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Progetto demiurgo

(dedicato all'amico, filosofo ed anarchico "sui generis", ideatore del "tirannantropo")

 

Libero Tronocozzo (27/11/2014)      

 

   Sprofondato in una comoda poltrona della sala convegni del Centro Sperimentale Sartorius si prese il volto affilato tra le mani e con gli indici cominciò a massaggiarsi lentamente le tempie, nella speranza di attenuare l’emicrania che lo affliggeva sin dal mattino.

   Sbirciò l’ora sullo schermo di un computer: era ormai imminente la visita del Presidente e di altre personalità, per le quali aveva preparato una corposa relazione sui risultati del progetto che lo aveva impegnato negli ultimi tre anni e che tra pochi giorni sarebbe divenuto, almeno nelle sue linee essenziali, di dominio pubblico, essendo prevista una conferenza stampa in mondovisione; le domande che i giornalisti gli avrebbero rivolto, come le sue risposte, sarebbero state accuratamente preparate da un gruppo di esperti in comunicazione di massa, allo scopo di evidenziare l’ineluttabilità dell’evento e tacitare le rare ma prevedibili contestazioni provenienti dalle consuete frange di oppositori.

   Gettò un’occhiata attraverso le gigantesche vetrate affacciate sulla metropoli pullulante di vita, dove migliaia di puntini luminosi allineati lungo una ragnatela di linee che s’intersecavano, muovendosi con esasperante lentezza, denunciavano il solito caotico traffico di quella plumbea serata autunnale. Tutta quella gente laggiù, indaffarata nelle proprie occupazioni quotidiane, ignorava la tremenda  tensione dalla quale era oppresso da troppo tempo; avvertì quasi fisicamente, sulle proprie spalle, il peso di una responsabilità che avrebbe volentieri diviso con tutti quegli sconosciuti.

   L’insolito tramestio nel corridoio lo distolse dai suoi pensieri, preannunciandogli l’arrivo del Presidente; qualche secondo dopo entrarono infatti, preceduti dalla sua segretaria, numerosi agenti che cominciarono a   perlustrare velocemente ma minuziosamente l’intera sala e tutti gli ambienti ad essa attigui; quand’ebbero finito si misero di guardia a tutti gli accessi presenti e comunicarono via radio agli uomini della scorta che il Presidente poteva entrare.

   Sartorius si alzò e gli andò incontro; il Presidente lo salutò, come al solito, ostentando un sorriso suggeritogli probabilmente dallo staff che curava la sua immagine pubblica e che era ormai perennemente impiantato sulle sue labbra, divenendo un tratto ineliminabile del suo consueto aspetto; Sartorius notò anche che appariva stanco ed invecchiato, con profonde occhiaie scolpite nel volto grigiastro: i postumi, probabilmente, della recente strenua battaglia mediatica tesa a dissipare pesanti indizi di coinvolgimento in uno scandalo finanziario, che aveva fatto strage di numerosi elementi appartenenti alla ristretta cerchia dei suoi più fedeli collaboratori.

   “Caro Professor Sartorius” gli disse il Presidente ponendogli amichevolmente le mani sulle spalle e fissandolo intensamente negli occhi “mi dica che tutto procede secondo i piani e che lei è in grado di garantirmi il pieno successo dell’impresa. Lei sa perfettamente quanta gente aspetta solo un nostro passo falso per imbastire ignobili campagne denigratorie: non possiamo assolutamente permetterci errori”.

   “Signor Presidente, lei mi chiede l’impossibile” disse lo scienziato con tono dimesso. “Posso solo assicurare che il modello matematico, le proiezioni statistiche ed i dati sperimentali ci fanno sensatamente ritenere che le probabilità d’insuccesso siano molto prossime allo zero; prossime allo zero, ma non assenti” aggiunse, stringendosi nelle magre spalle. “Esiste sempre un margine d’indeterminatezza causato da fattori imponderabili, quegli stessi che la gente comune chiama caso, fatalità, destino… Ma ripeto” concluse con un sospiro,  arricciandosi la punta del baffo sinistro “si tratta di eventualità così remote da poter essere considerate del tutto trascurabili”.

   “Molto bene; ottimamente; lei mi tranquillizza” disse il Presidente allargando esageratamente il suo falso sorriso fino a scoprire i denti ingialliti; poi, dopo aver fatto cenno d’avvicinarsi a tre individui che stavano confabulando in disparte, continuò: “Lei certamente non ignora l’identità di questi signori; so che ha preparato per noi un rapporto esaustivo su ogni aspetto del progetto, ma vorremmo che ci usasse la cortesia di illustrarlo brevemente a voce e rispondesse a tutte le domande che riterranno opportuno rivolgerle: preferiamo tutti la sua brillante eloquenza ai freddi dati di un’arida relazione tecnica”.

   Sartorius con un sorriso strinse la mano minuscola ma energica del Comandante delle Forze Armate, quella singolarmente gelida del Capo dei Servizi di Sicurezza e quelle grassa e sudaticcia del Governatore del Fondo Monetario; quindi invitò tutti ad accomodarsi nella prima fila di poltrone disposte  davanti ad un immenso schermo e fece cenno ad un suo collaboratore di collocarsi ad una vicina stazione videografica per la simultanea trasmissione delle immagini.

   “E’da molto tempo, circa sette anni, mi sembra” esordì Sartorius mettendosi, com’era sua abitudine quando parlava, a passeggiare velocemente avanti ed indietro davanti ai suoi ascoltatori, che lo seguivano volgendo ritmicamente il capo, come gli spettatori di una partita di tennis vista al rallentatore “che le nostre proiezioni hanno evidenziato un dato inequivocabile: la vita sulla Terra è destinata all’estinzione; quando questo avverrà non siamo in grado di stabilirlo con precisione, ma le previsioni più ottimistiche parlano al massimo di circa un centinaio di anni. Le cause di tutto questo sono arcinote: inquinamento di acqua, terra ed aria; aumento esponenziale della popolazione; esaurimento delle risorse energetiche; scarsità di alimenti commestibili; variazioni climatiche indotte da fenomeni antropici ormai irreversibili, con scioglimento delle calotte polari, innalzamento del livello delle acque -che comporterà una  conseguente diminuzione delle aree disponibili- ed avanzata desertificazione delle zone tropicali…” Sartorius si fermò e si volse a guardare le immagini che iniziavano a scorrere sullo schermo a supporto delle sue argomentazioni: si vide un raro esemplare di orso polare alla deriva su una ridottissima lastra di ghiaccio, poi una massa enorme di pesci putrefatti affiorante dal letto fangoso di un fiume in secca, quindi carcasse di animali predatori morti per l’irreversibile trasformazione del proprio habitat; l’immagine successiva presentò un grosso cetaceo agonizzante, imprigionato in un mare di plastica; fu poi la volta di sterminate campagne, un tempo coltivate, ridotte ora a deserti aridi ed improduttivi; un contadino asiatico mostrò vari ortaggi dalle forme insolite, guasti a causa del terreno contaminato, che si sfaldavano alla minima pressione delle sue dita e che, a giudicare dall’espressione disgustata dell’uomo, dovevano emanare un odore nauseabondo; una diapositiva composta di grafici e tabelle informò i presenti sull’aumento abnorme di patologie dermatologiche e respiratorie, che nelle forme più acute causavano il decesso di circa un terzo della popolazione colpita; si videro ospedali traboccanti di gente moribonda priva di cure, torme di individui emaciati allineati in interminabili file per ottenere una porzione di cibo presso i centri governativi di assistenza, violenti disordini di massa a stento repressi da brutali cariche poliziesche, moltitudini di straccioni che bivaccavano in aree urbane degradate, che un tempo erano state sedi di attività operose.

   “Questo, signori, è lo stato di cose attuale, all’incirca simile in tutte le zone più povere ed inquinate del pianeta, che immagino voi tutti ben conosciate; qui da noi, grazie alle nostre cospicue scorte, lo scenario non è apocalittico come nel resto del mondo, ma tra uno o due decenni al massimo saremo ridotti esattamente allo stesso modo. Il problema è che siamo giunti ad un punto di non ritorno; se anche fossimo in grado –ma non lo siamo– di eliminare tutte le cause che hanno condotto a questo, l’attuale situazione è compromessa a tal punto che tutti i maggiori esperti che hanno esaminato il problema dubitano fortemente della possibilità di ristabilire sulla Terra un ecosistema in grado di garantire la sopravvivenza della razza umana” concluse Sartorius fermandosi ed osservando malinconicamente la punta delle proprie scarpe.

   “E stata presa in considerazione l’opzione di ridurre – in base ad una selezione meritocratica - il numero delle bocche da sfamare, in modo che le residue risorse siano sufficienti per quelli che rimangono?” chiese il Governatore del Fondo Monetario carezzandosi il cranio pelato, con l’aria di chi fa una proposta intelligente alla quale nessuno aveva fino a quel momento pensato; poi, accortosi di una severa ed attonita occhiata del Comandante delle Forze Armate, si affrettò ad aggiungere con un risolino forzato: “Naturalmente non stavo pensando ai nostri connazionali…”

   “Certo che ci abbiamo pensato” rispose con tono cupo il Presidente. “E’ stata questa, anzi, la prima possibilità che abbiamo valutato; ma anche se attaccassimo per primi e di sorpresa i nostri nemici sono tanti, troppi, e sappiamo per certo che dispongono di sistemi di rappresaglia che entrerebbero automaticamente in funzione… Sarebbe un’ecatombe: non otterremmo altro risultato che quello di affrettare la scomparsa dell’umanità. I pochi sopravvissuti non sarebbero in grado, privi di tecnologia, di resistere a lungo alle avverse condizioni ambientali, tra l’altro aggravate da uno scenario postatomico” aggiunse senza dissimulare un moto di stizza. “E’ a questo punto” continuò “che, alla ricerca di soluzioni, siamo approdati al Progetto Demiurgo”.

   “Progetto Demurgo?” chiese il Comandante delle Forze Armate. “Che significa?”

   “Demiurgo, non Demurgo. E’ una parola dell’antica lingua greca, che vuol dire: artigiano” spiegò pazientemente Sartorius. “Platone usò questo termine per indicare un’artefice divino che progetta il mondo, partendo dalle idee come modello ed usando la materia come strumento. Esattamente quello che abbiamo pensato di fare noi: le nostre idee sono il nostro patrimonio culturale e tecnologico, la nostra materia un nuovo mondo da ricostruire. La tesi di fondo del progetto è che dobbiamo abbandonare il nostro pianeta prima che sopravvenga la fine. Ma per andare dove?” si chiese guardando in un punto indefinito sul fondo della sala, la qual cosa indusse il Comandante delle Forze Armate a voltarsi per scrutare nella stessa direzione. Poi si rispose, tornando a fissare uno ad uno i suoi interlocutori: “In un altro pianeta abitabile, che abbia le medesime caratteristiche della nostra Terra. Ma dove trovare un posto simile? Ce ne sono diversi, anche in altre galassie; alcuni sono relativamente vicini, altri un po’ più lontani. Sarà Proarche, al quale è affidato il potere decisionale nel progetto Demiurgo, ad indicarci quello più adatto”.

   “Credevo fosse lei il responsabile di tutta l’operazione” disse il Comandante delle Forze Armate, lanciando un’occhiata al Presidente e rallegrandosi intimamente per aver fatto un’osservazione che riteneva acuta e pertinente.

   “Lo sono, infatti” disse con un sospiro Sartorius, con un tono di voce così privo di entusiasmo da  lasciar intendere che avrebbe volentieri fatto a meno di quell’onere. “Proarche è semplicemente l’intelligenza artificiale progettata per il coordinamento, il controllo e l’esecuzione di tutte le fasi previste”. Poi, avendo notato che un sopracciglio del Comandante delle Forze Armate s’inarcava con aria interrogativa, spiegò: “Proarche –che significa “prima dell’inizio”– è, nella dottrina di alcuni teorici gnostici, un eone, ovvero un’emanazione della divinità, preposta alla creazione del mondo; noi abbiamo creato il più potente calcolatore mai costruito dall’uomo e lo abbiamo chiamato Proarche: lo strumento che ci guiderà per il pieno successo del nostro progetto”.

   “Bene, Professor Sartorius” disse il Presidente mutando con un gemito l’ordine di accavallamento delle sue corte gambe. “Ora vorrei che lei descrivesse ai nostri amici, per sommi capi, tutte le fasi previste dal progetto; e fornisse loro le più ampie delucidazioni sui temi che riterranno opportuno approfondire”.

   “Quando, all’incirca tre anni fa, abbiamo dato il via al progetto, avevamo già ben chiaro cosa avremmo dovuto realizzare: una gigantesca astronave col compito di ispezionare a fondo la nostra galassia e quelle limitrofe, alla ricerca di un pianeta abitabile”. Mentre Sartorius parlava, sullo schermo alle sue spalle comparivano le immagini a commento delle sue parole; gli spettatori assistettero all’assemblaggio di numerosi pezzi, di dimensioni e forme disparate, le cui funzioni erano illustrate da sintetiche didascalie, che s’interconnettevano generando una moltitudine di moduli a forma di triangolo isoscele, con la base piccolissima rispetto all’altezza; tali moduli, rototraslati nelle tre coordinate spaziali, trovarono un assetto definitivo unendosi per i vertici opposti alla base, come le fette di una torta, a formare un poligono regolare con così tanti lati da poter essere assimilato ad una circonferenza, al centro della quale spuntò una cupola, che fece somigliare l’astronave ad un cappello dalla tesa molto larga; la grafica mostrò quindi la nascita di  tanti volumi semicilindrici - uno per ognuno dei moduli triangolari - disposti lungo il bordo ed allineati secondo i raggi dell’astronave, la quale, senza alcun preavviso, iniziò a navigare nello spazio. “Ma lo scopo di questa prima spedizione, completamente automatizzata e priva di equipaggio umano, non sarà solo quello di individuare il pianeta più vicino simile alla terra, ma anche quello di bonificarne l’ambiente, eliminando qualsiasi forma di vita evoluta ed intelligente che potrebbe rivelarsi ostile ad una nostra futura colonizzazione. Siamo stati purtroppo costretti a ragionare con fredda logica scientifica, mettendo da parte qualsiasi sciocca idea di fratellanza universale; per questo l’astronave è di dimensioni notevoli: sarà al contempo anche una portaerei –tutti droni, ovviamente, comandati da Proarche– che entreranno in funzione solo se necessario”. Lo scienziato fece una pausa e si voltò a guardare lo schermo: l’astronave si era fermata e nella parte anteriore dei volumi semicilindrici si era aperto un portellone; da ogni portellone sciamarono fuori nugoli di oggetti volanti che si diressero verso un pianeta che nel frattempo aveva fatto la sua  comparsa, nell’angolo in basso a sinistra dello schermo; gli oggetti volanti iniziarono un intenso bombardamento del pianeta, sintetizzato nella grafica dalla comparsa di innumerevoli nuvolette bianche sulla sua superficie, quindi fecero ritorno all’astronave.

   Notando che il Governatore del Fondo Monetario aveva teso verso di lui la mano destra con l’indice alzato per chiedere qualcosa, lo scienziato lo esortò a porre senza indugio la sua domanda.

   “Ma quante sono le possibilità che esista un pianeta simile alla nostra Terra e che vi siano forme di vita intelligente?”

   “Questo non possiamo dirlo con certezza, ma dobbiamo basarci solo su ipotesi probabilistiche. Tutto il mondo scientifico concorda comunque su un punto: il carbonio è il materiale di base per la costituzione della vita – almeno come la intendiamo noi – unitamente all’acqua, all’ossigeno ed all’azoto. Inoltre sono altrettanto importanti la composizione della stella intorno alla quale orbita il pianeta, la distanza tra stella e pianeta, le dimensioni del pianeta in rapporto a quelle della stella, la presenza di un’idrosfera ed altre caratteristiche con le quali non intendo tediarvi. Abbiamo la certezza matematica che sia nella nostra galassia che in quelle vicine vi siano numerosi pianeti adatti alla vita dei terrestri. Proarche è in grado di analizzare tutti questi fattori e decidere in tempo reale se l’ambiente presenta le giuste caratteristiche. Naturalmente non è detto che su un pianeta che presenta condizioni per lo sviluppo di vita intelligente questa sia necessariamente presente quando noi vi giungeremo, trattandosi di un fenomeno che richiede tempi enormi e condizioni particolari”. Sartorius fece una pausa ed il Capo dei Servizi di Sicurezza ne approfittò per domandare: “Ma quanto durerà l’esplorazione?”

   Lo scienziato sorrise soddisfatto. “Fino a quattro anni fa avrei risposto che la durata del viaggio non sarebbe stata inferiore a diverse migliaia di anni, e pertanto del tutto inadatta ai nostri scopi, anche usando un motore a propulsione atomica, in grado di sfruttare la spinta fornita dall’esplosione di bombe a fissione e consentendo una velocità di crociera uguale a circa un decimo di quella dalla luce. Ma a seguito della scoperta dei tunnel di antimateria, che sono residui del “Big Bang” risalente a venti miliardi di anni fa, è oggi possibile –allargando il tessuto spazio-temporale dietro all’astronave e restringendo quello davanti– la formazione di una bolla di spazio fermo in cui è contenuta l’astronave, che riesce a viaggiare senza danni a velocità di gran lunga superiori a quella della luce; dai nostri calcoli risulta che dovremmo trovare quello che cerchiamo entro sedici mesi al massimo; sedici mesi di tempo terrestre, ovviamente, dato che i viaggi nei tunnel spazio-temporali non sottostanno alle leggi della relatività”.

   “Interessante, davvero interessante, Professore” convenne il Capo dei Servizi di Sicurezza fingendo d’aver compreso perfettamente il ragionamento. “Ma ci dica qualcosa di Proarche”.

   “Proarche è l’elaboratore elettronico più perfetto costruito dall’uomo, basato su un sistema operativo originale che sfrutta sinapsi su ponti protoplasmatici per la trasmissione dei dati ed è in grado di elaborare informazioni ad una velocità superiore di circa un centinaio di volte rispetto ai più moderni calcolatori; conosce tutto lo scibile umano ed è in grado di apprendere, aggiungendole al suo database, tutte le informazioni che rileva attraverso appositi sensori. Ma la cosa più sensazionale consiste nella sua capacità di prendere delle decisioni rispetto ad un fenomeno nuovo, esattamente come faremmo noi; con la differenza che Proarche decide sempre nel modo giusto, senza possibilità di errore”.

   “Quindi sarà lui a decidere del futuro dell’umanità? La sua opinione avrà più valore della nostra?” chiese l’altro con una nota lievemente polemica nella voce.

   “Certo, sarà Proarche a decidere” disse lo scienziato. “Ma le sue decisioni saranno sempre conformi alle istruzioni da noi fornite ed agirà solo entro il rispetto di ferree regole da noi stabilite e secondo le priorità da noi indicate; le quali, nell’ordine, sono: individuare un pianeta abitabile per l’uomo; analizzare tutti i fattori che nell’immediato od in futuro possano compromettere la vita sul pianeta od alterarne l’ecosistema; valutare la possibilità di eliminare –se presenti– tali fattori e, in caso affermativo, procedere con la bonifica; scansionare tutta la superficie del pianeta ed elaborare una completa e dettagliata cartografia, fare filmati, raccogliere campioni, memorizzare il percorso più breve e fare ritorno alla base.

   “In cosa consiste l’armamento dei droni e che autonomia possiedono?” chiese il Comandante delle Forze Armate.

   “Ogni drone, oltre ad essere fornito di una batteria di mitragliatrici di tipo tradizionale, ha in dotazione missili multistadio, sonde neutralizzanti, bombe di prossimità contenenti gas altamente infiammabile ed esplosivo, disgregatori di materia a lungo raggio ed altri micidiali apparati da usare per la bonifica dei nuovi territori. Io non sono esperto nella materia e vi consiglio di consultare in proposito i dettagli tecnici allegati alla relazione. Proarche è comunque in grado di garantire, grazie all’elevato numero di droni –quasi un migliaio-, alla mira infallibile ed alla brillante capacità strategica, l’ottimizzazione nell’impiego delle armi: un insediamento urbano di medie dimensioni può essere bonificato in una manciata di minuti; considerando che le batterie che forniscono energia ad ogni drone hanno una durata sicuramente di gran lunga superiore ai tempi della missione stessa e che a bordo saranno presenti un numero adeguato di ricambi, potrà capire da solo di quale potenza d’attacco siamo forniti”.

   Il Comandante delle Forze Armate non riuscì a trattenere un sommesso e prolungato fischio d’ammirazione.

   “Una cosa non mi è chiara” disse il Governatore del Fondo Monetario. “Come mai si è deciso di non avviare il progetto con una fase puramente esplorativa, che avrebbe sicuramente richiesto un impegno finanziario più sostenibile, optando invece per l’invio di un apparato bellico che forse potrebbe rivelarsi, se ho ben capito, eccedente – se non addirittura superfluo – rispetto alle reali necessità?”

   “Questa” disse il Presidente “è una domanda legittima, alla quale sento di dover rispondere io, dal momento che esula dalle competenze del nostro buon Sartorius. Per motivi che lei non avrà difficoltà a comprendere i maggiori fornitori di tecnologia militare erano molto interessati a che risultasse vincente l’opzione che abbiamo scelto; e lei sa quanta parte dell’opinione pubblica costoro sono in grado di influenzare. Aggiunga che fra due anni e mezzo circa scade il mio mandato; se avessimo scisso il programma in due fasi consecutive, la missione esplorativa e l’eventuale successiva missione militare, senza ottenere risultati immediatamente dimostrabili, la mia prossima candidatura sarebbe stata a rischio, avendo fornito un’opportunità di critica ai miei avversari. Consideri inoltre –ma questo Sartorius non l’ha ancora detto– che altro compito di Proarche è quello di controllare la sicurezza lungo la rotta di ritorno, per garantire che il prossimo esodo dell’umanità verso il pianeta prescelto avvenga in perfetta tranquillità, al riparo da pericoli e spiacevoli sorprese”.

   “Quando pensate che possa cominciare il trasferimento dei terrestri sul nuovo mondo?” chiese il Capo dei Servizi di Sicurezza.

   “Immediatamente dopo il rientro dell’astronave” disse Sartorius. “Abbiamo già pronto un piano molto dettagliato, che prevede l’impiego di una flottiglia di astronavi mercantili, al quale però mancano alcuni dati fondamentali, come ad esempio la distanza da percorrere e l’esatta conoscenza delle risorse disponibili in loco, che influenzerà anche la scelta di eventuali materiali da trasferire insieme al primo carico di terrestri; abbiamo inoltre anche stabilito il numero percentuale di professionisti in varie discipline che dovranno essere assegnati ad ogni carico, in modo che la comunità nel nuovo mondo possa far fronte ad ogni tipo di necessità. Un’analisi dettagliata in proposito si trova anch’essa, ovviamente, nella relazione che vi sarà consegnata al termine dell’incontro; troverete anche le previsioni sul numero di viaggi previsti nell’immediato futuro, tenendo conto che tale dato sarà ovviamente influenzato da variabili di tipo economico e politico”.

   “Sicuramente i maggiori Istituti finanziari saranno interessati alla prospettiva di aprire dei mutui per coloro che volessero prenotare il viaggio e potremmo già iniziare a pensare a gare d’appalto per l’assegnazione di terre nel nuovo mondo. Questo significherebbe afflusso di cospicui capitali ed una prima forma d’indebitamento per i coloni, resi in tal modo più favorevolmente disposti verso le rappresentanze politiche che instaureremo sul nuovo pianeta” disse il Governatore del Fondo Monetario scambiando un eloquente sguardo d’intesa col Presidente.

   “Certamente” rispose il Presidente. “Senza contare” aggiunse “che dovremo tener conto anche delle proposte e della collaborazione di altri Stati che vorranno partecipare a vario titolo all’impresa; ma questa è materia da trattarsi in altra sede. Ora, signori, credo giunto -se non avete altre domande- il momento di brindare al successo del progetto Demiurgo”. Ciò detto fece cenno ad uno degli uomini della scorta, il quale fece entrare un cameriere che sospingeva un carrello con cinque calici ed una bottiglia di champagne, immersa in un secchiello col ghiaccio, che provvide con consumata professionalità a stappare ed a versare nei calici, eclissandosi subito dopo con un rispettoso inchino. I cinque uomini brindarono in un’atmosfera di euforico ottimismo.

   “Noi siamo i pionieri di una nuova era! Alla perfetta riuscita del nostro storico progetto! Evviva!” disse con solennità il Presidente.

   “Evviva!” gli fece eco il Governatore del Fondo Monetario.

   “Al nostro pieno successo!” esclamò il Capo dei Servizi di Sicurezza.

   “Al progetto Demurgo!” aggiunse scattando sull'attenti il Comandante delle Forze Armate.

   “Al progetto Demiurgo!” lo corresse sommessamente Sartorius, sorseggiando il suo champagne.

   Poi andarono via tutti, salutando e ringraziando la scienziato dopo aver ricevuto diverse copie della sua relazione. La sala convegni del Centro Sperimentale tornò ad essere silenziosa. Sartorius, col calice ancora tra le mani, sprofondò nuovamente nella sua poltrona, dalla quale si mise ad osservare, meditabondo, il cielo stellato.

   Soltanto tre giorni dopo quest’incontro il mondo apprese, attraverso la conferenza stampa in mondovisione, quali fossero le speranze di salvezza per la razza terrestre. Massicce campagne massmediatiche organizzate da apparati filogovernativi ridussero al silenzio le sporadiche voci di dissenso, evidenziando l’inevitabilità del progetto Demiurgo e tacendo scaltramente sugli aspetti bellicisti della questione, che avrebbero potuto essere sfruttati dalle opposizioni per guadagnarsi il consenso di una parte considerevole della pubblica opinione. Una nota catena di fast food lanciò il sandwich “Demiurgo”, dalla forma che imitava quella dell’astronave, mentre una multinazionale di accessori sportivi immetteva sul mercato una scarpa da ginnastica chiamata “Proarche”, pubblicizzata dallo slogan “per andare dove vuoi”.

   Sartorius, che non aveva mai amato essere al centro dell’attenzione, evitava per quanto possibile la luce dei riflettori, incaricando i suoi più stretti collaboratori di rappresentarlo in occasione di frequenti interviste e richieste di partecipazione a programmi televisivi che gli giungevano quotidianamente da ogni angolo del Paese, preferendo dedicarsi agli ultimi preparativi in vista del giorno della partenza, ormai imminente.

   Quel giorno giunse, finalmente. Allineati sul bordo della terrazza dell’Osservatorio, protetto da una cupola emisferica di cristallo, Sartorius e le maggiori personalità governative ammiravano affascinati la gigantesca astronave, adagiata nella piana sottostante; un esercito di uomini in tuta arancione, sparsi sulla sua superficie, davano l’impressione di piccoli insetti brulicanti su un meraviglioso fiore dai riflessi metallici, con la corolla rossa al centro ed eleganti rigonfiamenti argentei –gli hangar dei droni– alle estremità dei petali. Ad un comando di coloro che dirigevano le operazioni gli omini arancioni si diressero velocemente verso le numerose scale montate su automezzi che circondavano l’astronave ed iniziarono a scendere; poco dopo gli automezzi si allontanarono, come anche gli agenti di servizio e le numerose troupe televisive accampate nell’area circostante. Quando la piana fu completamente deserta venne dato il segnale per la partenza: l’astronave vibrò emettendo un flebile e prolungato ronzio, poi si accesero decine di riflettori disposti lungo il bordo esterno a la cupola centrale s’illuminò di riflessi vermigli. Il Presidente volse un sorriso compiaciuto a Sartorius, così immobile da sembrare pietrificato, e con un grosso fazzoletto a scacchi s’asciugò le numerose gocce di sudore che gl’imperlavano la fronte. L’astronave ondeggiò, poi si sollevò sulla sua verticale e rimase sospesa sulle loro teste a qualche centinaio di metri dal suolo; inaspettatamente direzionò un riflettore proprio verso di loro, accecandoli, ed un raggio di luce frugò ogni angolo dell’Osservatorio; poi schizzò via a velocità inaudita, sparendo oltre l’orizzonte. Dopo qualche secondo ricomparve sulla loro destra, procedette zigzagando nel cielo per tornare a scomparire alla loro sinistra.

   “Che succede, Sartorius?” chiese il Presidente con voce allarmata mentre l’astronave passava un’altra volta sulle loro teste, tagliando stavolta il cielo secondo una nuova direzione.

   “Non capisco” disse lo scienziato che scrutava in alto con gli occhi sbarrati, seguendo ansiosamente l’ennesimo passaggio dell’astronave. “Probabilmente sta decidendo la rotta da seguire” aggiunse poi senza eccessiva convinzione. Ma poiché gli incomprensibili passaggi dell’astronave non sembravano dover terminare, anzi si protraevano con sempre maggior frequenza, il Capo dei Servizi di Sicurezza, anche lui presente all’evento, si avvicinò per domandare: “Qualcosa non va?” Allora il Presidente, con tono spazientito, ripeté: “Che succede, Sartorius? Faccia qualcosa!” Lo scienziato, cavata di tasca una radio, cercò di mettersi in contatto col Centro Operativo, ma prima di ottenere risposta s’immobilizzò e lasciò che la radio gli cadesse di mano, frantumandosi al suolo. Il Presidente, che lo stava osservando, seguì il suo sguardo e vide anche lui: l’astronave stazionava dinanzi a loro, immota nel cielo grigio, ed i portelloni degli hangar si erano aperti, vomitando senza sosta decine di droni con le armi puntate in assetto d’attacco. Un proiettile, sparato da uno di questi, mandò in frantumi la cupola dell’Osservatorio, dando il via ad un’ondata di panico seguita da urla, imprecazioni dei numerosi feriti ed un fuggi-fuggi generale. Sartorius volse lo sguardo intorno  e si vide circondato di cadaveri; riconobbe poco lontano la testa, che giaceva a diversi metri dal corpo, del Comandante delle Forze Armate, con un’espressione delusa negli occhi sbarrati;  intanto i droni continuavano a bersagliare, con impietosa efficienza, i rari superstiti; udì il Presidente che sdraiato davanti a lui, con la schiena trafitta da un’enorme frammento di vetro e privo di una mano, gli aveva afferrato con l’altra un orlo dei pantaloni e con voce rantolosa gli urlava: “Che succede, Sartorius, che succede?”

   Il volto dello scienziato s’illuminò d’infinito orrore e con le mani infilate tra i capelli scompigliati sussurrò: “Abbiamo dimenticato di dirgli che la Terra doveva essere esclusa dalle sue indagini! Sta eseguendo alla lettera le nostre istruzioni! Ha già individuato il pianeta adatto e sta annientando la prima causa che, in base alle sue conoscenze, impedisce la vita sulla Terra e la salvezza dell’ecosistema! Sta distruggendo l’uomo! Sta distruggendo l’uo…”. Non terminò la frase perché un proiettile, sparato da uno dei numerosi droni disseminati nel cielo, lo colpì, con robotica precisione, esattamente in mezzo agli occhi.

Libero Tronocozzo      

       

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