Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Ora  basta!

Fabrizio Belloni  (16 novembre 2010) 

 

L'ultimo grande Italiano, l'ultimo grande statista che questo povero Stivale ha avuto, un giorno, dal balcone di piazza Venezia, lanciò il grido di riscossa: «… con l'Etiopia abbiamo pazientato quarant'anni: ORA BASTA!». E, dato che manteneva sempre la parola (che pena il confronto con la realtà di oggi!), andò  pitturare di sberle gli eredi dei vincitori di Adua. E proclamò l'Impero. Ovviamente non per sé, ma per l'avido, complessato, provinciale Re Sciaboletta. Ma erano altri tempi, quando, se ribaltavi il politico, dalle tasche non cadeva neppure un biglietto del tram, come si lasciò scappare il grande pugliese-milanese Walter Chiari (naturalmente fu censurato e punito con esclusione dalla Rai, per aver detto questa verità).

Oggi ci troviamo, mutatis mutandis, in una situazione simile.

Oggi, dopo sessantacinque anni di "valori della resistenza", dopo l'imposizione forzata del "sistema democratico-parlametare", siamo arrivati alla situazione di sfacelo nella quale ci troviamo.

"Butto giù" -se mi passate l'espressione vernacola- in ordine sparso alcuni aspetti macroscopici della nostra società, senza ordine, senza gerarchia di importanza e senza la pretesa di essere esaustivo.

·        Manca largamente la dignità dell'essere umano.

·        Manca la famiglia, lentamente, scientificamente distrutta dal disegno globalizzante e mondialista.

·        Manca la Comunità, cioè il gruppo omogeneo di persone che si prendeva cura l'uno dell'altro.

·        La società, cioè la somma delle comunità, è allo sbando: il crescente marasma politico, ed ancor più l'astensionismo elettorale chiarisce che la Gente condivide la repulsione per questa società, ove solo il dio denaro, il dio privilegio, il dio poltrona sembrano abbiano sostituito gli antichi Dei.

·        Non vi è, di conseguenza, più amore per il lavoro. Valore che era sacro, al di là della necessità economica. In certi paesotti della Pianura Padana si usava dire «Buon lavoro», e non «Buon giorno», quando ci si incontrava. La sacralità del lavoro, dell'impegno, del sacrificio, del dovere era una componente della moralità di ciascuno.

·        Il cosiddetto stato sociale appare come carità pelosa e non come  un sacrosanto diritto di cittadinanza. L'orgoglio di appartenere allo Stato è stato sostituito dalla logica dell'astuzia, della furbaggine, del parassitismo, dell'assistenzialismo viscido e corrotto. Del resto un noto Avvocato del Nord si permise spudoratamente ed arrogantemente di bestemmiare «Quello che va bene per la Fiat, va bene per l'Italia». Immediata la risposta del Sud: «La sanità è la Fiat del Mezzogiorno», chiudendo così il perverso cerchio del fallimento della democrazia e dello stato impostoci dai vincitori (?) della seconda Guerra Mondiale.

·        Produttività a livello di nebbia in Val Padana. Investimenti in ricerca inferiori a quelli di un Paese del terzo mondo. Commercio estero affidato al "geniaccio" singolo e allo "stellone" italico. In compenso il turismo fa costanti passi indietro: basterebbe copiare la strategia della Spagna, per tornare ai primi posti.

·        Le mafie, reimportate dagli yankee, dopo la vittoria che il Fascismo aveva riportato su di loro, sono oggi padrone di almeno quattro regioni, con infiltrazioni pesanti anche al Centro - Nord, con alleanze e sinergie con simili organizzazioni estere. E le stelle, ed i politici stanno a guardare. Anzi …

·        La gioventù è allo sbando completo. Esce dalla scuola con lacune intollerabili, con l'incapacità  di leggere correttamente l'italiano, di esprimersi decentemente, di far di conto in modo non ridicolo. In compenso non ha punti di riferimento, non viene ascoltata, non riceve amore. Si droga e va allo stadio con la sbarra di ferro, pronta allo scontro contro il branco nemico.

·        Non parliamo delle banche, perché si imporrebbe il turpiloquio, inaccettabile stante la presenza femminile fra i lettori. Ma credo che tutti concordino. Forse anche sul turpiloquio.

·        Sanità, scuola, trasporti, viabilità, ambiente, cultura, sicurezza sociale … Ovunque ci si giri, settore per settore, l'immagine ricorda Hiroshima dopo che i "civili propagandisti delle libertà e della democrazia" fecero omaggio dell'Olocausto (questo sì, vero e controllabile) nucleare.

Ognuno capisce che si potrebbe continuare per pagine e pagine: anziani, pensioni, commercio, agricoltura, dignità del cittadino, burocrazia, tasse, ladri, delinquenti, magnaccia, mafiosi politici …

E allora? Come uscirne?

Due strade, due modi.

Il primo, praticamente impraticabile. Datemi 24 divisioni corazzate, con annessi e connessi, e sistemo la faccenda in due, tre settimane. Ma non le ho, parcheggiate in cortile.

La seconda è sicuramente più faticosa, più difficile, più lunga. Ma più profonda, più radicabile nel cuore e nella mente della gente. Si dovrebbe formare una associazione, un comitato, una fondazione o simile, che si facesse carico di difendere la dignità, la libertà, il diritto civico di ogni essere umano. Difenderlo contro soprusi, soperchierie, violenze fisiche e psicologiche, prepotenze che ogni e qualsiasi ente statale, governativo o simile perpetri ai danni del cittadino. E lo stesso nei confronti di ogni ente religioso. Con categorica esclusione di partiti, con dichiarata allergia a sedie, poltrone, posti, privilegi, consigli di amministrazione, candidature e porcheria simile annessa. Con l'unico scopo che sia quello di non lasciare solo l'essere umano, impotente di fronte allo stritolamento del sistema. E dato che l'essere umano è animale sociale, il fatto di sentirsi non più solo spingerebbe l'essere umano a trasmettere la sua non solitudine a coloro che gli sono vicino. In breve si ricomincerebbe a costruire quello che hanno deliberatamente e scientificamente voluto distruggere: la comunità, la comunità di uomini fratelli fra loro. Come era un tempo, come è ancora in paesi piccoli e isolati, e più al sud che al nord.

Si romperebbe così la forza che "i poteri forti" usano per sottomettere la classe messa  a tributo, cioè noi tutti. Si interromperebbe il laido, viscido, animalesco disegno che ha distrutto prima la famiglia, poi la comunità in attesa di distruggere le società. Gli stati, cioè. E tutto per il lurido fine di ricostruire il "terzo tempio".

No, mai.

Quasi quasi mi ci metto e ricomincio.

Voi cosa ne dite?

 

Fabrizio Belloni       

(Cell. 348 31 61 598)        

       

la NOTA di Giorgio Vitali


Quanto scritto in questo articolo è perfettamente condivisibile. Viviamo in un momento di grande crisi sociale e politica, come ce ne sono state tante nella storia dell'uomo. D'altronde, e ci sembra del tutto plausibile, percepire che quanto avviene in Italia è conseguenza di una crisi dei poteri esistenti a livello globale non dovrebbe essere difficile.
E tuttavia, non è facile trasformare il disgusto morale ( e moralistico) in evento politico. La politica è altra cosa. La politica significa saper interpretare il cambiamento in atto in termini geopolitici, sociali, antropologici, geopolitici.
Nel caso degli scandali a ripetizione che ci coinvolgono, sarebbe necessario interrogarsi sul come la società italiana, e quella europea in generale, fatti salvi i costumi (intimi) dei vari popoli, è arrivata a coinvolgerci tutti. In realtà questi scandali sono la conseguenza della società dell'informazione, dove per informazione non si intende quella vera, consistente nell'informare i cittadini su cosa sta avvenendo a casa propria e nel mondo, ma nel disinformare i cittadini attraverso la prospettiva di immagini fantasmagoriche del "mondo virtuale". Che il Mondo Virtuale si sia poi trasformato in un mondo di guardoni, di onanisti, di impotenti etc..etc.. con tendenze omosessuali, riguarda in primis lo studio che su di esso verrà condotto da specialisti della materia, ai quali dovrà ispirarsi la politica alternativa di coloro che hanno veramente intenzione di cambiare questo mondo. RICORDANDO bene che le parole sono vuoti suoni se non si accompagnano ad una VISIONE che coinvolge tutto il modo d'essere di chi propugna il cambiamento.
 

Giorgio Vitali