Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Lettera al periodico "Storia del Novecento"

 

Giorgio Vitali

 

 Roma 8 febbraio 2005 - 2757

 

 

Oggetto: Concretezza della geopolitica e chiacchiere mediatiche.

 

Mi riferisco alla lettera del lettore Mario Lanteri, che giustamente contesta alcune prese di posizione in relazione alla nostra presenza in Iraq, pubblicate sulla Vostra pregevole rivista, e Vi invio alcune considerazioni in merito, necessarie per un giusto inquadramento non soltanto della situazione attuale, ma anche e soprattutto delle cause remote e più recenti del secondo conflitto mondiale che ha visto l'Italia "giustamente" fra i contendenti in nome di un elementare diritto di libertà ed indipendenza. Requisiti da noi persi, in questi tristi anni, non per obiettiva debolezza nei confronti del vincitore di allora, ma esclusivamente per naturale servilismo della classe dirigente politica ed economica, presa in toto.

Poiché la chiacchiera serve soltanto ad alimentare altre chiacchiere, secondo la modalità vigente, mi riferisco a documenti facilmente reperibili. È anche reperibile un numero molto alto di pubblicazioni (riviste e libri) che non permettono equivoco alcuno sull'argomento. Per quanto riguarda le pubblicazioni più recenti mi limito a citare alcuni volumi che dovrebbero essere consultati sempre, di grande distribuzione e di facile reperimento:

* Rita Di Leo, “Strappo atlantico. America contro Europa”, Laterza;

* Rapetto-Di Nunzio, “Attacco all’Iraq”, BUR;

* G. Valdevit, “I Volti della potenza. Gli Stati Uniti e la politica internazionale nel novecento”, Carocci.

Per le riviste: “Eurasia”, n. 1-2005; “Astenia”, n. 27-2004; “Imperi”, n. 3-2004.

 

Commenti americani:

Erich Hobsbawm (autore del “Secolo breve”), su Foreign Policy, USA:

La guerra in Iraq ed Afganistan è solo una parte di un presunto sforzo universale per diffondere la democrazia e creare un nuovo ordine mondiale. (…) non è detto che la democrazia elettorale produca risultati utili ad un potere egemonico o imperiale (se la guerra in Iraq fosse dipesa dal consenso liberamente espresso dalla "comunità mondiale" non sarebbe mai cominciata) (...) Ma bisognerebbe sempre essere sospettosi quando una potenza militare afferma di occupare uno stato più debole per fargli un piacere... Oltre ad essere una minaccia per l'integrità dei valori universali, la campagna per la diffusione della democrazia è destinata alla sconfitta. Il novecento ha dimostrato che uno stato non può semplicemente rifare il mondo o accelerare le trasformazioni storiche. E non può neanche influire facilmente sui cambiamenti sociali trasferendo istituzioni oltre i suoi confini. le condizioni per un vero governo democratico si verificano raramente... Il tentativo di diffondere la democrazia è pericoloso anche in modo più indiretto: trasmette l'illusione che là dove esiste è messa in pratica davvero... La diffusione della democrazia ha aggravato i conflitti etnici e prodotto la disintegrazione degli stati nelle regioni abitate da nazionalità e comunità diverse, sia dopo il 1918 che dopo il 1989. [Questa ultima considerazione mi sembra plausibilmente la ragione essenziale di questo processo di democratizzazione. Nota ulteriore: nel libro edito da Rizzoli nel 1994, “C'era una volta il sogno americano”, l'autore, E. N. Luttwak, sostiene che questo sogno consisterebbe nell'assicurare maggior prosperità possibile per il maggior numero di persone. La verità dei fatti smentisce categoricamente queste proposizioni propagandistiche, né è possibile dimostrare le buone intenzioni di un paese che consuma una buona parte delle risorse mondiali rapinandole con la forza per assicurare un assurdo benessere ad una frazione tra l'altro molto ristretta della sua stessa popolazione. Non si capisce pertanto che significato hanno le ostentazioni di consenso servile e piagnone nei confronti di una potenza che fa soltanto i propri interessi.

Seymour Hersh, “The New Yorker”, USA: Si apre un nuovo fronte nella lotta al terrorismo. Dall’estate del 2004 alcune unità segrete, agli ordini del pentagono, si sono infiltrate in Iran. La battaglia è già incominciata. [Nota: sulla rivista "Intelligence & storia top secret" di gennaio 2005, un bell’articolo dal titolo: “Destabilization: come si effettua una covert action. Le procedure delle operazioni segrete”, è descritta la modalità con la quale gli USA utilizzano i mezzi più subdoli per destabilizzare uno Stato sovrano]. Hersh cita ancora la  frase pronunciata da Rumsfeld allo Stato maggiore delle forze armate: «Questa è una guerra contro il terrorismo. L’Iraq è solo una campagna. Poi ci sarà la campagna dell'Iran. Abbiamo dichiarato guerra ai cattivi, dovunque siano. Sono nemici. Abbiamo quattro anni, e vogliamo uscirne dicendo cha abbiamo vinto la guerra al terrorismo».

Rumsfeld ha aggiunto che l'America era decisa a restare in Iraq e che non ci sarebbero stati ripensamenti. [Nota: a parte il concetto ormai esteso a tutto il mondo consistente nell'esistenza di buoni e di cattivi, concetto derivato dal manicheismo cabalistico fatto proprio dal fondamentalismo ebraico-evangelico, in queste dichiarazioni non è riscontrabile altro che una sfrontata volontà di sopraffazione basata sulla forza].

Queste due pur brevi citazioni sono a mio avviso sufficienti per chiarire che anche negli USA c’è qualcuno che dice le cose come stanno. È qui da noi che il manto idiota prima ancora che liberticida della banalità buonista È evidente che il piano nella sua globalità è di carattere geostrategico ammantato di "guerra di religione". Ma, se guardiamo con attenzione agli spostamenti delle truppe statunitensi ed ai loro nuovi stanziamenti in modernissime basi aeronavali, ci accorgiamo che si tratta di un accerchiamento dell'Unione Europea. Per gli USA infatti il nemico principale è l'UE, la quale già oggi rappresenta una grandissima minaccia per il dominio USA tanto dal punto di vista monetario quanto produttivo… ed alla lunga c'è anche l'ineludibile alleanza con la Cina per il tramite della Russia. Come scrive Lucio Caracciolo, direttore della prestigiosa rivista "Limes", «Chi controlla l'Iraq controlla il Golfo Persico; e chi controlla il Golfo ha in mano le chiavi del Medio Oriente».

È anche importante il giudizio di un autore molto noto: John Le Carré «Bush ha Dio in tasca. E Dio ha opinioni politiche molto particolari. Dio ha ordinato all'America di salvare il mondo in qualunque modo convenga all’America. Dio ha ordinato ad Israele di essere il nesso della politica mediorientale dell'America, e chiunque voglia andar contro a quell'idea è: 1) antisemita 2) antiamericano 3) col nemico 4) un terrorista».

 

 

Ruolo del petrolio.

Se vogliamo considerare il primo conflitto mondiale nell'ottica della guerra per il petrolio, dobbiamo prendere in considerazione tutto il Medio Oriente, Palestina compresa, come reale posta del contendere. di quest'area l'Iraq rappresenta uno dei cardini. Non è ovviamente questo il caso di citare la contesa relativa alla ferrovia per Baghdad ed annessi e connessi. Perse, durante il conflitto, le sorgenti della Baghdad Railway Co, la Germania dovette accontentarsi dei giacimenti romeni e galiziani semi distrutti dagli Alleati, e dovette concludere con l'uso dei surrogati, in particolare, del benzolo. Sta di fatto che dal dopoguerra ad oggi, secondo conflitto compreso, l'Iraq è stato al centro di conflitti di ogni tipo. L'Italia non è mai stata estranea all'area, per ovvie ragioni di sussistenza energetica, e ciò vale a maggior ragione nella situazione attuale di totale dipendenza energetica dalle fonti esterne di petrolio. Vale appena la pena di ricordare la brutta fine fatta da personaggi che avevano cercato durante questo lungo dopoguerra di "liberare" l'Italia dalla catena di servitù verso le grandi potenze petrolifere.

Mi riferisco a Mattei e Gardini, ma potrei citare anche Craxi e tanti altri nomi più o meno oscuri. Per non parlare del petrolio siciliano e del ricatto Esso nei confronti dell'autostrada Milano-Napoli, con grave danno dell'intera economia nazionale. Dalla metà degli anni trenta l'AGIP, Compagnia Pubblica, ha partecipato con un'alta quota alla BOD compagnia internazionale per lo sfruttamento di grandi giacimenti in Iraq. La concessione fu ceduta alla Gran Bretagna in cambio del lasciapassare inglese per il canale di Suez durante la nostra impresa nel Corno d'Africa, negli anni 1936-38. Altri importanti giacimenti furono scoperti in Albania fin dagli anni venti, e ciò comportò la nostra invasione in quel paese quando, profilandosi all'orizzonte la nuova guerra, avevamo assoluta necessità di garantirci almeno quel petrolio. Oggi siamo di nuovo in Albania.

La presenza attuale dell'Italia in  Medio Oriente attraverso l'ENI, nome quasi mai citato nelle logorree nazionali, pertanto, non rappresenta che il prolungamento di una necessaria politica di approvvigionamento ai limiti della sopravvivenza. Tutto il contrario di quanto fanno gli USA i quali devono fronteggiare una situazione per loro molto più negativa: si tratta dell'inversione produttiva dell'estrazione petrolifera. Se nella prima metà del novecento, infatti, questo paese si era arricchito con le speculazioni sul proprio petrolio, sfruttando i due grandi conflitti mondiali, oggi è costretto ad importare (pardon rapinare) il petrolio altrui per sostenere il proprio fabbisogno interno.

Basterebbe leggersi qualche dato statistico per rendersi conto della drammatica situazione in cui si trovano gli USA dal punto di vista petrolifero, grazie anche al grande spreco fatto finora, per rendersi conto di quanto sia semplicistico (se non idiota) prendere per buone le chiacchiere della propaganda bellica statunitense.

La necessità di controllare le fonti petrolifere scaturisce anche dalla perdita graduale ma inesorabile di valore del dollaro nei confronti dell’Euro. Più l'Euro acquista valore di fronte al dollaro, più la moneta europea verrà utilizzata per gli scambi internazionali. Una delle ragioni dell'attacco contro Saddam Hussein è stata la propensione ampiamente dimostrata da quest'ultimo a vendere petrolio contro Euro scalzando il signoraggio della moneta statunitense.

A tutt'oggi infatti l'unica fonte che garantisce il signoraggio del dollaro è l'obbligo (del tutto formale) di pagare il petrolio in dollari, il ché fa -ma ancora per poco- del dollaro la moneta di scambio fondamentale. La sterlina, come si può notare, non esiste più. È sempre più relegata a moneta marginale, e questa emarginazione costa molto di più alle classi dirigenti anglosassoni di una pseudo-sconfitta militare. E tutto ciò valga ancora per quei sottosviluppati che continuano a considerare "Winnie" Churchill un grande statista. È pertanto del tutto essenziale per gli USA, contro l'Eurasia, ed esclusivamente contro l'Eurasia, controllare con ogni mezzo tanto le fonti quanto le vie di trasporto del petrolio. Ecco quindi le strategie di conquista delle repubbliche ex sovietiche e l'attacco alla Jugoslavia.

 

Alcuni documenti che illustrano la reale portata del potere petrolifero "privato" nelle strategie di guerra statunitensi.

Alla fine degli anni venti, l'influentissimo economista David White scriveva:

«Il petrolio ottenibile negli Stati Uniti sarà probabilmente esaurito in 17 anni se si manterrà la produzione del 1919 per un così lungo periodo. La produzione di petrolio naturale negli USA raggiungerà assai presto il suo massimo e fra cinque anni e forse fra tre la produzione del 1919 solo con grandi difficoltà potrà essere mantenuta al livello del consumo. È evidente quindi che noi siamo condannati a ridurre il nostro consumo di petrolio, o a trovare nuove sorgenti». [Nota: sfrondato dalla nota propensione degli economisti nell'enfatizzare la rarefazione di materie prime al fine di aumentarne il valore economico, il discorso di fondo resta sempre lo stesso, espresso già negli anni venti: dobbiamo andare a cercare fuori di casa il petrolio che ci serve].

 

1934. Diventa pubblico il Cartello statunitense che fissa il prezzo del petrolio.

Da allora il prezzo del petrolio grezzo e dei suoi derivati viene fissato mediante un bollettino che si chiama Platt's Oil gram Price Service. In questo bollettino il prezzo del petrolio, da cui dipendono le economie di tutti i paesi del mondo, viene fissato sulla base dei costi massimi di produzione dei piccoli produttori indipendenti degli USA.

Il rapporto ECE redatto nel 1955 (sembra ieri) scrive, tra l'altro, «La determinazione del prezzo negli Stati Uniti che è la chiave di volta della struttura di mercato mondiale, avviene in maniera non conforme alle normali leggi economiche. (Alla faccia del libero mercato!) Gli USA sono direttamente interessati al prezzo del petrolio nel Medio Oriente, giacché una notevole differenza in meno potrebbe provocare, se non controbilanciata in qualche maniera, un sensibile incremento dell'importazione ed il conseguente declino dei prezzi dei grezzi americani. Se fosse abolita questa interdipendenza dei prezzi, il prezzo pagato dai paesi europei per i grezzi importati dal medio Oriente potrebbe subire sostanziali riduzioni». [Nota: mutatis mutandis, la questione è sempre la stessa: i paesi europei non possono avere energia a basso prezzo. Inoltre non va dimenticato l'uso truffaldino, utilizzato anche in Borsa, di "creare" il prezzo di riferimento attraverso acquisti irrisori di greggio, in modo da poter condizionare i costi (in realtà molto più bassi) al consumo, come può riscontarsi dal prezzo truffaldino applicato agli automobilisti italiani dalle multinazionali del petrolio].

Ma la truffa dei petrolieri non si esercita soltanto nei confronti dei paesi europei, in un paese nel quale trionfa il liberismo, tutti i cittadini sono preda bellica dei grandi pescecani dell'economia, come dimostra questo semplice dato. Dal gennaio 1942 al giugno 1947 -come risulta dal rapporto della Federal Trade Commission- il fatturato del petrolio fornito dal cartello all'esercito ed alla marina USA raggiunse la cifra di 70 milioni di dollari al prezzo "Gulf plus", e tale cifra non riguardava che le forniture ai comandi dislocati nel Medio Oriente. Secondo calcoli della Commissione, ben 38,5 milioni di dollari, sui 70 indicati, rappresentavano sopraprofitto di monopolio estorto (in questo caso) al governo degli USA, vale a dire ai contribuenti americani, per questo solo settore. [Nota: e questa cifra dovrebbe servire per far capire il perché di certe iniziative belliche al di sopra delle teste dei concittadini ed a prescindere dalla loro pelle].

 

Desolante conclusione: l'Italia a Nassirya.

I Media, obbedienti agli ordini dei loro referenti politici, di centro destra o di centro sinistra, non c’è alcuna sostanziale differenza nel livello di asservimento, continuano a rifilarci la "sola" della partecipazione italiana "a titolo gratuito" col nobile scopo di portare a quei "selvaggi" la parola della civiltà. (Ho parafrasato quanto in diverse occasioni e con diverse parole ha dichiarato il "premier").

Sulla base di queste asserzioni idiote per un popolo di sottosviluppati mentali, c’è anche un movimento "pacifista" che chiede il ritiro delle truppe italiane dall’impresa, come se di fatto fossimo in Iraq per gli scopi dichiarati. Invece noi siamo in Iraq, a Nassirya per la precisione, con l’unico scopo di difendere i giacimenti affidati all’ENI. Si tratta di giacimenti con probabili riserve di due miliardi di barili. Oltre alla nostra ENI è interessata anche la spagnola Repsol. Il valore dei contratti è di 1,9 miliardi di dollari ciascuno. È probabile che,

dopo il ritiro del contingente spagnolo, la difesa dei pozzi ispanici sia stata affidata al nostro contingente.

Per la verità, la nostra AGIP è interessata, assieme alla britannica BHP anche ai pozzi di Halfaya con probabili riserve per 5 miliardi di barili. Per il momento la trattativa non sembra essere approdata a risultati concreti.

Tuttavia, quando ci diranno che siamo andati ad Halfaya per portarvi civiltà e democrazia, ciò vorrà dire che l’AGIP ha vinto la gara.

Resta sempre il problema di fondo: perché il popolo italiano deve essere trattato dalla sua classe dirigente, (che con questo comportamento si dimostra veramente vecchia, stantia, primordiale, stupidamente paternalistica) alla stregue di un ricovero di rincoglioniti.

 

Costruttore di pace.

Secondo Noi, che abbiamo sempre fatto riferimento ai valori combattentistici di una (non esigua) parte di italiani, il mitragliere morto mentre svolgeva la sua funzione a tutela degli interessi veri ancorché nascosti di tutti gli italiani non merita di essere definito, come ha fatto il solito "monsignore", «costruttore di pace». Questi melliflui atteggiamenti nuociono moltissimo al costume nazionale che dovrebbe avere maggiore fierezza dei propri uomini

morti in teatro bellico svolgendo onestamente la funzione alla quale sono stati chiamati.

È anche vergognoso che il solito esponente governativo, nella fattispecie del presidente della Commissione Esteri della Camera, abbia dichiarato che «abbiamo dovuto mascherare Antica Babilonia come operazione umanitaria altrimenti dal Colle non sarebbe mai arrivato il via libera». Cioè, in parole povere, che l’uomo dei banchieri, legato agli interessi della grande finanza internazionale, non avrebbe dato il permesso al governo italiano di mandare i militari a difendere gli interessi di E.N.I. ed AGIP, ancora, fortunatamente, enti pubblici.

 

Una domanda conclusiva...

Abbiamo cercato di dimostrare con queste necessariamente poche righe, che la nostre truppe sono a Nassiriya a difesa degli impianti dell’ENI. Poiché è molto difficile che tale difesa debba essere esercitata contro eventuali attacchi iracheni, certamente interessati a lasciarci gestire il nostro petrolio perché nessuna ragione di inimicizia essi hanno (o dovrebbero avere) nei nostri confronti, c’è da chiedersi contro chi i nostri militari sono stati inviati a vigilare. Questo è un autentico quesito di politica estera vera.

 

Giorgio Vitali