da
http://www.secoloditalia.it/stories/Politica/3984_lincendiario_di_anime_che_faceva_sognare_i_giovani/
Pino Rauti
L'incendiario della anime
che faceva sognare i giovani
Annalisa
Terranova (2 novembre
2012)
la NOTA di Giorgio Vitali
Questo articolo è esemplare per
capire l'ambivalenza della politica. Chi conosce i retroscena è
colui che SA e non subisce la propaganda politica ed ideologica. Su
questo argomento abbiamo discusso in tre per i video di Accademia
della Libertà che saranno disponibili su Youtube fra qualche giorno.
L'ambivalenza della politica è proprio questa. Giustissime le
asserzioni di Rauti citate nell'articolo. Azione politica quanto mai
auspicabile e questo è quanto dovremmo fare noi se vogliamo uscire
dal pelago infame e tuttavia, al di la delle parole e degli
articoli, è proprio quello che da Rauti non fu fatto!
Noi sappiamo perché. E lo abbiamo confermato in tanti scritti,
rivelazioni, inchieste, libri (specie quelli delle edizioni
Chiarelettere). Ruolo e funzione delle chiacchiere, anche se si
tratta di proposte da condividere.
Noi sappiamo benissimo come sono andate le cose perchè le abbiamo
constatate da vicino. Ecco tutto.
In ogni caso, come diceva RAUTI, bisogna informarsi. SENZA
informazione, ed in Italia di testi utili se ne trovano a bizzeffe,
non si capisce nulla.
Come il fatto che dal 1945 l'Italia
è di fatto una PROPRIETÀ ANGLO AMERICANA. |
Tra pochi giorni Pino Rauti avrebbe compiuto 86
anni. Con la sua morte un altro pezzo importante, indimenticabile, del mondo
della destra italiana viene consegnato alla storia. Rauti ha attraversato il
Novecento facendosi contaminare dalle contraddittorie passioni e dalle
incendiarie speranze di un secolo che sfidava gli animi più inquieti e
avventurosi, gli intelletti più acuti, i giovani più disposti a mettersi in
gioco. Rauti fu uno di quei giovani: a 16 anni si arruola nella Rsi e alla fine
del 1946 partecipa alla fondazione del Movimento sociale. Negli anni Cinquanta
fu vicino al pensiero radicale di Julius Evola, fonda il Centro Studi Ordine
Nuovo ritenendo di dare continuità a un fascismo di tipo spirituale, quello
legato al mito dell'«uomo nuovo». Rientra nel MSI nel 1969 (da dove era uscito
con l'avvento alla segreteria di Arturo Michelini) con l'arrivo di Giorgio
Almirante al timone del partito. È alla metà degli anni Settanta però che Rauti
diventa punto di riferimento di un'ampia area giovanile, affascinata dall'idea
di nuove parole d'ordine che giungono a contestare la stessa identità di destra
del MSI, indicando la strada del dialogo con i nemici dell'altro fronte, da
considerare ormai come avversari con cui cercare il confronto e non più lo
scontro. Intuizioni che consentirono di strappare molti giovani alla deriva
terroristica e offrirono a molti altri un modello alternativo all'attivismo
classico. Prospettive che troveranno forma nella mozione congressuale Linea
Futura (al congresso del MSI del 1977), che rappresentò un esperimento di
rottura nella dialettica interna al partito. In questi termini ne parla Marco
Tarchi nel suo libro "Dal MSI ad AN": «Il progetto di innovazione
politico-organizzativa più radicale è quello di Linea Futura, che denuncia
l'insufficienza della strategia di Destra nazionale e si propone di organizzare
la protesta meridionale e spingere il partito a contestare il modello di
sviluppo neocapitalistico, promuovere iniziative anticonsumistiche, prestare
attenzione ai temi ecologici e urbanistici. Le nuove strutture auspicate dai
rautiani – continua Tarchi – mirano ad un "partito di quadri, di organizzaizone
moderna, di militanza politica e sociale, proiettato verso l'esterno", che deve
distinguere tra aderenti e militanti, creare cooperative e comitati di
mobilitazione, uscire alla routine con interventi in ambito sociale e puntare su
un'offerta politica diretta in primo luogo a giovani e donne, che delinei una
controffensiva politica razionale e accantoni nostalgie e ribellismo».
Un modello movimentista difficilmente conciliabile con il partito-apparato da
cui scaturirà la stagione creativa dei Campi Hobbit, uno dei fenomeni più
studiati (e più imitati negli anni successivi) che caratterizzarono il mondo
giovanile a destra. Quell'esperienza aprì orizzonti inediti per i ventenni di
allora, non più costretti nel clichè del militante anticomunista "duro e puro".
La lezione di quei raduni (malvisti dal vertice del MSI) è molto semplice: si
poteva incidere nel proprio tempo anche facendo musica, scrivendo poesie,
tentando di dar vita a un modello comunitario che potesse rappresentare la
naturale evoluzione del "cameratismo" reducistico.
Era paradossale che a capo di questi fermenti vi fosse un uomo come Pino Rauti,
che aveva combattuto, che aveva creduto nella "milizia" senza compromessi di chi
«sta in piedi tra le rovine», che non aveva mai rinnegato il fascismo, un
intellettuale raffinato, scrittore e giornalista, poco incline a far maturare le
sue sintesi dalle complicità con le platee giovanili. Eppure i giovani trovavano
nei suoi discorsi un'ampiezza, una profondità, uno stimolo per uscire dal
"ghetto", per dare prospettive persino vincenti a una condizione di minorità
politica e culturale che era dura da sopportare.
Nei suoi discorsi, soprattutto in quelli, Rauti sapeva toccare le corde giuste.
La memoria corre a quelle parole (non a caso fu definito, un «incendiario di
anime») più che alle schermaglie congressuali, che lo videro avversario prima di
Giorgio Almirante e poi di Gianfranco Fini. Ai giovani Rauti parlava di un
fascismo "metafisico", non quello dei compromessi, dei treni in orario, delle
sciagurate leggi razziali, delle leggi liberticide, ma quello che andava
incontro al popolo, quello che si chinava sugli ultimi per tentarne il riscatto,
quello sociale e socialista. E con quel "fascismo immenso e rosso", che poteva
piacere a destra come a sinistra, che era al di là della destra e della
sinistra, declinava alla sua maniera personalissima il motto "non rinnegare non
restaurare". Là, diceva, stavano le radici, lì stava il senso, lì stava il
retroterra da cui si poteva attingere ancora per non autocondannarsi
all'inattualità. Quelle parole piacevano e commuovevano, come quando raccontava
dell'incontro in Francia con i "falchetti rossi" del Fronte Popolare di Leon
Blum, ormai anziani, e li paragonava alle schiere di bambini derelitti che il
fascismo italiano aveva portato nelle colonie marine, per ritemprarli nel corpo
e nello spirito.
Ma Rauti non sapeva animare solo la memoria. Era uomo capace di sfide
intellettuali. La più ardita: lo sfondamento a sinistra. Anticipò la fine del
comunismo, una fine che sarebbe avvenuta - diceva - non per le armi americane ma
per la diffusione del capitalismo. E chi se non chi proveniva da certe radici,
(dalla "nostra storia", sintetizzava) poteva rialzare il vessillo
dell'anticapitalismo, denunciare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, opporsi al
materialismo che offusca lo spirito e rende le società incapaci di risollevarsi?
Su questo terreno, predicava Rauti, con la sinistra si potevano trovare punti di
contatto, superando al contempo la paludosa politica democristiana e il logoro
antifascismo militante. Un sogno. Una speranza. Un tema che fu tra i più
osteggiati e ridicolizzati all'interno del MSI ma che allo stesso tempo, anche
attraverso gli articoli del quindicinale "Linea", aveva modo di ricollegarsi a
un filone di autori come Sombart e Max Weber. Un tema capace di scavare nel
solco aureo di pensatori trascurati e marginalizzati dalla cultura progressista.
Perché bisognava leggere, e tanto, per dialogare con gli avversari, per
convincerli, per dimostrare loro che la destra non soffriva di alcun complesso
di inferiorità. Un invito che Rauti rivolgeva soprattutto alla classe dirigente
di un partito che a suo avviso si accontentava di vivacchiare sulle parole
d'ordine dell'anticomunismo: «Dovete mettervi a studiare», esortava. Ed era
un'esortazione che conteneva anche una pesante critica all'approssimazione di
una politica fondata sulla "pesca delle occasioni".
Anche sull'immigrazione, altro tema ruvido per la destra, Rauti seppe indicare
la strada difficile ma salutare per uscire dal recinto ottuso della xenofobia e
proprio quando conquistò la segreteria del MSI, nel 1990. L'immigrato non è un
nemico, diceva, ma uno "sradicato". Un'analisi che diventava aneddotica nei suoi
discorsi, come quando raccontava di avere visto a Birmingham un gruppo di
bambini di colore che sguazzavano in una pozzanghera: «E io mi chiedevo e mi
chiedo: che ci fanno questi bambini sotto il cielo grigio di Birmingham?». Anche
loro sfruttati da un Occidente in preda al tramonto spengleriano, ingranaggi di
quella logica del profitto che assurgeva, nei suoi discorsi, a vero, reale,
«nemico principale».
Eccola la lezione più grande: ci vuole l'analisi, oltre all'elmetto. E ci vuole
l'orgoglio delle radici europee e italiane per non morire schiavi delle mode
USA: «Ricordate: c'è più storia nella piccola Pienza che in tutta Los Angeles».
A Fiuggi Rauti si oppose, solo e negletto, alla trasformazione del MSI in AN. E
si condannò lui stesso, politico che aveva sempre saputo guardare più in là di
tutti, a rivestire i panni del nostalgico. Ma memorabile rimase la chiusa
dell'intervento con cui diede l'addio agli ex camerati: «Trasformerete questo
partito in una vecchia baldracca».
Annalisa
Terranova
Condividi
|