da
Strategica
Vincenzo Vinciguerra
www.marilenagrill.org
Opera, 28 luglio 2010
Sono oltre venti anni che a tutti i miei interlocutori (e non sono stati pochi)
chiedo di concentrare la loro attenzione sulla nascita del Movimento sociale
italiano. Qualcuno, sull'argomento, ha scritto anche un libro apprezzabile sul
piano della documentazione storica ma incompleto perché trascura tre punti
essenziali: il nome del partito, il suo simbolo e la figura di Giorgio
Almirante. Non ci soffermiamo sulle figure dei personaggi che hanno fondato il
Msi, tutti in contatto con i servizi segreti americani, con esponenti
ecclesiastici, con dirigenti della Confindustria e uomini della Democrazia
cristiana. Fatta salva la buona fede di qualcuno, come il principe Pignatelli
che abbandonò giustamente schifato il partito quando chiese inutilmente che
venisse espulso Biagio Pace, collaboratore dell'Arma dei carabinieri reali
durante il periodo della Rsi, tutti gli altri configurano quello che sarà poi il
"neofascismo di servizio segreto", ovvero il neofascismo dell'antifascismo
anticomunista.
Ma, torniamo al simbolo che tante volte abbiamo indicato come mutuato da un
partito politico francese, il Movimento sociale francese, patriottardo,
conservatore, reazionario, votato più che altro da ex combattenti. Il Msf aveva
come simbolo una fiamma con i tre colori della bandiera francese, esattamente
come il Msi adotterà come simbolo la fiamma con i colori della bandiera
italiana. Nessuno ha mai inteso svolgere una ricerca su questo punto che è,
viceversa, essenziale per comprendere cosa abbia rappresentato questo partito
nella storia politica italiana del dopoguerra. Eppure, comprendere perché un
partito politico italiano abbia il nome ed il simbolo di un partito francese,
guarda caso di destra, dovrebbe essere doveroso per storici che pretendono di
scrivere la storia di questo Paese. Il terzo punto, su quale abbiamo tanto
insistito, è quello relativo alla figura del presunto fascista Giorgio
Almirante.
Lo abbiamo sempre sospettato, lo abbiamo anche scritto in precedenti articoli e
documenti, che Giorgio Almirante aveva qualcosa da nascondere nel suo passato,
qualcosa che gli ha consentito di fare una carriera politica come pseudo
oppositore del sistema, sfruttando l'eredità ideale della Rsi.
La conferma non ci è venuta da uno storico, ma da un estimatore di Almirante
che, in un suo libro, ha raccontato come costui, dopo il 25 aprile 1945, non è
mai stato ricercato dalla polizia italiana né perseguito dalla magistratura.
L'ammirazione fa smarrire lucidità, così che costui racconta, come fosse un
merito ed un vanto, che a carico di Giorgio Almirante non risultava alcuna
denuncia e, per questa ragione, nessuno lo ha chiamato in giudizio o lo ha
cercato per detenerlo. Purtroppo per costui, e per gli ammiratori di Giorgio
Almirante, le leggi sull'epurazione non prevedevano che i fascisti venissero
perseguiti su denuncia di singole persone, ma che del "reato"di
collaborazionismo rispondessero tutti coloro che avevano ricoperto un ruolo,
anche minimo, nell'apparato statale e politico della Repubblica sociale
italiana. Una verità storica che conoscono tutti i fascisti che hanno vissuto
quel periodo e sono necessariamente passati attraverso il vaglia degli
epuratori. Le dattilografe hanno subito condanne anche fino a 12 anni di
reclusione per "collaborazionismo" mentre il capo dell'ufficio stampa del
ministero della Cultura popolare, stretto collaboratore del ministro Fernando
Mezzasoma, fucilato a Dongo il 28 aprile 1945, ha potuto vivere in totale
tranquillità anche se, per scelta volontaria, in clandestinità non per evitare i
rigori della legge della nuova Italia ma, più probabilmente, per non incappare
in qualche partigiano non sufficientemente informato sul suo conto.
Il 25 aprile 1945, Giorgio Almirante era all'interno della prefettura di Milano,
dove Fernando Mezzasoma gli disse (lo ha raccontato proprio lui), "vado a morire
con il Duce". Almirante scappò dalla parte opposta e andò a nascondersi benché
nessuno lo cercasse, non i partigiani, non i poliziotti, non i magistrati.
Eppure, dal mese di dicembre del 1944, Giorgio Almirante aveva ricoperto un
incarico non di primissimo piano ma, di certo, più importante di quello di una
dattilografa o di un usciere. Aveva sostituito nell'incarico Gilberto Bernabei,
fuggito a Roma, proprio in quel mese di dicembre forse perché timoroso che i
fascisti e i tedeschi avessero scoperto il suo doppio gioco. Ad un
doppiogiochista, nell'incarico di capo dell'ufficio stampa del ministero della
Cultura popolare è subentrato Giorgio Almirante. Quel posto portava fortuna,
perché Gilberto Bernabei farà nel dopoguerra una brillante carriera all'ombra di
Giulio Andreotti e Giorgio Almirante diverrà segretario nazionale del Msi, anzi
il suo uomo più rappresentativo, il simbolo stesso di chi non aveva tradito né
rinnegato. Sarà stato così? Giorgio Almirante non ha tradito né rinnegato? Fino
ad oggi, ci siamo imbattuti solo in un altro caso di fascista che il 25 aprile
1945 è tornato a casa propria, senza che nessuno lo abbia cercato per tradurlo
in giudizio.
Un certo Rossi, che Junio Valerio Borghese aveva imposto come comandante del
battaglione "Vega", il reparto più segreto della Divisione Decima, e che aveva
sempre lavorato per i servizi segreti del Regno del Sud e degli alleati. Dato
che, nell'agosto del 1945, venne stabilita per legge la non perseguibilità di
quanti avevano condotto, durante la Rsi, il doppio-gioco a favore degli alleati,
dei partigiani, del Regno del sud, è lecito chiedersi se Almirante non sia
rientrato a pieno titolo in questa categoria. Una domanda che, ormai, dovrebbe
trovare una risposta chiara e documentata, in un senso o nell'altro, giusto per
capire se Giorgio Almirante fu solo un uomo fortunato, sfuggito ai plotoni di
esecuzione partigiani, ai tribunali ordinari e straordinari, alle galere
dell'Italia antifascista, o fu uno dei tanti doppiogiochisti, sia durante il
periodo della Repubblica sociale sia nel dopoguerra. La storia non si scrive con
domande prive di risposta. E quelle che poniamo sul nome del Msi, il suo simbolo
e sul suo leader storico le risposte le possono avere
nette,definitive,inequivocabili.
Vincenzo Vinciguerra
Opera 28 luglio 2010
il commento di Maurizio Barozzi
Come spesso facciamo riportiamo un
altro articolo di Vincenzo Vinciguerra pubblicato nel sito
www.marilenagrill.org.
Quelle del Vinciguerra sono notizie
ed osservazioni, come al solito pertinenti e puntuali ed il suo
invito a sviscerare nella nascita di quel partito bottegaio e
forcaiolo della destra filo atlantica italiana è quantomeno attuale.
Che ci siano degli italiani di
destra, che ancora nutrono nostalgie verso l’ex MSI è un fatto che
può riguardarci non più di tanto, a parte una certa ripugnanza verso
questo genere di schieramento politico che non possiamo che
condannare e combattere.
Ma quando tra questi italiani ci
sono dei presunti "fascisti", in realtà veri antifascisti, allora la
cosa cambia, perché i fascisti da tempo avrebbero dovuto prendere le
distanze dal MSI e da tutto quello che ha rappresentato ed invece, a
quanto è dato da vedere, piagnucolano e se la prendono con Fini che
avrebbe tradito, il "vero MSI".
Ma quando mai!
Il MSI era un partito reazionario e
conservatore, esattamente come lo era Alleanza Nazionale.
Il MSI era un partito filo
atlantico e filo americano, esattamente come lo era Alleanza
Nazionale.
Il MSI era un partito filo
israeliano esattamente come lo era Alleanza Nazionale.
Si vadano a prendere tutti gli atti
parlamentari riguardanti 50 anni di MSI, si vadano a vedere i suoi
ruoli nei vari Enti Locali, ci si vada a rileggere la collezione del
Secolo d’Italia e, al di là della bassa a falsa propaganda "da
sezione", ad uso e consumo dei creduloni, si potrà riscontare
quanto sopra.
Vinciguerra ricorda il ruolo che
ebbero massoni, OSS americano del caro J. J. Angleton, industriali,
ambienti del Vaticano e qualunquisti vari, nella nascita di questo
partito, che doveva:
* se il caso opporsi al comunismo
con ogni mezzo;
* quando necessario puntellare i
governi DC;
* sostenere la borghesia privata e
industriale (praticamente quei "Cavalieri del Lavoro", altrui
ovviamente!) nei loro appetiti;
* fare, da fanalino sanfedista, a
puntello della traballante cultura cattolica.
E soprattutto difendere, sostenere,
e propagandare (magari con la scusa del "male minore") l’Atlantismo
e la figura di Israele (l’ultimo avamposto dell’uomo bianco! Sic!).
Certamente tutte queste scelte sono
state fatte ingurgitare gradualmente, ma è palese che erano in auge,
ancor prima che il MSI nascesse.
Ci sono importanti documenti
statunitensi, recentemente desecretati che dimostrano come dal post
liberazione in avanti si ebbe in Italia
«una miriade di formazioni eversive,
spesso isolate, ma comunque poste agli ordini dell’arma,
dell’esercito e delle prefetture, che agiscono su disposizioni
precise dell’intelligence angloamericana …».
Una miriade di gruppi: fasci di
azione rivoluzionaria, squadre di azione e fronti antibolscevismo o
monarco-fascisti (sic!), ecc., controllati e spesso finanziati da
James Angleton.
In un rapporto dei servizi segreti
americani intitolato "Il movimento neofascista - 10 aprile
1946, segreto" si legge invece:
«I neofascisti intendono stabilire
un contatto con le autorità americane per analizzare congiuntamente
la situazione del paese. La questione politica italiana sarà quindi
collocata nelle mani degli Stati Uniti».
E come sappiamo, collegata nelle
mani degli USA, la politica italiana lo fu davvero e lo è ancora
oggi!
Certo si può sostenere che molti
fascisti, nel post liberazione, braccati, massacrati, soprattutto
dai comunisti, nelle "radiose giornate", possono anche aver
accettato certe collusioni. Ma queste non potevano, non dovevano che
essere transitorie.
Ci fu chi invece fece in modo che
divenissero definitive.
E così i neofascisti che avrebbero
dovuto essere i veri e irriducibili oppositori della Nato, della
colonizzazione americana, anche da un punto di vista ideologico, ne
divennero invece le truppe cammellate al servizio dell’Occidente.
Oggi possiamo dire che questi
destristi, questi missisti, hanno tradito gli interessi nazionali,
di fatto hanno tradito quella Patria di cui si riempivano la bocca
nella loro propaganda, perché schierarsi a difesa di chi ci aveva
colonizzato (gli USA e il loro braccio militare in Europa, la Nato),
stravolto culturalmente, imposte le loro direttive e sottomesso
tutto il paese all’economia e soprattutto alla finanza d’oltre
oceano, limitatici a delle FF.AA. disegnate solo per una funzione
filo atlantica, imposto di non perseguire chi aveva tradito la
Patria dal 1943 al 1945, con misure e diktat mai revocati, voleva
dire tradire gli interessi nazionali. Punto.
Maurizio Barozzi |
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