Che cosa unisce e cosa
divide il "New Deal" e il Fascismo
Lettera a Sergio Romano
Nella parte conclusiva di una
risposta sulle vicende di due trozkisti italiani lei accenna al "New
Deal" americano e a Mussolini che avrebbe salutato gli americani
come «cugini». Per grandi linee, che cosa fu il "New Deal" americano
e perché Mussolini si espresse in quei termini?
Mario Russo |
14 novembre 2010)
Caro Russo, la parola «cugini» è mia e non fu mai usata da Mussolini. Ma è
certamente vero che il capo del fascismo fu molto interessato dal "New Deal" e
vide nella politica di Roosevelt una sorta di affinità con la politica economica
che il governo italiano stava perseguendo soprattutto dopo l'arrivo in Europa
dei devastanti effetti provocati dalla crisi del 1929. Quando Giulio Einaudi nel
1933 fondò la sua casa editrice e pubblicò nei mesi seguenti due libri di Henry
Wallace, ministro dell'Agricoltura nell'amministrazione del presidente
Roosevelt, "il Popolo d'Italia" pubblicò una recensione anonima (ma certamente
scritta da Mussolini) in cui l'esperimento americano era descritto con grande
simpatia e considerato per certi aspetti pre-fascista. L'autore dell'articolo
non aveva torto. A Washington, fra i consiglieri di Roosevelt, vi erano
economisti che avevano studiato attentamente il piano di Alberto Beneduce per il
salvataggio delle banche, la creazione dell'IRI, i progetti fascisti per una
economia corporativa. In un articolo apparso sulle pagine di "Repubblica" nel
settembre del 2010, Lucio Villari ha parlato di una lettera manoscritta che
Mussolini inviò a Roosevelt il 24 aprile 1933 e della missione che un
collaboratore del presidente americano, Rexford Tugwell, fece a Roma per
incontrare il capo del governo italiano nell'ottobre 1934. Erano anni durante i
quali molti si chiedevano se il crac del 1929 non avesse annunciato le prossime
esequie del capitalismo morente. Occorreva correre ai ripari e cercare formule
che conciliassero il diritto di proprietà con quello dei lavoratori, il ruolo
degli imprenditori e quello dei sindacati. Il risultato americano di queste
riflessioni fu una legge approvata nel giugno del 1933 (il National Industrial
Recovery Act) in cui Mussolini poteva legittimamente intravedere il riflesso di
quella «economia dei produttori» a cui i «corporativisti» del regime stavano
lavorando da molto tempo. Il Nira sospendeva di fatto il principio liberista
della concorrenza, autorizzava la creazione di cartelli fra industrie di uno
stesso settore, delegava al sindacato maggioritario di un'azienda il diritto di
negoziare il contratto di lavoro per tutti i dipendenti, stabiliva che il prezzo
di alcune materie prime potesse venire regolato d'autorità, prevedeva la
redazione di codici del lavoro a cui tutti avrebbero dovuto conformarsi. Come
nel sistema italiano, anche negli Stati Uniti, quindi, industrie e sindacati
erano destinati a prendere posto insieme in un'area pubblica di cui il potere
esecutivo sarebbe stato in ultima analisi l'arbitro e il regolatore. Fu proprio
questo aspetto della legge che suscitò le riserve dei giudici della Corte
suprema. Nel maggio 1935 la Corte decretò che l'esecutivo si era appropriato di
alcune prerogative del potere legislativo e che una parte della legge era
anticostituzionale. Fu chiaro in quel momento che gli Stati Uniti erano pronti a
riformare il loro capitalismo, ma soltanto nell'ambito di un sistema democratico
di pesi e contrappesi. Da questo momento l'Italia e l'America presero, non solo
economicamente, strade diverse.
Sergio Romano
la NOTA di Giorgio Vitali
Il commento di Sergio Romano è, come sempre interessante. Anche
perchè ci serve per capire alcuni concetti. Il primo riguarda non la
questione trattata ma il lavaggio del cervello che è stato imposto
al popolo italiano. Questo lavaggio non è consistito nel "parlare
male" di questo o di quel sistema, ma nel creare degli schemi
mentali per cui ogni forma di pensiero e di prassi politica sono
incasellati in precise coordinate storiche e politiche. ne consegue,
ovviamente, che non si può capire nulla di quanto è avvenuto e di
quanto avviene.
Pertanto, e per facilitare la comprensione, riduciamo il nostro
commento ad alcuni punti essenziali.
1) Le scelte e le decisioni politiche nascono quasi sempre dagli
eventi. Dopo gli eventi. Ma le scelte sono determinate dalla cultura
di chi le fa. Quando si dice che il regime fascista è stato l'unico
regime socialista che abbia avuto l'Italia si dice il vero, perchè
le scelte fatte da Mussolini di fronte alla crisi sono state
determinate dal suo "essere socialista" e voler attuare, per quanto
possibile e compatibilmente agli altri poteri presenti nel nostro
paese, Chiesa compresa, una politica di carattere socialista. Nel
caso del confronto fra le scelte mussoliniane e quelle
rooseveltiane, che sono state della stessa "impronta", come sostiene
a spada tratta anche Lyndon LaRouche, la differenza nei fatti è
evidenziata dal fatto che, mentre in Italia la società civile era
abbastanza sotto controllo ed è stato possibile mettere in piedi un
sistema politico e statuale alternativo se non rivoluzionario,
Roosevelt è stato messo rapidamente a tacere dal sistema amerikano,
rappresentato dalla Corte di Giustizia, che non ha mai tollerato
un'organizzazione socio-politica alternativa al potere bancario.
Ogni strutturazione che permetta al sistema statale di contrastare
impunemente i signori dell'oro e dell'usura non è accettato.
Alternativamente, c'è la pistola del Killer, come Lincoln, McKinley
e Kennedy (uno e due) insegnano.
2) È utile ripetere che le creazioni spontanee nascono solo nella
testa degli artisti. Anzi, la società si rappresenta sempre nel suo
divenire. La grande rivoluzione francese ha apportato prima in
Francia poi nel mondo intero gli esiti di un conflitto "interno" fra
le tante anime della rivoluzione. Prima di quegli eventi, che noi
concepiamo oggi come un tutt'uno, nessuno degli attori principali
avrebbe mai immaginato quali ne sarebbero stati gli esiti. Come
abbiamo poi dimostrato in tante occasioni, la stessa morte di Luigi
XIV è stata provocata da ben altro che dal suo "tradimento",
peraltro del tutto evidente.
3) L' evoluzione della situazione politica ed economica, chiaramente
determinata dalla crisi del 1929, nata e sviluppatasi per le stesse
ragioni che hanno provocato quella che stiamo subendo oggi, è stata
vissuta nel mondo ed in Italia in maniera pressochè identica, solo
che il nostro paese ha saputo fornire al mondo, secondo la sua
inveterata abitudine, una soluzione più umana e civile di quella di
cui siamo a conoscenza in relazione agli USA. Ne basti la
letteratura ed il cinema.
4) In ogni caso, l'avvento di nuovi Istituti in Italia è stato lento
e graduale, propiziato dalle capacità di alcune persone stimolate e
coordinate, ad un fine comune, dal genio di Mussolini.
5) In questo frangente il Duce riuscì anche a "nazionalizzare", sia
pure in via indiretta, la Banca centrale, e con il ricavo ottenne
alcuni risultati: la creazione delle "città di Mussolini", le
bonifiche agrarie, l'ampliamento delle infrastrutture, la
modernizzazione della Libia, che era e rimane la nostra "quarta
sponda", ma soprattutto riuscì a procurare lavoro alle Masse, come
sempre si fa, fin dai tempi dei Faraoni, in periodi di crisi. (Non è
di certo l'intuizione di alcuni "economisti" a consigliarci certi
comportamenti).
Giorgio Vitali |
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