da
agosto 2011
Morte Mussolini:
il famoso ordine dato a
Walter Audisio
con quale ordine
- fucilazione sul
posto o traduzione di Mussolini a Milano -
fu inviato Audisio
a Dongo? |
Maurizio Barozzi
Tra i tantissimi misteri che la "vulgata"
ovvero la poco credibile versione sulla fucilazione di Mussolini, ha lasciato
dietro di sé, c'è anche il dubbio, su cui storici, ricercatori storici e
giornalisti non hanno ancora trovato un accordo, circa il fatto che il
colonnello Valerio, al secolo il ragionier Walter Audisio di Alessandria, il
mattino del 28 aprile 1945, venne inviato dal Comando generale del CVL
(l'organismo militare della resistenza) e nella fattispecie dal vice comandante
e numero due del PCI Luigi Longo, verso Dongo con il segreto incarico di
fucilare sul posto Mussolini e gli altri ministri e fascisti ivi catturati e
portarne poi i cadaveri a Milano per scaricarli in Piazzale Loreto. Oppure,
viceversa, ad Audisio fu dato solo l'incarico di tradurre tutti questi
prigionieri a Milano, come in effetti venne ufficialmente fatto capire, ma
strada facendo fu raggiunto da un cambiamento dell'ordine, a cui dovette
adeguarsi, che gli impose di eseguire le fucilazioni sul posto.
Se ben pochi e per giunta forse per motivi "d'interesse" sono quelli che
mostrano ancora di credere alla "vulgata", soprattutto in merito ad una
fucilazione pomeridiana di Mussolini a Giulino di Mezzegra, quando oramai molti
elementi indicano chiaramente che Mussolini venne ucciso al mattino nella
soprastante Bonzanigo e non di certo da Walter Audisio che in quelle ore si
trovava a Como, per quel che riguarda alcuni eventi e molti fatti collaterali di
questa losca storia, tra cui quello del tipo di ordine che venne dato ad Audisio,
sono rimasti alquanto imperscrutabili.
La "vulgata", infatti, è composta da un racconto variegato e complessivo che
inizia con la partenza di Audisio e il suo plotone di partigiani da Milano, il
suo arrivo in Prefettura a Como, quindi poi a Dongo, località dove sorsero
problemi vari con le autorità del posto (CLN locale e comandi della 52a Brigata
Garibaldi) e quindi, una volta che Audisio riuscì a imporre la sua volontà alle
recalcitranti autorità del posto, suo diversivo verso Bonzanigo per prelevare il
Duce ivi nascosto e immediata fucilazione dello stesso assieme a Clara Petacci,
davanti al cancello di Villa Belmonte, nella sottostante Giulino di Mezzegra,
alle ore 16,10.
Dopodichè si narra del ritorno di Audisio a Dongo e fucilazioni pubbliche dei
restanti prigionieri (altri 16). Infine, caricamento dei cadaveri sul camion,
con raccolta anche delle salme di Mussolini e la Petacci, momentaneamente
lasciati davanti al cancello di Villa Belmonte e ritorno definitivo a Milano
dove, a notte alta, tutti i cadaveri vennero scaricati sul selciato di Piazzale
Loreto in cui erano attesi (particolare poco noto) da circa una dozzina di
cineprese poste, già dalla sera, in posizioni adatte e sopraelevate dai
cineoperatori americani evidentemente ben informati del macabro arrivo.
Questo è, molto sommariamente, il contenuto sostanziale di quella che lo storico
Renzo De Felice chiamava "vulgata", la quale è poi condita da tutta una serie di
fatti, aneddoti, altri eventi e così via, spesso incongruenti o raccontati in
modo diverso da una fonte all'altra.
Il fatto è che, almeno le linee essenziali degli avvenimenti, da noi così
riassunti, sono in qualche modo verificabili nelle testimonianze e
documentazioni d'epoca, compresa la parvenza di una fucilazione davanti al
cancello di Villa Belmonte, udita (ma non fatta vedere) da alcuni residenti del
posto, ma resta il fatto che, all'interno di quel "racconto", vi è una
"variante", caparbiamente mantenuta segreta e comunque opportunamente
mistificata attraverso una cortina di depistaggi e bugie, una "variante" o
"diversivo" che consiste nella uccisione di Mussolini e la Petacci al mattino e
non il pomeriggio e quindi di una "finta" fucilazione davanti al cancello di
Villa Belmonte.
In conseguenza di questa messa in scena, faranno necessariamente seguito tutta
una serie di "aggiustamenti", relazioni e particolari fuorvianti, prodotti dal
dopoguerra in avanti, sia al fine di migliorare grosso modo la veridicità
complessiva della "vulgata" e sia per altre esigenze politiche dell'Epoca.
Un caos di versioni, ricordi, testimonianze e memoriali, che con le loro
incongruenze e contraddizioni, hanno consentito a molti ricercatori e
giornalisti storici di avanzare le più strampalate o comunque indimostrate
ipotesi (si è arrivati ad ipotizzare una ventina circa di dinamiche e modalità
su come possa essere stato ammazzato il Duce, suicidio compreso, e almeno una
diecina di suoi presunti fucilatori).
Il galoppare della fantasia e, diciamolo chiaramente, anche certi interessi
editoriali o politici, giocando sul fatto che l'identità anagrafica di Walter
Audisio, alias colonnello Valerio, venne svelata da "l'Unità!" solo a marzo del
1947, ipotizzarono perfino che quell'esagitato colonnello Valerio che apparve a
Como e Dongo non fu Walter Audisio, ma un altro dirigente comunista rimasto
misterioso. Alcuni lo indicarono addirittura in Luigi Longo.
Ora, se è pur vero che l'uccisione di Mussolini, verificatasi al mattino del 28
aprile, ebbe altri attori, resta il fatto però che è sicuramente accertato
(anche se qui tralasciamo di dimostrarlo) che Walter Audisio partì da Milano,
arrivò in Prefettura a Como e poi a Dongo, per ritornare poi a Milano la sera
dello stesso giorno.
Quello che tutto al più si può accettare, in via di ipotesi di lavoro, ma resta
sempre da dimostrare e non è facile, è il fatto che forse (oltre alla sicura
assenza di Audisio al mattino al momento della uccisione di Mussolini) non tutti
gli episodi e particolari che sono stati accollati a questo colonnello Valerio,
sono stati compiuti da Walter Audisio in persona.
Cosicchè, tra i tanti "buchi" e misteri che la "vulgata" ha lasciato dietro di
sé, vi è anche quello di presentare sotto una certa forma, edulcorata e
legalitaria, la missione che al comando del CVL a Milano venne affidata a Walter
Audisio la mattina del 28 aprile 1945.
Diciamo subito che, in ogni caso, il quesito – ordine omicida o ordine di
traduzione dei prigionieri a Milano - assume un relativo interesse storico,
finalizzato al massimo a comprendere a pieno i risvolti di quegli avvenimenti e
le varie responsabilità individuali perché, sostanzialmente, nell'un caso o
nell'altro, di fatto, non cambia l'andamento delle cose, visto che poi gli
avvenimenti andarono per conto loro, seguendo una sottile regia e il subentrare
di vari imprevisti e quindi di altro tipo di ordini.
Il dilemma, inoltre, non è risolvibile in base alle testimonianze rilasciate
dagli attori o spettatori di quegli avvenimenti, tra cui lo stesso Luigi Longo,
Walter Audisio, Aldo Lampredi Guido il dirigente comunista che accompagnò
Audisio nella sua missione, ecc. e che asserirono che fu dato l'ordine di
fucilazioni sul posto, in contrapposizione con altri testi che riferirono invece
di aver saputo di un ordine di sola traduzione dei prigionieri a Milano.
Tra questi ultimi, indirettamente possiamo mettere i ricordi di Pietro Terzi
Francesco, comunista e in quei momenti comandante della piazza di Dongo, il
quale nel corso di un paio di testimonianze, sinceramente poco credibili,
rilasciate da Parigi tra il 1989 e '90, asserì che fu lui, per telefono da Dongo,
parlando con Pietro Vergani, Fabio, il vice di Longo per la Lombardia, presente
al Comando del CVL di Milano, a far cambiare l'ordine di traduzione dei
prigionieri a Milano, dato al mattino ad Audisio e giunto a Dongo poco dopo le
14 del 28 aprile, perché lo riteneva un ordine troppo pericoloso nella sua
prassi esecutiva. Seguirono quindi le fucilazioni sul posto.
In questo caso però c'è il fondato sospetto che trattasi di dichiarazioni
"interessate" a tratteggiare, forse per motivi politici e non solo (vista la
mattanza che ne seguì, in cui venne ammazzata inspiegabilmente anche una donna,
Clara Petacci, oltre allo scempio dei cadaveri che poi ebbe a verificarsi in
Piazzale Loreto), un certo edulcorato andamento dei fatti, presentando il tutto
come una necessità causata da contingenze straordinarie. Anche il confronto e
l'incrocio con altre testimonianze, comprese quelle di Audisio e Lampredi, oltre
ai dirigenti comunisti Mario Ferro, Giovanni Aglietto, presenti a Dongo, ai
quali possiamo aggiungere il comandante Pier Bellini delle Stelle Pedro e Urbano
Lazzaro Bill oltre al Michele Moretti Pietro ed altri partigiani garibaldini del
comando della 52a Brigata Garibaldi, fanno chiaramente capire che Audisio era
venuto a Dongo per eseguire le fucilazioni. Incarico questo che non aveva
esplicitato in Prefettura a Como per non rischiare di non poter poi arrivare a
Dongo.
Prima di andare avanti, a beneficio di chi poco conosce quegli avvenimenti,
cerchiamo di riassumerli sia pure sommariamente.
La sera del 27 aprile 1945, mano a mano che a Milano le notizie sulla cattura di
Mussolini a Dongo si precisavano meglio, Walter Audisio, comunista e ispettore
della segreteria del Comando CVL e neo preposto alla polizia militare di piazza,
si diede da fare per indurre alcuni comandanti a recarsi sul posto (Dongo) a
prendere in consegna Mussolini e quindi sopprimerlo poi in qualche modo con la
scusa di un tentativo di fuga. Ma gli interpellati, tra cui il colonnello
Alfredo Malgari della G.d.F., non si mostrarono disponibili e la cosa cadde lì.
Il progetto di andare a sopprimere Mussolini venne in qualche modo avanzato più
tardi ai comandanti delle Divisioni dell'Oltre pavese, da poco arrivate a
Milano, durante una riunione a cui parteciparono Luigi Longo (numero due del
Pci, vice comandante del CVL, comandante della Brigate Garibaldi e membro del
CLNAI) e Sandro Pertini (dirigente dell'ala estremista del partito socialista,
quella che risultava in quel momento preponderante), ecc.
Ma anche qui i vari comandanti Italo Pietra e Luchino dal Verme, il commissario
delle divisioni Alberto Mario Cavallotti (che lo confidò al padre il quale gli
consigliò di non fare il boia), ecc., tergiversarono e si defilarono
dall'incarico.
Come si vede, quindi, fin da subito le intenzioni nei confronti di Mussolini
erano, e non poteva essere diversamente, sbrigativamente omicide.
Ma tutta la faccenda non scorreva chiara e limpida come potrebbe sembrare perché
in quelle caotiche ore si verificarono anche alcune situazioni, apparentemente
tra loro antitetiche e a dir poco paradossali.
A sera, infatti, il brigadiere Antonio Scappi della Guardia di Finanza nell'alto
Lago ricevette, sembra dal CLNAI di Milano, istruzioni su Mussolini e la
direttiva fu sorprendente: "Custodite bene il prigioniero con tutti i riguardi;
non gli sia torto un capello; piuttosto di fargli violenza, in caso di tentativo
di fuga, lasciatelo fuggire".
A notte alta, invece, in risposta ad un radiogramma del Quartier Generale
alleato (A.G.H.) di Siena, che richiedeva la consegna di Mussolini, Giuseppe
Cirillo, in servizio quale capo del servizio radiotelegrafico del comando CVL di
Milano, inviò questo radiogramma: "CVL ad A.G.H.: Spiacenti non potervi
consegnare Mussolini che, processato dal tribunale popolare, è stato fucilato
stesso posto ove precedentemente fucilati da nazifascisti 15 patrioti".
Trattasi di due disposizioni / informazioni fuorvianti, perché è molto
improbabile che a Milano, anche se da parte di elementi per così dire
"moderati", avrebbero potuto seriamente consigliare di lasciar fuggire il Duce
e, nell'altro caso, a notte alta del 27 aprile, Mussolini di certo non era stato
fucilato in Piazzale Loreto. Alquanto sospetto è poi il fatto che in tutti gli
anni a venire non si è mai riusciti a sapere chi avesse concepito e ordinato
questi testi. Soprattutto il radiogramma di risposta alla richiesta degli
Alleati, fa sospettare che chi lo ha concepito sapeva bene di poter eseguire di
lì a poco l'eliminazione del Duce (più o meno in quel momento era in corso
l'occultamento di Mussolini a Bonzanigo) e già era nata l'idea di una
scenografia macabra in Piazzale Loreto, citato non a caso nel radiogramma.
E' comunque evidente che a latere della sottile organizzazione di una sbrigativa
uccisione di Mussolini, vennero messi in atto vari depistaggi e cortine
fumogene, probabilmente al fine di non subire intralci e poter procedere con
sicurezza.
In quelle ore del resto chi doveva dare certi ordini (Longo sopratutto) non
poteva non tener conto di una situazione generale alquanto incontrollabile e non
solo per la agibilità delle strade:
gli americani, almeno apparentemente, mostravano di voler catturare il Duce
vivo. In realtà come spiegammo in un articolo pubblicato su Rinascita il 7
maggio 2011, "La leggenda degli americani che volevano catturare Mussolini
vivo"; le missioni americane preposte alla ricerca e cattura del Duce
ricevettero all'ultimo momento, dalla loro centrale dell'OSS in Svizzera, ordini
segreti di lasciarlo gestire (leggesi: uccidere) dai partigiani. Ma questo
ovviamente non era noto ed è anche ipotizzabile che se una missione americana
fosse pubblicamente incappata nel Duce si sarebbe creata una situazione ambigua
e il progetto di sopprimerlo subito avrebbe potuto saltare.
Tra le varie componenti della Resistenza poi, non mancavano coloro che volevano
procedere "legalmente", con tanto di consegna del Duce, magari con musica e
fanfare, agli Alleati e tra queste soprattutto le autorità cielleniste locali di
Como (pochi elementi i quali, senza colpo ferire, la notte precedente erano
riuscite a far firmare una ignobile resa ad arruffoni e pavidi comandanti
fascisti arrivati armati in città), autorità cielleniste locali, ma che
attraverso il comando della 52a Brigata Garibaldi di stanza a Dongo, brigata che
vantava il merito di aver catturato il Duce, custodivano Mussolini e gli altri
prigionieri.
Era così venuta a crearsi una situazione alquanto complicata, perché
ufficialmente si sapeva che gli americani stavano cercando di prendere il Duce
vivo; gli inglesi, alquanto defilati, davano ad intendere di volerlo sopprimere
(Max Salvadori, l'ufficiale italo inglese di collegamento tra gli Alleati e il
CLNAI, ebbe in quei momenti a suggerire ai dirigenti ciellenisti che loro
potevano disporre di Mussolini solo fino all'arrivo delle truppe alleate che poi
avrebbero imposto la loro amministrazione militare. Come notò Renzo De Felice,
un sottile consiglio a farlo fuori alla svelta); su posizioni chiaramente
omicide erano infine i comunisti che oltretutto non muovevano foglia senza
autorizzazioni da Mosca.
A Milano quindi, quando verso le 23 venne conferito finalmente al cosiddetto
colonnello Valerio, Walter Audisio, l'incarico di provvedere a Mussolini,
ufficialmente per trasferirlo a Milano, possiamo star certi che la componente
comunista e socialista estremista e quella azionista presenti nel Comitato
Insurrezionale antifascista, con i vari Sandro Pertini (socialista), Emilio
Sereni comunista e Leo Valiani azionista (oggi sappiamo che Valiani era anche in
forza al SOE, l'intelligence britannica in cui fu arruolato nel 1943 da Max
Salvadori), aveva imposto la volontà di sopprimerlo subito.
Tutti gli altri al Comando del CVL accettarono questa decisione, palese o
simulata che fosse, o preferirono di non approfondire l'argomento, facendo poi
il pesce in barile.
Da qui alcuni ricordi di dirigenti del CVL e CLNAI, non comunisti, che
attestarono di aver saputo o capito di un incarico ad Audisio di sola traduzione
dei prigionieri a Milano, ma trattasi più che altro di testimonianze indirette,
spesso espresse come una loro personale interpretazione del momento o, come nel
caso di Raffaele Cadorna comandante, più che altro nominale del CVL, sono
alquanto fumose e oltretutto contraddittorie anche perchè variate nel corso
degli anni.
Non parliamo poi di fantasiosi piani di "salvataggio" del Duce, per consegnarlo
vivo agli Alleati, messi in atto, dicesi da Cadorna e dal suo uomo a Como, il
colonnello, barone Giovanni Sardagna di Hohenstein, perché non si ha nessuna
certezza in proposito e comunque, a quanto pare, abortirono tutti miseramente
Le leggende, infatti, narrano, ovviamente con varie e diverse sfumature e
incongruenze, che il colonnello Sardagna, nella notte del 27 aprile da Como e
sembra su disposizioni del generale Cadorna, aveva contattato l'ingegnere
caseario Remo Cademartori, il quale si rese disposto a mettere a disposizione la
sua villa, con una darsena che dava sul Lago, per accogliere Mussolini. Quindi
quando Mussolini da Germasino (pochi chilometri sopra Dongo dove verso sera era
stato condotto per motivi di sicurezza) e la Petacci raccolta a Dongo, a notte
alta vennero trasferiti dal gruppo dei partigiani guidati da Pier Bellini delle
Stelle Pedro, Luigi Canali Neri e Michele Moretti Pietro, avrebbero dovuto
andare a Moltrasio, dove una specie di barca era incaricata di prelevare i
prigionieri.
Dicesi poi che questa barca non arrivò, alcune versioni affermano perché Cadorna
aveva fatto, o gli era stata fatta fare, marcia indietro, oppure perché erano
sorti vari imprevisti.
Ci sono alcuni riscontri su questi progetti, sia nel diario di Sardagna, che da
parte dei Cademartori e altri. Ma resta incomprensibile il fatto che il
comunista Michele Moretti, e in parte anche Luigi Canali (l'atipico comunista
idealista Capitano Neri), potessero tranquillamente recarsi a Moltrasio per
consegnare il Duce al CLNAI / CVL, senza autorizzazioni del PCI, sapendo
benissimo che in tal modo sarebbe poi stato ceduto agli Alleati.
Proprio loro che, quella notte, dicesi, cambiarono itinerario tornando indietro
da Moltrasio e senza passare da Como (finirono a Bonzanigo a nascondere il Duce
nella casa dei contadini De Maria), a causa della paura di farsi sequestrare i
prigionieri dagli Alleati.
Ed infatti Moretti, ma non solo, nelle sue memorie riferisce esplicitamente che
il loro compito era quello di recarsi a Brunate, la collina sopra Como, per
portare il Duce in una base segreta.
Tutto è quindi poco credibile, e comunque alquanto mistificato e quel che conta
è solo il fatto che, a notte alta, Mussolini venne prelevato dalla casermetta
della G.d.F. di Germasino, riunito a Dongo con la Petacci e qui con un viaggio
le cui finalità e itinerari, come detto, sono poco credibili, finì a Bonzanigo
in quella famigerata casa.
Quel che è importante dedurre, inoltre, è inoltre il fatto che questo
trasferimento dei preziosi prigionieri fuori da Dongo, non poteva di certo
essere stato ideato a Dongo dai soli comandanti della 52a Brigata Garibaldi
(Bellini, Canali e Moretti), ma venne sicuramente ordinato da Milano ed il
partito comunista, che a Dongo aveva il suo fedele e importante uomo in Moretti,
non poteva esserne all'oscuro.
Diciamo questo perché resta strano che Walter Audisio, quando la mattina presto
del 28 partì da Milano, dopo essere stato incaricato da Luigi Longo, aver
dettagliato l'incarico avuto a Raffaele Cadorna che lo autorizzò formalmente e
soprattutto aver avuto assistenza e disposizioni dal colonnello Vittorio Palombo
Pieri, aiutante in campo di Cadorna al CVL, non sia stato informato che era in
corso il trasferimento di Mussolini in un luogo segreto e comunque questi non si
trovava più a Dongo/Germasino.
Cosicchè intorno alle 6,30 del mattino del 28 aprile il colonnello Valerio, cioè
il ragionier Walter Audisio, circolante anche con il nome di Giovanbattista
Magnoli, che forse in vita sua non aveva mai sparato un colpo, si accinse a
partire da Milano con un ordine del CVL, in base, ad una pseudo "sentenza" del
CLNAI e tanto di lasciapassare in lingua inglese, firmato dal capitano Emilio
Daddario dei servizi segreti degli Stati Uniti.
Ufficialmente ha l'incarico di tradurre a Milano Mussolini e gli altri
prigionieri catturati a Dongo, per processarli sbrigativamente ovvero consegnare
il Duce agli Alleati in conformità agli impegni assunti e sottoscritti dal
governo del Sud.
E' a questo fine, dicesi, che è stato chiesto al Daddario, che non ci capisce
niente e si aspetta una consegna di Mussolini (o meglio poco gliene frega a
seguito di certi ordini segreti ricevuti) di firmare il lasciapassare al
colonnello Valerio.
Tutto l'atteggiamento del Daddario, che in quelle ore dovrebbe essere la
principale missione messa sulle tracce Duce, e invece se la prende comoda tanto
da meritare il soprannome di lento pede, è oltremodo sospetto.
Audisio, accompagnato da Aldo Lampredi Guido, e un plotone di circa 12
partigiani dell'Oltrepò pavese, più i loro due comandanti Alfredo Mordini
Riccardo e Giovanni Orfeo Landini Piero, viaggerà su un camioncino scoperto Fiat
121 a nafta, requisito alla ditta Ovesticino ed una 1100 nera guidata dal
socialista Giuseppe Perotta.
Sotto una pioggia a dirotto il sinistro plotone arrivò a Como infilandosi pochi
minuti dopo nella Prefettura (Audisio scrisse: alle 8,30, ma c'è qualche dubbio
che sia arrivato prima).
Valerio, per la sua "grande impresa", aveva indossato una specie di giacca a
vento militare grigia (Paolo Murialdi capo di stato maggiore delle Divisioni
dell'Oltrepò che lo assistette al momento della partenza e ci discusse anche
animatamente perché Audisio, senza spiegarsi meglio, gli chiedeva un camion più
grande) dice con i gradi: rettangolo rosso con le stelle dorate e forse in testa
un basco, pantaloni grigio verde e, qualcuno afferma, che si era anche
pomposamente messo una sciarpa trasversale tricolore (oltre alla coccarda del
CVL), cinturone e pistola. Dovrebbe avere anche un mitra Thompson, ma quando
arriverà in Prefettura a Como, non lo hanno notato. Guido (Lampredi) invece è in
borghese con tanto di impermeabile bianco, il suo solito basco in testa,
occhiali da vista, ed è armato di una pistola Beretta modello 34, calibro 9
celata in tasca.
Arrivati dunque in Prefettura, dove li accoglie il neo prefetto Virginio
Bertinelli, i nostri, incontrarono subito una serie di problemi e diffidenze
In Prefettura c'era anche il responsabile militare del CLN di Como, il maggiore
Cosimo Maria De Angelis e il neo segretario del CLN, cioè il commendator Oscar
Sforni oltre ad arrivare altri personaggi (dodici in tutto ne ricorda Valerio),
tutti poco propensi a sottomettersi ai desiderata di Audisio e vedersi quindi
sottrarre i celebri prigionieri.
Sappiamo poi come andarono le cose: Audisio, dopo varie incomprensioni e liti
con i dirigenti locali del CLN, la spuntò solo dopo alcune ore, ma intanto
intorno alle 11 telefonò al Comando Generale del CVL di Milano, dove si disse
che parlò con Luigi Longo il quale appreso che il suo uomo era invischiato in
queste diatribe gli disse perentoriamente di andare a fucilare Mussolini
altrimenti sarebbero stati passati per le armi loro stessi (ovviamene come modo
di dire).
Questa telefonata, seppure resa nota molti anni dopo i fatti, sembra accertata e
venne confermata dallo stesso Longo, ma alcuni mettono in dubbio che
all'apparecchio vi fosse Longo in persona, mentre altri asseriscono che fu
proprio in questa occasione che Longo o chi per lui ebbe a specificare ad
Audisio l'incarico di fucilare sul posto Mussolini.
Quel che invece è veramente strano e sospetto è il fatto che in quel momento
Longo o chi fosse all'apparecchio non avvisi Audisio che Mussolini non era più a
Dongo (come ora vedremo questa informazione era sicuramente arrivata al partito
comunista a Milano) e lasci quindi che il colonnello lo venga a scoprire solo
quando dopo le 14 arrivò sul posto. Segno questo che oramai a Milano, in realtà,
non avevano più urgenza di mettere le mani sul Duce perché già sapevano che era
morto.
Quindi, nel frattempo erano successi altri avvenimenti e da questo momento in
poi, Longo utilizzò Audisio unicamente per coinvolgere, in una parvenza di
legalità, tutte le componenti della resistenza, e procedere alla fucilazione
degli altri prigionieri che erano a Dongo.
Il susseguirsi degli avvenimenti e vari imprevisti, imposero poi ad Audisio di
mettere anche in atto una messa in scena attestante una finta, ma "regolare"
fucilazione pomeridiana del Duce, quale esecuzione di una "sentenza" del CLNAI.
Una messa in scena necessaria per riscuotere, seppure a posteriori, l'unanimità
di tutte le componenti della resistenza, porre in un certo modo agli Alleati la
mancata consegna del Duce, e far pesare tutta una cruenta, ma in qualche modo
"regolare" e unanime fine della guerra civile, nei futuri assetti di un governo
democratico e antifascista del dopoguerra.
In Prefettura a Como, nel frattempo, come sappiamo Aldo Lampredi, alto dirigente
comunista, con esperienza internazionale, e dicesi ex agente del Komintern
(struttura internazionale sovietica preposta anche a procedere ad eliminazioni
di nemici del comunismo, che era stata sciolta nel 1943, ma i cui membri
rimasero in qualche modo sotto gli ordini di Mosca), portandosi via il capo
scorta Riccardo Mordini, l'auto e l'autista di Audisio si era, a insaputa di
Valerio, defilato per recarsi nella vicina federazione comunista, a sentir lui,
per aver aiuti a uscir fuori da quella situazione.
Fatto sta che dopo mezzogiorno, sia Audisio che Lampredi, si incamminarono,
ciascuno per conto loro, verso Dongo, dove giunsero poco dopo le 14,
incredibilmente senza incontrarsi per strada o venire a sapere dai tanti posti
di blocco del passaggio degli altri, segno evidente che invece Lampredi e gli
altri della federazione comunista di Como, avevano percorso quelle strade in
orari molto diversi.
Mentre, infatti, il tragitto e gli orari di Audisio da Como a Dongo sono
comprovati, quelli di Lampredi lasciano molti dubbi, soprattutto in che orario
abbia abbandonato Audisio in Prefettura (alcuni sostengono alle 10 circa,
Lampredi scrisse alle 11, ma non è esclusa una sua uscita intorno alle 9 o poco
più), perché c'è il fondato sospetto che, nel frattempo, dopo essersi recato in
federazione Comunista ed ivi trovato notizie aggiornate e disposizioni, sia
passato per Bonzanigo, ubicato a circa metà strada, dove Mussolini venne ucciso
proprio al mattino.
In ogni caso, sia che Lampredi sia giunto a Bonzanigo tra le 9 e le 10, orario
in cui venne ammazzato il Duce, oppure vi arrivò più tardi, è poco, ma sicuro
che fu proprio lui poi a predisporre il progetto di nascondere quanto era
accaduto in paese, compresa la uccisione della Petacci, avvenuta intorno al
mezzogiorno, e quindi farsi carico di avvertire Audisio a Dongo per predisporre
la generale messa in scena del pomeriggio.
L'incontro di Audisio con Lampredi, alle 14,10 circa sulla piazza di Dongo,
sembra che fu alquanto burrascoso e anche qui, alcuni ricercatori storici,
sostengono che fu in questa occasione che Lampredi lo mise al corrente delle
novità e cambiamenti incorsi nella loro missione.
La "vulgata" infine ci dice poi che Audisio, impostosi ai comandi di Dongo circa
la requisizione dei prigionieri e le loro fucilazioni sul posto, partì poco dopo
le 15 assieme a Lampredi e Moretti ed un autista reperito sul posto (Giovanbattista
Geninazza) per recarsi a Bonzanigo a requisire Mussolini per fucilarlo,
stranamente di nascosto, al cancello di Villa Belmonte in Giulino di Mezzegra
(circa 350 metri più sotto, dove in realtà misero in atto una messa in scena
simulando una fucilazione di due cadaveri).
Quel che è sicuro è il fatto che poi Audisio ritornò a Dongo e procedette a
fucilare in pubblico al parapetto del lungo Lago, gli altri ministri e fascisti
ivi detenuti.
La macabra messa in scena della "fucilazione" di Villa Belmonte presenta molti
aspetti ambigui che si riallacciano ad altri avvenimenti (morte di Mussolini e
la Petacci al mattino) rimasti segreti, fino a quando non furono svelati dal
teste di Bonzanigo Dorina Mazzola, all'epoca ivi residente, e confermati da
alcuni ricordi di Savina Santi la vedova del partigiano Guglielmo Cantoni,
Sandrino, uno dei guardiani del Duce in Bonzanigo (vedere G. Pisanò, "Gli ultimi
5 secondi di Mussolini", il Saggiatore 1996). Tutti particolari questi che
trovano poi riscontro in vari elementi oggettivi e soprattutto nel fatto che
Mussolini fu rinvenuto morto con un giaccone inusuale che risulta assolutamente
privo di strappi o fori quali esiti di una fucilazione, indicando chiaramente un
rivestimento dopo morto. Ergo non poteva essere stato fucilato al cancello di
Villa Belmonte.
Se su tutto questo possiamo avere un minimo di certezze, resta il fatto, come
già premesso, che tante testimonianze e ricordi, sono poco attendibili, e
quindi, per tornare al nostro quesito principale, cosa ci può far allora
ritenere che Audisio, già alla partenza da Milano, abbia avuto un ordine segreto
di eseguire le fucilazioni sul posto?
E' semplicemente la deduzione logica di quegli avvenimenti che abbiamo
ricostruito che ci dice che le cose non possono essere andate diversamente.
Certamente Audisio, partendo da Milano venne, ufficialmente investito da un
ordine del Comando CVL finalizzato a recuperare i prigionieri a Dongo e tradurli
vivi a Milano. E l'apparenza ufficiale non poteva che essere questa perché, a
parte la posizione del CLNAI, rappresentante del governo del Sud al Nord,
rispetto agli impegni presi con gli Alleati in sede armistiziale e
successivamente confermati, per una consegna del Duce, vi era poi il problema
che in Prefettura a Como, Audisio doveva imporsi, coinvolgere e ottenere le
autorizzazioni da tutte le autorità del posto e quindi la consegna dei
prigionieri. Autorizzazioni e consegna dei prigionieri che sarebbe stato
complicatissimo ottenere rendendo noto l'ordine segreto di fucilarli sul posto.
E' altrettanto plausibile che, contestualmente, Longo ricevute, forse tra le 7 e
le 8,00 le informazioni dalla federazione comunista di Como, dove erano arrivati
Canali e Moretti reduci da Bonzanigo dove, intorno alle 4, avevano nascosto
Mussolini e la Petacci in casa dei contadini De Maria, si premunì per avere
sotto controllo il Duce del cui nascondiglio segreto, con vigilanza alquanto
precaria, erano al corrente, oltre che i due autisti notturni, poi sdoganati e
lasciati andare per conto loro, il Canali stesso, su cui il partito nutriva
forti sospetti e remore (sul capitano Neri pendeva una condanna a morte per
tradimento, apparentemente "congelata" emessa dal Comando Lombardo delle Brigate
Garibaldi), l'amante del Canali, la partigiana Gianna, alias Giuseppina Tuissi e
anche il Pier Bellini delle Stelle, notoriamente legato ad autorità e comandi
ciellenisti non comunisti.
La Direzione comunista a Milano quindi, avute le informazioni su Mussolini da
Como, non poteva assolutamente rimanere in passiva attesa che Audisio, tra
l'altro ignaro di dove stava Mussolini, compisse, con un lungo e necessario
iter, la sua missione.
E' difficile stabilire a che ora le informazioni, portate a Como da Moretti e
Canali, arrivarono a Milano. I telefoni, sia pure a singhiozzo, funzionavano
sicuramente. Certo è, e lo scrive anche Lampredi nella sua Relazione del 1972,
che in federazione a Moretti e Canali venne detto che occorreva sentire Milano
per avere ordini. Ora la "vulgata" dice che Moretti e Canali arrivarono a Como
in federazione intorno alle 7, ma Giovanni Aglietto il dirigente comunista
presente in federazione, disse anche che arrivarono verso le 6. In ogni caso è
prevedibile che, almeno per le 8, il partito comunista a Milano venne informato
di tutto.
Come possiamo capire, dalle testimonianze della Mazzola e di Savina Santi
Cantoni, quando il gruppo di comunisti Milanesi (come li definì lo storico Renzo
De Felice), forse inviati da Como su ordini da Milano, arrivarono verso le 9 a
casa De Maria, per prendere sotto controllo la situazione e magari attendere che
Audisio fosse in grado di fucilare tutti, compreso Mussolini, in quel di Dongo,
si verificò anche l'imprevisto di una colluttazione in stanza con Mussolini e la
donna, il ferimento del Duce al fianco e quindi la sua immediata, e
probabilmente non prevista, uccisione poco dopo nel cortile sotto casa.
Oltre ai particolari riferiti da Dorina Mazzola, che dalla finestra di casa sua,
ubicata a poco più di cento metri in linea d'aria da casa dei De Maria,
assistette a molti fatti riguardanti l'uccisione del Duce sintetica, ma molto
precisa risulta la confidenza resa da Savina Santi Cantoni a Giorgio Pisanò:
<<Mussolini e la Petacci non sono stati uccisi nel pomeriggio e davanti al
cancello di Villa Belmonte. Mio marito mi disse che quella mattina lui si
trovava di guardia alla stanza dove c'erano i prigionieri, quando vide salire le
scale Michele Moretti e altri due partigiani che non aveva mai visto nè
conosciuto. I tre gli ordinarono di restare sul pianerottolo fuori della stanza
ed entrarono nel locale. Mio marito, restando sul pianerottolo, udì uno dei tre
che diceva: "adesso vi portiamo a Dongo per fucilarvi", e un altro gridare: "No,
vi uccidiamo qui!". Poi mio marito udì altre voci concitate, le urla della donna
e colpi d'arma da fuoco...>> (G. Pisanò, op. cit.).
Seguì poi l'altra, ancor più imprevista uccisione della Petacci, intorno a
mezzogiorno, poco più avanti su via del Riale sul prato a lato della casa della
famiglia Mazzola.
Audisio venne informato da Lampredi di tutti questi avvenimenti dopo e 14 a
Dongo, e si dovette far carico, suo malgrado, delle successive, ma necessarie,
messe in scena.
Lui che credeva di dover fucilare Mussolini in una storica impresa da
immortalare in quel di Dongo, ma invece gli avvenimenti lo avevano totalmente
spiazzato.
En passant, possiamo anche aggiungere che a Milano, almeno Longo, era ben al
corrente della morte di Mussolini al mattino, perché altrimenti non sarebbe
stato così tranquillo, visto che (forse) aveva sentito Audisio per telefono alla
11, il quale era ancora alla prese con bisticci in Prefettura, mentre alle 14,
quando l'ignaro Audisio stava arrivando a Dongo, lui Longo, se ne andava
allegramente incontro a Moscatelli e le sue divisioni per tenere poi un comizio
in piazza.
Se Mussolini non fosse stato già ammazzato o comunque se Longo fosse rimasto
solo alle informazioni di un suo nascondiglio, per altro precario, a Bonzanigo,
particolari questi che oltretutto egli non rese noti ad Audisio, non poteva di
certo rimanere tranquillo.
Ed altrettanto ambiguo è il comportamento di Pierluigi Bellini delle Stelle
Pedro, pomposo comandante della 52a Brigata Garibaldi, fino a notte alta geloso
e orgoglioso custode dell'impresa di aver catturato Mussolini (in cui si era
accampato vari meriti forse non suoi).
Pedro, infatti, giunto verso le 8 a Dongo, proveniente da Bonzanigo, dove aveva
nascosto in quella casa dei De Maria che lui neppure conosceva, perchè l'aveva
indicata e garantita il capitano Neri, si disinteressa del Duce, del suo
precario nascondiglio, del fatto che i comunisti potrebbero fare un colpo di
mano per sopprimerlo a sua insaputa e degli stessi due giovani e stanchi
guardiani lasciati in quella casa. Se non fosse arrivato dopo le 14 a Dongo uno
sconosciuto e non gradito Audisio, fino a quando il Bellini avrebbe continuato
ad ignorare la situazione di Mussolini in quella casa?
Anche qui la logica degli avvenimenti non regge ad un esame razionale ed è
quindi ben ipotizzabile che a Pedro fu consigliato di defilarsi dalla situazione
del Duce di cui forse anche lui ben presto seppe che era stato soppresso al
mattino.
Per concludere, la "prova" che Longo, quando in piena notte aveva progettato la
missione di Audisio e Lampredi, per spedirli a Dongo, via Como e ritorno per
scaricare i cadaveri in piazzale Loreto, sta nel fatto che non poteva di certo
arrischiarsi ad ordinare una traduzione dei prigionieri vivi a Milano, dati i
rischi che il plotone di Audisio, nel ritorno in città con i celebri, potesse
essere fermato strada facendo da pattuglie partigiane non comuniste o
addirittura dagli Alleati, con relativo sequestro del carico.
Questi rischi erano seri e difatti gli Alleati, la sera del 28, intercettarono
il camion di Audisio di ritorno a Milano con i cadaveri nei pressi di Cernobbio,
ma non controllarono il carico. Ben diversamente sarebbe andata se invece il
carico fosse stato costituito da oltre una quindicina di prigionieri vivi e
vegeti.
Oltretutto, giunto a Milano intorno alle 22 il plotone di Audisio ebbe anche un
altro fermo operato dai cosiddetti "partigiani della divisione Ticino" davanti
al palazzone della Pirelli, e qui Audisio e Lampredi per un equivoco e forse per
precedenti rancori, furono addirittura maltrattati e minacciati di essere
passati per le armi.
Come avrebbe potuto Longo progettare una così pericolosa e problematica
traduzione di Mussolini vivo a Milano senza rischiare di farselo sequestrare per
strada? Che arrivato il Duce in città non ci sarebbero stati ostacoli di varia
natura?
Non è razionalmente ipotizzabile che Longo avesse pensato ad una traduzione di
Mussolini vivo fino a Milano, tanto più che al momento della partenza di Audisio
da Milano, fece osservare ad Albero Alberto Mario Cavallotti, che si sarebbero
dovuti sbrigare perché su Mussolini erano in caccia gli americani.
Un ultima osservazione. Alcuni, per esempio Giorgio Pisanò, ipotizzarono che
Audisio, partito da Milano aveva il solo ordine di tradurre i prigionieri in
città, in base alla considerazione, si sostiene, che altrimenti Audisio non
sarebbe stato ossessionato, strada facendo, dalla ricerca di un grosso camion
adatto allo scopo (lo reperì infine a Como uscendo dalla Prefettura).
Ma è questa una deduzione inconsistente, perché Audisio avrebbe, comunque,
dovuto reperire un grosso camion adatto sia al trasporto di oltre 15 cadaveri
(furono poi 18) che a quello di prigionieri in vita.
Maurizio Barozzi
|