Italia - Repubblica - Socializzazione

 

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5 maggio 2011

 

Lo scontro in atto tra una parte del potere politico e la magistratura

 

Maurizio Barozzi    

 

«Uno scontro che ha antiche origini e prospettive inquietanti»

 

La "guerra" innescata da Berlusconi contro le Procure, con i suoi tentativi di riforma della Giustizia, hanno non solo evidenziato il disperato tentativo del capo del governo di sottrarsi in qualche moda da processi che riguardano la sua vita privata e i vari traffici e rapporti che potrebbero averne determinato l'ascesa nel modo economico e successivamente in quello politico, ma ha anche riportato alla luce un vecchio problema, quello del possibile uso strumentale e ideologico del potere giudiziario, da parte di ben determinate lobby o forze politiche, per determinare drastici cambiamenti negli assetti politici del paese, bypassando le maggioranze parlamentari.

In questo contesto, un candidato del PDL al Comune di Milano, tale Roberto Lassini, si è reso protagonista della divulgazione di certi manifesti il cui strillo: «Via le BR dalle Procure» era tutto un programma.

Il Lassini, ripreso da un po' tutte le forze politiche, ha presentato le sue scuse, ma intanto lo scontro in atto nel paese è emerso in tutta la sua portata che non è solo ristretta agli "interessi" di Berlusconi.

Il giornalista Maurizio Blondet, nel Sito della Effedieffe (http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&task=view&id=44724&Itemid=136) ha anche pubblicato un polemico e provocatorio articolo titolato: «Le BR -nelle Procure- ci sono», nel quale prendendo lo spunto dalle due recentissime sentenze diametralmente opposte: quella di Torino sulla Tyessen e quella di Milano sulla Parmalat, rilevava come, da una parte si condanna pesantemente la multinazionale tedesca Tyessen, rea di aver provocato la morte dei suoi operai non per incuria, trascuratezza, sia pur criminose, negli apparati di sicurezza, ma per "omicidio volontario", dovendosi dedurne che la Thyssen ha allestito un reparto della fabbrica con il cosciente e deliberato scopo di ammazzare i sette operai.

«Chi -si chiede Blondet- se non la cellula brigatista rossa annidata nel palazzo di giustizia di Torino può aver escogitato una simile sentenza? È noto e risaputo che già le cellule brigatiste incistate nella magistratura civile hanno creato la più massiccia ed efficace forza di dissuasione e intimidazione contro le imprese straniere che concepiscono l'audace follia di insediarsi da noi: accumulando sagacemente oltre 5 milioni di cause arretrate, tali cellule fanno aspettare decenni una sentenza per risarcimento danni o violazioni contrattuali, con perdite e spese inenarrabili - e possono vantarsi di aver portato l'Italia, nelle classifiche internazionali sulla certezza del diritto al 156° posto su 181 paesi, dopo Angola, Gabon e Guinea, che è un ottimo risultato per chi sogna la rivoluzione anticapitalista. Adesso, un imprenditore straniero, se nella sua filiale italiana accade una sciagura sul lavoro, sa che da noi verrà trattato come un volgare assassino che si mette a sparare dalla finestra.

Ma che importa ai brigatisti in toga, se la Thyssen s'invola in India, lasciando a terra quasi 3 mila dipendenti? L'importante è aver tenuto il punto ideologico: l'imprenditore, specie il fabbricante di cose materiali che pesano, bruciano e si muovono su rulli e nastri -la vecchia industria pesante- è sostanzialmente un assassino».

Viceversa, dall'altra parte, sottolinea Blondet, «Tutt'altro giudizio legale pende sulle industrie immateriali, leggere, virtuali; nessun operaio resterà mai schiacciato sotto i bond Parmalat o titoli subprime, e difatti i brigatisti della seconda sezione penale del tribunale di Milano hanno assolto le banche Morgan Stanley, Bank of America, Citigroup e Deutsche Bank, dall'accusa di aggiotaggio informativo nell'ambito di un processo sul ruolo che hanno avuto nel crac della Parmalat».

Fin qui Blondet, tuttavia, a nostro avviso, il problema delle "interferenze" nel mondo politico da parte della magistratura è molto più complesso di quanto si creda e non può essere ridotto ad una fuorviante accusa dell'esistenza o meno di "toghe rosse" e lo stesso Blondet quando insinua la diversità di trattamento verso il "capitalista" imprenditore e verso lo speculatore finanziario, non fa che evidenziare come il mondo dell'Alta Finanza finisce per godere di un occhio di riguardo in vari campi e non pochi ricercatori storici si sono accorti che, fin dai tempi di Marx, le sinistre, volenti o nolenti, hanno spesso fatto proprio il gioco dell'Alta Finanza. Non è un caso che tutta la sinistra italiana sia in qualche modo a fianco di quel Carlo De Benedetti, uomo di questo mondo finanziario e proprietario di uno dei più grossi mass media del paese ovvero dell'editoria "la Repubblica-l'Espresso".

In effetti, che sia stato predeterminato o meno, è indubbio che il potere giudiziario, magari indirettamente, ha già causato in Italia un cambiamento epocale negli assetti politici, quando nei primi anni '90 il famoso "scandalo di mani pulite" spazzò via forze politiche che da quasi 50 anni erano al centro del potere nel nostro paese. Quello che ne è seguito dopo, la cosiddetta "seconda Repubblica" in termini di "mani pulite", non ci sembra affatto che sia migliore della prima ed oltretutto certe partiti della vecchia repubblica, che pur erano corresponsabili di quell'andazzo corrotto e corruttore, vennero stranamente "salvati" dalla bufera giudiziaria.

Ma se questa "seconda Repubblica, come limpidezza non è tanto diversa dalla "prima", è pur sempre un'altra cosa, perché da allora il nostro paese, guarda caso, è stato viepiù omologato a quel contesto mondialista che lo sottomette all'Alta Finanza internazionale.

Fatte le debite proporzioni, l'evento di "mani pulite" può essere, in un certo senso, paragonato a quello del "Watergate" nella America degli anni '70.

L'indagine storiografica oramai non presenta molti dubbi, soprattutto alla luce degli assetti di potere, che seguirono alla "resa" di Nixon.

A quel tempo negli USA era in atto da anni una agitazione culturale e politica il cui obiettivo, per certe forze che la sostenevano, era quello di scalzare vecchie cristallizzazioni di potere, determinando la scalata nell'Amministrazione americana e nelle sue potenti "Intelligence" di uomini che risulteranno poi funzionali a certe lobby di natura finanziaria.

Tutto, fino a quel momento, era stato strumentalizzato per rivoltare gli States da capo a piedi: dalla contestazione generazionale, agli scontri razziali, dalle tematiche pacifiste, all'uso della cinematografia a scopi ideologici e culturali finalizzati a divulgare nel paese tematiche "moderniste" di stampo neoradicale, fino alle grandi manifestazioni contro la guerra nel Vietnam (non si dimentichi che il "New York Times" importante strumento delle lobbies finanziarie, ma non solo, che sarà in seguito uno degli artefici del Watergate, dal 12 giugno 1971 iniziò -e non certo per motivi umanitari!- le pubblicazioni di una serie di documenti che rivelavano la preordinazione da parte dell'amministrazione americana dell'incidente del Tonchino, dando così un enorme impulso alla sia pur giusta contestazione a quella guerra.

E guarda caso, dopo il ribaltamento di potere negli USA, conseguito ad agosto del 1974 proprio con il Watergate, iniziò il riflusso, l'esaurirsi di quei fenomeni contestativi, che praticamente rimasero abbandonati a sé stessi, non a caso:

I movimenti pacifisti presero a sopravvivere a stento, mentre la grande stampa mutò il tono delle sue ambigue campagne per il pacifismo; le rivolte della popolazione di colore, che avevano assunto aspetti violenti e contenuti anche razzisti, vennero risucchiate e stemperate nell'ottica della realtà multirazziale; le grandi manifestazioni contro la guerra si eclissarono (eppure i boys americani continuavano a morire nelle guerre dello zio Sam e gli USA continuavano ad aggredire altre nazioni, a bombardare, a massacrare, a torturare!); la cultura della contestazione al sistema venne tutta assorbita dall'industria del consumo, tanto che il "Che" finì come icona per la sponsorizzazione dei prodotti commerciali; Bob Dylan, alias l'israelita Robert Allen Zimmerman, smise ben presto di strimpellare contro i padroni della guerra e del mondo, e di lì a qualche anno comincerà a dedicare amorevoli canzoni ad Israele cioè a quello stato teocratico, razzista e con armamento nucleare.

Ed infine la filmografia, prodotto e arma (per "ispirare" cambiamenti epocali) delle grandi case cinematografiche tutte appannaggio di veri e propri imperi economici e finanziari, chiude, tra il 1975 e il 1976 con i film "Tutti gli uomini del Presidente" di A. J. Pakula e "I tre giorni del Condor" di S. Pollack, il suo periodo di "contestazione" e da quel momento non si impegnerà più contro le guerre yankee e le tematiche "agitatorie", ma andrà a sostenere, per esempio, con la serie dei film su Rambo, la rivalutazione dei combattenti nel Vietnam. Di lì a pochi anni la vedremo esprimersi con i film mondezza contro il cosiddetto terrorismo islamico.

Ma detto questo, quali erano le caratteristiche nascoste, ma sostanziali, del "Watergate", quelle che hanno fatto sì che si potesse attuare una specie di colpo di Stato silenzioso e non cruento? In pratica il "giochetto" del Watergate si articola su pochi passaggi:

1. certi "servizi" dietro input di forze di potere che predominano al loro interno, procurano e forniscono le "prove" di abusi e corruzione che, in un regime democratico, oltretutto a struttura liberista, non mancano mai.

2. queste "prove", che magari in altri momenti e contesti diversi, dormirebbero in un cassetto o avrebbero sviluppi di basso profilo, vengono prese in mano dalle Procure che ne portano avanti l'indagine e l'istruttoria giudiziaria. "Pretori d'assalto" furono definiti i magistrati preposti a queste eclatanti, delicate e pericolose inchieste.

3. Immediatamente i mass media (ricordiamo: proprietà di grandi forze di carattere soprattutto finanziario), con un crescendo di inchieste giornalistiche, sfornano titoli cubitali su arresti eccellenti e innestano un orgia di "fughe di notizie" incontrollate di ogni genere, concentrando l'attenzione dell'opinione pubblica in quello che viene ben presto trasformato nel "processo del secolo".

In pochi mesi il destino dei malcapitati, malversatori o innocenti che siano, si compie, la "giustizia" trionfa o così almeno sembra e tutto un vecchio mondo viene ribaltato.

Chi da dietro le quinte ha ispirato, magari guidato e comunque in qualche modo protetto tutto questo ribaltamento, ottiene gli obiettivi che si era prefisso. E le conseguenze del "processo del secolo" non si limitano soltanto a mandare in galera i responsabili di truffe, corruzione e malgoverno, ma si innestano cambiamenti di portata istituzionale, economica e politica che vanno ben al di la di un rispettabile intento di "mani pulite".

Intendiamoci, la magistratura una volta investita di certi incarichi, dietro la presentazione di prove da approfondire, non fa che procedere nel ruolo che gli spetta, ma noi che poco crediamo alle belle favole, la domanda che ci poniamo è un'altra: visto che tutta la faccenda riguarda ambienti di potere e uomini fino ad allora giudicati "intoccabili", queste Procure d'assalto, avrebbero potuto tirare avanti fino al "trionfo", se non ci fossero state determinate "forze", mass media compresi, che ne hanno sostenuto e protetto lo sforzo? E perché, ci chiediamo ancora, queste "forze", ne hanno appoggiato fino in fondo lo sforzo?

È evidente che un andazzo del genere, tutte le volte che raggiunge le proporzioni e la veste di uno scandalo tipo "Watergate", assume inquietanti contorni, tali da destare la preoccupazione che determinate "forze", utilizzando anche il potere giudiziario possono, da dietro le quinte, fare e disfare i profili politici dello Stato e spazzare via uomini e personalità che gli sono avverse.

Ci si interroga oggi sul ruolo e la funzione che dovrebbe avere la Magistratura in uno stato di diritto, della sua indispensabile indipendenza, ecc., ma non sono pochi quelli che ne temono l'utilizzo, sia pure indiretto, da parte di interessati gruppi di potere.

Il fatto è che in Italia i cambiamenti culturali e socio politici che si innestarono con gli anni '60, spostando il paese dalle vecchie e putrescenti culture borghesi di stampo conservatore, verso quelle di stampo "modernista" e progressista, portarono anche la Magistratura ad assumere una veste consona alle cosiddette moderne democrazie.

Purtroppo, nelle democrazie, solo i gonzi possono credere che sia il popolo a comandare, che il voto sia sovrano, che gli eletti al parlamento esercitano la delega che questo popolo gli ha conferito, ed altre amenità di questo genere. In realtà la struttura "democratica"dello Stato e delle Istituzioni e il relativo corollario liberista dell'economia e della società, sono il terreno di coltura dove possono incistarsi poteri e interessi indicibili che, godendo di ampi mezzi, soprattutto finanziari e protezioni, si mettono in tasca tutto il potere.

Ma tornando ai cambiamenti che all'epoca investirono anche la Magistratura, facciamo un piccolo excursus storico e ricordiamo che i primi di luglio 1964 a Bologna si tenne il congresso di fondazione di Magistratura Democratica (MD). Agli inizi erano presenti magistrati, diciamo, di sinistra come Ottorino Pesce, Generoso Petrella, ecc., assieme ad alcuni cattolici come il fratello di Moro, Alfredo, Pietro Pajardi, ecc., Era a quel tempo in piedi un progetto laico-libertario confermato anche dalla collaborazione di molti aderenti a riviste quali "L'Astrolabio" e "Il Ponte".

Da quelle basi, in pochi anni, tutta l'Istituzione della vecchia Magistratura verrà rimodellata e MD assumerà spazi di potere sempre più evidenti finendo per giocare un forte ruolo, indirettamente anche politico, nelle Istituzioni e contribuendo allo spostamento "modernista" e "progressista" della società.

Tra il 23 e il 25 aprile 1966 poi si tenne il terzo congresso Nazionale dei Comitati d'Azione per la Giustizia. A quel tempo, dei tre poteri dello stato, quello ancora non dominato completamente da lobby di sistema era quello Giudiziario. Le forze neoradicali, per loro natura ispirate oltreoceano, andarono all'attacco di questo importante bastione anche grazie a campagne di stampa ben orchestrate e finanziate che accusavano il potere giudiziario di "spirito retrivo", di "formalismo giuridico", di "ancoramento alla lettera alla Legge", di "scarsa sensibilità alle esigenze sociali", e di "mancato adeguamento allo spirito democratico della Costituzione".

Esponenti di punta di questo indirizzo risultarono Giuseppe M. Berruti erede del progressismo torinese ed ex presidente dell'Unione Magistrati, e Bianchi d'Espinosa noto radicale. Si opposero a questo indirizzo l'Unione Magistrati, legata a concezioni conservatrici, che raggruppava soprattutto Consiglieri di Cassazione e l'ala cattolica moderata dell'Associazioni Magistrati, tutte componenti, più o meno attestate su una difesa passiva, destinata alla sconfitta.

All'avanguardia di questo "attacco" erano le proposte di riforma avanzate dalle correnti di sinistra dell'Associazione Magistrati (Terzo Potere e Magistratura Democratica) che dietro varie richieste, anche alquanto logiche e concrete, finirono per causare la politicizzazione della Magistratura, di fatto rendendola sensibile ai centri di potere del paese.

Una riforma del mondo giudiziario, fatta con quei presupposti, infatti, nonostante i buoni intenti, di fatto avrebbe annullato la figura del giudice che, bene o male, applicando la legge tutela i diritti di tutti e di ognuno contro ogni turbativa, sostituendola con quella di un giudice che, interpretando le esigenze di una società in evoluzione politico-economica non può che finire per essere funzionale ai grandi interessi sociali, ovvero finisce per diventare strumento dei gruppi di potere.

Non a caso si assisterà, negli anni successivi, per esempio nel mondo del lavoro (ma ovviamente non solo in questo ambito) a sentenze che variano enormemente, nello spirito e nelle condanne o assoluzioni comminate, da un momento storico-politico all'altro, passando dalla massima tolleranza e permissività verso le inadempienze dei dipendenti che si è avuta dall'inizio fino alla fine degli anni '70, alla massima repressione verso i lavoratori che si è verificata negli anni successivi.

Per concludere questa rievocazione storica ricordiamo solo che nel mese di marzo 1968 nelle elezioni dei componenti per il Consiglio superiore della magistratura la maggioranza andò, per la prima volta, alle correnti progressiste Terzo potere e Magistratura democratica.

Sebbene questa sia oramai "preistoria" è però evidente che i cambiamenti ideologici e strutturali che crearono le premesse per attuare anche in Italia una specie di "Watergate", come fu "mani pulite" hanno anche quelle premesse.

Storicamente e in generale, possiamo oggi dire che certe strategie di rinnovamento e di "ammodernamento" progressista, culturale e sociale delle nazioni e dei lori costumi (che pur erano inevitabili nei mutamenti generazionali e nel progresso tecnologico, delle comunicazioni e dei trasporti) scaturivano anche da una strategia mondialista di antica origine. E oggi, volenti o nolenti, con questi cambiamenti dobbiamo fare i conti.

Per esempio, se risponde al vero, come hanno riportato certe agenzie di stampa, che il capo della procura di Milano Bruti Liberati, ha indirizzato una circolare interna ai suoi aggiunti e ai suoi PM, che sostanzialmente vieta l'arresto per clandestinità, non è peregrino sostenere che i magistrati tendono a sostituirsi al parlamento cancellando di fatto la norma in atto che dispone l'arresto per gli stranieri espulsi.

Se poi risponde al vero anche l'asserzione di Bruti Liberati, fatta sempre ai PM di Milano: «Valgono le indicazioni UE, non le regole italiane», non possiamo che rilevare come le Istituzioni e le Organizzazioni create in qualche modo dal "mondialismo" (tra cui anche l'Unione Europea) nell'ottica di una omologazione planetaria di tutto il genere umano (e conseguente subordinazione al potere Finanziario), hanno finito proprio per assolvere quel compito per le quali erano state create, ovvero quello di emanare "direttive" trans e over nazionali, tali da consentire nelle situazioni locali delle singole nazioni, di scavalcare leggi, ordinamenti dello Stato e consuetudini locali.

Per fare un altro esempio: dobbiamo forse già considerare acquisito il fatto che la legge liberticida che intende vietare il "Revisionismo", in merito alle ricerche storiche circa l'Olocausto, che fino ad oggi ha avuto in Italia tante resistenze per essere varata, finisca per entrare dalla finestra, grazie alla applicazione "forzata" di una direttiva dell'Unione Europea?

Maurizio Barozzi