da
http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/09/roberto-franco-la-verita-dellultimo.html
un articolo
su Vincenzo Vinciguerra
La verità dell'ultimo neofascista
Roberto Franco (24 settembre 2014)
la NOTA di Maurizio Barozzi
Essendo sempre interessante tutto ciò che può spronare un
dibattito sulla figura di Vincenzo Vinciguerra, riteniamo
opportuno pubblicare questo articolo a firma Roberto Franco,
che cerca di descrivere la figura di Vincenzo Vinciguerra,
appunto.
Dobbiamo però rilevare che l'articolo non dice niente di
nuovo e risulta anche alquanto superficiale. Oltre ad avere
una sottile, ma neppure troppo nascosta, vena contro
Vinciguerra. In calce all'articolo si dice che la FNCRSI è
una delle due organizzazioni che hanno riposto fiducia in
lui.
È necessario puntualizzare visto che ci sono quelli che
considerano Vinciguerra un visionario e quindi, nel caso.
sarebbe visionaria anche la FNCRSI.
Ebbene si da il caso che le stesse deduzioni di Vinciguerra,
quando questi era poco più di un ragazzo, ovvero nei primi
anni '60 e quando certe infamità stragiste ancora non si
erano verificate, le sue stesse valutazioni, da
Vinciguerra poi ovviamente rafforzate per i tanti tragici
eventi che accaddero negli anni successivi (alcuni dei
quali lui ne fu testimone), le aveva già fatte la FNCRSI, in
tempi non sospetti.
E questo attesta inequivocabilmente la validità storica delle
sue testimonianze.
Anni addietro, la FNCRSI nel suo Foglio di Orientamenti N. 1 del
1997, parlando appunto di Vinciguerra, scrisse:
«Giovane cresciuto nel peggiore neo-fascismo, Vincenzo
Vinciguerra, con la dichiarazione resa al g. i. della Corte
d'Assise di Venezia il 28/4/84, ha saputo assurgere a
livello di autentico fascista: "Mi assumo la responsabilità
piena, completa e totale della ideazione,
dell'organizzazione e dell'esecuzione materiale
dell'attentato di Peteano che si inquadra in una logica di
rottura con la strategia che veniva allora seguita da forze
che ritenevo rivoluzionarie cosiddette di destra e che
invece seguivano una strategia dettata da centri di potere
nazionali ed internazionali, collocati ai vertici dello
Stato (...) decisi un'azione di rottura che segnalasse a
quanti ritenevano inaccettabile il proseguimento di una
lotta politica strumentalizzata, la necessità di dare il via
ad una battaglia politica indipendente contro il regime
politico imperante ..." (ivi, pp. XII e XIII). In quanto
portatori di un'etica che non si arresta al mero giudizio di
approvazione-disapprovazione dei comportamenti riguardo al
bene e al male, ma prosegue il suo iter fino ad inserirsi
nell'atto che dà compimento all'azione concreta, riteniamo
che, con tale dichiarazione, egli ha conseguito l'apice
della coerenza etico-morale, addossandosi l'immane fardello
di un "ergastolo per la libertà" di essere niente altro che
fascista. Onorevole condizione questa, che viene lealmente
apprezzata dalla sentenza del 25/7/87 di quella stessa Corte
d'Assise: "Una posizione indubbiamente singolare quella di
Vincenzo Vinciguerra (...) la sua figura di soldato politico
non è mai venuta meno e mantiene intatta la sua potenzialità
offensiva nei confronti dello stato democratico" (ivi, p.
XIV).
I carabinieri uccisi a Peteano costituiscono perciò
l'incongruo prezzo dovuto non tanto alla lucida disperazione
del Vinciguerra, quanto alla infame prassi di un sistema di
potere che ha fomentato -avvalendosi di manovalanze ora di
destra e ora di sinistra- e attuato l'insana strategia della
tensione, delle stragi di inermi e della sacrilega divisione
del popolo italiano. La FNCRSI confida che il presente
definitivo chiarimento non sia vano».
Maurizio Barozzi |
Figura estremamente atipica
e controversa, quella del terrorista nero Vincenzo Vinciguerra. Catanese
di nascita, muove i primi passi politici negli anni '60 nell'ambito del
MSI e quindi di Ordine Nuovo udinese, di cui diviene uomo di punta.
Si rende colpevole di una strage quando, il 31 maggio 1972, alcuni
carabinieri, avvertiti dal suo camerata Carlo Cicuttini cercano di
aprire una 500 abbandonata con fori di proiettili, in località Peteano
di Sagrado (Gorizia): tre di loro moriranno nell'esplosione di
quest'ultima, mentre un quarto rimarrà gravemente ferito.
Ancora nell'ottobre dello stesso anno, a scopo di autofinanziamento,
pianifica il dirottamento di un Fokker 27 nel quale troverà la morte il
sodale Ivano Boccaccio.
Fugge dall'Italia nel 1974 per scampare l'arresto in relazione a
quest'ultimo episodio. Ritiene tuttavia -e lo dichiarerà nel libro "La
strategia del depistaggio" (Il Fenicottero, 1993)- che militari
dell'Arma e servizi sapessero del coinvolgimento suo e di Cicuttini
nell'attentato di Peteano. Sono troppi gli elementi a portare in quella
direzione, è la sua convinzione. Intorno alla strage di carabinieri è
fiorita una serie incredibile di depistaggi (non va dimenticato che le
vittime erano militari e colleghi di molti fra quanti indagavano),
culminati nell'attribuzione fittizia di responsabilità ad alcuni
malavitosi locali, incastrati sulla base di testimonianze ben
ricompensate e di indizi inesistenti.
La prima tappa della fuga di Vinciguerra è in Spagna, sotto la
protezione del regime franchista. Lì, a suo dire, comprende sino in
fondo le compromissioni di Ordine Nuovo con il potere "democratico e
atlantico" e decide di uscirne, legandosi ad Avanguardia Nazionale e al
suo capo Stefano Delle Chiaie, conosciuto nella penisola iberica.
Stando alla sua autobiografia, "Ergastolo per la libertà" (Arnaud,
1989), anche i rapporti con i camerati di Avanguardia Nazionale non sono
idilliaci, e ciò specialmente durante la latitanza argentina. Infatti
dopo un soggiorno in Cile, Vinciguerra si era rifugiato a Buenos Aires.
Si tratta di permanenze molto sospette per uno che afferma di avere
compiuto una scelta attivamente anti-atlantista, soprattutto perché
resta inserito con funzioni operative nel network di Avanguardia
Nazionale e, dunque, rimane al servizio quantomeno dei regimi di Franco
in Spagna e di Pinochet in Cile. Vinciguerra non ha mai spiegato
interamente cosa fosse successo nei lunghi anni della latitanza: nel
libro succitato sembra talora arrampicarsi un po' sugli specchi, forse
anche per la necessità di coprire persone ancora in vita.
Rientrato in Italia nel '79, nel 1984 decide di dare notizia alla
magistratura (e non di "confessare", precisa) del ruolo da lui ricoperto
nella strage di Peteano. Lo fa, a suo dire, non per "pentimento", ma per
chiarire la collusione di Ordine Nuovo e del resto del neofascismo,
parlamentare e non, con le istituzioni. Quelle stesse istituzioni,
democratiche e atlantiste che i neofascisti asserivano invece di voler
combattere. L'attentato di Peteano, secondo Vinciguerra, è stato l'unico
nella triste storia delle stragi ad essere compiuto "contro" lo Stato e
i suoi rappresentanti, proprio poiché rivolto a carabinieri in servizio
e non a civili.
Da detenuto intraprende a quel punto una battaglia per un ergastolo che
preveda la sua piena e autonoma responsabilità (non coinvolge il
telefonista Cicuttini, riconosciuto in una telefonata registrata dalla
polizia, finché la condanna di quest'ultimo non passa in giudicato), e
la sua indipendenza dalle vergognose omissioni e dai depistaggi da parte
dello Stato -carabinieri e polizia- attuati a sua insaputa e, comunque,
contro la sua volontà. Condannato all'ergastolo in primo grado, rinuncia
all'appello: dichiara di voler dimostrare così di non avere ammesso le
proprie responsabilità per ottenere benefici di sorta. Viene comunque
trascinato in appello, dove i giudici riconfermano la condanna alla
massima pena.
Da questo momento comincia una collaborazione con la magistratura: vuole
far uscire allo scoperto quella che lui considera la verità, cioè la
completa sottomissione del neofascismo extraparlamentare e non, alle
logiche dell'atlantismo e dei suoi rappresentanti in Italia.
Darà un importante contributo allo sforzo di comprensione del giudice
istruttore Guido Salvini, che grazie anche a lui può riaprire, a metà
anni Novanta, i processi sulle stragi attribuite a Ordine Nuovo, a
partire da quella di Piazza Fontana. Anche se un solo imputato (Carlo
Digilio) verrà condannato in via definitiva, la sentenza-ordinanza del
'95 del magistrato milanese rimarrà uno spartiacque di estrema
importanza nell'ambito della storicizzazione della destra eversiva.
Ma Vinciguerra rifiuterà sempre il ruolo di "collaboratore": non ritiene
ad esempio di parlare di quei camerati che egli considera aver agito in
buona fede, indicando solamente i "traditori" di un fascismo che per lui
doveva essere anti-atlantico e anti-sistema. E non altro.
Ma questa strategia finisce per forza di cose per diventare troppo
ambigua. Per questo, nel 1993, il neofascista interrompe per la seconda
volta il "dialogo" con la magistratura. Questa volta per sempre.
Non rinuncia tuttavia a portare avanti la sua battaglia di "soldato
politico" con la memorialistica. La sua ultima uscita si intitola "Stato
d'emergenza" (2013, edito in proprio), e raccoglie una serie di scritti
-dal 1999 al 2013- sulla strage di piazza Fontana con l'intento di far
luce sulla carneficina avvenuta a Milano il 12 dicembre 1969.
Queste episodio si colloca, secondo Vinciguerra, in uno scenario di
continuità con le stragi successive: quella alla Questura di Milano
(1973), dell'Italicus (1974), di piazza Loggia (1974) e finanche la
strage di Bologna (1980), oltre a un gran numero di attentati falliti
per cui individua vari centri operativi: Roma, Milano, Mestre-Venezia,
Trieste, cui si aggiungerà in seguito la Toscana. Per lui tali attentati
sono parte di un unico disegno criminoso: fa notare che gli imputati in
tutti i processi scaturiti dalle indagini di Salvini sono più o meno gli
stessi, e sostiene che il non raggruppare tutti i procedimenti in uno
solo abbia costituito un grave handicap per l'accertamento della verità.
Vedremo più in là i punti salienti di questa tesi
Innanzitutto Vinciguerra ravvisa un coordinamento fra le azioni di MSI,
Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e Fronte Nazionale di Junio Valerio
Borghese.
Avanguardia Nazionale di scioglie nel '65 ma solo formalmente, e i suoi
aderenti finiscono in parte negli altri gruppi eversivi. Il loro scopo è
soprattutto fare manovalanza "coperta" per azioni di guerra non
ortodossa, come l'operazione di affissione di manifesti "cinesi" (in
realtà filo-sovietici a dispetto del nome) nel febbraio '66, promossa
dal direttore del "Borghese" Mario Tedeschi per conto dell'Ufficio
Affari Riservati del Ministero degli Interni. Obiettivo di questa
operazione è creare divisione nella sinistra.
Avanguardia Nazionale non mancherà di ricattare in seguito Tedeschi (e,
tramite lui, Umberto Federico D'Amato, capo dell'Ufficio Affari
Riservati) su questa questione.
Ordine Nuovo invece rientra nel MSI alla vigilia della strage di Piazza
Fontana, per procurarsi un "ombrello" parlamentare in vista del piano
eversivo. Il Movimento Politico Ordine Nuovo di Clemente Graziani si
scinderà dalla casa madre solo formalmente, mentre nel dicembre 1968 si
costituisce ufficialmente il Fronte Nazionale di Borghese, il cui
fallito golpe della fine del '70 è ritenuto da Vinciguerra un mero
tentativo di replica di quello programmato per il fatale dicembre del
'69.
La famosa velina del SID che a ridosso della strage del 12 dicembre
indica in Mario Merlino, Stefano Delle Chiaie e Yves Guérin Sérac i
responsabili degli attentati di Roma, non è frutto di una trappola del
servizio militare -da cui Ordine Nuovo dipende- contro Avanguardia
Nazionale (facente capo al Servizio civile), ma rappresenta una forma di
"avvertimento" e di "ricatto". Per il fascista catanese, nonostante la
rivalità tra i due gruppi extraparlamentari (che culminano persino, a
suo avviso, nell'uccisione di Carmine Palladino figura di prestigio di
Avanguardia Nazionale, da parte dell'ordinovista Pierluigi Concutelli
nel carcere di Novara, nel 1982), le relative azioni sono state sempre
parte di un unico disegno. Resterebbe da spiegare come mai per alcuni
anni dopo l'assunzione di responsabilità su Peteano, Vinciguerra si
consideri ancora legato ad Avanguardia Nazionale e lanci le sue accuse
praticamente solo verso Ordine Nuovo.
Secondo lui il modello dell'atto terroristico da attribuire ad anarchici
o comunisti (con successive e violente manifestazioni in piazza del MSI
e la proclamazione dello stato di pericolo pubblico da parte del
Presidente della Repubblica) sarebbero gli obiettivi di tutte le stragi.
Obiettivi peraltro simili in parte alle vicende di sangue che ebbero
luogo durante il governo Tambroni del 1960, appoggiato dal MSI.
La visita in Italia del Presidente americano Nixon il 27 febbraio del
1968 è costellata di violente manifestazioni in piazza e attentati,
mentre il Secolo d'Italia dedica un'intera pagina del giornale ad
avvertire il Presidente repubblicano che «l'Italia si prepara a tradire
gli impegni atlantici sottoscritti con gli Stati Uniti e portare i
comunisti al potere». È probabile che, a detta dell'autore, anche a
causa di questi eventi, Nixon dia a Saragat un assenso di massima al
Regime change -non si sa quanto "soft"- che si va preparando nel Paese.
Saragat, infatti, a ridosso della strage del 12 dicembre 1969, tenterà
di proclamare lo stato di "pericolo pubblico", con sospensione delle
garanzie costituzionali; ma sarà bloccato dal veto dell'allora
Presidente del Consiglio Mariano Rumor (insieme al Ministro degli
Interni Restivo), che compie anche la mossa decisiva (forse suggerita
indirettamente dai servizi segreti britannici) di vietare le
manifestazioni in piazza su tutto il territorio nazionale, vanificando
così totalmente la strategia del "Partito del golpe".
Ed è proprio questa per Vinciguerra la ragione principale per cui
Mariano Rumor sarà oggetto di un attentato a Milano il 17 marzo 1973,
durante la cerimonia di scoprimento di un busto del commissario
Calabresi. L'attentatore, il sedicente anarchico Gianfranco Bertoli,
lancia una bomba a mano ma manca il bersaglio, provocando però una
cinquantina tra morti e feriti.
Nonostante le rivendicazioni offerte -l'attentato sarebbe stato di
stampo anarchico, rivolto contro la memoria di Calabresi per vendicare
Pinelli- Bertoli ha sicuramente lavorato per il SIFAR, è stato membro
del movimento golpista Pace e libertà di Edgardo Sogno, ed era in
contatto con militanti francesi di Jeune Révolution, oltre che con gli
ordinovisti veneti.
Questa strana "doppia" natura di Bertoli può ricollegarsi a quanto
suggerito da Vinciguerra in un'altra parte del libro: ovvero l'esistenza
di una minoranza di anarchici che non solo per questioni filosofiche, ma
politiche (le persecuzioni da parte dei comunisti),in quegli anni
potrebbero essersi schierata con l'estrema destra.
In questo elenco egli non pone però Valpreda: secondo il neofascista
siciliano, questi non sarebbe mai stato un anarchico, ma uno sbandato
perfettamente a conoscenza della militanza di Merlino in Avanguardia
Nazionale. «Si dimentica» dice l'autore in proposito «che il presunto
"fascista" e il presunto "anarchico" (Merlino e Valpreda, N.d.R.), nei
loro interrogatori hanno mantenuto all'unisono una comune linea di
accusa contro gli anarchici. Insieme accusano Ivo della Savia di
detenzione di esplosivi, e Pietro Valpreda offre alla polizia
addirittura la soluzione del caso: il 9 gennaio 1970, difatti, indica in
tale "Gino", facilmente individuabile, il suo sosia cha avrebbe portato
la bomba all'interno della Banca dell'Agricoltura di Milano». Si tratta
di Tommaso Gino Liverani, anarchico anche lui.
Sono quindi forti (anche pur sempre passibili di critica) le
argomentazioni che Vinciguerra porta a sostegno di uno stretto legame
tra la strage alla Banca dell'Agricoltura a Milano e la strage alla
Questura della stessa città.
Meno convincenti, invece, sono le sue tesi circa un parallelismo tra la
strage di Piazza Fontana e la manifestazione missina del 14 dicembre
-poi vietata da Rumor- con i fatti del '73 che egli ritiene
corrispondenti: la mancata strage del 7 aprile sul direttissimo
Torino-Roma (un evento in cui Nico Azzi, legato all'organizzazione
milanese Fenice di Giancarlo Rognoni, si fa esplodere una bomba in mano
nel tentativo di innescarla, dopo aver fatto bella mostra del giornale
"Lotta continua"), e ai successivi incidenti alla manifestazione missina
del 12: i lanci di bombe SRCM da parte di neofascisti di San Babila al
seguito dei quali perde la vita l'agente di polizia Antonio Marino.
Bombe che risulteranno poi fornite dallo stesso Azzi
La tesi dell'appartenenza dei due delitti a un unico piano è stata fatta
propria anche da studiosi di vaglia come Franco Ferraresi; ma pure
ammettendo l'esistenza di un complotto originario, i missini avrebbero
proseguito nel proprio piano anche dopo avere ottenuto, con Azzi, il
risultato opposto a quello auspicato, cioè la dimostrazione definitiva
dinnanzi al popolo italiano che i fascisti (o alcuni di essi perlomeno),
mettevano le bombe? Sarebbero stati tanto autolesionisti, i missini, da
mandare i sanbabilini a tirare bombe proprio in un frangente del genere
(per denunciarli poco dopo)? E, infatti, a ridosso di quei tragici fatti
il MSI rischia lo scioglimento.
Ci sarebbe ancora molto da dire sul libro di Vinciguerra, soprattutto
sugli acuti spunti di indagine che egli riesce ancora a offrire su
Piazza Fontana. Ho scelto gli episodi sopra commentati per rilevare da
un lato la logica e la sapienza dell'autore nel porre determinati temi,
dall'altro la sua tendenza al ragionamento induttivo, per cui, trovato
un dato schema, tende a replicarlo ad libitum. Forse perché l'intento di
Vinciguerra, prima ancora di offrire una verità disinteressata a costo
di un ergastolo, è quello di lasciare un'eredità politica di "lotta":
tra coloro che ripongono fiducia in lui e nella sua ricostruzione si
contano la Comunità Politica di Avanguardia e la Federazione Nazionale
Combattenti della Repubblica Sociale Italiana.
Vinciguerra si proclama a tutt'oggi un nazionalsocialista e non
indifferenti a questa scelta sembrano i suoi attacchi antisemiti, spesso
al limite del grottesco.
Restano i dubbi sul personaggio. Che cosa ha fatto realmente negli anni
di latitanza e perché, pur costituitosi nel '79, ha parlato di Peteano
solo nel 1984?
Cosa nasconde il suo strano rapporto con Delle Chiaie? È da ribadire,
inoltre, che nessuno, oltre lui e Digilio, è stato condannato con
sentenza definitiva nei processi originati, del tutto o in parte, dalle
sue rivelazioni. Ma l'assurdo boicottaggio di cui è fatto oggetto, in
primis dal sistema carcerario, va contro il diritto di verità di un
intero popolo. La mancanza di un vero editore per questo libro ce lo
ricorda.
Roberto
Franco
|