARNE UNA FINE NON VERA ATTRAVERSO UNA PAROLA OPPORTUNAMENTE STUDIATA MA APPARENTEMENTE IMPROVVISATA: «I VINTI», attribuita con falso pietismo ai Repubblichini, e molto spesso utilizzata da untuosi "intermediari" del potere costituito per vellicare l’emozionabilità infantile degli italiani.
Per inciso, un conto è il vittimismo funzionale degli ebrei, che copre mediaticamente, se non riesce a giustificare, quanto loro commettono nel mondo con le armi e con i soldi, ed un conto è un vittimismo fine a se stesso, anzi la cui funzione dovrebbe servire per tacitare definitivamente qualsiasi rivendicazione. In realtà i vinti sono proprio i nostri governanti, che eseguono passivamente le imposizioni provenienti dai potentati economici e politici mondialisti.
Come scrive Sergio Romano, in un articolo sconsolato dedicato alla "Ragion di Stato", «il ceto politico rimane sostanzialmente indifferente al ruolo del Paese nel mondo…». Secondo il nostro giudizio, una vera iscrizione sepolcrale. Infatti, l’assenza di una geopolitica è sinonimo d’assenza di politica, di ruolo politico, in sostanza di qualsiasi ruolo, perché se una classe dirigente non ha presente il quadro entro il quale inserire un progetto, la classe politica non esiste. Pascal Lorot, in "Storia della geopolitica" Asterios 1997, scrive: «Se dopo la seconda guerra mondiale la tradizione geopolitica italiana fu messa in disparte dal dominante clima di sovranazionalismo ed antifascismo che aveva anche comunque lo scopo di "rilegittimare" il paese in sede internazionale, la scelta dell’Occidente e le aree geografiche in cui il paese si è in seguito trovato ad agire possono quindi rispondere al criterio della formulazione geopolitica». Un bel modo per giustificare l’inesistenza di una geopolitica italiana.
Luciano Lucci Chiarissi ("Esame di coscienza di un fascista", IRSE) descrive più appropriatamente la situazione. Scrive infatti: «… un sistema ed un regime che rappresenta istituzionalmente la negazione del valore e del principio di una comunità nazionale», e prosegue: «… qui c’è un regime che è sorto, si mantiene e può sopravvivere esclusivamente perché ha rinunciato alla sovranità nazionale ed all’autonomia politica della comunità italiana, e che ritiene normale che le decisioni di fondo per la nostra vita collettiva siano assunte in sede esterna agli istituti politici italiani. La ribellione a tutto ciò potrà avvenire quando si sarà compreso che la sudditanza politica della nazione implica una formale abdicazione alla dignità umana e civile di tutti gli italiani».
Da queste premesse discende inevitabilmente la sostanza di tutto il discorso sul fascismo, la RSI e sul post-fascismo dei "neofascisti".
È Mussolini nel momento cruciale della sua esistenza l’interprete dell’essenza del fascismo movimento. Egli coglie l’opportunità della guerra, (che non ha voluto, che anzi ha cercato di evitare), per colpire il vero nemico: il liberalcapitalismo atlantico. Con il comunismo russo ha cercato a lungo un accordo, forse grazie alla mediazione di Nicola Bombacci , che pagherà con la vita questa funzione. Un libro documenta dettagliatamente contatti italo-russi andati a vuoto per l’interferenza della politica estera tedesca, (Mario Toscano, "Una mancata intesa italo-sovietica nel 1940 e 1941". Sansoni, Firenze, 1955), mentre è uscito di recente un altro libro (M. Martelli, "Mussolini e la Russia. Le relazioni italo-sovietiche dal 1922 al 1941", Mursia, pag. 408).
La stessa invasione dell’URSS a fianco dei tedeschi è chiaramente finalizzata al raggiungimento delle fonti petrolifere mediorientali. E, tanto per chiarire il vero ruolo della Turchia in un contesto geopolitico realista contro le polemiche strumentali che ci tocca leggere di questi tempi, basterebbe sottolineare che Ankara aveva approntato nel maggio 1941 ben 10 divisioni per invadere l’Irak in aiuto degli iracheni di Rashid Alì, che stavano combattendo la guerra d’indipendenza contro gli inglesi ed a supporto delle truppe e dell’aviazione italotedesca. Tale operazione venne soppressa a causa della sconfitta dei nazionalisti iracheni, del rapido sgombero dei reparti aerei dell’Asse e della conquista da parte inglese della Siria e del Libano di Vichy.
Scrive Ugo Spirito ("Guerra Rivoluzionaria", Fondazione Ugo Spirito, 1989): «… con la guerra d’Etiopia la prima sfida concreta all’Inghilterra era stata lanciata, e quando l’Home Fleet uscì dal Mediterraneo sconfitta ed umiliata, un’epoca storica si chiudeva per sempre. Il mito dell’onnipotenza inglese era finito. Ma se il processo della rivoluzione fascista era per questo verso chiarito ed approfondito, il suo carattere ibrido, dovuto all’originario intreccio del motivo conservatore con quello rivoluzionario, continuava a rivelarsi in mille modi e a non consentire un deciso orientamento spirituale… I due elementi contrastanti della rivoluzione fascista, ai quali abbiamo ripetutamente accennato, vennero a trovarsi in un contrasto ancora più esplicito, ed anzi parve addirittura che l’ideologia borghese, naturalmente anglofila e francofila, dovesse finire per avere il sopravvento. Essa si rivelò, quasi senza ritegno, decisamente antirivoluzionaria ed auspicò per mesi il ritorno alle vecchie alleanze e la fine dei nuovi regimi. Ma fu proprio in questo drammatico momento della storia del fascismo che le sue radici dimostrarono di aver fatto presa nel terreno più profondo e di saper reggere alla forza della tormenta. La borghesia fu sconfitta dalla realtà stessa delle cose e quel tanto di volontà rivoluzionaria che era rimasta bastò a condurre l’Italia alla guerra accanto alla Germania. La prova decisiva era stata superata».
Ciò significa, inoltre, che il tentativo escogitato da Giolitti d’imbrigliare il fascismo nell’«arco costituzionale» d’allora, con lo scopo di battere l’estremismo socialista attraverso le elezioni e la nascita di "blocchi nazionali" per le elezioni del 1921, andato fallito per la crisi inarrestabile dello Stato Liberale, viene riproposto nel 1940 ma è nuovamente superato dall’azione lungimirante di Mussolini, talché il Sistema liberale è costretto a sfruttare gli eventi bellici per realizzare il 25 luglio, che è atto politicamente compiuto, non un attacco alla dittatura mussoliniana, ed il definitivo inserimento del neofascismo nel lungo dopoguerra. Quello che non riuscì al grande navigatore parlamentare Giolitti fu facile per gli esponenti del potere clericale collusi con gli Atlantici.
Attilio Tamaro ("Venti anni di storia", Editrice Tiber, 1954, vol. III, pag. 431) scrive: «… In un discorso alla radio lanciato alla fine del 1940, Churchill lo accusava (Mussolini ovviamente) di essere stato l’unico in Italia a volere la guerra con questa parole: "un uomo, un uomo solo, contro la Corona, contro la Famiglia reale, contro il Papa, contro il desiderio del popolo" l’aveva scatenata. Churchill, come sappiamo, era male informato, e l’accusa aveva il valore che le si voleva dare, anche di Roosevelt si dirà fra un anno che solo contro tutti aveva voluto gettare l’America nel conflitto. Ma il premier inglese, con quelle parole, proiettava la figura di Mussolini verso l’avvenire con vera grandezza, presentandolo come il vero antagonista dell’Impero britannico».
È evidente, viene spontaneo commentare, che l’ipotesi defeliciana della morte del Duce per mano inglese, dopo queste asserzioni e nonostante i documentati contatti che Mussolini ebbe col dittatore inglese durante tutto l’arco del conflitto, è ben giustificata.
Ma l’azione politico-diplomatica tesa a distogliere Hitler da un’ostpolitik aggressiva non si è mai attenuata. Intanto, l’attacco alla Grecia, che costrinse a ritardare l’inizio delle ostilità contro l’URSS, ed al quale Hitler attribuì la causa della sconfitta (Franco Bandini, "Tecnica della sconfitta", Longanesi), poi i tentativi di convincerlo ad un accordo con Stalin, al quale il dittatore russo era consenziente, almeno fino a quando l’iperproduzione bellica americana non lo convinse del contrario, nella prospettiva di poter invadere parte dell’Europa. Vecchio sogno imperiale. Le proposte mussoliniane furono esposte di sicuro durante gli incontri di Klessheim, nei pressi di Salisburgo, il 7 aprile 1943 ed a Feltre il successivo 19 luglio, giorno del bombardamento di Roma, che farà precipitare la situazione. È necessario aggiungere che la decisione staliniana di confermare la partecipazione alla guerra atlantica contro le Nazioni centroeuropee si è avvalsa delle garanzie ottenute alla Conferenza di Mosca (19/10/1943), Teheran (28/11/1943), Dumbarton Oaks (URSS, USA, GB, Cina del 21/8-7/10 1944) e Yalta (1/11/1945).
Va peraltro fatto notare che la rinascita e lo sviluppo dei movimenti politici prefascisti ed antifascisti, preludio al cambio di regime imposto dalla monarchia dopo il 25 luglio si va orientando secondo una demarcazione geopolitica essenziale: filoatlantica o antiatlantica, che è la reale posta in gioco. Tale demarcazione rimarrà fino ai giorni nostri, e condizionerà tutta la politica nazionale costringendo i partiti a costruire una falsificazione mediatica per ottenere il consenso, cioè indurre gli italiani al voto e con ciò assegnare un valore di "partecipazione civile" a questo "Sistema", che è sostanzialmente falso proprio perché, come dimostrato dalle vicende parlamentari di questi anni, il posizionamento apparentemente ideologico di un partito è vanificato nell’atto stesso di prendere decisioni governative. La barca va dove vuole il padrone d’oltre oceano.
Per concludere, è d’uopo citare un autore francese morto nel 1875, uno storico che ha amato l’Italia e gli italiani ma è poco conosciuto nel nostro paese, Edgar Quinet: "Le Rivoluzioni d’Italia", Laterza, 1970. Secondo Quinet, l’Italia offriva (nell’ottocento) il triste spettacolo di un popolo che aveva lasciato estinguere la propria vita nazionale… Il trionfo della Controriforma aveva portato nella sua scia un triste elenco di vittime: Giordano Bruno, Cesare Vanini, Campanella, Sarpi… Ecco un popolo murato nella tomba di una religione… e quel che è peggio, perfino nel momento della sconfitta e dell’umiliazione più terribili, gli italiani non s’erano quasi neppure accorti che qualcosa andasse male; sembravano accettare lietamente il proprio destino e consideravano persino l’assenza di una coscienza nazionale come un segno di grandezza. Il grande spartiacque correva tra Machiavelli e Guicciardini: il primo aveva almeno propugnato una qualche resistenza, mentre il secondo era passato al nemico ed aveva accettato la morte del patriottismo con cinica indifferenza…Ne consegue, aggiungiamo noi, che l’unico periodo nel quale la coscienza nazionale ha determinato i comportamenti ed i modi d’agire degli italiani è stato quel breve tratto della storia del XX Secolo che ha visto rifulgere le NOSTRE idee.

 


Natura esistenziale della componente "rivoluzionaria" e divergenza col "neofascismo"


Il Neofascismo è solo una componente e tra le meno rappresentative del Postfascismo

 

«E quando Marat gli risponde: "Allora la rivoluzione sarà perduta", Saint Just replica "Sarà salva negli animi. È meglio salvare l'anima della Rivoluzione che il suo corpo. Il suo corpo sono i nostri corpi, cose che non contano. A che serve conservare il potere se diventa una semplice caricatura delle nostre idee, un mostro di sangue, contratto dalla paura e dalla violenza? Se noi cadiamo al momento giusto, l'idea sarà raccolta da altri uomini e grazie a noi se ne andrà avanti pura. Dare agli uomini un'idea è una bella cosa" (…) Quando Carlotta Corday ha assassinato Marat, Saint Just va a trovarla in prigione. Ed i due giovani votati alla morte si riconoscono come fratello e sorella, perché sono della stessa razza, "della razza di coloro che uccidono e saranno uccisi… della razza dei rivoluzionari che hanno bisogno di tutta l'Europa e di tutta la terra per far sentire le loro urla"»
Jean Mabire, "Drieu La Rochelle, Socialismo, Fascismo, Europa".  Volpe, 1964.

«Sono stati proprio gli aventiniani, i quali hanno fatto tutto il possibile per trasformare un rivoluzionario nato in un dittatore artefatto»
Mussolini in "Quarant' anni di colloqui con lui" di Ottavio Dinale, Ciarrocca ed. 1953

 
Un libro uscito di recente ci permette di tracciare un confine fra gli aspetti umani dei fascisti e le peripezie esistenziali dei neofascisti. Il libro è «T.A.Z. Zone Temporaneamente Autonome», scritto da Hakim Bey, Shake Edizioni, 2007.
Indubbiamente l’ultimo autore citato, con autentica sensibilità di storico, è riuscito ad individuare una tipologia umana, che troviamo intatta da Fiume alla RSI. Ma non dopo.
«… Dal nostro punto di vista, il punto principale di fascino è lo spirito delle "Comuni"… Certi anarchici di tendenza stirneriana-nietzchiana giunsero a considerare questa attività come un fine in sé, in modo di occupare sempre una zona autonoma, l’interzona che si apre nel mezzo o al seguito di guerra o rivoluzione… D’Annunzio ed uno dei suoi amici anarchici (De Ambris) scrissero la Costituzione (di Fiume) che dichiarava la Musica essere il principio centrale dello Stato… Artisti, bohemiens, avventurieri, anarchici, (D’Annunzio corrispondeva con Malatesta), fuggitivi e rifugiati apolidi, omosessuali, dandy militari (l’uniforme era nera con teschio e tibie pirata, più tardi rubata dalle SS) e strambi riformatori d’ogni tipo, compresi buddhisti, teosofisti, vedantisti, iniziarono ad arrivare in massa a Fiume. La festa non finiva mai. Ogni mattina D’Annunzio leggeva poesie e proclami dal suo balcone, ogni sera un concerto, poi fuochi d’artificio… D’Annunzio, come molti anarchici italiani, s’indirizzò più tardi verso il Fascismo, Mussolini stesso, l’ex sindacalista, sedusse il poeta lungo questa strada».
Non stupisce pertanto se alla nascita del fascismo troviamo in abbondanza questa tipologia umana, che ottiene un facile consenso tra i reduci anche se non aderenti, per lo più giovani (i vecchi erano stati spazzati via dalla guerra) mentre durante tutto l’arco della storia del fascismo italiano la componente autenticamente rivoluzionaria non sia mai venuta meno, anche nei momenti di maggiore sclerotizzazione del regime, e quando i nodi, sotto la pressione delle sconfitte militari, vengono al pettine in madrepatria mentre i fascisti, spesso volontari, sono dispersi sui tanti fronti (G. B. Guerri, "Rapporto al Duce", Mondadori).
È ampiamente documentato dalla letteratura diaristica che i volontari social-repubblicani erano animati da questo spirito ribelle e vivevano la loro avventura giocandosi la vita con lo sprezzo tipico di chi sa di lottare per un ideale di giustizia e di libertà ispirato al pensiero mazziniano ed all’azione d’impronta garibaldina. («Quand’io dico che proponendo come scopo della vita la felicità, il benessere, gli interessi materiali, corriamo il rischio di creare egoisti, non intendo che non dobbiate occuparvene, dico che gli interessi materiali, cercati soli, proposti non come mezzi ma come fine, conducono sempre a quel tristissimo risultato». "I Doveri dell’Uomo")
Potremmo chiamarne a testimoni Malaparte, che nel suo famoso "La pelle" descrive l’atteggiamento beffardo con cui i giovani fascisti fiorentini affrontano il plotone d’esecuzione, ed Enrico De Boccard di "Donne e mitra" del 1950 e di "Il passo dei Repubblichini", e poi tanti altri memorialisti di successo, come Gandini, Castellacci, Bollati, Bolzoni, Mazzantini.
Appare pertanto con solare evidenza la fondamentale antitesi fra il neofascismo, frutto integrale della politica e della "cultura" missista e di una lettura piuttosto affrettata e superficiale di J. Evola, che da certi ambienti aveva sempre preso le debite distanze (vedi, a riprova: J. Evola, "Il Cammino del Cinabro", Scheiwiller, 1963) [Miti incapacitanti, avrebbe dedotto Franco Freda, riferendosi anche al mito resistenziale], ed il vissuto umano e sociale dei combattenti per la Repubblica Sociale come si manifestò essenzialmente nei furiosi anni 43-45.
Un altro libro uscito di recente (Luca Fantini, "Gli ultimi fascisti. Franco Colombo e gli arditi della Muti", Selecta Editrice) ci permette di comprendere quale fosse lo spirito che animava queste persone che rischiavano la vita giornalmente nella convinzione di battersi sull’ultima trincea. E Malaparte scrive di Filippo Corridoni: «Quest’uomo napoleonico, invano auspicato da Sorel per la Francia… nato dal popolo, partecipe di tutti gli istinti e di tutte le violenze e di tutte le passioni del popolo... ricco di sogni come un pastore e torvo di risentimenti come un servo della gleba». Ecco di cosa erano impastati i fascisti repubblicani, discendenti diretti (lo erano quasi tutti i mutini) dei sindacalisti rivoluzionari del primo novecento, fondatori dei fasci di combattimento. Questo sostanziale contrasto, non solo generazionale, era stato già evidenziato da Luciano Lucci Chiarissi nel suo "Esame di coscienza di un fascista" e da Pacifico D’Eramo in: "La Liberazione dall’Antifascismo".
Oggi ne abbiamo la riprova leggendo i molti libri già distribuiti o in via di pubblicazione contenenti le memorie, a volte molto drammatiche, degli esponenti di punta del neofascismo. Si tratta per lo più di memorie rivissute in chiave esistenziale, dove il quadro politico fa solo da sfondo, e dove non è mai citata la nostra Federazione. E ciò non perché questa fosse assente; al contrario era molto presente in proporzione alle disponibilità, con opuscoli e fogli di commento politico e geopolitico alla situazione italiana nel suo divenire, come si può leggere nelle pagine che seguono. Fogli d’analisi e di chiarimento, indirizzati per lo più ai giovani, che a quanto ci risulta li leggevano, ma sui quali avevano una presa minima, rappresentando un universo culturale e politico nel quale, evidentemente, essi non s’identificavano. Il clima che quei giovani vivevano era plumbeo e l’ideologia che li sosteneva assumeva caratteri di una tragicità atemporale che ci chiariscono meglio anche perché sia stato relativamente facile ai tecnici dei condizionamenti mentali la programmazione degli "anni di piombo"; e poiché non è questo il caso di dilungarci sul tema, va ricordato per inciso, e richiamando quanto in precedenza scritto sulla definizione pavoliniana di fascismo come movimento nato nei borghi, che illumina sulla provenienza sociale dei suoi primi componenti, la specificità italiana e la funzione di modernizzazione efficace perché graduale svolta durante la prima metà del secolo scorso, un noto romanzo di Ardengo Soffici, che lo stesso autore definiva precursore del fascismo. Si tratta di "Lemmonio Boreo", l’allegro giustiziere, una specie di giovane e scanzonato picaro che percorre borghi e campagne in difesa dei più deboli.
Sono stati consultati anche i libri seguenti: "La Fiamma e la Celtica", "Cuori Neri", "La destra ed il 68", "Noi Terza Posizione", "Fascisti Immaginari", "Centri Sociali di destra", "Occupazioni e culture non conformi", "A destra della Destra", "I rossi e i neri", "Fascisteria", "Io non scordo".



Lo sbarco in Sicilia. Da diversivo a possedimento permanente (portaerei nel Mediterraneo) e strategia geopolitica nazista impropriamente chiamata «Tradimento di Wolff»

Curiosamente, pochi testi di storia documentano l’esatta entità delle forze da sbarco angloamericane. La ragione potrebbe essere la poca consistenza delle medesime, assemblate con fini più diversivi che per una progettata invasione della penisola, molto per accontentare Stalin, che chiedeva con insistenza l’apertura di un secondo fronte (ma intendeva la Francia, che gli Alleati, atterriti dalle nuove armi tedesche, esitavano ad invadere), in alternativa ad un accordo con gli italotedeschi per un rovesciamento del fronte. Tuttavia l’invasione del "continente" avverrà proprio a causa dell’improvviso aiuto costituito dalla resa dell’otto settembre che in questo contesto acquista, come abbiamo già evidenziato, un atto geopolitico autonomo e controrivoluzionario da parte delle forze della borghesia rappresentate dalla monarchia e dall’esercito sabaudo, con il concorso efficace dei venticinqueluglisti quali esponenti della medesima all’interno del partito fascista. (Vedi anche Alfio Caruso, "Arrivano i nostri", Longanesi, pp. 345: Una vicenda che incomincia nell’estate del 1932, dentro gli accaldati saloni dell’Hotel Drake a Chicago, i cui effetti durano in Italia ancora oggi).
Per l’esattezza, come riporta Emilio Canevari in "La Guerra Italiana, Retroscena della disfatta", Tosi editore, 1949, si tratta di due forze da sbarco: la Settima Armata, al comando del generale Patton pari ad una forza di sei divisioni, che sbarca a sud, fra Gela e Licata, e parte dell’Ottava Armata di Montgomery rinforzata col Secondo Corpo canadese, che sbarca ad est fra Capo Passero e Cassibile.
Su questi avvenimenti è più che sufficiente la lettura del resoconto di Mussolini: "Storia di un anno - Il tempo del bastone e della carota".
La conquista dell’Italia non era nei programmi degli Alleati, limitandosi essi a progettare quella della Sicilia per la sua fondamentale posizione geografica, che aveva nei secoli sollecitato le attenzioni dell’Inghilterra. Le cose poi si sarebbero cristallizzate per la concorrenza di una serie di circostanze, fra cui la diretta collaborazione della Mafia siculo-americana al mantenimento del potere nell’isola per cui a tutt’oggi, proprio grazie agli apporti delle organizzazioni mafiose internazionali, la Sicilia può costituire un caposaldo atlantico nel cuore del Mediterraneo, in un asse siculo-israeliano molto difficile da scalfire, supporto al potere democristiano e post-democristiano, come dimostrano i fatti degli ultimi decenni.
Va aggiunto, per la precisione, che il Regno Unito ha sempre avuto una consuetudine con l’Italia del Sud, alla quale è stato sempre legato, come dimostrato dalla partecipazione diretta alle insorgenze antifrancesi d’inizio secolo diciannovesimo e relativa conoscenza dettagliata del territorio, fino al momento in cui ha dovuto cedere il diritto di accesso e di controllo ai cugini americani.
Ma, mentre le truppe tedesche e parte di quelle italiane si svenavano nella difesa dell’Italia del sud, c’era chi agiva dietro le quinte, nell’ambito del progetto geopolitico nazista che aveva in Himmler la mente strategica. Infatti è Karl Wolff, capo supremo delle SS di Polizia e generale delle FF.AA. germaniche in Italia. Costui viene da più parti accusato di tradimento o, almeno di doppio gioco, mentre è evidente che esegue letteralmente e con la massima fedeltà gli ordini ricevuti.
Infatti, come documentato, i contatti con gli inglesi, naturali partner della destra germanica, vengono da lui presi e tenuti tramite il Vaticano già negli anni 43, culminati nella vendita dell’ambasciata tedesca a Roma. Si tratta sicuramente di una serie di comportamenti contro il progetto geopolitico mussoliniano. Tant’è che ormai la storiografia si va orientando verso la tesi che sostiene una sostanziale collaborazione fra SS ed inglesi nell’eliminazione di Mussolini quale elemento scomodo nel nuovo assetto europeo. ("Mussolini, un testimone scomodo", di Alberto Bertotto, su "Rinascita" n. 32 del 14/02/2007, che riporta anche una vasta bibliografia sull’argomento).
Che Wolff non abbia agito per proprio conto, sia pure a difesa delle truppe ai suoi ordini, è dimostrato dai suoi movimenti negli ultimi tempi. Il 17 febbraio 1945 si incontra in Germania con Himmler, il 3 marzo emissari delle SS si incontrano in Svizzera con agenti dei Servizi americani; l’8 marzo Wolff si incontra a Zurigo con Allen Dulles, il 19 dello stesso mese si incontra con alcuni generali americani ed inglesi, il 17 aprile si incontra ripetutamente con Hitler.
Vedi anche il libro "Il tradimento tedesco" di Erich Kuby, edito da Rizzoli nel 1983. Di recente è stato pubblicato anche in Italia un nuovo studio (Fabrizio Calvi, "I nazisti che hanno vinto. Le brillanti carriere delle SS nel dopoguerra", Piemme)
Evidentemente non è pensabile che, dopo la criminalizzazione del nazismo in toto portata avanti durante la guerra, dopo i processi di Norimberga e le tante esecuzioni più o meno sommarie, ci sia stata da una parte e dall’altra una tale collaborazione con l’arruolamento anche di centinaia di "criminali di guerra", in assenza di una confluenza di interessi ideologici e politici. In tal senso è utile anche il recente "Cospirazioni" di Kate Tuckett, Castelvecchi. Oggi possiamo contare anche sulla pubblicazione di documenti che dimostrano l’uccisione di Himmler, avvenuta il 24 maggio 1945 da parte di agenti britannici, al fine di non farlo conferire con gli americani. (Martin Allen, Warlord, "Himmler’s secret war" Robson Books, Londra, 2005).
Per concludere, il mistero della morte di Mussolini, invano indagato da tanti giornalisti e storici, si collega, in buona sostanza con lo scontro tuttora aperto fra due sostanziali strategie politiche, fra le quali chi si trova a metà strada senza le proverbiali difese è inesorabilmente stritolato, come dimostrano tante strane morti, anche di personalità non espressamente qualificate sul piano politico, bensì su quello economico e finanziario. Da questi avvenimenti trarrà origine in seguito quella vasta operazione di destabilizzazione che va sotto il nome di strategia della tensione alla quale dedicheremo in seguito qualche considerazione.


Il tradimento dei chierici ed i fascisti senza Mussolini. Le sette anime del Fascismo.
Ruolo antisistema della FNCRSI.

 

«Forti della coscienza del nostro diritto, discuteremo con animo imperturbato, mentre il cannone ci tuonerà d'attorno; lanceremo le nostre Leggi dal Campidoglio al Popolo nel fragore della battaglia… e la nostra Costituzione Repubblicana suggellata con il sangue dei martiri, che la Francia repubblicana ci uccide, starà eterna come Legge di Dio»
Aurelio Saliceti, Presidente della Costituente della Repubblica Romana, 1 luglio 1849

«Il problema essenziale, però, resta il medesimo. È il problema di qualsiasi impresa storica: si può cogliere, contemporaneamente, in un modo o nell’altro, una storia che si trasforma in fretta, che sta alla ribalta proprio in ragione dei suoi stessi cambiamenti e dei suoi spettacoli - ed una storia sottostante, piuttosto silenziosa, certamente discreta, quasi insospettata dai suoi testimoni e dai suoi attori e che si conserva, alla meno peggio contro l’usura ostinata del tempo? Questa contraddizione decisiva, sempre da spiegare, si manifesta come un grande mezzo di conoscenza e di ricerca»
Fernand Braudel, "Civiltà e Imperi del Mediterraneo", Einaudi, 1953.


Morto Mussolini in circostanze misteriose il 28 aprile, probabilmente a causa d’infantili macchinazioni ed intrighi di Claretta Petacci e del fratello, trafficanti fra inglesi e tedeschi su questioni più grandi di loro; fucilati proditoriamente a Dongo quasi tutti gli esponenti del Governo repubblicano, («eroi di una missione più grande delle loro forze ma non meno degna di esser vissuta nel pensiero e nella sconfitta… sono figure smarrite sullo sfondo d’eventi grandiosi che danno la misura del loro animo e del loro puro amore: ideali di un sogno che splende in tenebrose lontananze e che s’ avviva quanto più l’ombra s’incupisce intorno» come fu scritto per altri grandi quali Federico II e Machiavelli) la situazione nel territorio repubblicano è ferma, immobile. Su quest’argomento è essenziale l’ultimo libro di un noto esperto, Fabio Andriola, "Carteggio Churchill-Mussolini", Sugarco, maggio 2007.
Un episodio finora rimasto nell’ombra è indicativo della situazione. Il 25 aprile sera, la colonna con Mussolini ed i gerarchi si ferma alla Prefettura di Como. Qui si viene a sapere della sparizione del camioncino contenente la documentazione alla quale il duce tiene di più. La moglie del ministro Mezzasoma che, assieme a quella del ministro Zerbino assiste all’andirivieni dei presenti ed alle loro concitate esclamazioni, sente il ministro Zerbino dichiarare che il camioncino era stato consegnato dalla Petacci a Wolff. Dichiarazioni di questo stampo uscite dalla bocca del ministro dell’interno, solitamente molto ben informato, non lasciano dubbi. Ed i troppi morti di quelle giornate non permettono ulteriori chiarimenti. «La morte di Claretta -ha osservato Dino Campini, segretario del ministro Biggini ed autore di pregevoli saggi pubblicati nel dopoguerra, relativi proprio al comportamento di Mussolini- non ha dunque un senso se non alla luce del mistero della linea d’ombra, del segreto dei carteggi. La donna sapeva o poteva sapere e quindi doveva sparire».
Ma torniamo al quadro generale. Tutti gli attori, grandi o piccoli, stanno attendendo qualcosa, non essendo ancora chiaro quale potrebbe essere lo sviluppo della situazione politica mondiale, destinata peraltro a sfociare nella "Guerra Fredda". Solo di recente alcuni documenti pubblicati su "ACTA" dell’Istituto Storico RSI, maggio-giugno 2007, permettono di confermare le nostre ragionate supposizioni. Ne tratteremo nel paragrafo dedicato alla resa. Ad esempio, a Milano il 25 aprile 1945 le forze armate della RSI ed i tedeschi assommano alla non banale cifra di 30.000 contro 700 partigiani armati (testimonianza del generale Cadorna). Nelle principali città del nord, come già a Firenze, si sviluppa la resistenza fascista con una guerriglia che si protrarrà per molto tempo, mentre le FFAA repubblicane restano in attesa degli ordini. Finalmente entrano in funzione gli accordi presi da Wolff con gli esponenti di una specifica linea ideologica statunitense operativi nella OSS. L’aspetto della guerra segreta svolta sul territorio italiano è quanto mai interessante, anche se per lo più sconosciuto, e dimostra quanto fosse importante il ruolo svolto dalla RSI negli ultimi due anni di guerra, anche in relazione alla situazione nel Vicino Oriente. Quanto gli archivi segreti italiani interessassero le autorità alleate, è dimostrato dall’art. 35 del cosiddetto Armistizio Lungo del 29 settembre 1943, secondo cui il governo italiano si impegnava a mettere a disposizione degli Alleati tutti i documenti richiesti, con divieto di distruzione. La situazione italiana, anche per la presenza di un partito comunista diretto da Togliatti, aveva interessato anche le famose "spie di Cambridge": Philby, Maclean, Burgess. Né va dimenticato il ruolo sicuramente complesso recitato dagli esponenti dell’OVRA, Guido Leto in testa, sempre presenti sia pure sullo sfondo, e sempre interpellati al momento necessario. In un recente libro, "Dalla Russia a Mussolini", Editori Riuniti, l’autore Aldo Giannuli documenta i molti negoziati segreti avvenuti durante il conflitto e rileva l’elevatissimo livello professionale di una rete d’informatori ampia, ramificata, e di preparazione raffinata.
In ogni caso, è bene ricordare soprattutto a quelli che si stupiscono quando scoppia qualche scandalo di particolare intensità politica, che tra settembre e novembre 1945 furono trasportati a Roma gli archivi di tutti gli Enti governativi, caricati su 11 treni speciali di 35 vagoni ciascuno. Inoltre è utile tenere presente che nell’albergo Pasubio, a Valdagno, in provincia di Vicenza, erano custodite 1.000 casse contenenti gli atti del SIM e della Polizia Politica. [Vedi: Dana Lloyd Thomas, "MI5, SIM e OVRA. Antony Blunt e gli archivi segreti italiani", in Nuova Storia Contemporanea anno VIII, n. 5, 2004].
Il Maresciallo Graziani, nella sua veste di Ministro delle FFAA repubblicane assegna i pieni poteri a Karl Wolff per la firma della resa che entra definitivamente in funzione il successivo 2 maggio, mentre sul fronte balcanico si continua a combattere fino ed oltre il 15 maggio. È in conseguenza di queste disposizioni che le truppe repubblicane depongono le armi ed iniziano le stragi, che si protraggono a lungo, come dimostra un manifesto del Quartier Generale Comando Militare Alleato firmato John Lund, contenente l’Ordine di smobilitazione e la cessazione delle fucilazioni, e datato 1 giugno. (Pubblicato su: "La guerra degli Italiani, 1940-1945", di Piero Melograni, DeAgostini-Libero, 2007).
Secondo i documenti pubblicati da ACTA (TNA, WO 204/405-6699-10107-11533 e 244/129 ottenuti tramite la collaborazione da Londra di Paolo Minucci Teoni) si può avere un’idea delle linee guida del Supreme Allied Commander, Harold Alexander, in accordo con AGWAR di Washington e con AMSSO di Londra (Stati maggiori britannici). Secondo questi documenti, emerge con chiarezza il piano alleato di creare una situazione difensiva anticomunista con la collaborazione delle forze tedesche e repubblicane, come evidentemente programmato in anticipo assieme a Wolff e sicuramente con la collaborazione e l’assenso dei vertici repubblicani. È solo in seguito alla ferma posizione presa da Mosca che gli alleati sono costretti a firmare la pace con le truppe di stanza in Italia, delle quali le italiane sono consegnate, di fatto, ai partigiani comunisti in cambio della salvezza di quelle tedesche che devono poter proseguire verso la Germania a difesa della zona da preservare all’influenza occidentale.
Ci si trova spesso a dover polemizzare su questioni apparentemente superficiali relative al fascismo ed alla repubblica.
Poiché gli atti dell’uno e dell’altra sono pubblici con eccezione, come precedentemente scritto, di quanto operato dai Servizi Segreti, è evidente che è mancato nel nostro paese un sereno confronto fra le diverse e divergenti tesi interpretative del fenomeno. Questa gravissima lacuna può essere attribuita ad un comportamento del tutto anomalo, ma evidentemente specifico, degli intellettuali italiani i quali, come dimostrato nel più recente libro dedicato alla questione (Pierluigi Battista, "Cancellare le tracce. Il caso Grass ed il silenzio degli intellettuali italiani dopo il fascismo", Rizzoli, 2006) hanno con estrema disinvoltura nascosto il loro passato di sostenitori entusiastici del regime. Ma per fare ciò, hanno dovuto necessariamente nascondere, falsificare, edulcorare, le loro scelte più recenti, creando una base ideologica sostanzialmente infantile al supporto culturale dell’azione di qualsiasi governo di questo lungo dopoguerra. Per questa ragione il mito dell’antifascismo e della resistenza resta infantile e sostanzialmente falso, o meglio, si presta a qualsiasi mistificazione. Dove le singole voci, i singoli elementi, mancando di sistemazione critica che può nascere solo da un dibattito serio e competente, non possono offrire nemmeno una sicura informazione. Pertanto è molto divertente assistere allo stupore ed alla malinconia di tanti antifascisti (per lo più giornalisti ed intellettuali di formazione post bellica, appollaiati nelle redazioni "ufficiali"), di fronte a casi come quelli di Grass o di Vivarelli, ritenuti maestri di un antifascismo che, come dimostrato, non può essere che mitico. Per inciso, è utile e doveroso il paragone con un momento storico che apparentemente ha espresso un similare comportamento d’opportunismo intellettuale che oggi preferiscono definire da voltagabbana (da annotare che esistono anche i voltagabbana esperti in contestazione chic ) utilizzando per diminuirne la carica negativa il titolo di un libro scritto a suo tempo da un esponente di questo squallido mondo.
Ci si riferisce, doverosamente, alla storia controversa dei rapporti fra gli uomini della Rivoluzione Francese, Napoleone ed il suo regime. Ma, come ha di recente scritto Eugenio Di Rienzo ("Historica", n.19, 2006) i deputati della Convenzione, fedeli accoliti di Robespierre tra il 1793 e il 1794, nel 1799 erano tutti schierati, con rarissime eccezioni, ad appoggiare il Colpo di Stato del Buonaparte, il quale, non dimentichiamolo, aveva corso il serio rischio di cadere lui stesso sotto la mannaia durante il colpo di Stato di Termidoro. «Per questi uomini il mutamento avveniva dopo matura e compiuta riflessione ed era funzionale al desiderio di conservare l’essenziale delle conquiste della Rivoluzione, contro le derive estremiste della destra e della sinistra dello schieramento politico». Uomini come Benjamin Constant, attivo principalmente negli ultimi tempi dell’Impero, tradirono il proprio partito per rimanere fedeli alle proprie idee. Gli stessi figli di Gracco Babeuf, ultimo fra i grandi rivoluzionari francesi al quale Mussolini aveva dedicato un celebre sonetto, furono accesamente bonapartisti. Uno dei due giunse a suicidarsi all’ingresso degli "Alleati" in Parigi nel 1814.
I risultati sono evidenti dopo centocinquanta anni di storia nei quali l’influsso del bonapartismo, nel bene e nel male, si è dispiegato in Europa e nel mondo influenzandone intimamente ogni scelta individuale e collettiva.
In Italia, al contrario, e dopo ben sessant’anni dalla fine del conflitto, nulla resta che possa in qualche modo giustificare i voltafaccia così palesemente stupidi o, peggio melensi e manichei alla Bobbio. Lo stesso Giorgio Bocca, che si è esibito di recente in accuse gratuite contro Gianpaolo Pansa, resta nella pubblicistica post bellica più per i libri in cui giustifica l’operato di Mussolini che per altro. Ma l’aspetto più grottesco è rappresentato proprio dalla politica di "egemonismo" instaurata dal partito togliattiano con lo scopo di dominare il mondo della cultura e quindi la società tutta. Assecondando tale politica, furono reclutati artisti ed intellettuali a prescindere dalle idee da costoro effettivamente coltivate. Ne risultò una "nuova classe" che poté usufruire di innumerevoli vantaggi con l’esibire una tessera, senza la quale l’esclusione dal mondo delle lettere e delle arti sarebbe stata certa. La conclusione è sotto gli occhi di tutti. Pur potendo contare ancora oggi sul dominio formale degli apparati, delle case editrici, della RAI, mezzi di comunicazione vari, giornali, banche (Monte dei Paschi di Siena), il messaggio che ne viene è quello della putredine, dell’assenza di idee, della decadenza, della falsificazione ideologica come forma di automistificazione.
Un esempio per tutti è rappresentato dal sempre presente Umberto Eco, il quale scrive: «C’è una componente dalla quale è riconoscibile il fascismo allo stato puro, dovunque si manifesti, sapendo con assoluta certezza che da quelle premesse non potrà venire che il "fascismo" ed è il culto della morte».
Tale prodotto dell’intelligenza antifascista è stato posto a premessa di un libro anch’esso significativo. Si tratta di "Fascismo Islamico" di un noto israeliano di complemento, il giornalista del "Foglio" Carlo Panella.
Ora, se c’è un momento nel quale l’Italia, notoriamente considerata "terra di morti" ha dato la vivida impressione al mondo intero d’esplosione di vitalità, questa è l’Italia fascista. E questo fatto incontestabile è stato registrato da tanti viaggiatori e commentatori, oltreché dal noto Robert Brasillac, che visse e scrisse di Fascismo "immenso e rosso" e che morì fucilato testimoniando fino in fondo se stesso, la sua epoca ed una Francia che, fortunatamente per noi e nonostante gli esiti delle recenti elezioni presidenziali, ancora oggi non tramonta.
Di recente, la manipolazione è arrivata al punto di accreditare come "intellettuali indipendenti" proprio quelli che maggiormente continuano a prestarsi ad operazioni di basso regime. Sono stati pubblicati alcuni libri utilizzabili in tal senso. Si tratta di "Politicamente scorretto" di Gianni Minà, edito da Sperling & Kupfer, di "Il dubbio. Politica e società in Italia nelle riflessioni di un liberale scomodo", Rizzoli, e "Quello che non si doveva dire", di Enzo Biagi.
Questa esibizione di ruderi morali è tanto più evidente quanto più si esprime e circola, in Internet e tramite Media convenzionali, una pubblicistica di denuncia della crisi in atto. I libri di riferimento non mancano di certo. Pubblicati di recente infatti, possiamo annoverare quello di Mario Giordano, "Senti chi parla", Mondadori, che tira fuori molti scheletri dagli armadi. I libri di Oliviero Beha, ultimo in ordine di tempo: "Italiopoli", Chiarelettere, "Le libertà negate" di Michele Ainis, Rizzoli, che esplora la realtà della società nazionale soprattutto come riferimento all’amministrazione della Giustizia; "Post Italiani" di Edmondo Bertelli, che mette allo scoperto un’Italia euforica e brutale, in cui contano le logiche di clan e di cordata, dove il potere è esibito ed il denaro le donne e gli amori sono trofei d’obbligo; "Volevo solo vendere la pizza" di Luigi Furini, Garzanti, 2007, prefazione di Marco Travaglio. Ma potremmo continuare a lungo col successo incontrastato del recente "La Casta" scritto nientemeno che da un giornalista del Corsera.
«L’Italia è disseminata di zone franche dalla storia che sono attraversate da masse rumorose ma inerti» scrive Aldo di Lello su "Imperi", anno 4, n. 10.
Ma che la cosa sarebbe finita così si capiva anche ai primordi. Basterebbe citare un pezzo preveggente di Corrado Alvaro, intellettuale meridionale, che così nel 1944, sotto il governo degli alleati, scriveva: «… Ma intanto il paese è immobile, segna il passo, non vive, non pensa, non agisce, è insicuro della sua vita interna e della sua vita domestica, ed intraprende il suo ennesimo assalto allo Stato, agli impieghi, ai benefici, essendo l’economia italiana distrutta, e l’unico rifugio essendo lo Stato». [Ripubblicato in: "l’Italia rinunzia?", Sellerio, 1986]

 


Un personaggio indicativo: James Jesus Angleton.

La guerra fredda e gli opposti estremismi


(Arcana Imperii, da Tacito, è usata nel pensiero politico europeo del sedicesimo e diciassettesimo secolo per designare le motivazioni reali e le tecniche del potere statale, in contrasto con quelle presentate al pubblico).
Angleton nasce negli USA nel 1917. Dal 1943 al giugno 1944 presta servizio nell’OSS a Londra. Arriva in Italia dopo il 4 giugno 1944 ed assume il comando della X-2, il controspionaggio OSS. Dal febbraio 1943 è il coordinatore del controspionaggio in Italia. Dirige di fatto i servizi segreti italiani fino al 1949, quando nasce il SIFAR, che continuerà a subire la sua influenza. Dal 1946 stabilisce rapporti di collaborazione con gruppi neofascisti. Nel 1947 contribuisce alla nascita del Mossad. Se ne deduce che il Mossad è consapevole, a dir poco, della struttura dei servizi segreti italiani e delle sue pedine. Diventa infine uno dei capi della CIA fino allo scandalo Watergate nel 1974, che quindi costituisce un tassello nella storia del mondo molto più importante di quello che è lasciato credere, costretto a dimettersi, muore nel 1987, ma la sua azione nel contesto italiano continua a permanere indisturbata, anche per la permanenza alla ribalta politica di uomini presenti nell’immediato dopoguerra.
Nota: nessun’organizzazione può fornire prestazioni più di quanto non consenta il livello intellettuale di chi è interessato ad utilizzarne le informazioni. Ciò vuol dire: capacità intellettuale di ricavare conclusioni, ammaestramenti, suggerimenti. Evidentemente, anche menti sopraffine falliscono il fine essenziale (che dovrebbe essere libertà e giustizia sociale), quando manca il carattere.
Una dimostrazione di quanto poco abbiano contato o continuino a contare le organizzazioni "antifasciste per definizione" è fornita dal brano che segue, di Carlo Levi, acuto pittore ed osservatore politico del dopoguerra:
Scrive infatti Sergio Luzzatto in "La mummia della Repubblica", Rizzoli, 2001, in un capitolo significativamente intitolato "Piazzale Loreto alla rovescia"… Memorabile nel suo racconto autobiografico: l’orologio, la pagina sul passaggio di consegne governative da Ferruccio Parri ad Alcide De Gasperi, presentato non soltanto come una svolta politica -la fine dell’utopia resistenziale- ma anche come un tournant corporale: l’avvento, o il ritorno al potere dei «visi teologali e cardinalizi», ed insieme l’eclissi degli uomini impastati con la «materia impalpabile del ricordo», costruiti con il «pallido colore» dei «caduti per la libertà». Lo stesso Luzzatto, in un’arditissima sintesi storico-antropologica dell’italianità, giunge a collegare alcuni elementi a suo dire esemplificativi di una vocazione (condivisibile peraltro) corporale degli italiani. Secondo questo storico, infatti, «Il ventennio fascista era stato dominato, nella mentalità collettiva, dalla contrapposizione di due simboli: il corpo vivo del Duce ed il corpo morto di Matteotti. E la guerra civile del 1943-1945 era stata anche una guerra intorno all’esposizione della morte… E la Genova laureata della resistenza era una città altrettanto vogliosa di dare pubblica esposizione del corpo imbalsamato di Mazzini di quanto Milano lo era stata -un anno prima- di mostrare alla folla il corpo sfregiato di Mussolini …». E l’autore così conclude, condivisibilmente, il suo scritto: «Quella dell’Italia moderna è una storia tragica: è storia di sangue, di cadaveri e di lutti. Dall’Unità in poi, ogni quarto di secolo una generazione di italiani ha conosciuto lo shock di una tragedia corporale. Dopo la pietrificazione di Mazzini, il regicidio di Umberto I nel 1900, dopo di questo, nel 24, il delitto Matteotti; vent’anni più tardi l’assassinio di Mussolini e la pubblica esposizione del suo cadavere in piazzale Loreto, infine il delitto Moro nel 1978».
Ci fa piacere riportare questa frase che esprime una concezione tragica della storia e soprattutto sottolinea che, di contro all’aria spaesata ed infantile che traspare dall’immagine oleografica degli italiani d’oggi, la Storia d’Italia, cioè la storia politica del nostro paese, e senza citare gli aspetti degli omicidi di massa come quelli della strage dei fascisti e del genocidio delle genti dalmatiche ed istriane, è sempre e comunque una STORIA TRAGICA perché in tragedia si è risolta la lotta politica nel nostro paese. Come espresso con massima maestria dal nostro maestro Alfredo Oriani ("La Lotta politica in Italia", "Rivolta Ideale", "Fino a Dogali", "Matrimonio", "Sì": «Oggi il popolo si è abituato come gli antichi Re alle lusinghe dei cortigiani, che gli carpiscono la delegazione del comando per abusarne nell’insaziabilità della propria piccolezza, mentre il popolo se ne accorge nell’istinto di fanciullo senza potervisi sottrarre. Quindi, presuntuoso perché ignorante, timido perché ingannato… finisce per sdraiarsi nel fango della strada aspettando l’appello di una nuova voce …»).
Gli opposti estremismi e la strategia della tensione, che sembra un espediente di basso profilo per il controllo sociale rimesso in funzione di questi tempi, pur costituendo un aspetto frequente della storia dei popoli, dimostrano tuttavia quanto sia stato facile interferire nelle faccende interne del nostro paese con la cosciente complicità di tanti italiani prestatisi al gioco sotterraneo altrui per, a nostro avviso, puro istinto di servilismo.
È evidente che, di fronte a questi intrighi ed alle morti provocate, la guerra civile del 1943-45 è stato un leale (assassinii dei GAP e dei SAP a parte) scontro frontale fra concezioni politiche antitetiche talmente contrastanti da provocare azioni e reazioni feroci.
Ma su quest’argomento occorre essere chiari. In un recente articolo pubblicato sul quotidiano "Rinascita" del 2-3 giugno 2007, Gabriele Adinolfi, prendendo lo spunto da alcune ammissioni di Adriano Sofri, che denunciava la sua collaborazione con la CIA (peraltro ampiamente intuita da chiunque conoscesse i retroscena di "Lotta Continua"), tenta di giustificare il comportamento di quanti, appartenenti alla cosiddetta Destra Radicale, chiedendosi se «comportarsi come uomini di stato e confrontarsi quindi consapevolmente con gli apparati di potere, oltre ad essere velleitario come lo fu e disastroso come si rivelò, comportava davvero una colpa etica in sé».
A nostro avviso, ovviamente, la risposta è affermativa, anche perché da parte della nostra Federazione arrivavano avvertimenti a non comportarsi da bambini sottosviluppati. L’Adinolfi poi, in conclusione, scrive: «È facilissimo essere agenti inconsapevoli il che, funzionalmente parlando, non è affatto meglio dell’esserlo consapevolmente… Oggi che siamo ad una terza fase della nostra storia, oggi che non si compete più per il potere e che non si costruisce, se non in rarissimi casi il contropotere, oggi che si recita e si rivendica senza perseguire alcun obiettivo concreto nella virtualità spettacolare ed ammantati da una mentalità democratica totale, oggi che si è pura nullità, cionondimeno le infiltrazioni sono all’ordine del giorno, le provocazioni altrettanto, la nostra strumentalizzazione è capillare e, qual che è peggio, non c’è alcuna consapevolezza dei meccanismi avversi e delle manovre nemiche».
Anche questa frase deve essere commentata, perché Adinolfi, autorevole e seguito esponente di un certo ambiente umano, esprime una denuncia che non si sa bene a chi indirizzata. C’è un NOI dietro ai concetti espressi, ma in realtà chi conosce la materia sa che si tratta di una nebulosa definita più da altri che da un senso d’appartenenza che nel tempo si è dimostrato inconsistente, ovvero, come dice l’autore stesso, inquinato da infiltrazioni e compromessi troppo facili.
Come nell’altro versante, peraltro, quello dei Lottacontinua che, come riconosce l’autore, stanno a Forza Italia e a Mediaset. Una bella conclusione per la resistenza!
Ma Noi, e qui il Noi ci sta bene perché si tratta di noi della FNCRSI, queste cose le abbiamo non solo pensate, non solo ne abbiamo parlato, ma le abbiamo sempre scritte. E d’altronde…
Su "Nexus", edizione italiana di aprile-maggio 2007, un bell’articolo dell’inglese Philip Collins, redattore capo di Conspiracy Times, (www.conspiracy-times.com) è dedicato alla pratica degli Stati di scatenare direttamente il terrore attraverso agenti provocatori reclutati dai servizi segreti per indurre nella popolazione la paura e la disinformazione. Si tratta di un bel quadro panoramico. Per quanto riguarda l’Italia, notevole importanza è assegnata alle rivelazioni di Vincenzo Vinciguerra, ai libri del quale rinviamo chiunque voglia approfondire il tema rendendosi conto della reale entità dei fatti trattati.


Nascita della FNCRSI


La nascita della FNCRSI, avvenuta il giorno 5 settembre 1947 presso il notaio Arcuri di Roma, è la risposta all’esigenza di rappresentare un patrimonio umano ed insieme combattentistico, necessario in un momento di particolari tensioni e, diciamolo subito, sbandamenti. Al 30 aprile 1949 la Federazione comprendeva. 10 ispettorati, 79 gruppi provinciali, 135 sezioni comunali, 2 sezioni estere (Barcellona e Madrid) e 5 corrispondenti da Argentina, Brasile, Cile, Canada, Uruguay.
La nascita del MSI è di poco antecedente: 26 dicembre 1946, nello studio romano di Arturo Michelini, anche se anticipata da incontri avvenuti a Milano nello studio dell’avvocato Redenti. In ambedue i casi, l’impronta fu decisamente "anticomunista".
Anche se, per ovvie ragioni, è possibile registrare almeno per i primi decenni, una costante comunicazione fra gli uomini delle due organizzazioni, la Federazione è sempre stata fedele ad una linea politica che discende direttamente da quanto stabilito nelle disposizioni dal Partito Fascista Repubblicano. Questo fatto ha portato ad una sua lenta ma costante emarginazione ed isolamento, ad opera soprattutto degli esponenti della linea "entrista" del MSI che hanno sempre avuto una notevole possibilità di "convincimento". Come documentato nel libro che presentiamo.
Nel suo recente "Fascisti senza Mussolini", lo storico Giuseppe Parlato racconta dettagliatamente la storia del fascismo italiano dalla defenestrazione di Mussolini nel 1943 fino al 1948. In un’intervista a Fabio Andriola, pubblicata sulla rivista "Storia in Rete" gen/feb 2007, Parlato accenna ai contatti coordinati nel 1944 da James Angleton con Borghese, Romualdi ed i coniugi Pignatelli in funzione anticomunista. Secondo lo storico, ma anche secondo noi, «... in sedicesimo nel MSI si riproposero le stesse dinamiche del Regime, con una destra ed una sinistra unificate dalla figura mitica di Mussolini». Tuttavia, fermo restando che un partito che raccogliesse i fascisti, immobilizzandoli al di fuori dell’"Arco Costituzionale" o attraverso la "Legge Scelba", faceva comodo a tutti, il MSI si muoveva nell’ambito di un atlantismo ideologicamente corretto fin dalla sua nascita.
Per Andrea Ungari, che su "Nuova Storia Contemporanea", marzo-aprile 2007, commenta la stessa opera, l’interpretazione è leggermente diversa. Infatti, «di fronte allo schiacciamento dell’elettorato moderato sullo scudo crociato in funzione anticomunista, solo un partito dai chiari connotati ideologici, pur nostalgici e di per se antisistemici ed autoghettizzanti, e con riferimenti valoriali ben precisi poteva salvarsi in occasione di una competizione politica avvertita come uno scontro di civiltà. In tal modo, la strategia di Almirante permise bene o male al partito di sopravvivere e quella riserva elettorale ed ideologica consentì negli anni successivi a De Marsanich e a Michelini di portare avanti quel processo d’inserimento nel sistema, inizialmente pensato dal gruppo Romualdi, che si protrasse per tutti gli anni cinquanta concludendosi nell’estate del 1960 a Genova …».
Per quanto ci riguarda, nessuno intende negare che il fascismo come qualsiasi movimento politico in fase nascente, avesse molte anime. Secondo il conte Ambrogino Lolli Ghetti, che fu strappato dalle grinfie partigiane dagli inglesi grazie al loro innato rispetto per le famiglie nobiliari, il fascismo ne aveva sette. Quella del fascismo regime, quella repubblichina, la monarchica, la nazionalista, la cattolica, la massonica e la liberale. Lungi da noi pertanto un giudizio negativo sui contenuti ideologico politici del MSI, oggi AN. Non accettiamo però il reiterato tentativo di presentare il neofascismo, sotto qualsiasi veste questo intenda presentarsi, come erede della RSI, che aveva, pur nelle sue molte sfaccettature anche conflittuali come tutti gli organismi vitali (vedi il recente "Intransigenti e moderati a Salò: i casi di Borsani e farinacei", di Alessio Aschelter) un’inconfondibile linea di politica interna ed estera. Per un’idea ancor più completa del dibattito interno può essere utile anche l’ottimo libro di Luigi Emilio Longo: "RSI, antologia per un’atmosfera", Edizioni dell’Uomo Libero.
Ma proseguiamo nella lettura dell’intervista. Secondo Parlato, «… alcuni personaggi del neofascismo riuscirono a costituire il partito a soli venti mesi dalla conclusione della guerra civile: costoro -i Romualdi, i Pignatelli, i Buttazzoni, i Puccioni, solo per citare i più significativi- avevano vissuto la fine della tragedia bellica e della sconfitta con una sorta di "carta di riserva" che era costituita dall’anticomunismo. I contatti dei neofascisti ora citati con ambienti più o meno rappresentativi dei servizi segreti americani, con ambienti ecclesiastici, con settori massonici, con gruppi monarchici, con rappresentati dei servizi israeliani non portarono ad una divisione interna del mondo neofascista solo perché su tali contatti calò una spessa coltre di silenzio; se la base avesse saputo con quali ambienti i capi del neofascismo avevano trattato, probabilmente non ci sarebbe stato il MSI. Tutto è rimasto, per sessant’anni nell’ambito delle voci e dei ricatti, inconfessati ed inconfessabili, utilizzati soltanto per la delegittimazione politica di qualche capo missino; il primo a farne le spese fu proprio Romualdi che, nella sua lunga vita, non riuscì mai a diventare segretario del partito che aveva costituito».
Lo storico prosegue precisando che «è ovvio che coloro che trattarono non lo fecero per interesse personale o, peggio, per tradire la causa fascista». Su questo conveniamo anche noi, che rappresentiamo l’unica forza politica che "non stette al gioco", non assecondò in alcun modo i molti tentativi di "uscita dal tunnel del fascismo" portati avanti da intellettuali più o meno legati a quel mondo, pagandone però le conseguenze, ma rilevando in ogni caso che in Italia esistono più "Servizi" che segreti, e questi ultimi non sono certamente pochi. In politica è necessario valutare i fatti, e questi ci dicono che la scelta atlantica, anche se può essere legittimata in quanto legata ad una logica contingente, nonché ad un’ideologia, l’anticomunismo, falsa e strumentale perché l’Italia a seguito degli accordi di Yalta era stata posta sotto il protettorato atlantico, non è mai stata una proiezione della RSI né tampoco dell’ideologia fascista presa nel suo insieme.
Va aggiunto, come compendio, che la posizione esistenziale di "Esuli in patria" secondo la felice definizione di Marco Tarchi, alla fine non ha dato altro risultato che una "tenuta" del sistema centralistico democristiano che, paragonato all’ideologia ed alla prassi di Alleanza nazionale resta pur sempre un modello di virtù civiche.
Riportiamo, sempre di Tarchi, alcune considerazioni pubblicate su "Diorama", gen-feb 2007, nell’articolo dedicato al libro di Parlato: «… Su questo frammentato panorama prese poi a stendersi, dai primi mesi del 1946, l’ombra del timore di un colpo di forza comunista sostenuto dalla Yugoslavia che su molti ex-militi di Salò fece presa. All’insegna dell’anticomunismo gli ex-fedeli di Mussolini s’imbarcarono nelle avventure più sconcertanti: molti intensificarono l’abbraccio con i nemici di solo pochi mesi prima -statunitensi e monarchici in testa- offrendo disponibilità per qualunque progetto controrivoluzionario, da chiunque diretto, mentre in qualche caso si andò addirittura oltre, come quando (le carte scovate da Parlato non lasciano dubbi) un gruppo di ex-marò della X Mas collaborò con l’Irgun Zwai Leumi per far giungere di soppiatto imbarcazioni italiane ad attivisti sionisti, affondare una nave egiziana, realizzare un attentato contro l’ambasciata britannica a Roma e poi fornire armi detenute clandestinamente ai servizi segreti del neo costituito Stato di Israele, atti non esattamente scontati da parte di alleati fino all’ultimo giorno del Terzo Reich. In un panorama così ricco di spioni, avventurieri, doppiogiochisti, millantatori e sognatori, non mancavano comunque le persone serie e disinteressate. Fu grazie a loro, ed a volte ai loro danni che l’aggregazione politica del neofascismo poté realizzarsi, nei modi descritti nel libro di cui ci stiamo occupando. Puntando su alti richiami ideali, di cui si facevano eco in modo articolato ed in qualche caso contraddittorio le prime pubblicazioni dell’area, come "Rivolta Ideale", "Rataplan", "Rosso e Nero", "Meridiano d’Italia", "Fracassa", Romualdi ed i suoi s’impegnarono nella costruzione di un movimento che, come Parlato a ragione sottolinea, nasceva borghese ed anticomunista perché il suo obiettivo primario era "difendere lo stato borghese che il fascismo aveva validamente contribuito a rafforzare, pur con caratteristiche proprie e peculiari che lo rendono dissimile dalla società liberale classica". D’altronde, in un recente libro "Il principe nero" di Jack Greene e Alessandro Massignani, Mondadori, la conclusione è questa: l’unica cosa certa è il rapporto ininterrotto del principe con i servizi italiani e americani, accomunati dalla convinzione che l’Italia non poteva uscire dalla sfera occidentale e disposti per questo anche ad agitare il fantasma del vecchio comandante, come commenta A. G. Ricci su "Storia in Rete" di aprile 2007. L’obiettivo non poteva essere condiviso dai sostenitori del fascismo di sinistra, come Giorgio Pini, Concetto Pettinato, Ernesto Massi, che opponevano alla vocazione al compromesso del neofascismo romano una posizione intransigente condivisa soprattutto dai simpatizzanti residenti al Nord, ma ad onta dei distinguo e dei dubbi il progetto di Romualdi, in una prima fase, prevalse, ed il 26 dicembre 1946, nello studio di A. Michelini, dopo frenetiche trattative fra singoli, gruppi e direttori di testate giornalistiche, il Movimento Sociale Italiano vide la luce».
La premessa di tutto il daffare romualdiano era proporre il movimento neofascista come il più dinamico dei movimenti anticomunisti, al fine di ottenere l’approvazione ed il voto degli italiani moderati. Ma così aggiunge Tarchi: «Peccato che prima ancora di radicarsi nel paese la parola d’ordine anticomunista avesse fatto breccia fra i fondatori del neofascismo, spingendoli a mettere in soffitta una gran parte delle idealità del passato e ad accontentarsi di una formazione ben decisa a collocarsi nell’area nazionale e moderata con la benedizione di ambienti vicini al Vaticano, di servizi segreti americani ed anche degli stessi democristiani, che speravano così di arginare le tentazioni di avvicinamento di molti reduci della RSI alla sinistra».
Commento irreprensibile e veritiero, al quale occorre aggiungere alcune considerazioni da parte nostra, anche se apparentemente a posteriori. Non crediamo di dichiarare qualcosa di strano se affermiamo che il momento che sta passando l’Italia è caratterizzato da una grande crisi politica e morale. Questa crisi non giunge, ovviamente, per caso, ma da lontano. E viene proprio a causa dell’abdicazione dalla tensione degli ideali nati e vissuti nella prima metà del secolo ventesimo attuata da tutti i partiti politici dell’Italia post-bellica, presumibilmente sullo stimolo programmatico dell’americanismo.
Interessanti, per un’idea complessiva della vastità e della non casualità del fenomeno, i libri di Massimo Cacciari, "Geo-filosofia dell’Europa", Adelphi e Maurizio Blondet, "I fanatici dell’Apocalisse", Il Cerchio, nonché l’intera opera di Augusto Del Noce. Nei due libri citati gli autori pongono l’accento sulla coincidenza del Nuovo Ordine Tecnocratico col Capitalismo Internazionalista delle Multinazionali supportati dal fondamentalismo giudeo-cristiano, mentre Del Noce, vox in deserto, ha sempre sostenuto fino alla morte che il comunismo sconfitto si sarebbe trasformato in un elemento della società borghese, dominata da una classe che tratta ogni idea come strumento di potere. Di questa realtà si è fatto di recente portavoce anche un personaggio ambiguo come Achille Occhetto, il quale, all’indomani della decisione dei DS di dar vita al Partito Democratico, ha rilasciato un’intervista ("E Polis", 18 aprile 2007) nella quale dice testualmente: «I grandi avvenimenti non finiscono mai a causa delle degenerazioni successive (…) questo è momento estremamente basso che nasce dal fatto che una parte di coloro che avevano partecipato alla svolta hanno poi snaturato il processo politico che si era aperto (...) prevalse la linea degli inciuci interni, delle continue compromissioni che molto probabilmente erano già dentro il DNA del vecchio Partito Comunista».
A noi sembra che una grande responsabilità incombe proprio sulla classe dirigente neofascista che avrebbe potuto farsi portavoce di una categoria di persone decise a tener duro proprio sui princìpi di fondo. E proprio contro i cedimenti di tutto il mondo circostante, ad iniziare da quello cattolico, che aveva trescato con l’americanismo, il protestantesimo, la massoneria americanocentrica, ricordiamo il viaggio in USA di Pacelli nel 1936 su cui pochissimo si scrive, e l’"amicizia" di Roosevelt con l’arcivescovo di Chicago, card. Mundelein, per finire coi comunisti che hanno innescato la guerra civile nell’interesse esclusivo degli alleati.
Si tratta solo di compromessi e di piccole o grandi viltà. Noi ci rendiamo conto che dopo una guerra devastante come quella finita apparentemente nel 1945 il disorientamento fosse generale, ma è proprio per questo che noi affermiamo che è mancata una classe dirigente adeguata al momento storico.
Inutile aggiungere che il naturale corollario di questa situazione è costituito dalla possibilità di inventare impunemente e far vivere l’intera popolazione italiana in una farsa come quella della Guerra Fredda. Nessuno, eccettuata la nostra Federazione, ha denunciato sistematicamente questo insulto all’intelligenza degli italiani. Solo ora qualcuno si sveglia. In un libro edito di recente, un giornalista esperto in storia militare e spionaggio, Giorgio Boatti ("C’era una volta la Guerra Fredda", Baldini & Castoldi, 1994) scrive: «Talvolta la Guerra Fredda porta con sé un sospetto: e se fosse stata tutta un’illusione? Se tutta questa interminabile vicenda popolata di spie, di soldati senza divisa, di maestri di trucchi e inganni, fosse solo, a sua volta, un’invenzione delle spy-story? Se tutto questo conflitto, mai trasformatosi in guerra guerreggiata, e tuttavia scandito da spietati duelli tra organizzazioni di spionaggio votate al silenzio come antiche trapperie, dedite a violenze fuori da ogni regola come moderne gangsterie, fosse un miraggio? Se tutta quest’epopea, anziché essere la realtà vera, fosse la quinta monotona ed opaca, frapposta fra la realtà stessa e mezzo secolo di storia? Se questa fissità che batte e ribatte sempre sullo stesso chiodo -lo scontro fra il Comunismo ed il Capitalismo, tra Est ed Ovest- avesse voluto far scordare gli imprevisti e gli accadimenti di una realtà mozzafiato e cangiante, in contraddizione totale con gli scenari, dispiegati dalle due superpotenze, di controllo globale sull’ordine e sui disordini del pianeta?»
 


Attualità della geopolitica socialrepubblicana

 

«Tutto ciò che è esagerato è insignificante»
Klemens di Metternich


Come noto, l’elaborazione classica della geopolitica vede uno scontro costante dell’Oceano contro il Continente. [Vedi: K. Haushofer, "Geopolitica delle idee continentaliste", Nuove Idee ed. e André Vigarié, "Economia marittima e geostrategia degli oceani", Mursia, 1992]
«Qualsiasi spazio ha il suo valore politico», diceva Ratzel, ed anche in un momento in cui alcune trasformazioni propiziate dalla tecnologia (Internet, aeronautica e missilistica, dominio spaziale) hanno cambiato la vecchia concezione dello spazio, occorre tener sempre presente il determinismo della geopolitica. Ci sono scelte obbligate alle quali non ci si può sottrarre.
«La storia mondiale -diceva Carl Schmitt- è la storia della lotta delle potenze marittime contro le potenze continentali e delle potenze continentali contro le potenze marittime».
Anche se il mare è stato rimpiazzato dallo spazio, è facile costatare che la politica di potenza dei Theocons si basa ancora sull’uso delle flotte, sia pure ricche di portaerei. Secondo Lyndon LaRouche, l’attuale quadro politico che vede contrapposto il potere mondialista statunitense a quello continentale rappresentato dai due assi: Madrid, Parigi, Berlino, Mosca e Mosca, Teheran, Nuova Delhi, sarebbe la manifestazione di un perdurante asservimento della dirigenza nordamericana nei confronti della vecchia geopolitica imperiale britannica, che avrebbe anche oggi il suo centro a Londra. Si tratta di una tesi sostenibile. Non a caso il teatro delle operazioni è sempre il grande gioco che opponeva fin dalla nascita dell’imperialismo inglese, il Regno Unito alla Russia: Asia Centrale, Mesopotamia, Iran, Afganistan.
Volendo, tutta la storia dell’umanità potrebbe essere racchiusa in questo contrasto. In particolare il mondo moderno e contemporaneo ce ne danno una visione plastica, con le potenze marine (Regno Unito ed USA) tese ad impedire qualsiasi processo di unificazione del Vecchio Continente. In quest’ottica la storia d’Italia, a causa della sua posizione geografica è la storia di un’oscillazione. Quella posizione strategica che fu la forza di Roma, oggi ne rappresenta la debolezza. Che tali oscillazioni sotto la forma di possedimenti di altre potenze o di scelte autonome in questo contesto importa poco. Resta il fatto certo che l’unità nazionale, ottenuta sul finire del XIX secolo ed anche dopo una lenta e contrastata maturazione durata oltre cento anni, è stata resa possibile dal complesso gioco delle potenze egemoni.
Se esuliamo dai fattori personali e ci soffermiamo sulla nostra storia guardandola dal punto di vista geografico, possiamo con facilità notare che esistono almeno tre Italie. Queste tre Italie hanno differenti poli d’attrazione. Non ci sembra che finora, nel dibattito politico, sia emersa la necessità di tenere conto di queste differenze che potrebbero portare, un domani piuttosto vicino, a pericolose lacerazioni. Se, ad esempio, il movimento padano (Lega Nord) si è momentaneamente invischiato nel pantano della «politica romana», non è detto che in futuro, di fronte a pressanti richieste eurocentriche non trovi il modo di sviluppare scelte economico-politiche più legate alla propria collocazione geografica. Similmente, il Sud potrebbe stancarsi di essere mantenuto dai contributi romani e fare scelte autonome che riflettano la posizione di privilegio nel cuore del Mediterraneo.
Un dato che potrebbe far riflettere, ma non sembra che qualcuno finora ci abbia posto l’attenzione necessaria, è la storia della Padania durante il periodo bonapartista, che non fu poca cosa per una serie di ragioni (Vedi: Matteo Angelo Galdi, "Necessità di stabilire una repubblica in Italia", Salerno ed. pubblicato per la prima volta nel 1796):
1) Il genio ordinatore di Napoleone, valido ancor oggi, visto che le leggi napoleoniche sono il riferimento ordinativo per tutti i paesi europei, nella visione generale di una nuova Europa unita ed imperiale, della quale la Padania non poteva che essere il cardine.
2) La storia secolare della Padania, almeno fin dal Regno Ostrogoto d’Italia, che l’ha vista gravitare verso il baricentro europeo più che verso il sud.
3) L’attuale concentrazione dell’attività industriale ripartita in macro zone contigue ed integrate con le confinanti regioni di altre nazioni. In un processo d’integrazione europea accentuato, vi si formeranno unità territoriali destinate a gravitare verso le capitali delle nazioni preesistenti e c’è poco da sperare che tali zone possano gravitare più su Roma che su Parigi, Vienna, Berlino.
4) Il sud d’Italia esposto da sempre alle scorribande inglesi (vedi la storia delle insorgenze siculo-calabresi 1799-1815 circa ed il brigantaggio post-unitario).
5) La Marcia su Roma del 1922 che parte dal Nord e la conquista d’Italia degli Atlantici che inizia dal Sud.
6) Il fatto che, contrariamente ad altre formazioni governative italiane, già feudatarie dell’Impero, solo la Padania, tanto come Repubblica Cispadana, poi Cisalpina, infine come Regno Italico seguì il destino imperiale.
7) Il ruolo di portaerei statunitense della Sicilia, dal 1943 ad oggi.



Geopolitica imperialista degli USA e geopolitica dell'Unione Europea

 

«La politica estera di un paese rispecchia gli interessi di coloro i quali di esso controllano il sistema politico»
S. R. Shalom, "Alibi Imperiali", Synergon

«Qual è il vantaggio delle manovre e delle esibizioni di forza se non le usi mai?»

Gwertzman, "Steps to invasion"

«Quando, dall'alto della sua opulenza, l'America predica il Vangelo della democrazia a paesi che non hanno alcuna possibilità di giungere all'opulenza, il messaggio non assume il significato che dovrebbe avere. Mai l'America ha dovuto registrare tanti fallimenti, così massicci, duraturi, come da quando ha tentato di "esportare" la democrazia»
David Potter, 1954

«Il vero problema non è solo l'avidità degli individui, ma l'intera deregolamentazione del settore bancario e delle imprese, la natura speculativa dell'economia degli Stati Uniti»

Casadio, Petras, Vasapollo.

«… un secolo prima, Cromwell ed il popolo inglese avevano preso a prestito dal Vecchio Testamento le parole, le passioni, le illusioni per la loro rivoluzione borghese. Raggiunto lo scopo reale, condotta a termine la rivoluzione borghese della società inglese, Locke dette lo sfratto ad Abacuc (Karl Marx) (…) i costituenti americani a loro volta trassero da una costola della "Gloriosa Rivoluzione", le parole, le passioni e le illusioni per le battaglie cruciali con cui s'emanciparono dalla monarchia di Londra. (…) Da allora, trasformate nei contenuti ma trascinate lungo i decenni, quelle immagini politiche sono rimaste a far parte delle fonti ideologiche dell'americanismo»
"Lotta Comunista", anno XXXIX, n. 398 (Organo dei gruppi leninisti della sinistra comunista)

«In tutto il mondo, in un giorno qualsiasi, un uomo, una donna o un bambino verranno probabilmente deportati, torturati, uccisi o scompariranno ad opera di governi o gruppi politici armati. Nella maggior parte dei casi, tra i responsabili di quegli atti, ci saranno gli Stati Uniti»
Rapporto Amnesty International 1996, riportato da Antonella Randazzo in

"Dittature, la storia occulta". Il Nuovo Mondo ed, febbraio 2007.

L'imperialismo americano non era la naturale estensione di un espansionismo cominciato con le origine stesse dell'America. Né era il naturale risultato di un sistema mondiale capitalistico di mercato che l'America aiutò a rinascere dopo il 1945.L'imperialismo americano, quali che fossero i mezzi assunti dall'America per dominare, organizzare e dirigere il "mondo libero" era il prodotto della corrente rooseveltiana del New Deal. Le due convinzioni di base del New Deal erano che il sistema capitalistico concorrenziale non era più in grado di assicurare il pieno impiego, condizione indispensabile per la stabilità sociale, attraverso il suo normale funzionamento, e che le crescenti esigenze dei poveri e degli oppressi avrebbero potuto creare un caos un caos rivoluzionario. Da queste due convinzioni se n'affermò una terza con conseguenze operative: solo un governo nazionale potente poteva salvare il capitalismo concorrenziale dalle contraddizioni sue proprie (…) La seconda guerra mondiale dimostrò ai liberali rooseveltiani che il ND poteva produrre miracoli e che quei miracoli accadevano soltanto quando la gente si sentiva minacciata da nemici esterni criticabili dal punto di vista ideologico: il fascismo in sue varie forme, era chiaramente un "nemico ideologico" della corrente radicale del New Deal»
F. Schurmann, "La Logica del Potere", Il Saggiatore, 1980

«Il militarismo e l'interventismo si sono rivelati utili anche ai presidenti americani. Quando le politiche interne sono volte sistematicamente alla riduzione degli standard di vita del cittadino medio ed alla ridistribuzione del benessere ai ricchi, un diversivo per chiamare a raccolta la gente attorno alla bandiera può fornire un aumento salutare degli indici di popolarità del presidente. Un pantano come il Vietnam può rivelarsi la rovina di un'amministrazione, ma non c'è niente di meglio di un'operazione lampo, contro un avversario più debole senza speranza, per rilanciare la popolarità di un presidente: come testimoniano le aggressioni a Grenada, alla Libia, a Panama, all'Iraq»
S. R. Shalom, "Alibi Imperiali", Synergon


Per chiarire meglio le lungimiranti scelte mussoliniane e le conseguenti scelte della nostra Federazione, occorre un rapido excursus sugli avvenimenti recenti, e per escludere qualsiasi possibilità di interpretazione unilaterale degli avvenimenti ci limiteremo a quanto scritto su testi facilmente reperibili.


L'imperialismo statunitense nasce e si sviluppa assieme alla sua potenza economica.


Le tappe dell’ascesa a grande potenza economica degli USA non sono un mistero, meno noto è il fatto che in questa grande "democrazia", nel 1913 il 2% degli americani guadagna il 60% del reddito nazionale. Si tratta pertanto di un’oligarchia del denaro che ha sempre piegato la geopolitica di quel paese ai propri interessi. L’acquisto dell’Alaska, una chiara indicazione delle strategie d’espansione che privilegiano il Pacifico, avviene nel 1867, appena dopo la fine di una guerra intestina che avrebbe dovuto provocare un disastro economico (che evidentemente lo fu solo per i sudisti perdenti).
Che quella statunitense sia stata una storia di violenze e di sopraffazioni anche intestine, è documentato non solo dal genocidio dei nativi, si tratta di non meno di cinque milioni di persone, (a cominciare dalle battaglie combattute da Washington stesso, 1757-63, nell’ambito della guerra coloniale anglo-francese), sed etiam da quello che accadde durante le battaglie per l’indipendenza combattute per lo più da francesi e tedeschi (1775-83), con stragi, impiccagioni di coloni lealisti, uccisioni di prigionieri di guerra, come documentato da un recente libro. D. H. Fischer, "Washington’s Crossing", Oxford University Press, 2006.
E neppure il termine tanto utilizzato dal presidente Bush per qualificare i paesi che si difendono dall’egemonia a stelle e strisce, "Stati canaglia", è concettualmente nuovo. Infatti, il presidente Jefferson già nel 1816 aveva espresso ampie minacce contro i "Barbarian States".
Nel 1895, l’esplosione di una nave da guerra, il Maine, davanti all’Avana provoca la guerra contro la Spagna che entra in una crisi secolare. Seguono le conquiste di Cuba, Guam e Portorico, l’annessione delle Hawaii e delle Filippine (1897-1901), Samoa (1899), Canale di Panama (1903-1914); segue poi la Prima Guerra Mondiale e l’ingerenza statunitense nelle cose d’Europa, non prima di aver fatto dissanguare le popolazioni europee.
In questo periodo comunque, abbiamo un enorme arricchimento del capitalismo statunitense con le forniture di materiale bellico e di petrolio, con l’imposizione di tariffe commerciali che permangono tuttora. Segue il finanziamento della rivoluzione russa, ma anche della contro rivoluzione per gestire il conflitto e l’imposizione al mondo dei 14 punti di Wilson creati con evidente astuzia per mantenere una situazione di conflittualità latente fra le popolazioni europee. Lo stesso dicasi per la nascita del "focolare ebraico" in Palestina deciso a due con il Regno Unito e destinato a permanere nel tempo come stimolo permanente di conflittualità nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, per il controllo delle rotte delle materie prime industriali ed energetiche. Questo focolare, che insanguina la cosiddetta «terra santa» da quasi un secolo, finanziariamente dipende in larga misura dalla comunità ebraica statunitense, che è ben integrata nel sistema americano. Mentre, per il suo livello di vita, per le sue possibilità tecniche si colloca nell’area dei paesi sviluppati (al prezzo della povertà e dello sfruttamento integrale della componente palestinese). È proprio come voleva Herzl, una testa di ponte del mondo industrializzato capitalistico in mezzo ad un mondo sottosviluppato. (M. Rodinson, "Israele ed il rifiuto arabo", Einaudi)
Seguono il secondo conflitto mondiale e la guerra fredda, utili per giustificare uno stretto controllo nelle zone d’influenza e per giustificare le spese militari, cioè l’arricchimento dell’industria pesante. A questo punto ciò che maggiormente stupisce è il silenzio dei Media sugli argomenti testé trattati, che invece dovrebbero essere ricordati da qualsiasi giornalista onesto in ogni articolo che tratti delle guerre in corso.
Per la verità abbiamo trovato un solo indizio di denuncia del comportamento americano in una rivista del 1921, "Il Nuovo Patto", diretta da G. Provenzal, che contiene l’articolo di G. Racca dal titolo significativo: "L’ingerenza americana nelle cose d’Europa".
Il mito amerikano, diffuso ad arte e favorito dalla cinematografia (film di guerra e film rosa) e dalla letteratura (edita in Italia ancor prima del conflitto) agirà prepotentemente anche durante il conflitto e la graduale occupazione dell’Italia. L’uso spregiudicato della propaganda psicologica è una delle armi che prendono sempre alla sprovvista. Ad esempio, solo per citare un caso, il terrorismo atomico viene esercitato non solo col possesso della "bomba", ma col reclutamento di ogni altro strumento di comunicazione.
Un esempio è rappresentato dal coinvolgimento degli "scienziati" che, fingendosi pacifisti seminano il terrore. Un libro edito in Italia nel 1946 è indicativo. Si tratta di un testo dal titolo emblematico: "Il mondo unito o il caos", che coinvolge personalità come Bohr, Compton, Einstein, Oppenheimer, e con un’appendice di G. Giorgi sull’opera di Fermi. Per nostra fortuna, la proliferazione della bomba e dell’energia atomica ha reso gli USA piuttosto guardinghi sul suo uso indiscriminato, facilitando la colossale sconfitta del Vietnam.
Tuttavia, è proprio dopo l’oscuramento dell’URSS e la scomparsa di un probabile antagonista che la smania di potere si impossessa delle classi dirigenti americane che da tempo avevano progettato la globalizzazione.
«… La finanziarizzazione dei processi economici è anche l’indice di un sostanziale spostamento del potere. Il complesso dei fenomeni analizzati, la crescita delle disuguaglianze e della concentrazione del reddito e della ricchezza, il venir meno del bilanciamento del potere all’interno delle grandi imprese rispetto al potere del capitale finanziario con il formarsi di una sorta di oligarchia, il cambiamento della natura delle imprese e la loro finanziarizzazione con il crescente esclusivo ruolo del Top Management, lo spostarsi del potere di decisione verso istituzioni finanziarie sempre più concentrate, insomma l’evidente spostamento del potere nel complesso dei sistemi economici, sta avendo una ricaduta inevitabile sul funzionamento dei sistemi politici e della democrazia. Il rapporto tra capitalismo e democrazia è tornato ad essere problematico …» secondo il supplemento del giugno 2003 di "The Economist", «Le imprese pongono un problema per la democrazia con la loro stessa esistenza, a causa del loro comando sulle risorse, potere di persuasione e molti privilegi legali….».
Così Silvano Andriani nel libro: "L’ascesa della finanza. Risparmio, banche, assicurazioni: i nuovi assetti dell’economia mondiale", Donzelli ed. Questo è il ritratto della Globalizzazione e la fotografia dell’Italia di Prodi. Possiamo anche aggiungere che si tratta del prodotto della "civilizzazione americana". È l’americanizzazione del mondo, dentro la quale l’Europa dovrebbe svolgere il ruolo di provincia dell’impero. Quel tipo di società che Noi abbiamo sempre combattuto.
Ne da un’inequivocabile descrizione l’intervento alla Commissione Esteri del Senato statunitense il 17 febbraio 1950 di James Paul Warburg, figlio dell’ideatore della Federal Reserve Bank, già direttore dell’Office of War Information, adepto del Council of Foreign Relations: «La grande questione del nostro tempo non è se si possa o non si possa arrivare ad un governo mondiale, ma se si possa o non si possa arrivare ad un governo mondiale con mezzi pacifici. Lo si voglia o no, arriveremo ad un governo mondiale. La sola questione è se ci arriveremo con un accordo o con la forza». (Tratto da: Gianantonio Valli, "Holocaustica Religio", Effepi ed. 2007)
Ma queste verità, per noi lapalissiane, sono negate negli States dagli esponenti di punta dei neocon ed in Italia dai Radicali ("I più vicini a noi sono Emma Bonino and Company", M. Ledeen, 2003).
«C’è una profonda differenza tra una grande potenza ed un paese che cerca di esercitare il proprio dominio su altri paesi, che è poi la vera essenza di un impero. L’espansione del libero mercato non rappresenta una forma di imperialismo (!), a meno che non si seguano le teorie marxiste. L’America non è un impero anche se, per certi aspetti, ha esercitato un’influenza maggiore di qualsiasi altro impero (!)» Robert Kagan, "American As a Global Hegemon", ("The National Interest", 23 luglio 2003), tratto da Christian Rocca, "Esportare l’America", "I libri del Foglio", 2003.
C’è anche un altro libro dal quale trarre alcune informazioni. Si tratta di "Alibi imperiali" di S. R. Shalom, edito in Italia da Synergon nel 1995. «Interferire negli affari degli altri Stati, scrisse Charles Krauthammer, redattore di "New Republic", è l’insieme degli scopi della politica estera. L’appello alla pace, Krauthammer lo interpreta come disarmo unilaterale. Gli Stati Uniti devono mantenere un grande esercito, tecnologicamente avanzato, presente ovunque nel mondo. Anche se la minaccia sovietica è scomparsa, fa notare Krauthammer nel marzo del 1990, c’è sempre la minaccia della Russia, e se questo non bastasse, semplicemente non sappiamo quali progetti di lungo periodo perseguono Germania, Cina, Giappone… "Gran parte di questo repentino accorrere per far rispettare la legge o per mantenere l’ordine ad ogni costo -afferma un famoso editorialista conservatore come W. Safire del "New York Times"- serve soltanto a giustificare la continuità agli enormi bilanci militari". "Nessun altro paese dispone di una potenza militare neppure lontanamente paragonabile alla nostra -ha scritto il generale Colin Powell- Siamo noi che dobbiamo guidare il mondo e non potremmo assolvere questo gravoso compito se non avessimo forze armate tanto poderose". "Solo gli Stati Uniti -disse Bush al popolo americano-dispongono di una potenza globale in grado di sbarcare una massiccia forza di intervento nelle località più lontane ed inaccessibili, con la rapidità e l’efficienza necessarie per salvare la vita a migliaia di innocenti" (Peccato, aggiungiamo noi, che nel caso dell’invasione di Santo Domingo, della Cambogia, per cui il caso della nave mercantile Mayaguez ricorda molto da vicino la recente provocazione inglese nelle acque territoriali iraniane… il deputato Pat Schroeder dichiarò per l’occasione: "Non abbiamo provato nulla al mondo tranne che questo Presidente vuole, come volevano i suoi predecessori, utilizzare affrettatamente l’esercito degli Stati Uniti contro i piccoli paesi, senza badare al diritto"; di Grenada, di Panama, ed il sostegno indiretto ai massacri in Guatemala, Indonesia, Timor Est, Uganda, per non citare che i più raccapriccianti, dimostrino che mai sono stati effettivamente salvati degli innocenti). Nel marzo del 1991, il segretario alla Difesa Dick Cheney dichiarò che "gli Stati Uniti, sulla scia della guerra all’Iraq avrebbero venduto più e non meno armi al Medio Oriente". Come scrisse il "Washington Post", "analisti dei servizi segreti americani ed israeliani imputano alla guerra Iran-Iraq (provocata dagli USA e da Israele, n.d.r.) la maggior parte degli sviluppi destabilizzanti l’equazione militare in Medio Oriente, l’impiego generalizzato dell’uso di missili contro le popolazioni delle città, l’utilizzo d’ingegneria locale per estendere maggiormente la portata dei missili e l’acquisizione di testate chimiche».
Robert Kagan e William Kristol, tra i più autorevoli esponenti teocon (con Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz), hanno scritto il 25 agosto 2003 su "The Weekly Standard": «Ci sono più cose in gioco in Iraq che la semplice visione di un Medio Oriente migliore e più sicuro. Sono in gioco il futuro della politica estera americana, la leadership americana nel mondo e la sicurezza americana. Un fallimento in Iraq sarebbe un colpo devastante per tutto quello che gli Stati Uniti sperano di realizzare e devono realizzare nei prossimi decenni». (Tratto da "Affari Esteri", n. 140, ottobre 2003)
Per non dilungarci ulteriormente su un argomento arcinoto, ci limitiamo a citare alcuni fra i tanti libri pubblicati sull’argomento che dimostrano inequivocabilmente la volontà di dominio degli USA sul mondo intero, per mantenere costante il tenore di vita degli americani, come dichiarò Reagan, laddove per "americani" deve intendersi la sola classe dirigente.
Mario Calvo Blatero, "Il modello americano. Egemonia e consenso nell’era della globalizzazione", Garzanti, 1996.
G. Valdevit, "I volti della Potenza", Carocci, 2004.
G. Bertolizio, "Breve storia degli USA e getta", Ed. Clandestine, 2006.
R. B. Stinnet, "Il giorno dell’inganno. Pearl Harbor: un disastro da NON evitare", Il Saggiatore.
W. Blum, "Con la scusa della libertà", Marco Tropea, 2003.
Claude Julien, "L’impero americano", Il Saggiatore, 1969.
Casadio, Petras, Vasapollo, "Clash! Scontro tra le potenze. La realtà della Globalizzazione", Jaka Book, 2003.
Antonio Donno, "Gli Stati Uniti, il sionismo ed Israele 1938-1956)", Bonacci ed. 1992.
Jean Prassard, "Dominio", Capire ed. 2002
Robert Kagan, "Paradiso e Potere. America ed Europa nel Nuovo Ordine Mondiale", Mondadori.
Mike Davis, "Cronache dall’Impero", Manifestolibri, 2004.
Christopher Hitchens, "Processo a Henry Kissinger" Fazi ed. 2003.
Marianne Debouzy, "Il capitalismo selvaggio negli Stati Uniti (1860-1900)", Arianna ed. 2002.
AA.VV. "Iraq. Dalle antiche civiltà alla barbarie del mercato petrolifero", Jaca Book, 2003.
Bertani-Buttarelli, "L’Impero colpisce ancora", Malatempora, 2003.
Z. Brzezinski, "La grande scacchiera: la supremazia americana ed i suoi imperativi geostrategici", Longanesi, 1998.
Brisard-Dasquié, "La verità negata. Una voce fuori dal coro racconta il ruolo della finanza internazionale nella vicenda Bin Laden", Tropea ed. 2002.
N. Hertz, "La conquista silenziosa. Perché le multinazionali minacciano la democrazia", Carocci ed. 2003.
E. Laurent, "Il potere occulto di G. W. Bush. Religione, affari, legami segreti dell’uomo alla guida del mondo", Mondadori, 2003.
B. Li Vigni, "Le guerre del petrolio", Ed. Riuniti, 2004.
G. Santoro, "Il mito del libero mercato", Barbarossa ed. 1997.
W. I. Cohen, "Gli errori dell’Impero americano", Salerno ed. 2007.
F. Zavaroni, "USA, Occidente, Libertà. Egemonia americana tra economia, informazione, repressione, "Ed Riuniti, 2007.

Per concludere, quindi, appena finite vittoriosamente nel 1865 le guerre d’indipendenza dall’Inghilterra, (la guerra di Secessione fu in realtà una guerra contro il Regno Unito la cui economia si basava essenzialmente sul cotone prodotto negli Stati Confederati), l’imperialismo statunitense si è sviluppato fino ad oggi con impressionante cadenza ritmica senza incontrare ostacoli efficaci, mentre l’Inghilterra si è gradualmente trasformata in una propaggine dell’asse atlantico ed una scheggia nel fianco dell’Unione Europea. Ma le cose stanno cambiando.
 


Il riscatto europeo

 

«L'Europa non può vivere senza patrie e, certamente, morirebbe se osasse distruggerle, perché sono i suoi organi essenziali; ma le patrie non possono più vivere senza l'Europa. L'hanno dilaniata nel periodo della loro crescita meravigliosa, come ragazzi che si emancipano crudelmente dalla madre per divorare la loro parte di destino, ma oggi devono rifugiarsi e riprendere energie dentro di lei»
P. Drieu La Rochelle, "Le francais d'Europe", 1941

«Quale deve essere oggi la parola d'ordine, il grido di guerra del Partito: azione, azione una, europea, incessante, logica, ardita, di tutti, per tutti, per ogni dove»
G. Mazzini, 1850


Lungi da noi voler fare una storia dell’Unione Europea. Ci limitiamo soltanto a documentare alcuni passaggi che dimostrano la volontà di riscatto dei popoli d’Europa.
È curioso come, dopo il gran bagno di sangue del primo conflitto mondiale, la prima voce in senso europeista sia di un nobile nippo-ungherese: Coudenhove-Kalergi, che nel 1923 fonda l’Unione Paneuropea in senso federalista. Nel 1947 promosse la costituzione dell’Unione Parlamentare Europea, di cui fu il primo presidente onorario (1952-1965). Evidentemente, aver vissuto la gioventù il Giappone gli aveva dato la possibilità di vedere le cose d’Europa in prospettiva.
La spinta all’unificazione era però sentita in molti ambienti. In quello sindacale, ad esempio. Abbiamo come riferimento il libro del noto sindacalista francese Gaston Riou, "Europe, ma patrie", edito a Parigi nel 1928 proprio nell’ambito di una Biblioteca Sindacalista. Dal 14 al 20 novembre 1932 si tenne il famoso Convegno di Scienze morali e storiche indetto dalla Fondazione Alessandro Volta della Reale Accademia d’Italia, sul tema dell’Europa, pubblicato negli Atti dell’Accademia nel 1933. La lettura di questi atti è illuminante. Per riferirci ad un tema d’attualità, le radici culturali del nostro continente, l’intervento di Pierre Gaxotte è molto chiaro. Secondo il noto scrittore francese «La parola Europa non può essere usata legittimamente che nel senso di Civiltà Europea».
E questa è composta da tre elementi.
1) La Scienza greca. Creazione della ragione umana. Ordine intelligibile delle cose. Riflessione sull’esperienza.
2) Il Diritto romano. Definizione della nozione astratta dello Stato. Posto dell’individuo nello Stato.
3) La Religione cristiana. Credenza nell’infinito. Nozione dell’immortalità. Morale della bontà e della pietà.
Nostra postilla: basterebbe questa minima citazione per rendersi conto della pretestuosità e della mistificazione insite nella recente battaglia per la Costituzione europea, dove le forze in gioco hanno cercato di imporre un loro punto di vista del tutto particolare ed unilaterale, e proprio per questo sostanzialmente antieuropeo. Cogliamo l’occasione per chiarire che per noi la forma con cui si sta organizzando l’unione europea è del tutto insignificante. Importante è la nascita e lo sviluppo di questa unione, seguendo un’evoluzione più naturale che artificiale, come insegna la storia delle aggregazioni geopolitiche degli ultimi secoli, anche perché, come ci ricorda Carl Schmitt, l’identificazione politica avviene sempre contro qualcosa. Non siamo in linea di principio contro una struttura federale, anche se a suo tempo avevamo condiviso il progetto di "Europa Nazione" di Jean Thiriart perché, come ci ricorda Giano Accame riferendosi ad uno scritto di Giovanni Gentile ("I profeti del Risorgimento Italiano"), fu la visione federale di Vincenzo Gioberti ed il consenso che ottenne nel 1848, che aprì la strada all’azione unitaria e rivoluzionaria del mazzinianesimo, che per noi che non siamo né guelfi né moderati, resta un preciso punto di riferimento, anche perché, a dispetto di qualsiasi estremismo verbale, gli eventi della storia umana si dipanano a tappe molto lente.
In ogni caso, la nostra visione di un’Europa futura è allineata su quanto ha scritto di recente Franco Cardini con Sergio Valzania in "Le radici perdute dell’Europa", Mondadori.
L’Europa tra il XVI ed il XVII secolo può essere definita una vera e propria superpotenza mondiale, caratterizzata dal policentrismo del potere politico e da un diffuso multiculturalismo. L’unico tentativo di integrazione di popoli diversi che abbia ottenuto un esito positivo in tutta la storia. Spaziava da Praga all’America del Sud, sebbene il suo cuore rimanesse il bacino occidentale del Mar Mediterraneo ed i suoi punti di forza la Castiglia, il Viceregno di Napoli e la Lombardia. E proprio dalla penisola, con la sola eccezione dello Stato della Chiesa, furono profusi i maggiori sforzi militari ed economici per sorreggere la monarchia nelle altalenanti vicende dell’epoca.

 


Primi passi dell'unificazione europea.


A distanza di mezzo secolo possiamo valutare con maggiore precisione quanto avvenuto nel tempo a favore dell'unificazione europea:
1949, l'Italia è tra i fondatori del Consiglio d'Europa, «per la salvaguardia del patrimonio tradizionale della civiltà europea e del progresso sociale» ed i parlamentari italiani danno un contributo notevolissimo all'elaborazione di questo testo rivoluzionario, in seno a quella che allora si chiamava "Assemblea Consultiva" dell'organizzazione di Strasburgo. La Convenzione, poi, vede la luce proprio a Roma, dove è aperta alla firma, a Palazzo Barberini, il 4 novembre 1950. L'idea, sulla quale la Convenzione s'impernia, di una Corte Europea chiamata a giudicare delle violazioni dei diritti fondamentali perpetrate dagli Stati, è un primo elemento unificante, come spesso accade nella storia dei popoli, a dimostrazione che prima viene il diritto e poi la politica. Alla ratifica della Convenzione, peraltro, l'Italia pervenne nel 1955, dopo il Regno Unito e la Germania.
La Francia ratificò soltanto nel 1974. Per quanto riguarda questo paese, politica "isolazionista" gollista a parte, occorre ricordare due elementi di non poco conto, che restano nei recessi della memoria storica di tutti i cittadini: il primo è costituito da Giovanna D'Arco, una protettrice della nazione che caratterizza la Francia in senso antinglese, e il secondo è l'affondamento a tradimento il 3 luglio 1940 della flotta ancorata ad Orano. Nella memoria collettiva, quest'atto si somma alle grandi tragedie navali d'Abukir e Trafalgar. Sono tragedie che scandiscono momenti di una costante ostilità popolare nei confronti d'Albione, molto più dell'avversione per i tedeschi provocata da Sedan e da Waterloo. È possibile trovarne una chiara dimostrazione in un libro ovviamente non tradotto in italiano: "Vivre avec l'ennemi. La France sous deux occupations:1914-18 et 1940-44" di Richard Cobb, Sorbier, 1985. (Significativa la nazionalità inglese dell'autore!).
Importante in questo processo è anche la nascita della CECA, Comunità Europea Carbone ed Acciaio, firma degli accordi di Parigi del 1951.
Trattati di Roma: firma a Roma il 25 marzo 1957, ricordati solennemente proprio in questi giorni, a dimostrazione che la città di Roma resta sempre un punto ideale di riferimento molto forte per tutti i popoli europei. Per inciso, proprio nel 1957 inizia la corsa alla conquista dello spazio, esplosione della prima bomba H inglese nel Pacifico, armi atomiche ed a razzo assegnate alla NATO. È evidente che i promotori di queste iniziative, Adenauer, De Gasperi, Schuman (Piano Schuman, redatto da Jean Monnet), tutti cattolici, si muovevano, sia pure con molte precauzioni, nell'ambito di un modello di riferimento che è inutile far finta di ignorare. L'Europa cattolica si stava difendendo dal comunismo ma anche dal liberismo protestante. Robert Schuman è stato di recente definito "il monaco con la giacca" da un foglio cattolico, il "Messaggero di Sant'Antonio", maggio 2007. Non a caso, come scrive Sergio Romano ("Affari Esteri", n. 140, ottobre 2003), «I primi ministri britannici non furono mai europeisti. Accettarono la Comunità e fecero molto seriamente la loro parte, ma nella convinzione che soltanto dall'interno dell'organizzazione avrebbero potuto frenare le sue tendenze supernazionali e federali».
Un imprevisto documento. Sul numero 19 dell'anno primo, del 2 aprile 1948 del quotidiano del MSI, "l'Ordine Sociale", abbiamo trovato una sorprendente notizia. Sotto il titolo: "Se la prendono con Nenni e vogliono la Federazione Europea", è reso noto l'arrivo di due deputati laburisti inglesi, Cristopher Showcross e Ivor Thomas, nonché del ministro del lavoro francese Meyer, ricevuti dal vice presidente del Consiglio, Saragat e dal ministro D'Aragona. I due deputati inglesi hanno dichiarato ai giornalisti di avere recentemente costituito un gruppo parlamentare per realizzare l'Unione Europea. Ad esso avrebbero già aderito 150 deputati di tutti i partiti inglesi. I due deputati hanno poi aggiunto di esser venuti in Italia, considerata, da questo punto di vista, il Paese più importante nel momento attuale.
Questo documento è significativo, aggiungiamo noi col senno del poi, perché documenta che lo sviluppo dell'idea di Unione Europea deve attribuirsi già dall'immediato dopoguerra, alle forze cattoliche ed a quelle della Sinistra, non comunista, ovviamente.
«L'adozione dell'euro, d'altronde, ha soddisfatto una condizione necessaria, ma al tempo stesso non sufficiente per innescare definitivamente il motore dell'armonizzazione delle leggi e della costruzione del mercato unico» scrive Enrico Cisnetto ("Charta Minuta", sett. 2006). E su questo punto anche noi siamo d'accordo, pur consci che anche la contestazione all'euro, in quanto espressione di signoraggio bancario ha una sua precisa funzione. Tuttavia, in questo momento riteniamo che la funzione della moneta europea sui mercati globalizzati abbia importanza strategica fondamentale per contrastare il signoraggio del dollaro, autentico veicolo del potere finanziario statunitense e delle multinazionali che ne sono il braccio armato.

 


L'Europa unita alla base della caduta dell'URSS


Su "Nuova Storia Contemporanea" n. 2/ 2007, un articolo molto interessante di Carlo Civiletti, "L'atto finale di Helsinki o l'eterogenesi dei fini. Come il regime sovietico accettò i germi del proprio disfacimento", ci documenta sulla nascita e lo sviluppo della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa.
«Nella CSCE l'Europa comunitaria svolse un ruolo di primo piano. La Conferenza fu anzi un banco di prova per il collaudo di politiche comuni. Nel 1973 infatti aveva fatto i suoi esordi la Cooperazione politica europea, inoltre la posizione dei Nove doveva assumere rilievo preminente in una conferenza in cui gli USA non credevano. Kissinger guardava con scettico fastidio ad una deviazione multilaterale dalla sua visione bipolare dei rapporti Est-Ovest. Ciò portò ad una (salutare) assenza della componente statunitense nelle trattative. Spettò dunque alla Comunità Europea assumere il ruolo di contrappeso all'URSS ed al Patto di Varsavia, catalizzando in tal modo l'attenzione del piccolo ma attivo gruppo dei neutrali non allineati. Sul piano formale va ricordato che Aldo Moro firmò l'Atto finale nella sua duplice capacità di capo del Governo italiano e di presidente in esercizio della CEE».



La letteratura politica documenta abbondantemente lo scontro in atto fra USA ed UE

 

«Gli Stati Uniti devono mantenere un grande esercito, tecnologicamente avanzato, presente ovunque nel mondo. Anche se la minaccia sovietica è scomparsa, c'è sempre la minaccia della Russia, e se questo non bastasse, semplicemente non sappiamo quali progetti di lungo periodo perseguono Germania, Cina e Giappone»
Charles Krauthammer, "New Republic", marzo 1990


I libri più interessanti da questo punto di vista sono:
Mario Zagari, "Superare le sfide. La risposta dell'Italia e dell'Europa alle sfide mondiali. Perché non possiamo non dirci europei", Rizzoli, 1975. Lo Zagari, socialista, ingiustamente dimenticato, autore nell'assemblea costituente dell'articolo 11 relativo al ruolo dell'Italia nella politica internazionale, fu anche autore del libro "La sfida europea" pubblicato nel lontano 1968. Fu più volte sottosegretario agli Esteri, ed anche ministro di Grazia e Giustizia.
Giuseppe Vacca (a cura di), "Dilemma Euratlantico" (primo rapporto annuale sull'integrazione europea.), edito nel 2004 dalla Fondazione Istituto Gramsci con il contributo della Fondazione Monte dei Paschi di Siena.
Louis Armand e Michel Drancourt, "Scommettiamo sull'Europa. Di fronte alla sfida americana, organizzarsi su scala planetaria", Mondadori, 1969.
Lester Thurow, "Testa a testa. USA, Europa, Giappone. La battaglia per la supremazia economica nel mondo", Mondadori, 1992. L'autore, professore d'economia al M.I.T. è una delle teste pensanti cui dare ascolto. Ancorché sviluppate nell'interesse degli Stati Uniti, le sue tesi sono importanti proprio per questa ragione. Egli evidenzia gli elementi d'attrito e di conflitto. Presenti e latenti.
Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, ISPI, "L'Impero riluttante. Gli Stati Uniti nella società internazionale dopo il 1989", a cura di Sergio Romano, Il Mulino ed. 1992. In questo libro, un intervento di David P. Calleo, della John Hopkins University di Washington, ci chiarisce che «per comprendere l'influenza che la NATO tuttora esercita sul pensiero politico americano, bisogna vederla non solo come un'interessante alleanza militare, oppure come un'istituzione familiare e comoda, retaggio del predominio americano, bensì come la realizzazione concreta dell'atlantismo, una delle principali idee-guida che hanno contribuito a plasmare l'Europa post-bellica ed il sistema globale in genere".
Rita di Leo, "Lo strappo atlantico. America contro Europa", Laterza ed. 2004. La Di Leo, ordinario di Relazioni Internazionali alla Sapienza, ci dimostra ampiamente con quest'agevole libro, che non sono gli europei ad agire contro gli States, bensì questi ultimi che hanno approntato da qualche tempo una serie d'interventi atti a bloccare qualsiasi sviluppo europeo che possa contrastare la supremazia globalista delle multinazionali americanocentriche. Tesi da noi sostenuta da sempre.
Marcello Pamio, "Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale". Macro ed.
Costanzo Preve, "L'ideocrazia imperiale americana".Il Settimo Sigillo. Secondo la tesi del noto politologo, quello americano è un impero ideocratico, legittimato da un'idea politica con cui s'identifica, dove la nazionalità è ricavata da un'ideologia di tipo biblico che lo rende una comunità elettiva. Tesi anche questa da noi sostenuta da sempre.
Un altro libro di notevole interesse è "Germanizzazione. Come cambierà l'Italia" di Federico Rampini, Laterza, 1996, Il libro è un'eco delle preoccupazioni italiane per un'egemonia tedesca peraltro inevitabile. Tuttavia l'autore si chiede: «Se il problema vitale per l'Europa è di non farsi schiacciare tra America ed Asia, se per questo il vecchio continente deve trovare un polo egemone che superi le divisioni delle ex potenze coloniali, l'integrazione fra Germania e Francia può essere una risposta adeguata»? La nostra risposta, ovviamente, è affermativa perché l'evoluzione dei tempi conduce inesorabilmente a quel traguardo ed anche perché, dopo decenni di appassionate dichiarazioni antinazionaliste ci ritroviamo di fronte a persone che, pur di ritardare, nell'interesse di potenze extraeuropee, il processo di integrazione, rimestano tra vecchie preoccupazioni di carattere sciovinista.



EURASIA, le speranze e la fondazione


Sull'argomento Europa, Jacques Attali, nel "Dizionario del XXI Secolo", Armando ed. 1999, scrive: «L'Europa diverrà un Continente-Venezia, visitato da milioni di asiatici ed americani, popolato da guide turistiche, guardiani di musei ed albergatori. Per scansare una simile prospettiva ci sono quattro soluzioni possibili:
1) Una Unione Europea Federale;
2) Un allargamento rapido e senza condizioni dell'UE verso est tranne Russia e Turchia;
3) UE allargata come nell'ipotesi precedente ed associata all'America del Nord, in uno spazio economico, culturale e politico comune, che raccoglie tutti i paesi membri dell'Alleanza Atlantica;
4) La creazione di una Unione Continentale che raccolga economicamente e politicamente tutti i paesi del Continente»
Lasciamo ai lettori interessati i commenti dell'autore alle singole soluzioni, peraltro improcrastinabili. Di queste quattro possibilità le più probabili sono le ultime due e su di queste si sta svolgendo una battaglia dai contorni abbastanza chiari. Noi siamo in ogni modo per la quarta soluzione per una serie di ragioni che abbiamo già ampiamente illustrato, tenendo ben presente che le scelte improntate su valutazioni di carattere geopolitico sono vincenti perché naturali ed appropriate, anche se gli avversari delle nostre tesi sostengono che la geopolitica è un'idea che nasce da una cultura deterministica che risorge ogni volta che crollano le ideologie politiche e costituisce una minaccia contro le libertà individuali a favore dello Stato, come scrive A. Corneli in "Geopolitica è. Leggere il mondo per disegnare scenari futuri", Fond. A. e G. Boroli, 2006.
Ed anche se «siamo semplicemente di fronte ad un vero e proprio fondamentalismo culturale e politico che fa a meno del confronto con l'altro ed allo stesso tempo pretende di sapere invece dell'altro cosa è meglio per tutti, ed in nome di questa presunzione bandisce ogni espressione di una reale differenza» (Marco Deriu, Dizionario critico delle nuove guerre, EMI, 2005).
Come ha scritto l'intellettuale sloveno Slavoj Zizek, «tutti i termini principali per designare il conflitto attuale (guerra al terrorismo, democrazia e libertà, diritti umani), sono termini falsi che distolgono la nostra percezione della situazione invece di consentirci di pensarla. Esattamente in questo senso, le nostre stesse libertà servono a mascherare e sostenere la nostra soggiacente illibertà… Ci sentiamo liberi perché ci manca addirittura il linguaggio per articolare la nostra illibertà».



Il ruolo di Putin ed il progetto di sviluppo economico eurasiatico


Il momento attuale vede in primo piano il ruolo preminente del leader russo in un braccio di ferro fondamentale per la nascita del nuovo grande soggetto continentale e per l'inizio di un forte rilancio economico-produttivo non finanziario.
Pur sintetizzando al massimo gli avvenimenti, seguiamo il recente libro di Maurizio Blondet, "Stare con Putin?", Effedieffe, 2007 di cui raccomandiamo vivamente la lettura.
La politica degli USA nei confronti della Russia continua ad essere improntata dalla dottrina Brzezinski elaborata nel suo testo fondamentale: il grande scacchiere, che consiste nel soffocare la Russia circondandola di paesi ostili (Ucraina, Paesi baltici, Polonia) per impedire il contatto fisico con l'UE. A tale scopo è sostanziale l'apporto delle "democrazie colorate" finanziate da Soros, come ampiamente documentato da una recente trasmissione di "Report", agenzia giornalistica di RAI3. Di recente, Putin è riuscito a scavalcare l'accerchiamento assieme alla Germania con il gasdotto del Baltico. Un altro passo importante di Putin è stato fatto nei confronti del Fondo Monetario Internazionale, al quale ha saldato il debito precedentemente contratto, liberandosi in tal modo dal giogo dell'usura mondialista. Un altro recentissimo ed importante accordo che faciliterà i rapporti Cina-Russia-Repubbliche centroasiatiche è quello relativo al gasdotto attorno al Caspio in opposizione a quello Baku-Ceyan fortemente voluto dagli Stati Uniti, mentre il rapporto Russia-Cina si sta trasformando in alleanza militare. La Russia, infatti, ha ceduto alla Cina missili velocissimi (due volte la velocità del suono) capaci, volando a bassa quota, di colpire le portaerei americane. Contemporaneamente è in atto un avvicinamento con le Chiese Ortodosse le quali a loro volta si stanno riunendo. Un segnale molto significativo è stato dato con due convegni svoltisi di recente a Roma dedicati al monte Athos ed all'esicasmo. A questi convegni hanno partecipato i rappresentanti delle Chiese di Cipro, Bulgaria, Grecia, Romania, Russia, Serbia ed Ucraina.
Potremmo continuare a lungo nella descrizione di un braccio di ferro che ha già fatto molte morti eccellenti. Basterebbe ricordare l'assassinio d'Andrei Kozlov, vice presidente della Banca Centrale Russa seguito dall'assassinio il 10 ottobre 2006 di Aleksander Plokhin, direttore della branca moscovita della Vneshtorgbank, la banca che aveva appena acquisito il 5% di EADS, il gruppo eurospaziale europeo proprietario di Airbus. Questa banca, del resto, è di proprietà dello Stato ed è il braccio finanziario del Cremlino.
Ma noi ricordiamo bene che il secondo conflitto mondiale è scoppiato proprio quando era in atto un processo di integrazione russo-tedesco e contemporaneamente il processo di occupazione giapponese di parte della Cina e del sud-est asiatico. Cioè quando si stavano creando due spazi di assoluta autosufficienza che avrebbero escluso gli USA dai grandi interessi globali ed espulso l'Inghilterra dai suoi vecchi possedimenti.
Com'è dimostrato dagli eventi storici, le infrastrutture nascono e si sviluppano autonomamente, sulla base d'esigenze economiche improcrastinabili. La nascita dell'UEO è stata, infatti, punteggiata dallo sviluppo di progetti e di realizzazioni nel campo della viabilità che una volta installate non potranno più essere cancellate. È quanto accaduto per le strade costruite dai romani, che tutt'oggi garantiscono quelle fondamentali comunicazioni che hanno di fatto creato l'Europa Imperiale. Ne costituisce una valida dimostrazione il libro di Favaretto-Gobet: , "L'Italia, L'Europa centro-orientale ed i Balcani. Corridoi paneuropei di trasporto e prospettive di cooperazione", Laterza, 2001.
Pertanto, qualora per grande disgrazia forze isolazioniste dovessero prevalere nel nostro paese, la preesistenza di questi corridoi ne renderebbe vano qualsiasi intervento. E ci riferiamo a quel «Ceto politico verde, uno dei ceti politici più gregari e fallimentari della recente storia del continente» come lo definisce Costanzo Preve nel recente "Il paradosso De Benoist. Un confronto politico e filosofico", Settimo Sigillo, 2006.
Se a queste strutture preesistenti si riesce a sovrapporre un grande progetto geopolitico, allora potremmo assistere, lo vivranno, speriamo, i nostri posteri, ad un nuovo Rinascimento economico-politico-culturale. Quale sognato dai nostri padri del XX secolo.
È quanto prospettato dal progetto illustrato di recente a Roma da Lyndon LaRouche, che è sempre stato un grande anticipatore di progetti geniali. Solo attraverso l'Eurasia, infatti, è possibile dare avvio a grandi progetti nei settori dell'energia, delle comunicazioni, della gestione dei grandi sistemi idraulici e degli insediamenti urbani. Il progetto ferroviario, infatti, unirebbe via terra con un sistema di ponti e tunnel ed utilizzando treni a levitazione magnetica già approntati in Germania, l'Europa centrale (ed eventualmente la Turchia) con la Siberia settentrionale e con l'Asia centrale favorendone lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo ed eludendo il blocco navale atlantico.
Come scrive LaRouche «… grazie ad un ruolo di mediazione della Russia, che storicamente merita più d'ogni altra il nome di nazione eurasiatica (…) è possibile per l'Europa unirsi alla Russia ed alle nazioni asiatiche nella realizzazione di un sistema che, invece di concentrarsi sui mercati del consumo e degli investimenti finanziari, si proponga lo sviluppo a lungo termine delle capacità produttive di queste nazioni ...»
È in sostanza, quanto si proponeva Mussolini invadendo la Russia, come abbiamo cercato in precedenza di dimostrare, nell'ambito della lotta contro la speculazione finanziaria e l'usura.
Ma non è tutto, per quanto riguarda l'Italia, LaRouche propone anche il ripristino del credito pubblico con l'emissione di euroequivalenti in moneta sovrana dello Stato Italiano, garantita dal credito pubblico e protetta dagli attacchi speculativi, come quello a suo tempo attuato da Soros assecondato da Ciampi, con i quali finanziare infrastrutture su larga scala capaci di trainare una ripresa generale. Ma per far ciò, prosegue LaRouche, «La banca centrale va tolta dalle mani delle banche e delle oligarchie private e ricondotta in ambito costituzionale, cioè pubblico».
Come si può costatare, il conto torna.


Commiato


Quanto fin qui scritto costituisce solo la prefazione ad un'esposizione di articoli selezionati che hanno costellato un'epoca. Nessuno di Noi, che ci sentiamo i pochi rimasti di una stagione inimitabile, vuole proporsi come maestro di chicchessia, anche perché conosciamo i nostri polli. Tuttavia, ci confortano alcuni dati. L'interesse che la Repubblica Sociale Italiana suscita nel mondo è impressionante. Ovunque si elaborano teorie politiche e si studia con intenti seri la Storia, la RSI è sempre presente.
Ma c'è qualcosa su cui mi piace soffermarmi. Un qualcosa del tutto insolito. Si tratta della vita di M. J. L. Adolphe Thiers. Un uomo notevole. Attore di primo piano nello scacchiere internazionale per conto di coloro che governavano la Francia dell'ottocento. Invito a leggerne la biografia, interessantissima e piena di fatti rilevanti. Scrittore di storia ("Storia del Consolato e dell'Impero" in 20 volumi). Presidente della Repubblica dal 1871, fu costretto alle dimissioni dal potente schieramento monarchico nel 1873. Un uomo da citare in ogni momento. Invece la Storia l'ha completamente dimenticato. E c'è una ragione: ha represso nel sangue la Comune di Parigi, che era comunarda, e quindi criticabile da un punto di vista ideologico, certamente non da Noi, ma che si era costituita, similmente alla Repubblica Romana del 1849, come reazione contro l'ignominia della capitolazione. Il popolo di solito ha un senso dell'onore e della dignità naturale molto superiore alla classe dirigente borghese, che vede solo i propri affari.
Quanto al sottoscritto, mi piace chiudere con una frase di un grande maestro: Lucio Anneo Seneca «Laudari a turpibus infamia vera est. Maxima est hominis laus displicere pravis» che tradotto significa: «La vera infamia consiste nell'essere lodati dalle persone turpi. La massima lode per un uomo è dispiacere ai malvagi», mentre un altro grande, che tentò di reagire alla decadenza, Rutilio Namaziano, scrive: «Materies vitiis aurum letale parandis, auri caecus amor ducit in omne nefas» che significa «L'oro mortale: materia per ogni perversione! L'amore cieco dell'oro trascina ad ogni empietà».
Chi vuole intendere intenda..

Giorgio Vitali