Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Movimenti di pedoni sullo scacchiere vicino-orientale

 

Giorgio Vitali
 

Premessa: il 12 luglio 1916, esattamente novant’anni fa, venivano impiccati per tradimento dall’esercito austro-ungarico Cesare Battisti e Fabio Filzi. Damiano Chiesa, che fu fatto prigioniero assieme ad un mio zio, era già stato fucilato perché minorenne, essendo minorenne il 19 maggio. Ovviamente nessuno li ha ricordati, fra i tanti “patriotti” che sgomitano per mettersi in vista. Si trattò di un sacrifico deliberatamente cosciente, perché i tre, che erano militari delle nostre forze armate e che avevano chiesto di stare al fronte, avrebbero potuto ritirarsi in seconda linea durante l’attacco austriaco ("Strafexpedition", che significa spedizione punitiva), scatenato dal maresciallo Von Hotzendorf con ben 16 divisioni di complessivi 300.000 uomini, il 15 maggio del 1916. Malgrado l’ingente dispendio di forze e di vittime, l’attacco fu contenuto, il 3 giugno ci fu l’ultimo successo austriaco con la presa del Monte Cengio, difeso corpo a corpo dai granatieri di Sardegna, e si esaurì definitivamente il 16 giugno.
Battisti e Filzi furono immolati probabilmente per ritorsione contro la resistenza italiana. Che fu una resistenza autentica, al contrario di quella retoricamente imposta da 60 anni ad oggi.
Noi vogliamo ricordarli perché non siamo nazionalisti, in un momento nel quale il nazionalismo si concretizza con manifestazioni degradanti per una vittoria sportiva.
La nostra linea politica non è basata su presupposti nazionalistici. I nostri orizzonti sono molto più vasti, come lo erano, peraltro, quelli della classe dirigente politica della RSI. Ma proprio per queste ragioni pretendiamo il massimo rispetto per tutti coloro che si sono sacrificati per un sentimento di onore. Onore per sè stessi, innanzitutto, in quanto si deve chiedere agli altri il massimo rispetto per “ogni” persona e quindi per tutto quello che la riguarda, in primis la sua terra, la sua casa, le sue abitudini, la sua identità, la sua tradizione, il suo passato e quello della sua famiglia. I suoi lari, le sue tombe. Se la persona non pretende questo elementare rispetto, per se e per gli altri, non ha alcun diritto alla politica. Oggi, infatti, nessun esponente della classe politica italiana meriterebbe di gestire la politica nazionale, tanto nei confronti dell’ Unione Europea quanto del mondo intero.
Ecco le ragioni del nostro schierarci definitivo per le ragioni dei Palestinesi contro l’aggressione sionista che vuole estirpare dalla Terra di Palestina ogni retaggio di quella popolazione, in attesa di applicare le stesse “regole” al mondo intero.

Prodromi di guerra?
Alcune sere fa, approfittando delle manifestazioni per la vittoria della squadra italiana di calcio ai campionati mondiali, alcuni “buontemponi” hanno preso a tortorate alcuni carabinieri di guardia all’abitazione di Berlusconi. Contemporaneamente o quasi, altri “burloni” si sono divertiti a disegnare svastiche e croci uncinate qua e là.
Ovviamente, è insorta la stampa benpensante che, ignara del genocidio in atto nei paesi islamici (dall’Iraq alla Palestina, dall’Afghanistan al Libano) è sempre molto attenta a tutte le manifestazioni di antisemitismo, quali scritte sui muri o sulle porte di qualcuno. In se stesse piuttosto innocue se non sottintendessero, per chi sa leggere fra le righe, oscure minacce per l’avvenire. Minacce però che nulla hanno a che vedere con quanto le stesse scritte intendono far credere ai soliti gonzi, che in Italia sono maggioranza.
L’avvenimento, infatti, è più serio di quanto non si creda, perché preludio ad ulteriori forme di escalation terroristica. «Cosa sta succedendo?», si chiede l’analista politico, e la sua risposta è una sola: Israele ha programmato la guerra contro il Libano e la Siria e, come ha fatto altre volte, si copre le spalle con un paese di prima retroguardia quale è l’Italia. Infatti, qualora nel nostro paese scoppiasse una qualche bomba, [è già accaduto con la stazione di Bologna], il ministero degli interni avrebbe buon gioco a prendersela con gli islamici -beninteso già individuati- e farne una retata, almeno fino al momento in cui il programma aggressivo di Israele non giungesse alle sue previste, calcolate, preventivamente prospettate ad americani ed inglesi, conclusioni.
A rendere il quadro più intrigante c’è anche la bomba nel treno indiano.
Un qualsiasi studioso di cose geopolitiche ne potrebbe arguire che si tratta della diretta conseguenza dell’accordo russo-iraniano-indiano-pakistano che crea il cartello sul gas e relativo trasporto tramite gasdotto. Una bomba reale messa fra le gambe del potere petrolifero anglo-saudita-americano. Una rivoluzione rispetto ad una geopolitica basata, almeno fino ad oggi, sulla rivalità fra India e Pakistan.
Ma questa nostra riflessione non è finalizzata a suscitare l’interesse di persone che non sono giunte nemmeno a questo banale livello di pensiero. La maggioranza degli italiani si abbeverino liberamente alle stupidaggini stampate sui quotidiani di regime. Questi italiani non ci interessano. Noi vogliamo comunicare con gli altri. Si tratta infatti di spingere l’analisi fino ai limiti del giudizio comune, quello che viene giornalmente bombardato dai Media, perché la politica, se si vuole fare realmente, richiede livelli di studio e capacità di scansione che vanno ben oltre quanto appare a qualsiasi forma di analisi di primo approfondimento. Sappiamo quello che stiamo scrivendo perché lo verifichiamo giornalmente. D’altronde non staremmo qui a menare il can per l’aia se non conoscessimo l’importanza per tutti della presenza di un «pensiero politico autonomo».
Cosa sta succedendo, ripeto, sotto i nostri occhi?
A prima vista, c’è lo Stato (??) di Israele che vuole muovere guerra al Libano ed alla Siria, apparentemente «prime linee» dell’Iran, accusato di volersi costruire la bomba atomica; tuttavia il discorso è piuttosto vago, perché l’Iran non è l’Iraq, oltre ad esser un paese tecnologicamente molto più avanzato di quanto non ci facciano credere.
Indubbiamente, la Borsa del Petrolio, istituita dall’attuale governo iraniano può costituire un pericolo per il signoraggio sul petrolio da parte degli USA e di conseguenza per il signoraggio del dollaro sulle altre monete, ma finora la Borsa è stata boicottata (come era prevedibile) dalle grandi petrolifere.
Israele, inoltre, per bocca di Martin Van Creveld, che insegna storia militare all’Università di Gerusalemme, ha voluto ricordare una frase di Moshe Dayan, secondo cui: «Israele deve essere considerato come un cane pazzo. Troppo pericoloso da provocare». Ed ha aggiunto, Van Creveld, per farsi meglio capire: «Noi abbiamo la capacità di trascinare giù il mondo con noi. E posso assicurarvi che ciò accadrà, prima che Israele cada». Bene. Se Israele intendeva spaventare il mondo con questa frase sicuramente non c’è riuscito. Al contrario, per noi si tratta dell’esternazione di una disperazione. Di una situazione di stallo. Del fallimento del progetto sionista.
Cosa si vuole allora? Far uscire allo scoperto Cindia? E qualora ciò avvenisse, quali sarebbero le ripercussioni nel quadro internazionale?
Noi sappiamo alcuni punti essenziali: da decenni, se non da secoli, il fulcro della politica internazionale è il Mediterraneo. E non solo per il petrolio. Da secoli, anzi da millenni, la spinta dell’Europa in quanto tale è verso l’Asia, e non serve richiamare la memoria di Alessandro (il Grande!) per ricordarlo ai lettori di questo articolo.
Non solo. È ormai presente alla coscienza degli studiosi di storia che la spedizione italo-tedesca in Russia non era finalizzata alla conquista ed all’abbattimento dell’URSS quanto al raggiungimento, attraverso gli Urali, del Golfo Persico. Non dimentichiamoci che all’origine del primo conflitto mondiale c’è proprio la rivalità anglo-tedesca sul controllo di quelle zone. Approvvigionamento energetico? Non lo credo. Troppo poco. D’altronde, anche in epoca non sospetta dal punto di vista energetico, Napoleone ritenne indispensabile una spedizione in Egitto. E poi fu costretto ad invadere la Russia, con il risultato che conosciamo.
Ci sono degli aspetti interessanti che propongo alla considerazione dei nostri lettori. Molti sono gli abitanti ebrei della Palestina che abbandonano quel luogo privilegiato dal Signore. Due anni orsono si è trattato di 700.000 persone. Non è roba da poco su una popolazione di circa 6.000.000 di abitanti (ahi! ritorna sempre questo numero!). Ma c’è un aspetto che pochi libri (di Storia!) citano: fu proprio quando si accentuò il processo di rimpatrio dei colonizzatori ebrei in Palestina verso i luoghi di origine che nacque e si sviluppò la persecuzione nazista verso gli ebrei. Fra il 1924 ed il 1931, 29 immigranti su 100 lasciavano il paese dopo qualche tempo. Nel 1927 le partenze superavano gli arrivi: 5.000 contro 3.000. Nel 1931 gli ebrei in Palestina erano 175.000 contro 1.036.000 abitanti, fra cui molti cristiani. A questo punto il Nazismo scatenò una nuova ondata immigratoria che salvò l’Jishuv. Allora, qual’è il problema? Certamente non quello che appare. Chi è realmente interessato a che 6.000.000 di ebrei risiedano stabilmente in Palestina? Gli USA per la loro geopolitica e per l’influsso della Lobby ebraica, dei Teocons e del fondamentalismo evangelico? Ci sembra troppo poco. Alcune verità desecretate di recente (vedi il “Golpe Borghese”) sui servizi segreti statunitensi e le alleanze con ambienti nazisti e di SS che risalgono addirittura al 1943 se non prima, richiedono una seria analisi, che liberi finalmente e definitivamente gruppi di persone che vogliono intervenire nella politica nazionale con un autentico progetto rivoluzionario, dai riferimenti ideologici fin troppo evidenti nel loro gioco di condizionamento e reclutamento.
Infine, poiché mi sembra importante la coincidenza, esiste un parallelo fra la crisi attuale dei nostri Servizi Segreti e quanto accadde ai tempi di Giannettini e La Bruna. In un interessante articolo su "La Padania" di giovedì 13 luglio scorso, Massimo Fini trova grottesco che Renato Farina, vice direttore di “Libero” facesse lo «007» con il fisico che questo giornalista si trova. Secondo Massimo Fini si tratterebbe «dell’uomo più imbranato e maldestro che io conosca». Ma qui casca l’asino. Anche Fini, studioso raffinato, vive nel mito di James Bond. Personaggio tanto incredibile quanto, appunto, mitizzato come «ultra eroe». Lo spione vero è proprio il contrario. Così come l’azione di forza delle potenze che in questo momento si stanno affrontando nel Vicino Oriente.
È solo apparenza. Tanto più credibile (per il pubblico) quanto più è falsa. Il primissimo passo per una politica rinnovata consiste nella comprensione di questi piccoli aspetti apparentemente marginali.
 

Giorgio Vitali