È morto Rutilio
Sermonti: una vita nella trincea dello spirito
(14 giugno 2015)
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Rutilio Sermonti, avvocato, storico, scultore,
pittore, sociologo e zoologo, ha scritto: Valori
corporativi; Rapporto sull'evoluzionismo; L'uomo, l'ambiente
e se stesso; L'Italia nel XX secolo; Stato organico; Grande
Spirito - Incontro con gli Indiani nordamericani.
… dal libro: "Omaggio alla
RSI 2" |
Camerata Rutilio Sermonti:
Presente! Presente! Presente!
Testamento spirituale
di Rutilio Sermonti
Ascoltatemi, carissimi amici e compagni di fede.
Questo non è un addio.
L'addio, sarete voi a darmelo, quando io non potrò più farlo, dato che,
fino all'ultimo respiro, intendo adempiere al giuramento che prestai il
28 ottobre 1939 allo Stadio dei Marmi, al Duce presente. È un testamento
e una consegna, e, come tale, va redatto presso alla conclusione della
vita, ma ancora nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, come
il destino ha voluto conservarmi tuttora.
Mi
rivolgo a voi, che mi siete più vicini nei ranghi, ma vi faccio carico
di serbare in cuore le mie parole e di divulgarle al massimo e con ogni
possibile mezzo a tutti coloro che giudicate pronti a riceverle, il
giorno in cui mi porrò in congedo illimitato.
Per
tutta la vita, ho cercato di servire il nostro comune ideale. Come
tutti, ho certo commesso errori ed ingenuità, ma posso orgogliosamente
affermare, sfidando chiunque a contraddirmi, di non aver mai accettato
il più insignificante compromesso con la laida baldracca cui si usa dare
il nome di Libertà, nè con i suoi logorroici manutengoli.
Ora
che il fardello del legionario comincia a premere sulle mie dolenti
spalle, e che il mio passo malfermo necessita dell'appoggio affettuoso
dei giovani fedeli, credo quindi di potere, senza mancarvi di rispetto,
rivolgermi a voi in tono quasi paterno.
La
prima verità da intendere è questa: che il compito che ci siamo assunti
non è da uomini, ma da eroi.
Non è
affermazione retorica, questa, ma rigorosamente realistica.
E, se
così numerosi tentativi di riunione delle nostre forze sono falliti, è
stato perchè si è voluto affrontarli da uomini e non da eroi. E gli
uomini, anche di buon livello, hanno una pletora di debolezze, di
vanità, di fisime, di opportunismi, che solo gli eroi sanno gettarsi
dietro le spalle.
Come
tante altre parole, anche "eroe" ha bisogno di una definizione.
Non
intendo, con essa, riferirmi a un comportamento eccezionale dettato da
un attimo di esaltazione, di suggestione e di sacro furore, che può
portare fino a «gettare la vita oltre l'ostacolo».
Intendo definire quel fatto esistenziale e permanente, detto «concezione
eroica della vita», che accompagna il soggetto in tutte le sue azioni e
pensieri, anche apparentemente più tranquilli.
Eroe,
è quindi chi riesce a spezzare i vincoli condizionanti che lo legano,
ora ad ora, alla grigia materialità del quotidiano, per seguire ad ogni
costo la suprema armonia del cosmo, il sentiero della super-vita e della
partecipazione al Grande Spirito.
L'eroe è quindi portato a fare il proprio dovere, senza bisogno di
alcuna costrizione, ed ha nella propria coscienza un giudice ben più
acuto e inesorabile che un pubblico impiegato seduto dietro a un
bancone.
Libero, non è chi non ha padrone, ma chi è padrone di se stesso, e
quindi l'eroe è il solo tipo umano veramente libero. Non è che l'eroe
non si allacci anche lui le scarpe, non paghi il telefono, non incassi
lo stipendio o non partecipi magari a una compravendita. Solo che, per
lui, quelle sono incombenze necessarie ma accessorie, secondarie: non
sono «la realtà della vita», come per l'uomo qualunque. Servono a
campare, ma vivere per campare gli toglierebbe il respiro.
Per
questo, il nostro primo imperativo dev'essere: «tutti eroi!».
Il
mio testamento spirituale potrebbe finire qui, perchè tutto quel che ho
fatto, detto e abbondantemente scritto in tanti anni, non è che la
conseguenza di quell'impostazione.
Voglio però aggiungervi un paio di consigli, che ritengo possano essere
utili per la vostra continuazione della lotta.
Il
primo è di adottare un ordinamento (e una formazione) fondato sui doveri
e non sui diritti.
Sul
piano meramente logico, sembrerebbe la stessa cosa. Se Tizio ha un
diritto, ci dev'essere un Caio che ha il corrispondente dovere verso di
lui. Se quindi io dico: «Tizio ha diritto di avere X da Caio», è
sinonimo del dire «Caio ha il dovere di dare X a Tizio». Che differenza
c'è? C'è, la differenza. E sta nel fatto che, mentre il proprio dovere
si può FARE, il proprio diritto si può soltanto RECLAMARE. Ne consegue
che, se tutti fanno il loro dovere, e tale è la maggior cura dello
Stato, automaticamente anche tutti i diritti vengono soddisfatti,
mentre, se si proclamano diritti a piene mani, e tutti li reclamano, si
fanno solo cortei con cartelli e una gran confusione e intralcio al
traffico (protetto da stuoli di vigili urbani), ma il popolo resta a
bocca asciutta, eccettuati i sindacalisti.
La
seconda esortazione ha carattere operativo.
Un
uomo solo, un Capo, può impugnare la barra delle massime decisioni, ma
deve possedere qualità eccezionali, che ben raramente si riscontrano. In
sua mancanza, un gruppo di tre, quattro, cinque persone accuratamente
selezionate, possono svolgere la funzione decisionale con sufficiente
prontezza e saggezza. Un organo più numeroso, può funzionare solo a
patto che vi sia una rigorosa divisione di funzioni e relative
competenze, tra cui quella di sintesi, svolta da pochissimi. Ma
soprattutto, deve dominare in esso l'assoluta unità di intenti, al di
fuori di qualsiasi carattere agonistico (tipo maggioranza e
opposizione). In mancanza di tali requisiti, l'organo numeroso è del
tutto inutile, anzi gravemente dannoso, perchè vengono a dominare poteri
"di fatto" fuori di ogni controllo.
Vi
dico questo, sia in vista degli organi dello Stato organico che
intendiamo istaurare, sia per quanto riguarda agli organi interni di
"nostre" formazioni. Per queste ultime, anzi, il pericolo delle vaste
"collegialità" (vedasi il pessimo esempio del MSI-DN) è ancor più grave,
perchè fattore della degenerazione demagogica e incapacitante delle
compagini stesse.
Lasciate quindi al belante gregge democratico la ridicola allucinazione
di comandare tutti, e coltivate la nobile, virile e feconda virtù
dell'obbedienza. Nessuno nega che il temperamento ambizioso sia uno
stimolo per l'azione, ma ognuno stia in guardia: al minimo accenno che
esso tenda a prevaricare in lui sulla dedizione alla Causa, sappia
mortificarlo con orrore.
La
vittoria nella «grande guerra santa» è quella.
Se
potrò costatare l'accoglienza da parte vostra di queste mie esortazioni,
saprò di non aver vissuto inutilmente.
Ed
ora, non avendo più la forza di stare al remo, torno a darmi da fare al
timone.
Enos,
Lases, iuvate!
Rutilio |
È morto Rutilio
Sermonti: una vita nella trincea dello spirito
Adriano Scianca
Roma,
15 giugno – L’interesse morboso dei magistrati che l’ha accompagnato
fino all’attraversamento della soglia fra la vita e la morte lo considererà
probabilmente un titolo di merito di cui fregiarsi in mezzo agli eroi, in
qualche Walhalla. Quel che fa rabbia, semmai, è che Rutilio Sermonti, morto
nella notte a 94 anni, sia stato disturbato nei suoi ultimi mesi di vita a causa
di qualche demente mitomane che contava su di lui per dar visibilità al suo
pseudo-ordinovismo da tastiera.
Quando si sta
troppo in alto si fa fatica a distinguere forme e dimensioni di chi sta troppo
in basso.
L’inchiesta
pomposamente denominata “Aquila nera” è stata l’ultima occasione di notorietà
per un uomo che ha fatto di tutto nella vita e che pure è dovuto finire
ultranovantenne indagato per associazione sovversiva. Non era l’accusa di
sovversione a imbarazzare, ma quella di associazione con quattro scemi.
E giù con i
titoli di giornale sul grande vecchio dell’eversione nera, intento a tessere
trame dalla sua sedia a rotelle. Nel dopoguerra ci provarono anche con Evola e
forse, di tutta la vicenda, questo paragone sarà l’unica cosa che avrà fatto
piacere a Rutilio.
Nome da
nobile romano, Rutilio, come il grande Rutilio Namaziano, ultimo cantore della
via romana al divino in un’epoca in cui la luce del mondo antico già veniva
affogata nelle acque gelide dell’oscurantismo orientale.
Se non
proprio nobili, i Sermonti sono comunque una famiglia decisamente non comune.
Rutilio aveva cinque fratelli, di cui almeno due piuttosto noti. C’è Giuseppe,
genetista anticonvenzionale, non darwinista (né creazionista) e Vittorio,
dantista di chiara fama ed ex penna dell’Unità, il cui figlio, Pietro, è
diventato famoso come Stanis La Rochelle nella serie Boris.
Tutti
artisti, i Sermonti. Rutilio, però, è quello che più di tutti ha voluto fare
arte della sua vita stessa. Fascista sin da ragazzino, nel 1942 partecipò da
volontario alla Seconda guerra mondiale col grado di sottufficiale. Prese parte
alla campagna balcanica e, dopo l’8 settembre, aderì alla Repubblica Sociale
Italiana come ufficiale del 3ª Divisione fanteria di marina “San Marco”.
Finita la
guerra si laureò in giurisprudenza, ma soprattutto continuò la sua battaglia.
Prima i F.A.R. –quelli, appunto, pretesamente eterodiretti dall’Evola in
carrozzina– poi il Movimento Sociale Italiano, dal quale fuoriuscirà nel 1954
per protesta dopo l’insediamento di Arturo Michelini come nuovo segretario.
Prese parte
nel 1956 al Centro Studi Ordine Nuovo dove diviene membro del comitato direttivo
per poi rientrare nel 1968 nel Movimento Sociale insieme a Pino Rauti. Dopo la
svolta di Fiuggi non aderirà ad An, passando dalla Fiamma Tricolore al Fronte
nazionale, cercando sempre di essere un punto di riferimento trasversale, un
catalizzatore di energie oltre ogni divisione, anche quelle in realtà
giustificate da divergenze ideologiche e tattiche profonde, ma comunque
incomprensibili nell’occhio sidereo di chi aveva conosciuto le tempeste
d’acciaio.
Pittore,
ceramista, teorico del corporativismo, ideologo dell’ecologia profonda, critico
del consumismo, zoologo, esperto della cultura pellerossa, storico del fascismo,
Sermonti è stato quel che si dice un uomo integrale. Un uomo con maestri più
profondi, capi più forti, azioni più grandi, prove più dure, spirito più
luminoso.
Adriano
Scianca
Il nostro onore si chiama fedeltà.
Non ci sono ragionamenti, analisi, tentennamenti.
Bisogna riscattare l'onore d'Italia.
Nasce così la Repubblica Sociale Italiana.
Un'epopea fantastica, che coinvolse in un paesaggio magico gli
entusiasmi, le energie e la volontà della meglio gioventù d'Italia,
quella che gioiosa e beffarda cantava le donne non ci vogliono più
bene.
Solo un ricordo? Un passato che ci accompagna come un sogno in
quest'epoca corrotta e usuraia, grondante di sangue innocente?
Niente affatto. La Repubblica di Benito Mussolini, di Alessandro
Pavolini, di Rutilio Sermonti e di tutti quei valorosi
europei partiti volontari, a cercar la bella morte, è ancora viva.
Cuore palpitante di un'eterna concezione spirituale dell'uomo e
della vita. Anelito di libertà, socialità, giustizia, che sempre
accompagnerà l'animo nobile di chi incarna la visione
dell'Alighieri.
La sua orgogliosa ed irriverente bandiera garrisce al vento,
testimone di quella idea rivoluzionaria, mediterranea ed europea che
libererà gli uomini, i popoli e le culture dall'orda sanguinaria al
servizio dell'oro e dell'usura.
Quello di Rutilio Sermonti è il racconto della memoria. Con i
suoi disegni. Ma è anche un messaggio di lotta e di vittoria per le
nuove generazioni. Per andare oltre. |
Stanotte è salpato per l'ultima
traversata il Leone, Rutilio Sermonti.
Qualunque parola sarebbe inutile
retorica, è stato un UOMO come non ce ne sono più.
È stato una guida ed un esempio per
generazioni di militanti nazional rivoluzionari.
È stato un padre spirituale per
migliaia di combattenti.
Di lui si è detto che era un
giovane, classe 1921, partito per il fronte che non ha mai smesso di combattere
con le armi, prima, con l'impegno politico, poi, con l'impegno nel diffondere
Cultura (con la maiuscola) fino all'ultimo giorno della Sua vita.
Ci chiese di tener fede a una
promessa: non arrenderci mai, NIEMALS.
Oggi più che mai rinnoviamo tale
impegno.
Sit tibi terra levis.
Forza Nuova
altre informazioni su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Rutilio_Sermonti
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