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La "Vulgata":

un vile assassinio raccontato come una ridicola farsa

 

Maurizio Barozzi     

     

Quando parliamo di "vulgata", come spregiativamente ebbe a definirla lo storico Renzo De Felice, cioè la "storica versione" su la morte di Mussolini, spudoratamente tramandata ai posteri, ci riferiamo ad un insieme di documenti e testimonianze, rilasciati, dal dopoguerra in avanti, più che altro dall'ex partito comunista e da partigiani attestati attori di quegli eventi, anche se questi testi, come vedremo, presentano tra loro un quadro sostanzialmente simile, ma non uguale e alquanto incongruente e contraddittorio. Non essendo comunque possibile scegliere e prediligere un testo invece che un altro, perche sono tutti documenti e testimonianze riconosciuti dalla letteratura resistenziale, dobbiamo considerarli come un corpo unico spacciato per "versione ufficiale" di quegli eventi.

In ogni caso, visto che vergognosamente non venne mai resa una relazione ufficiale allo Stato italiano, sono questi qui appresso elencati i sacri testi della "storica versione" elaborati su le testimonianze del trio di "giustizieri" (Audisio, Lampredi, Moretti) dicesi presenti ai fatti:

1. il sintetico resoconto pubblicato dal"l'Unità" il 30 aprile 1945, reso da un anonimo "giustiziere" (prima versione, emessa a poco più di 36 ore dai fatti);

2. i 24 articoli pubblicati dal"l'Unità" dal 18 novembre al 24 dicembre 1945, su relazioni del colonnello Valerio, avallati da due righe di presentazione scritte da Luigi Longo, già comandante delle Brigate Garibaldi e vice comandante del CVL (seconda versione);

3. i sei articoli, nomati "Il Colonnello Valerio racconta", pubblicati ancora sul"l'Unità" a partire dal 25 marzo del 1947 e questa volta firmati da Walter Audisio (terza versione);

4. il Libro postumo di Walter Audisio, "In nome del Popolo italiano" Edizioni Teti 1975, simile, ma non del tutto uguale alla versione del 1947 (terza versione bis)

5. la "Relazione riservata al partito" del 1972 di Aldo Lampredi (Guido Conti) resa nota integralmente dal"l'Unità", il 23 gennaio del 1996 (quarta versione);

6. le testimonianze di Michele Moretti (Pietro Gatti), rese negli anni e soprattutto quelle a Giusto Perretta, presidente dell'Istituto comasco per la storia del movimento di Liberazione, e riportate in Dongo, 28 aprile 1945. La verità, Ed. Actac 1990 (quinta e ultima versione).

Considereremo le contraddizioni e le incongruenze più evidenti, riguardanti gli eventi della fucilazione di Mussolini, dicesi avvenuta alle 16,10 davanti al cancello di Villa Belmonte in Giulino di Mezzegra Le difformità della "vulgata", in effetti, nascono dal fatto che Audisio e/o gli estensori di queste relazioni, dovettero inventare e "condire" una macabra messa in scena, ovvero una finta fucilazione pomeridiana di due persone, in realtà ammazzate al mattino con tutt'altre modalità e in altri posti.

Ai giorni nostri oramai ben pochi credono più alla "vulgata", tranne ovviamente gli Istituti resistenziali, finanziati anche con pubblico denaro, che trincerandosi dietro la mancanza di prove oggettive e documentate, non intendono metterla in dubbio. Del resto, se la vulgata venisse ufficialmente rinnegata, sarebbe uno sputtanamento generale di tutta la Resistenza, uno sbugiardare uomini e cariche di un certo rilievo per le quali in passato venne anche richiesta la medaglia d'oro ed oltretutto aprire un ampio ventaglio di revisioni storiche che non si potrebbe poi più controllare.

È per questo che tutto al più, timidamente e sottovoce, gli ambienti resistenziali hanno recentemente accettato, in via ipotetica e sollecitati da certi rilievi balistici che non combaciano con la "vulgata", che forse oltre ad Audisio, contro Mussolini e la Petacci, sparò anche Lampredi e/o Moretti e che, in buona parte, certi sproloqui di Audisio, riportati nelle sue relazioni ed atti a denigrare Mussolini o autoincensarsi, rientravano forse in certe necessità politiche del tempo.

Ma tutto questo senza neanche dichiararlo apertamente, anche perché, in caso contrario, se si dovesse ufficializzare che non fu il solo Audisio a sparare a Mussolini, verrebbe soprattutto smentita la famosa e ambigua Relazione al partito di Lampredi (quarta versione), scritta, forse per necessità del momento, nel 1972 e poi tenuta nascosta perché magari non più necessaria, fino al 1996. Ebbene ne risulterebbe che clamorosamente il Lampredi avrebbe mentito a sé stesso e al suo partito che, tra l'altro oltre a conoscere bene come andarono gli avvenimenti, aveva negli anni '70 ancora vivi Longo, Moretti, Audisio, Gorreri e altri personaggi. Insomma una assurdità, del resto dimostrata dalla confidenza del regista Carlo Lizzani, al tempo vicino ad ambienti comunisti e autore del famoso film del 1974 "Mussolini ultimo atto" , di fatto la "vulgata" riversata in pellicola, che tanto aveva contribuito a diffondere questa fola nell'immaginario collettivo.

Ebbene il Lizzani in un suo libro di memorie del 2007 ebbe a scrivere che Sandro Pertini, un pezzo da novanta della resistenza, vedendo il film e lamentandosi che il suo personaggio non era stato correttamente tratteggiano gli scrisse chiaro e tondo: «…e poi non fu Audisio a eseguire la "sentenza", ma questo non si deve dire oggi»!

Comunque sia, ad onor del vero, possiamo dire che alcune discrasie, assurdità ed inesattezze presenti nelle plurime e multiformi versioni della "vulgata" possono anche dipendere da esigenze contingenti (per esempio il voler a tutti i costi distruggere l'immagine di Mussolini, o dare una certa importanza anche al Lampredi che fino agli inizi degli anni '70 Audisio definiva al momento della fucilazione "freddo e distante", e poi nel suo libro postumo del 1975 definisce invece "attento e partecipe".

Ma come vedremo, altri importanti particolari, come per esempio la descrizione dei luoghi e dei tragitti totalmente sballata, lo stivale destro di Mussolini rotto nel retro, le fasi della fucilazione, ecc. sono tutti elementi che fanno capire come questa vulgata sia tutta una bufala.

Nel 2006, l'inattendibilità della vulgata l'ha anche dimostrata la perizia fattala celebre Istituto di Medicina Legale di Pavia da una equipe del prof. Giovanni Pierucci, dove con rilievi e tecniche computerizzate e di avanguardia si è dimostrato in pieno quello che già si intuiva ad occhio, ovvero che il giaccone presente sul cadavere di Mussolini gettato sul selciato di Piazzale Loreto, non aveva fori o strappi quali esiti di una fucilazione, nonostante doveva essere stato raggiunto da circa nove colpi di armi da fuoco. Ergo Mussolini non era stato ucciso alle 16,10 al cancello di Villa Belmonte, ma vi fu qui gettato dopo essere stato rivestito da morto! Se non sono elementi oggettivi questi, non vediamo quali altri potrebbero essere in una vicenda dove non c'è una foto o uno straccio di relazione ufficiale agli organi dello Stato.

E come mai, dovremmo chiedere a questi ricercatori di elementi oggettivi e probanti, il vicesindaco di Mezzegra Vittorio Bianchi venne a dichiarare in una intervista televisiva ad una emittente di Como, che a suo tempo gli abitanti del circondario di Mezzegra vennero zittiti. Non avevamo bisogno che ce lo venisse a dire il vicesindaco di Mezzegre, perché le testimonianze del posto erano state spesso eloquenti. Ma non si chiedono questi cultori della memoria storica della "Vulgata" come mai, se questa versione fosse stata veritiera, ci fu la necessità di tacitare, con ogni mezzo, la popolazione del posto

Descrizione dei luoghi e dei percorsi. Iniziamo con la descrizione dei percorsi e delle strade che verso le 16 di quel sabato 28 aprile, il famoso colonnello Valerio ovvero il ragionier Walter Audisio avrebbe fatto con Lampredi Guido e Moretti Pietro per andare a prendere Mussolini e la Petacci nascosti nella casa colonica dei De Maria a Bonzanigo (una casa descritta come una "casetta a mezza costa incastonata nella montagna", quando invece è una grossa costruzione di tre piani. È stupefacente constatare tutta una serie di errate indicazioni, tanto da far pensare che chi ha riportato queste descrizioni forse non è neppure mai stato a Bonzanigo, ma ha solo raccolto e messo insieme una serie di approssimativi appunti.

La "vulgata" sostiene che Audisio, Lampredi e Moretti, provenienti da Dongo con l'autista Giovanbattista Geninazza, percorsero in auto via XXIV maggio e sbucarono quindi sulla piazzetta del Lavatoio a Mezzegra nella frazione di Giulino dove lasciarono la macchina. Quindi si inoltrarono per le viuzze che dopo pochi metri a livello costante, curvando a destra nella piazzetta Rosati, portano con un percorso in discesa per via del Riale, alla casa dei De Maria. Qui prelevarono il Duce e la Petacci e poi, tornando indietro, risalirono all'inverso via del Riale. In pratica un percorso opposto a quello che fecero la notte precedente i partigiani che avevano tradotto il Duce in quella casa e che venendo dalla parte opposta salirono per la via Albana, fermandosi su uno spiazzo erboso nella frazione di Bonzanigo e proseguirono a piedi per la mulattiera via del Riale che sale fino al palazzo dei De Maria.

- Dicembre '45 "l'Unità", Seconda versione: (arrivo in auto alla piazzetta del Lavatoio) «...la strada vicinale per la quale l'automobile si inerpicava a fatica era stretta e deserta… La casetta era a mezza costa… l'automobile non può arrivare fin lassù. Valerio scende ed entra solo nella stanza» [impreciso: dal Lavatoio, andando verso casa De Maria, occorre poi fare a piedi un percorso in discesa. Notare il Valerio che entra "solo" nella stanza, quando invece Moretti dirà che fu lui a entrarvi per primo, n.d.r. Piccole, ma significative differenze].

- 30 aprile '45 "l'Unità" Prima versione "Anonimo giustiziere": (uscita dalla casa) «...la Petacci si affiancò a Mussolini, seguiti da me fecero la mulattiera che scende alla mezza costa fino al punto in cui era ferma la macchina» [errato: provenendo da casa De Maria e tornando verso la piazzetta del Lavatorio, si deve salire, n.d.r.].

- Dicembre '45 "l'Unità" e Libro di Audisio "In nome del popolo italiano" 1975, Seconda e terza versione bis: (uscita dalla casa) «...ci avviammo per la mulattiera che scende dalla mezza costa fino al punto in cui era ferma l'automobile». Poi nel Libro: «E la Petacci si affiancò così a Mussolini… Ci avviammo per la mulattiera che scendeva dalla mezza costa fino al punto in cui era rimasta ferma la nostra 1100 nera» [Errato: idem come sopra].

- Libro di Audisio 1975: (arrivo in auto) «Lasciata la strada del lungolago, dopo Mezzegra, la strada vicinale per la quale la macchina si inerpicava a fatica, stretta e deserta, ci conduceva a Bonzanigo… Lungo questo percorso scelsi il luogo dell'esecuzione: una curva, un cancello chiuso su un frutteto, la casa sul fondo palesemente deserta ... La casa dei De Maria era a mezza costa incastonata nella montagna …»

[descrizioni malamente approssimate. Non è possibile raggiungere Giulino in auto salendo verso Bonzanigo n.d.r.).

- Relazione Lampredi 1972: dopo aver descritto il ritorno con i prigionieri verso la macchina lasciata sulla piazzetta del Lavatoio, il Lampredi incorre nell'ennesimo errore di percorso, affermando: «... scendemmo (era esatto dire "salimmo") a piedi verso la macchina».

- Testimonianze Michele Moretti: solo dopo molti anni, Moretti, evidentemente oramai ammaestrato, descrisse l'esatto senso in salita e discesa di quell'andirivieni.

I componenti la missione di fucilatori. La "vulgata", per la fucilazione di Mussolini, finì per indicare, come coloro che si recarono a Bonzanigo e Mezzegra: Walter Audisio Valerio il fucilatore, Aldo Lampredi Guido alto dirigente comunista e Michele Moretti Pietro, commissario comunista della 52a Brigata Garibaldi. Però il 30 aprile '45 l' "anonimo giustiziere", oltre a sè stesso non citò altri, facendo al massimo intuire che vi fosse un autista. Otto mesi dopo nell'ampia e ben ponderata relazione, attestata da Luigi Longo, si scrisse:

- Dicembre '45 "l'Unità" (seconda versione): «...Valerio parte in automobile verso la casa di Bonzanigo dove si trovano Mussolini e la Petacci. Lo accompagnano Guido ed il vice commissario della 52a Brigata Garibaldi, Bill (Urbano Lazzaro, n.d.r.), che il comandante Pedro aveva messo a sua disposizione». Una menzogna, subito smentita dallo stesso Lazzaro che era rimasto a Dongo. Questo scambio di persona non poteva che avere lo scopo di coinvolgere nella bufala da divulgare una fonte non comunista. Il PCI ci aveva provato.

Accesso in casa dei De Maria del trio dei "giustizieri".

- 30 aprile '45 "l'Unità" Prima versione: Si inizia descrivendo Mussolini e la Petacci «in una camera senza finestra». Come abbia potuto, l'allora ancora "anonimo giustiziere", non rilevare l'ampia finestra della stanza, tra l'altra principale fonte di luce, è assurdo.

Proseguiamo: «... entrai con il mitra spianato. Mussolini era in piedi vicino al letto: indossava un soprabito nocciola, il berretto della GNR senza fregio, gli stivaloni rotti di dietro».

Strano che Mussolini alle 16 del pomeriggio stesse in stanza con indosso soprabito e berretto, ma clamorosa è l'indicazione dello stivale di Mussolini rotto nel retro, come tutti lo avevano poi notato ai piedi del cadavere. Oggi però sappiamo che lo stivale destro di Mussolini non era sdrucito, ma non poteva chiudersi perche era saltata la chiusura lampo al tallone, e quindi il Duce sarebbe stato impossibilitato a camminare per essere trasportato fuori dalla casa.

- Dicembre '45 "l'Unità" Seconda versione. Precisa che lo stivale destro era sdrucito dietro e descrive una incredibile passeggiata a piedi: «Claretta saltellava per la via scoscesa (in realtà avrebbe dovuto essere in salita, n.d.r.) impacciata dai tacchi alti delle scarpette di cuoio nero. Il Duce, più Duce che mai camminava spedito, sicuro» (con lo stivale aperto!, n.d.r.).

Gli estensori di queste relazioni, sapendo che lo stivale destro di Mussolini era poi stato notato "sdrucito" al piede del cadavere, condirono i loro racconti con questo particolare, non sapendo però che si trattava della rottura della saracinesca con impossibilità di chiusura e deambulazione, in contraddizione quindi con la passeggiata a piedi verso la macchina.

- Relazione di Lampredi del 1972: «Entrammo e ricordo con grande vivezza che alla mia destra, vicino alla porta, in piedi, stava Mussolini... avevo davanti a me un vecchietto bianco di capelli». Strana osservazione su di una persona tutta pelata anche con rasatura, che era stata sbarbata, dal milite barbiere Montermini, il pomeriggio del 26 aprile a Grandola, n.d.r.

Cancello di Villa Belmonte preparativi della fucilazione.

- 30 aprile '45 "l'Unità" e Dicembre '45 "l'Unità" Prima e seconda versione: «Si mise (Mussolini, n.d.r.) con la schiena al muro, al posto indicato, con la Petacci al fianco. Silenzio. Improvviso, pronunciai la sentenza di condanna contro il criminale di guerra: Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano».

- Marzo 1947 "l'Unità" e Libro Audisio 1975, versioni terza e terza bis: «… Improvvisamente cominciai a leggere il testo della condanna a morte del criminale di guerra Mussolini Benito: Per ordine del Comando Generale del Corpo volontari della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano».

- Relazione Lampredi 1975: «Audisio non lesse alcuna sentenza, forse disse qualche parola, ma non ne sono sicuro».

- Testimonianza Moretti: «Vistisi collocati (Mussolini e la Petacci, n.d.r.) contro il muro e vedendo Valerio che immediatamente si era messo a pronunciare la sentenza di morte "In nome del popolo italiano", dopo aver imbracciato il mitra, si sentirono perduti».

Come vedesi con enorme faccia tosta si passa da un pronunciamento a voce di una pseudo sentenza di morte, ad una esplicita lettura della stessa. Chissà cosa sarà passato nella mente degli estensori di questa "vulgata". È probabile che la faccenda del pronunciamento o lettura di una sentenza fu introdotto per dare un senso legale, a vantaggio dell'agiografia resistenziale, di un assassinio che coinvolse anche una donna.

La presenza di Aldo Lampredi Guido nei momenti della fucilazione

- Dicembre '45 "l'Unità" Seconda versione: «C'era Guido, ma era freddo e distante, quasi non fosse un uomo ma un testimonio impassibile».

- Marzo '45 "l'Unità" Terza versione: Lampredi Guido viene ridefinito: «freddo e distante».

- Libro 1975 di Audisio: raccontando gli stessi momenti della fucilazione si dice ora del Lampredi: «C'era Guido, attento e partecipe». Una metamorfosi da manicomio!

Fucilazione di una donna: Clara Petacci. Senza mai spiegare perchè una donna, oltretutto non passibile di pena di morte, venne portata assieme a Mussolini fin sul posto della fucilazione, ecco come la poliforme "vulgata" descrisse questo assassinio:

- 30 aprile '45 "l'Unità" Prima versione: «Da una distanza di tre passi feci partire cinque colpi contro Mussolini, che si accasciò sulle ginocchia con la testa leggermente reclinata sul petto. Poi fu la volta della Petacci. Giustizia era fatta …». Quindi dal testo si può dedurne una manifesta volontà di ucciderla.

- Relazione Lampredi 1972, quarta versione: «Tra me e Audisio non ci fu discussione a proposito della Petacci tanto normale ci parve dovesse seguire la sorte di Mussolini». Esplicita, chiara e condivisa decisione di ucciderla.

- Dicembre '45 "l'Unità" Seconda versione: «La Petacci che gli stava al fianco impietrita e che nel frattempo aveva perso ogni nozione di sé, cadde anche lei di quarto a terra, rigida come un legno, e rimase stecchita sull'erba umida» (Impietrita? erba umida?, dove? N.d.r.).

- Marzo 1947 "l'Unità" e Libro Audisio 1975: «La Petacci, fuori di sé, stordita, si mosse confusamente, fu colpita e cadde di quarto a terra». Qui finalmente sappiamo come è veramente andata: la donna, non più impietrita, ma fuori di sè si è mezza suicidata!

Ma clamoroso è il fatto che davanti al cancello di Villa Belmonte non c'era assolutamente dell'erba come descritto dalla seconda versione del Dicembre '45!

La fucilazione di Mussolini. Senza mai spiegare l'inspiegabile, ovvero perchè Mussolini, il criminale di guerra N. 2, venne fucilato di nascosto e al petto, mentre gli altri rappresentanti della RSI, un paio di ore dopo, si pretese rabbiosamente di fucilarli alla schiena e davanti a tutta la popolazione, ecco la descrizione delle modalità della fucilazione.

- 30 aprile '45 "l'Unità" Prima versione: «Da una distanza di tre passi feci partire cinque colpi contro Mussolini, che si accasciò sulle ginocchia con la testa leggermente reclinata sul petto». Ma quella stessa mattina in cui uscì "l'Unità" (ovviamente preparata la notte precedente), il prof. Mario Cattabeni eseguì la necroscopia del cadavere di Mussolini e segnalò 9 colpi pre mortali. Occorreva aggiustare e adattare ai risultati della necroscopia le relazioni, successive a questa stringata del 30 aprile. Si iniziò a farlo otto mesi dopo e anche in seguito, incorrendo in un incoerente e ridicolo balletto di spari.

- Dicembre '45 "l'Unità" Seconda versione: «... con il MAS in mano, scaricai cinque colpi al cuore del criminale di guerra N. 2 che si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa leggermente reclinata sul petto. Non era morto. Tirai ancora una sventagliata rabbiosa di quattro colpi. Resto per un paio di minuti accanto ai due giustiziati, per constatare che il loro trapasso fosse definitivo. Mussolini respirava ancora e gli diressi un sesto (sic.!) colpo dritto al cuore».

- Marzo '47 "l'Unità" Terza versione: «Scarico 5 colpi. Il criminale si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto. Non era ancora morto. Gli tirai una sesta raffica di 4 colpi. Mussolini respirava ancora e gli diressi sempre con il MAS (quindi con il mitra, n.d.r.) un ultimo colpo al cuore».

Le famose pistole che si incepparono.

- Dicembre '45 "l'Unità" Seconda versione: «Faccio scattare il grilletto ma i colpi non partono. Il mitra era inceppato. Manovro l'otturatore, ritento il tiro, ma l'arma del 'regime' (clamoroso, questo fanfarone non saprebbe neppure che il suo mitra è un Thompson americano, n.d.r.) decisamente non voleva sparare. Cedo allora il mitra al compagno Guido, estraggo la pistola, punto per il tiro ma, sembra una fatalità, la pistola non spara. Mussolini non sembra essersene accorto... Passo la pistola a Guido, impugno il mitra per la canna, pronto a servirmene come di una clava e chiamo a gran voce Bill (che invece non era lui, n.d.r.) che mi porti il suo MAS».

- Marzo '47 "l'Unità" Terza versione: «Passo il mitra a Guido, impugno la pistola: anche la pistola si inceppa. Passo a Guido la rivoltella, afferro il mitra per la canna, chiamo a voce il commissario della 52a (Moretti, n.d.r.) che viene di corsa a portarmi il suo MAS».

Quindi in queste due versioni la pistola inceppatasi sembra essere di Audisio stesso.

- Libro Audisio 1975 Terza versione bis: «...il mitra si era inceppato. Manovrai l'otturatore, ritentai il tiro, ma l'arma non sparò. Guidò impugnò la pistola puntò per il tiro, ma sembrava una fatalità, la pistola era inceppata» (bacchetta magica: ora la pistola è di Guido! n.d.r.).

- Relazione Lampredi 1972: «Puntò il mitra (Audisio, n.d.r.), ma l'arma non funzionò. Io (Lampredi, n.d.r.) che stavo alla sua destra, presi la pistola che avevo nella tasca del soprabito, premetti il grilletto, ma inutilmente: la pistola si era inceppata».

- Testimonianza Moretti: «Valerio nervosamente afferrò l'arma (il Mas che Moretti gli ha dato in cambio del Thompson che si era inceppato, n.d.r.), la imbracciò e si girò a sinistra per sparare... partì subito una raffica un attimo dopo essi erano a terra... Valerio mi chiese ancora la mia pistola e sparò il colpo di grazia a Mussolini che ancora rantolava».

Miracolo: appare ora una pistola, di Moretti, che spara il colpo di grazia (ma non aveva detto Audisio di averlo sparato con il mitra Mas?): con la vulgata le sorprese non finiscono mai!

Ecco come questa tragica farsa, venne messa in burletta dal giornalista Bruno Spampanato nel suo "Contromemoriale" pubblicato sul "Meridiano Illustrato" nel dopoguerra:

«La prima volta (prima versione del 30 aprile '45) tutto procede regolarmente ed il colonnello, a tre passi, con i suoi bravi 5 colpi liquida il bersaglio.

La seconda volta (seconda versione del dicembre '45) una vera sequenza da western: il colonnello vuole sparare, non spara, lascia il mitra, prende la pistola, lascia la pistola, prende il MAS, tira 5 colpi e poi 4 colpi e poi un ultimo colpo che sarebbe il decimo e lui dice che è il sesto; e chi gli ha portato il MAS che funziona è il vicecommissario, che poi è il commissario e si chiama Bill e invece si chiama Pietro Gatti, cioè Moretti; e quel Guido, il più importante di tutti, che resta 'freddo… impassibile… e che sta a raccattare le armi che non vanno come il ragazzo che regge le mazze da golf…

La terza volta (terza versione del 1947), Valerio ha chiamato che gli si portasse il MAS 'a voce alta': troppo poco a 100 metri di distanza; nel secondo racconto aveva chiamato a 'gran voce'!».

Ogni altro commento è superfluo.

Ma ricordate i due guardiani di Mussolini in casa De Maria? Che fine hanno fatto, perchè non sono presenti al momento della fucilazione? Ecco come lo spiega Michele Moretti:

- Testimonianza Moretti: «Invitai Sandrino e Lino a seguirci (uscendo da casa De Maria con i prigionieri, n.d.r.), ma essi essendosi in precedenza tolte senza slacciarle le scarpe, tardarono del tempo prima di poterci raggiungere avendo creduto che avessimo percorso nello scendere la mulattiera, mentre noi avevamo percorso la strada che conduce prima al lavatoio e poi si immette nella provinciale».

Praticamente il Moretti ci prese tutti per deficienti, visto che dovremmo credere che all'arrivo dei tre "compagni di merende" in quella casa, che tra l'altro per accedervi bisognava prima entrare in un cancello e quindi salire delle scale ricavate nel muro, il Frangi Lino e il Cantoni Sandrino erano senza scarpe, ma oltretutto che quando il trio con i prigionieri uscirono, ovviamente dopo alcuni minuti di preparativi, i suddetti ancora non se le sarebbero rimesse!

E finiamo con il colmo dell'assurdo: la descrizione di come morì Mussolini:

- Audisio descrive più volte un Duce come tremante, pavido, immobile, incapace di dire e fare alcun chè (tranne, biascicare frasi improbabili e senza senso);

- per Lampredi, invece il Duce, dopo essersi scosso da questa inanità, aprendosi il pastrano, griderebbe: «Mirate al cuore!».

- Moretti, infine, molti anni dopo, nel 1990, confesserà che lo vide non troppo sorpreso e quindi lo sentì gridare con foga: «Viva l'Italia!» (e risponde all'intervistatore che gli chiese se questa esternazione gli abbia dato fastidio, che non lo ha infastidito affatto, in quanto si trattava dell'Italia di Mussolini, non certo della sua).

Potremmo andare ancora avanti, ma preferiamo farla finita qui, credendo di aver dato uno spaccato esauriente di questa pluriennale e ridicola buffonata, una "vulgata" che qualche intelligente sindaco o autorità locale decise anche di assumere come testo scolastico!


Maurizio Barozzi