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Morte di Mussolini

Testimonianze dell’autista G. B. Geninazza

Maurizio Barozzi  (20 ottobre 2012)   


Nel mistero della morte di Mussolini è importante conoscere e analizzare le incredibili testimonianze di Giovani Battista Geninazza un personaggio che, nonostante fosse a Walter Audisio, alias colonnello Valerio totalmente sconosciuto e anzi addirittura estraneo al movimento partigiano di cui non aveva fatto parte, venne scelto per fargli da autista da Dongo a Giulino di Mezzegra, e che rappresenta uno dei testi più inesplicabili nella morte di Mussolini.

Episodi, questi raccontati dal Geninazza che, a sfogliare l'ampia letteratura sulla morte di Mussolini, ben pochi hanno riportato e anzi, si percepisce chiaramente che ancor meno sono quelli che vi hanno creduto.

Giovanbattista Geninazza, classe 1919, deceduto nel 2009,3 avrebbe dovuto essere, ma non lo è stato, uno degli elementi chiave che con la sua testimonianza, di persona presente alla fucilazione poteva chiarire tutta la vicenda. Ma guarda caso, le tardive testimonianze di questo testimone oculare, estraneo ai tre partigiani comunisti autori della fucilazione, poco o nulla sono state utilizzate dagli storici, come se si ritenessero inaffidabili.

Eppure il Geninazza, a chi lo ha conosciuto ha dato l'impressione di una persona semplice, mite, e molto timorosa, non proprio un mitomane. sebbene è anche prevedibile che sia stato ben remunerato per le sue interviste all'Europeo nel 1956 e al giornalista Marcello Bonicoli nel 1962.

 

Un altro caso Lonati?

A guardar bene il "caso" Geninazza è molto complesso e per il suo possibile misto di verità, mezze verità e inattendibilità, oltre che "autoconvinzione", assomiglia a quello di Bruno G. Lonati il partigiano che asserì di aver lui ucciso Mussolini assieme ad un misterioso agente inglese, tale John. Un racconto fantasioso con elementi incongruenti e privo di prove concrete (vedi il prossimo Capitolo 20). Anche il Lonati, al pari del Geninazza ha dato, a chi lo ha ascoltato, l'impressione di una apparente coerenza nei racconti, spontaneità e sincerità, ma alla fine, dopo varie considerazioni, indagini e contraddizioni, non può che considerarsi un mitomane. Insomma ci si trova in presenza di due persone per bene, ma resta il fatto che i loro racconti non sono credibili, anche se sul Geninazza qualche riscontro storico sulla sua vicenda pur esiste.

Forse la chiave per capire che qualcosa non funziona nella testimonianza, pur particolareggiata, di Geninazza la si può intuire, oltre che da varie incongruenze, da due eventi privi di riscontri presenti nelle sue testimonianze e/o nel suo memoriale, più un altro terzo particolare anche questo forse dubbio.

Ripetiamo, ai racconti del Geninazza, in parte sicuramente veritieri, ci si può credere o meno, ma se risultassero falsi, anche in parte, probabilmente costruiti sui tanti reportage e inchieste del dopoguerra su quegli avvenimenti, si dimostrerebbe una attitudine a inventare episodi di fantasia millantando crediti, non di certo per mitomania, ma per qualche altro motivo.

I ricercatori storici che hanno analizzato le tante testimonianze locali in merito agli avvenimenti accaduti a Bonzanigo (casa dei coniugi De Maria dove erano stati rinchiusi Mussolini e la Petacci) e Mezzegra, si sono sempre trovati in presenza di due particolarità: a) una omertà assurda, assoluta, decisamente scaturita da pluriennali intimidazioni che vennero esercitate da quelle parti (non si dimentichi che nel comasco si determinò nel dopoguerra un terrore incredibile tanto più ingigantito da oltre 400 esecuzioni e sparizioni che da quelle parti si verificarono). Per il resto si poterono raccogliere solo spezzoni di ricordi molto problematici ed alcuni assurdi. Il fatto è che quel 28 aprile 1945 si svolsero in poche ore avvenimenti eccezionali, in un clima di esaltazione collettiva. Vennero sbirciati un uomo e una donna, scortati da uomini armati, passare dalla piazzetta con il lavatoio e fatti salire in una macchina nera che li portò poco più avanti al cancello di Villa Belmonte. Due soggetti che non poterono essere riconosciuti, anche perché, guarda caso, il presunto Mussolini era tutto intabarrato in un pastrano con i baveri alzati e un berretto o cappello o casco, calato sugli occhi. Addirittura la presunta Petacci fu anche vista con ai piedi stivali da equitazione. Poi alle 16,10 si udirono raffiche di mitra in Giulino di Mezzegra e poco dopo tutti videro due cadaveri ai piedi del canclelo della Villa, ma stranamente poco o nulla sangue. Immediatamente si sparsero voci che erano stati fucilati Mussolini e la sua amante, ed in quel clima allucinante, con il tempo uscirono fuori mitomani o comunque persone che raccontarono particolari di ogni genere. Insomma una inattendibilità totale.

 

Le testimonianze e il memoriale Geninazza

Leggendo le testimonianze e il memoriale di Giovanbattista Geninazza, ne consegue una domanda obbligatoria: può considerarsi quanto riportato dal Geninazza, attendibile?

Questa domanda è decisiva perché, se si dimostra, anche in parte, inaffidabile il memoriale di Geninazza ed ovviamente le sue testimonianze che sono sostanzialmente simili, cade anche tutta la credibilità per una vera fucilazione al cancello di Villa Belmonte alle 16,10 del 28 aprile 1945 con tanto di "Sparami al petto!".

Consideriamo allora attentamente questi racconti dell'autista.

Come noto, Giovanbattista Geninazza, ventiseienne, dopo l'impresa di Giulino di Mezzegra del 28 aprile '45 con Audisio & Co., e una sua foto davanti alla storica auto scattatagli dal fotografo Vincifori qualche giorno dopo, sparisce di scena: di lui appare un breve articolo di Paolo Monelli su Tempo del 24 gennaio 1948, che ne pubblica nome e foto del Gennazza vicino alla macchina che la didascalia dice utilizzata per trasportare i cadaveri alla sottostante strada statale per caricarli sul camion; poi per molto tempo, si rese irreperibile, sembra in preda ad una evidente paura.

Una volta rintracciato, a fine 1955, rilasciò a Franco Bandini una serie di circostanziate testimonianze, pubblicate dall'Europeo il 4 marzo del 1956, senza rendere noto il suo nome di battesimo, come da accordi con il settimanale [1]. Settimanali che, all'epoca, pagavano a peso doro testimonianze del genere.

Poco dopo, intorno al 1957, sembra che iniziò a scrivere (per sè?), su fogli di un notes della ditta dove lavorava, un memoriale, nomato "Riservatissimo", che però non venne reso pubblico e che solo nel 2009, dopo la morte del Geninazza avvenuta nel gennaio dello stesso anno, i suoi famigliari lo consegnarono allo scrittore storico Pierangelo Pavesi che ne ha pubblicato stralci sul giornale Libero del 25 aprile 2009 e poi lo ha riportato nel suo libro "Sparami al petto" Edizione del Faro 2012.

Nel 1962, infine, il Geninazza si prestò per incidere un breve disco di vinile nel quale racconta solo la sua impresa da autista, precettato da Audisio e Moretti a Dongo.

Nella dispensa che accompagna il disco, però, curata dal giornalista Marcello Bonicoli e titolata "Io c'ero – Inchiesta sulla morte di Mussolini", Aletti editore, il giornalista riassume alcune note storiche, forse su informazioni dategli dal Geninazza, riportando anche particolari precedenti a quella impresa, come per esempio il fatto che l'autista dice di essere andato, la notte del 27 aprile 1945, assieme al comandante Pier Bellini delle Stelle Pedro a prelevare Mussolini a Germasino e di averlo poi portato a Dongo dove lo riunirono con la Petacci e quindi, anche con un altra auto, più il Capitano Neri, alias Luigi Canali, Michele Moretti (dimentica però la Giuseppina Tuissi Gianna) finirono a Bonzanigo.

La semplice constatazione che il Geninazza avesse per tanti anni conservato in famiglia questo suo "memoriale", dove raccontò un paio di particolari fortemente divergenti dalla versione di Audisio (per esempio il fatto che Audisio non era salito in casa De Maria, ma era rimasto vicino a lui sulla piazzetta con il Lavatoio e quello che Mussolini gridò "sparami al petto!"), che pur aveva già raccontato a Franco Bandini, ed altri inediti, oltre al fatto che le sue versioni sono alquanto simili, potrebbe far ritenere che siamo in presenza della verità.

Noi però nutriamo seri dubbi per tutta una serie di inattendibilità e incongruenze nella sua versione dei fatti che ora andremo ad evidenziare.

In ogni caso, per questo "memoriale", si può concedere o meno la buona fede al Geninazza, ovvero che l'autista si sia voluto appuntare la sua storia per non dimenticarla oppure, viceversa, che mise su un racconto, pieno di particolari inediti e clamorosi, tali da renderlo molto appetibile per gli editori, ma poi qualcosa andò storto e gli rimase nel cassetto, forse anche perché era poco credibile o dimostrabile.

 

Una premessa indispensabile

Prima di esaminare le testimonianze di questo autista occorre sempre tenere bene a mente un dato di fatto: oggi come oggi il mistero della morte di Mussolini può essere, almeno in buona parte, risolto, soltanto con alcune prove oggettive oppure con prove indiziaria, ma molto concrete e verificabili e di conseguenza tutte quelle testimonianze che contrastano con queste prove vanno decisamente scartate.

Si da ora il caso che la scienza moderna ha acquisito almeno due prove oggettive ed una prova indiziaria concreta, tutte decisive. In pratica:

1. Il cadavere di Mussolini, attraverso varie perizie, è risultato privo di buchi o strappi quali esito di una fucilazione. Il colpi sono presente solo sulla maglietta intima bianca a mezze maniche. Ergo quel cadavere venne gettato in terra davanti al cancello di Villa Belmonte, dopo essere stato rivestito da morto e quindi era stato ucciso in circostanze, luogo e orario ben diversi da quello riportato dalla "versione ufficiale" o "vulgata".

2. Lo stivale destro al piede del cadavere di Mussolini presenta la lampo o saracinesca di retro chiusura saltata all'altezza del tallone e quindi quello stivale non poteva chiudersi e così aperto infatti fu notato già la sera stessa del 28 aprile al caricamento dei cadaveri sul camion che doveva portarli a Milano e il giorno dopo a Piazzale Loreto. Ergo Mussolini non avrebbe potuto camminare con quello stivale aperto per essere condotto alla macchina che lo avrebbe portato a Villa Belmonte, o comunque questa anomalia si sarebbe notata, cosa che non è avvenuta. Evidente quindi che i due soggetti, uomo e donna che furono sbirciati da qualche residente del posto in quel breve corteo non potevano essere il Duce e la Petacci.

A queste due prove oggettive possiamo aggiungere una o più ipotesi balistiche sulla dinamica della fucilazione. Ipotesi che possono essere avanzate in base al referto autoptico del prof. Cattabeni che descrisse le ferite premortali sulla salma, alle foto delle ferite ed in base alla comune esperienza sulle armi da sparo. Ebbene queste ipotesi smentiscono totalmente una fucilazione, avvenuta con un solo tiratore (Audisio) che con un mitra e circa una diecina di colpi, uccide contemporaneamente Mussolini e la Petacci, sparando da tre passi, oltre due metri, quando poi le perizie precedentemente accennate hanno evidenziato alcuni colpi da distanza molto ravvicinata, non superiore ai 50 cm., forse meno.

Tenendo sempre presente queste prove che smentiscono a prescindere la "vulgata" andiamo a considerare le testimonianze dell'autista Geninazza.

Testimonianze Geninazza: due seri dubbi

Se il ruolo da autista del Geninazza, precettato da Audisio a Dongo dopo le 15 del 28 aprile, con la famosa auto 1100 per recarsi a Bonzanigo a prendere Mussolini, è acquisito e attestato da tutti, viceversa nelle testimonianze rese da questo autista e soprattutto nel suo "memoriale", ci sono un paio di episodi che ci risultano inattendibili:

1. l'arrivo di Geninazza a Dongo il pomeriggio del 27 aprile, mettendosi subito a disposizione del comandante Pier Bellini delle Stelle Pedro facendogli da autista;

2. il suo ruolo da autista in una delle due macchine che la notte tra il 27 e 28 aprile portarono Mussolini e la Petacci nella casa di Bonzanigo;

Valutiamoli separatamente pur tenendo conto che la letteratura e le testimonianze in argomento non sempre consentono di fare piena luce su tutte queste vicende, indicando che il memoriale Geninazza è integralmente riportato nel libro Sparami al petto! sopra citato di Pierangelo Pavesi.

 

1. Geninazza arriva a Dongo ed è ingaggiato dal comandante Pedro

Scrive nel suo memoriale il Geninazza (e qui ci dilunghiamo perché questa incongruenza è grave e significativa), che egli arrivò a Dongo con la 1100 intorno alle 16,30 del 27 aprile quando Mussolini era stato fermato sul famoso camion.

Racconta, inoltre, di quando lui e altri arrivarono a Dongo: «Con la 1100 requisita verso comando Tremezzo, andammo a Dongo per vedere che cosa mai succedeva (avevano fermato la colonna Mussolini). Sia io e la macchina venimmo requisiti dal comandante Pedro. Fui subito passato al servizio del comandante della 52a Brigata Garibaldi, potevano essere circa le 16,30 del 26 aprile. (ovviamente intende il 27 aprile, N.d.A.) ».

Accettato che quel pomeriggio arrivò a Dongo, sorgono poi però legittimi e concreti dubbi, sul suo racconto, perché si da il caso che quando venne fermato Mussolini sul camion tedesco, il Pier Bellini delle Stelle Pedro, non era a Dongo, dove invece c'era Urbano Lazzaro Bill che solo dopo aver preso in consegna il Duce e le sue documentazioni, portatolo in Municipio, date disposizioni, ecc., si recò nella vicina Musso dove appunto era ancora il Pier Bellini, alle prese con gli arresti di alcuni gerarchi e incombenze di quei momenti e insieme poco dopo tornarono a Dongo.

Ora sappiamo benissimo che è difficile stabilire l'orario preciso in cui venne fermato Mussolini, dovrebbe essere tra le 15,00 e le quasi 16,30 ed inoltre il Geninazza scrive anche che non aveva l'orologio, cosicché vogliamo essere indulgenti, ma i dubbi che appena arrivato a Dongo, come visto scrive alle 16,30 (ma non siamo rigidi su l'orario), trovi il Comandante Pedro e venga subito da questi messo a sua disposizione restano validi, tanto più che poi quando il Lazzaro Bill, andrà a prendere il Pier Bellini Pedro e tornerà a Dongo con lui, era già passato un certo tempo dall'arresto di Mussolini e tutto il seguito che si era verificato in Municipio dove il Duce venne portato da Bill e qui incalzato da domande di ogni genere da parte di quelli che lì si trovavano, compreso il neo sindaco Giuseppe Rubini.

Il comandante Pier Bellini, pertanto, arrivò in Municipio quando quella specie di "processo" a Mussolini era ancora in corso (poi si protrarrà oltre le 18).

Quindi, come detto, è un fatto che il Lazzaro, assieme al Biondino alias Antonio Puglisi, era andato a Musso ad informare dell'arresto di Mussolini avvenuto poco prima in Dongo, il comandante Pier Bellini e con lui tornarono a Dongo.

Ma andiamo avanti con il memoriale di Geninazza che è appunto arrivato a Dongo:

«Quasi subito salì sulla macchina il comandante conte Bellini delle Stelle (quell'uomo calmo, gentile nei modi, lo trovai subito simpaticissimo). e altri due uomini armati. Andammo verso Gera Lario (circa 10,1 Km. da Dongo, N.d.A.).

Di tanto in tanto ci si fermava presso qualche gruppo di partigiani (..,). Ritornando ci siamo fermati presso una trattoria che si trovava sulla strada...

Il conte Bellini e altri uomini si sedettero intorno a un tavolo.... dopo circa 20 minuti (forse solo allora si era ricordato di me) il conte Bellini delle Stelle mi fece chiamare e mi offrì da mangiare e da bere se ne avessi avuto desiderio. Io ringraziai e uscii dicendo che non avevo nè sete, nè fame. A un certo momento uscirono e ci avviammo verso Dongo che era già buio questo lo ricordo».

Dunque secondo il Geninazza appena arrivato in Dongo, dopo l'arresto di Mussolini, il comandante Pier Bellini lo requisì e subito usufruì della sua macchina. Se ne vanno in giro (Gera Lario), si fermano in trattoria e l'autista riporterebbe Pedro il Bellini a Dongo quando era già buio e, scrive ancora il Geninazza, poi intorno alle 21, nel Municipio di Dongo vide i gerarchi prigionieri, quindi conosce il Luigi Canali capitano Neri, la Giuseppina Tuissi Gianna e il Michele Moretti Pietro.

Il Capitano Neri gli direbbe che dovrà svolgere un servizio segretissimo e importantissimo, di cui non dovrà far parola pena l'essere messo al muro. Si tratterebbe di andare a riprendere Mussolini a Germasino. Ma questa è una storia successiva di cui parleremo appresso.

Orbene, può essere vero quanto sopra raccontato dal Geninazza?

Solo in parte, perché riteniamo, con buoni motivi, che non è tutto vero.

Considerando, infatti, quelle ore pomeridiane di Dongo, i dubbi sul racconto dell'autista si trasformano in certezza negativa, perché sappiamo bene che il Pier Bellini Pedro, una volta arrivato a Dongo in Municipio con il Lazzaro, prese in consegna Mussolini, si dedicò a varie incombenze circa gli arrestati ivi trasferiti, compresi i Petacci, mentre poi il Lazzaro con una macchina andò al Ponte del Passo dove attendevano i tedeschi per definire gli accordi di quella mezza specie di resa.

Il Pierluigi Bellini delle Stelle Pedro, scrisse espressamente: «Mentre Bill è assente per trattare con i tedeschi io resto a Dongo dove c'è moltissimo da fare» [2].

Quindi, da Dongo, intorno alle 18,30, concordandolo con il brigadiere della G.d.F. Giorgio Buffelli, il Moretti e forse il Canali (se era già arrivato a Dongo) il comandante Pedro si recò nella soprastante Germasino per nascondere Mussolini nella più sicura casermetta della Guardia di Finanza. Per il breve viaggio fa arrivare appositamente una macchina, mette Mussolini, Paolo Porta e il brigadiere Buffelli dietro e lui, dice il Pedro stesso, con Ettore Luigi Corbetta, si mette davanti. Non è certo se guidava la grossa auto "Ettore", oppure lo svizzero Alois Hoffman. Un altra auto è di scorta.

Il Pier Bellini lascia poi Mussolini a Germasino e torna a Dongo dove si mise a interrogare la Petacci, ecc.

Come avrebbe quindi potuto il Pier Bellini quel pomeriggio viaggiare, fino a sera, in lungo e in largo con questo autista?

Ed inoltre, se consideriamo che nel frattempo, dall'arrivo di Pedro al suo viaggetto a Germasino, in quel di Dongo (e su questi particolari tutte le testimonianze e relazioni concordano) il Lazzaro, come accennato, era andato via, il Michele Moretti Pietro era indaffarato tra Musso e Dongo con il cosiddetto "tesoro" sequestrato alla colonna Mussolini, giri vari, compreso anche un salto al Ponte del Passo ed infine che il capitano Neri Luigi Canali arrivò a Dongo solo a fine pomeriggio, cioè se consideriamo che tutti gli altri "comandanti" della 52a Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" erano momentaneamente assenti, a chi avrebbe dovuto il Pier Bellini delle Stelle lasciare in consegna il Duce per andarsene in giro scarrozzato dal Geninazza? Al limite forse al sindaco Rubini o al brigadiere della Guardia di Finanza Giorgio Buffelli, ma tutto questo non è di certo avvenuto.

Il Geninazza con i racconti di queste sue fantomatiche missioni del pomeriggio assieme al Pier Bellini, ha commesso un gravissimo svarione e sembra proprio che in quel pomeriggio del 27 aprile, abbia millantato un servizio da autista per il comandante Pier Bellini Pedro.

 

2. Geninazza autista notturno da Germasino a Bonzanigo?

Il Geninazza racconta poi che a sera tarda lui accompagnò il Pier Bellini delle Stelle Pedro, Giuseppe Frangi Lino e Guglielmo Cantoni Sandrino, a prelevare Mussolini dalla casermetta della G.d.F. di Germasino.

Fornisce anche vari particolari sui momenti a Germasino. Quindi, tornati a Dongo, oramai oltre le 2 del 28 aprile, si riunirono con il capitano Neri e il Moretti, presso il Ponte della Ferriera e con due macchine fecero il famoso viaggio verso Moltrasio, poi tornarono indietro per finire a Bonzanigo in casa De Maria, insomma la telenovela di quello strano viaggio notturno descritta con tante varianti e note di "folclore" dalla "vulgata".

Il Geninazza quindi si attesta come uno dei due autisti notturni e descrive anche molti particolari del viaggio. Ma è veritiero questo ruolo di "autista notturno" del Geninazza?

Le ricerche storiche [3] hanno indicato che i due autisti di quella notte furono Edoardo Leoni commerciante di ferramenta e Dante Mastalli titolare di una autorimessa, entrambi a Gravedona (di cui ci sono anche le testimonianze delle rispettive mogli Edvige Rumi e Teodora Mussi, raccolte molti anni addietro dal serio ricercatore storico Marino Vigano, le quali fornirono in proposito molti aneddoti). Due autisti di cui a Gravedona, tutti sapevano di questa loro impresa.

Franco Bandini, che pur lo aveva lungamente intervistato a fine 1955, nel suo Le ultime 95 ore di Mussolini, Sugar 1959, non solo non nomina il Geninazza come autista del Pier Bellini, ma quando indica gli equipaggi delle due macchine (l'altra attendeva a Dongo l'arrivo di Pedro e Mussolini da Germasino, per poi da Dongo andare a Bonzanigo), il Bandini a pag. 225, scrive:

«... le numerose storie pubblicate sin qui non ci hanno tramandato le generalità dei due autisti. Conoscerli (nel 1959, infatti, questi nomi non si conoscevano, N.d.A.) avrebbe importanza perché di quella avventurosa spedizione sono vivi oggi soltanto Sandrino, Pedro e Pietro». [4]

Anche il comandante Pier Bellini Pedro non cita mai il Geninazza come autista per quel viaggio notturno, ma parla solo genericamente di "un autista".

Lo storico Alessandro Zanella, descrisse anni dopo, con attendibile precisione, la composizione di quelle macchine per il viaggio notturno [5].

Ma ancor più Urbano Lazzaro, presente quella notte a Dongo, presso il Ponte della Ferriera, quando le due macchine partirono verso le 2,45 per finire poi a Bonzanigo (forse verso le 5 del mattino) non nomina il Geninazza tra gli autisti ed anzi, parlando poi della impresa del Geninazza nel pomeriggio successivo 28 aprile con Audisio, quando andarono a Bonzanigo a prendere Mussolini e la Petacci, il Lazzaro, scrive espressamente: «... per quale misteriosa ragione egli (il Geninazza, n.d.r.) sconosciuto ai quadri della 52a, fu fermato verso le 15 del 28 aprile sulla piazza di Dongo con la sua vettura...?» [6].

E se non bastasse anche Giusto Perretta, al tempo presidente dell'Istituto del movimento di liberazione del comasco, riportando i ricordi di Michele Moretti, ridimensiona il ruolo di questo autista quando, riferendosi sempre all'impresa del pomeriggio successivo con Audisio, scrive: «... Verso le 15 partirono Valerio, Guido, Pietro e l'autista (Geninazza, n.d.r.) che aveva in consegna la macchina e che fino al quel momento era stato completamente estraneo ai fatti» [7].

I passeggeri nelle due auto e la dimenticanza della Gianna

Ma per quel viaggio notturno ecco ancora un paio di chicche.

Intanto si riscontra subito una stranezza, laddove il Geninazza nel suo memoriale parla di un trasbordo di passeggeri nelle due macchine: la sua che, dice lui, sarebbe arrivata da Germasino portando Pedro e Mussolini e l'altra che aspettava al Ponte della Ferriera a Dongo, con la Petacci, il capitano Neri, ecc.

Scrive il Geninazza: «Lì avvenne uno scambio di posti sulla vettura. La Petacci prese posto sulla mia macchina, il duce sull'altra; sulla mia macchina la Petacci, capitano Neri, Lino».

In realtà, se così fosse stato, lo scambio di passeggeri avrebbe riguardato tutti gli occupanti e non la sola Petacci, ma questo scambio, oltre che assurdo, non trova alcun riscontro.

Lo stesso Pier Bellini Pedro, nel suo "Dongo La fine di Mussolini", Mondadori 1975, scrive chiaramente, a pag. 175, che la Petacci aspettava a Dongo in macchina con il Capitano Neri, Pietro, e Lino. Quando loro arrivarono scese, come del resto scese anche Mussolini e i due si salutarono. Alla partenza, la donna, venne fatta risalire sulla sua auto con il capitano Neri, ecc., e Mussolini risalì sulla macchina, con cui era arrivato, assieme a Pedro.

Quindi non ci fu alcuno scambio di posti come asserisce il Geninazza (ma del resto da quanto si può documentare, lui quella notte, in quella missione non c'era proprio!).

Premesso questo, nel ricordare la composizione delle due auto, riferendosi a quella che, dice lui, guidava verso Bonzanigo, vi attesta la presenza di Clara Petacci, il capitano Neri, e Lino alias Giuseppe Frangi, mentre per la macchina guidata dall'altro autista (Dante Mastalli, n.d.r.) egli ricorda: Mussolini, Pedro il Pier Bellini, Pietro Moretti, e Sandrino alias Guglielmo Cantoni.

Cosicchè il Geninazza si scorda della Giuseppina Tuissi Gianna che era in macchina con Mussolini e il Pier Bellini, una dimenticanza tutto sommato scusabile, ma poi dimentica ancora la presenza di questa partigiana quando scriverà che arrivati a Bonzanigo, mentre gli altri portano Mussolini e la Petacci a casa dei De Maria, lui resterà in macchina, dormicchiando e poi sostituendo una ruota che si era accorto era forata, mentre invece, a quanto sembrerebbe dai racconti degli altri partecipanti al viaggio, anche la Gianna, stanchissima, rimase in auto a dormicchiare.

Dimenticanze veniali? Forse, ma di certo non veniale è l'aver attestato il Moretti Pietro, che oltretutto in questo "memoriale" egli chiama una volta Moretti, un altra volta Pietro, e altre volte ancora, assurdamente Negri (?), nella macchina con Mussolini, quando avrebbe ben dovuto sapere che Pietro era invece nella sua autovettura insieme al capitano Neri e la Petacci. Ergo, se fosse vero il suo racconto, si sarebbe anche dimenticato di questo suo importante passeggero!

Come abbiamo visto, in questi racconti del Geninazza ci sono fatti ed episodi che non trovano riscontri, ma a veder bene, c'è anche un altro episodio a cui il Geninazza dice di aver partecipato e, forse in questo ha ragione, ma che tuttavia solleva qualche dubbio.

Il ritorno di Geninazza a Villa Belmonte a prendere i cadaveri

Nella testimonianza del Geninazza, riportata da Franco Bandini su l'Europeo del marzo 1956 è scritto che il Geninazza, riportati Audisio, Lampredi e Moretti a Dongo, afferma di essere poi tornato, verso sera, al cancello di Villa Belmonte, accompagnando Audisio che doveva caricare i cadaveri di Mussolini e della Petacci in macchina per portarli al bivio di Azzano dove attendeva il camion per raccoglierli.

Testualmente raccontò: « La sera riportai Valerio al luogo della fucilazione di ritorno da Dongo. Dette ordine ai presenti di caricare i cadaveri sulla mia macchina, ciò fu fatto subito. ...Claretta venne caricata per prima e Mussolini subito dopo: ricordo che la sua testa, giacendo tra i cuscini posteriori e lo schienale, mi obbligava a guidare un poco chinato. Mi fece molta impressione. Scendemmo ad Azzano dove era fermo il camion giallo: i due corpi vennero caricati e gettati sul mucchio di cadaveri che vi si trovavano».

Come accennato, Paolo Monelli, nel servizio su Tempo del 1948 pubblicò la foto della macchina con il Geninazza accanto scrivendo che era stata utilizzata per il trasporto dei cadaveri. Ora noi, nonostante il Monelli, non abbiamo certezze che questa incombenza la assunse il Geninazza o invece un altra auto con altro autista. Troppe lacune e confusioni nei resoconti di quei momenti non consentono di fare chiarezza.

Quindi, almeno in questo caso, saremo molto più indulgenti e anche possibilisti.

Il Pavesi nel suo libro "Sparami al petto!", porta a sostegno del racconto di Geninazza il fotografo Ugo Vincifori che quella sera vide il caricamento dei cadaveri sul camion, il quale ad una sua domanda un pò forzata però, gli avrebbe confermato che nella macchina che arrivò con i cadaveri ad Azzano riconobbe il Geninazza.

Ma il Vincifori è morto e dobbiamo accontentarci della asserzione del Pavesi.

A noi risulta che Audisio, non indica il Geninazza per quella incombenza e scrisse nel suo libro postumo In nome del popolo italiano, Teti 1975, che lui, nel venire a riprendere i cadaveri a Villa Belmonte, stava nella sua 1100 con la quale era giunto da Milano, in quel momento forse guidata dal Giuseppe Perrotta il suo autista.

Scrive Audisio che la sua auto era preceduta da una piccola utilitaria (alcuni parlano di una Balilla, altri della Aprilia del maggiore De Angelis, non la 1100 di Geninazza e d'altronde Audisio, in questo caso, perché non lo avrebbe indicato?) che arrivata al bivio di Azzano si inerpicò verso Giulino di Mezzegra dove prese i cadaveri. Potrebbe anche essere vero come dice Geninazza, intendendo che lui fece da battistrada, mentre Audisio era dietro nella sua auto, ma non ci sono riscontri.

Un dubbio che aumenta quando poi andiamo a leggere l'intervista al Geninazza fattagli da Marcello Bonicoli nel 1962 dove gli vengono poste varie domande.

Ebbene, a pag. 90 di "Sparami al petto!", leggiamo nell'intervista ivi riportata che ad un certo punto al Geninazza, dopo che ha finito di rievocare gli ultimi momenti della fucilazione a Villa Belmonte e dice che ripartirono per Dongo, il giornalista gli chiede: «E allora siete arrivati a Dongo. Cosa è avvenuto dopo?». Risponde Geninazza: «A Dongo, là mi sono presentato a Pedro. Mi ha detto, il suo compito è finito se ne torni pure a casa. E io sono tornato a casa, sa, stanco morto... e mi sono messo a letto».

Incredibile ma vero: allora non è ritornato con Audisio a Villa Belmonte!

Probabilmente sarà stato lui a riprendere i cadaveri a Villa Belmonte, ma almeno un piccolo dubbio è giustificato.

 

 "Parlare? Fossi matto!".

Con tutti questi dubbi e perplessità che presentano le testimonianze di Geninazza, potremmo sbagliare, ma crediamo di capire il perché il suo memoriale, così inaffidabile, sia rimasto inedito.

Anni addietro il giornalista Marcello Staglieno nel suo "L'Italia del colle", Boroli 2006, riferì sul Geninazza: «Incontrandolo con lo storico Gianfranco Bianchi il 2 febbraio 1975 ci disse (il Geninazza, n.d.r.) "Parlare? Fossi matto!"».

Se lo Staglieno racconta il vero si dovrebbe dedurre che anche "il memoriale privato", custodito dal Geninazza, in sostanza alquanto simile alle testimonianze rilasciate al Bandini e che oramai nel 1975 erano da tempo conosciute, sono una ulteriore mistificazione, perché tutto sommato questo autista avrebbe dovuto, più o meno, ripetere, o almeno confermare quello che aveva già detto ed era stato pubblicato. Cosa altro c'era da dire che non lo si voleva dire?

 

Le incongruenze di Geninazza sui momenti della fucilazione

Prima di affrontare questo argomento dobbiamo premettere una nostra interpretazione di quegli eventi; nostra, ma suffragata da molti indizi.

In pratica, a nostro avviso, per quanto riguarda quel pomeriggio del 28 aprile 1945 nella Tremezzina, le cose non sono andate come ce le ha raccontate la "vulgata".

La "vulgata" in tutte le sue "relazioni" e testimonianze, soprattutto per i momenti intorno alla fucilazione, è in buona parte una mistificazione:

Audisio non ha scelto sul momento, mentre arrivava a Bonzanigo, il luogo dell'"esecuzione": era già stato predisposto; non ci sono stati invii di guardia degli appena arrivati "giustizieri" e l'autista al cancello di Villa Belmonte: uno sulla strada verso Bonzanigo ed un altro in quella in basso verso Azzano, o comunque non nei modi e presupposti in cui sono stati raccontati questi particolari; non ce n'era alcun bisogno visto che, in quei momenti, come vedremo nel prossimo Capitolo 15, erano al "lavoro" diversi partigiani e tutto era stato programmato in quanto non doveva esserci una vera fucilazione di un Mussolini e la Petacci in vita, ma solo una messa in scena della stessa. E forse il Geninazza disse anche il vero su Audisio che rimase vicino a lui e non andò a prendere Mussolini: non era necessario era già morto.

Allo stato delle nostre conoscenze però resta impossibile ricostruire quanto esattamente accadde e stabilire se il Geninazza fu, con le buone o le cattive fatto complice della messa in scena, oppure venne ingannato e nel caso dove venne fatto mettere [8]. Siamo in presenza di una messa in scena a cui poi si è adattata, dando una certa logica agli avvenimenti così come dovevano essere riferiti, una versione: la "vulgata", aggiustandola, anzi ingarbugliandola negli anni, dire però oggi come esattamente si svolsero quei fatti non è possibile.

Di conseguenza i nostri dubbi e domande sui momenti della fucilazione non possono che essere formulati rispetto a quanto proprio la stessa "vulgata" aveva attestato, con il risultato però, essendo la "vulgata" un falso, che emergono contraddizioni nelle contraddizioni a dimostrazione di una palese irrealtà di quelle cronache.

I racconti di questo "autista" lasciano perplessi. Come già accennato, a nostro avviso e sempre come ipotesi, perché sono supposizioni che si possono intuire, ma non provare, almeno per quanto riguarda i momenti della fucilazione il Geninazza vide e non vide, fu suggestionato e impaurito e forse finì per credere realmente a quanto gli si diceva sul posto. Con gli anni ci ricamò su un bel racconto, dovendo anche sostenere di essere stato presente e a un passo dagli spari.

Rimane inesplicabile lo "Sparami al petto!", udito dal Geninazza, di un Mussolini che neppure aveva il cappotto da aprirsi: che forse durante le lunghe trattative che portarono il Geninazza alla fine del 1955 a testimoniare, questo autista venne "consigliato" e imbeccato?

Del resto aveva dimostrato un decennale timore e quindi si può presumere che prima di esporsi ebbe a consigliarsi con chi di dovere.

Con chi, è difficile dirlo, ma è anche difficile credere che dopo anni di paura, riserbo e prudenza, questo autista, riappare e si mette a stravolgere la "vulgata" magari perché invogliato da quanto l'Europeo avrebbe potuto remunerare le sue testimonianze.

Comunque sia, nel dopoguerra, di chi poteva aver paura il Geninazza? Essenzialmente di due "vendette": da parte di esaltati neofascisti che potevano ritenerlo complice nella esecuzione di Mussolini o da parte dei comunisti che lo avevano obbligato al silenzio su quanto era realmente accaduto quel 28 aprile.

E' una nostra impressione, ma nei racconti del Geninazza c'è qualcosa d'"altro".

Ci diceva un esperto ricercatore storico che spesso certe testimonianze risultano inattendibili perché chi le ha raccontate, vuoi per mitomania, vuoi per interesse ad arricchire o indirizzare i fatti in un certo modo, può avere aggiunto o cambiato alcuni particolari ed in seguito poi, non si può più tornare indietro e si pasticcia tutto [9].

 

Il racconto di Geninazza da Dongo a Giulino di Mezzegra

Leggiamo adesso i racconti di Geninazza per i momenti della fucilazione. Furono, riferiti a Franco Bandini che li pubblicò sull'Europeo del 4 marzo 1956 e poi li riportò anche nel suo: Le ultime 95 ore di Mussolini, Sugar, 1959.

Vennero inoltre appuntati nel memoriale privato che il Geninazza prese a scrivere nell'estate del 1957, e furono anche riferiti al giornalista Marcello Bonicoli nell'intervista del 1962.

I diversi resoconti sono abbastanza coerenti tra loro.

«Mi trovavo sulla piazza di Dongo, il pomeriggio del 28 aprile, ad attendere disposizioni dal comando della 52a Brigata Garibaldi, dalla quale ero stato requisito con una vettura 1100 targata Roma e di colore nero, guida a destra.

Mi si avvicinarono verso le 15 Michele Moretti, Guido Lampredi e Valerio: salirono sulla macchina e si partì verso il basso lago. Valerio che era al mio fianco dimostrò una grande premura e mi raccomandò caldamente di evitare ogni incidente perché aveva assoluta necessità di arrivare.... Guido non aperse mai bocca durante tutto il tempo che fummo insieme. Anche Moretti è muto e distaccato: Valerio pareva veramente l'anima del gruppo.

Il viaggio fu regolare. Da Azzano, salendo verso Bonzanigo, notai che il colonnello Valerio guardava alla strada, probabilmente alla ricerca di un luogo che si prestasse a quanto aveva in mente.

Diceva, "qui no,... ecco qui potrebbe andar bene..". Mi ricordo che notò una specie di spiazzo prima di arrivare al cancello famoso e parve rimanerne soddisfatto».

Arrivammo al portico che immette nella piazza del lavatoio di Bonzanigo.

Scendemmo tutti, io rimasi vicino alla vettura mentre Moretti e Guido si avviavano verso l'interno del paese [10].

Valerio si fermò sulla piazza e sparò un colpo col mitra, forse per provarlo [11]

 …Debbo chiarire che Valerio non si recò a casa De Maria, ma rimase tutto il tempo sulla piazza ad attendere. Sono ben certo che non si mosse dalla piazzetta: lo vidi che camminava avanti e indietro in attesa che gli altri ritornassero»

In quel momento mi si avvicinò una signora che passeggiava nella via e mi chiese che cosa stava succedendo: io risposi che non sapevo nulla. Poi risalii in macchina e la girai nella piazza del Lavatoio ritornando con la macchina voltata verso Giulino presso a poco nel punto da cui ero partito, per girarla.

Dopo pochi minuti ritornarono i due con Claretta e Mussolini. I due prigionieri erano a braccetto: Mussolini era molto pallido, abbattuto e stanco, camminava a stento. Lei sembrava un poco più sicura di sè.

La comitiva era scortata dai soli Guido, Moretti e Valerio [12]: non vidi nè Lino, nè Sandrino, che ebbi modo di conoscere fugacemente dopo la scena della fucilazione. Claretta indossava, a quanto mi pare, una pelliccia di visone (la stessa che sforacchiata, la sera stessa, venne consegnata da Valerio al partigiano Lino).

Mi ricordo che in quella occasione Valerio commentò: «Se non la vuoi tu, se non sai cosa fartene, dalla a tua sorella». [13]

In quello stesso momento Valerio estrasse anche dal suo portafoglio mi pare un biglietto da cinquecento lire che tese a costui che non voleva accettarle, poi le prese dicendo, alle insistenze di Valerio, "Le darò al mio comando". Oltre alla pelliccia Claretta aveva sul braccio destro un cappotto color cammello che poi mi rimase in macchina.

La signora aveva anche due borsette: una di cuoio grasso, chiaro di piccolo formato, l'altra era una grossa borsa a secchiello. Queste due borse rimasero in macchina quando Claretta ne scese per essere fucilata: la sera a Dongo, Guido le prese in consegna. [14]

Mussolini e Claretta salirono sulla macchina, entrambi dietro, con grande probabilità Claretta a destra e Mussolini a sinistra nel senso del moto. Valerio si sistemò sul parafango destro della vettura tenendo sotto la mira del mitra Mussolini. [15] Scendemmo adagio con la vettura verso Giulino. Dopo pochi istanti Valerio disse a Mussolini, facendogli un gesto con la mano: «Stai giù basso perché sennò ti vedono».

Vedevo la coppia nello specchietto della vettura: erano avvinghiati strettamente, le teste quasi si toccavano, Mussolini era pallido e la signora sembrava tranquilla. Non mi parve che nutrissero alcun particolare timore. [16]

Superata la curva grande e discesi per altri cinquanta metri circa, ci fermammo davanti al cancello di villa Belmonte. Valerio mi fece cenno con la mano di arrestarmi ed io mi fermai. Scese d'un balzo dal parafango, girò davanti al radiatore ed aperse con decisione le due portiere della vettura, dal lato della strada.

Scesi anche io e rimasi in piedi tra macchina e muro all'altezza del cofano. Non mi disse assolutamente nulla, nè allora nè poi, e molto spesso mi sono chiesto per quale ragione si curò così poco di me. Il colonnello disse seccamente: "Scendete" e i due uscirono dalla vettura.

Credo che in quel momento Claretta abbia capito cosa stava per succedere: dette due o tre rapide occhiate in giro e sembrò agitarsi notevolmente. Il 'comandante', io lo chiamavo così, li spinse quasi fisicamente con la persona contro il muretto. Siccome mi ero fermato con la vettura quasi al centro della strada che è molto stretta [17], tra il suo fianco sinistro ed il muretto non correvano certo più di due metri. Si può dire che Mussolini e Claretta scesi dalla vettura non fecero che un solo passo verso sinistra.

Stando con il mitra spianato Valerio pronunciò alcune parole, molto rapidamente. Si riferivano ad un 'ordine' e ad una sentenza di morte, ma io ne sentii poco e comunque da quel momento la scena si svolse con estrema rapidità. Mussolini rimase immobile, quasi assente, ma Claretta sviluppò subito una grande energia.

Si aggrappò a Mussolini e cominciò ad agitarsi freneticamente: un poco guardando Valerio ed un poco aggrappandosi disperatamente a Mussolini.

Disse: "No, non potete. Non potete fare questo!".

Aveva una espressione estremamente tesa e la voce alterata, come presa dal terrore, gli occhi stravolti. La voce suonava stridula. Con voce secca, nervosa, Valerio urlò: "levati di lì, sennò ammazzo anche te" .

Ma Claretta continuava a rimanere attaccata a Mussolini come se neppure avesse sentito. A questo punto Valerio schiacciò il grilletto dell'arma.

Ma udii distintamente il 'click' del percussore che batteva a vuoto. Mussolini ebbe come un soprassalto, forse determinato dalla tensione nervosa. La situazione era cambiata con rapidità fulminea e Claretta la fece precipitare afferrando con le due mani la canna del mitra che Valeria impugnava. Si udì di nuovo la sua voce: "Non è possibile non potete ammazzarci così...".

Valerio si riprese subito: sudava abbondantemente.

Estrasse la pistola e la puntò verso i due. Contemporaneamente ad altissima voce chiamò Michele Moretti.

Gridò testualmente: "Portami la tua arma". Moretti scese di corsa [18] sino a dove ci trovavamo. Tese il suo MAS a Valerio e quest'ultimo lo afferrò, rimettendosi in tasca la pistola [19]. Fu in quel preciso momento che Mussolini in un estremo recupero d'energia, intuendo che oramai la fine non avrebbe tardato, si portò le mani al petto, allargando i baveri del cappotto grigioverde e dicendo: "Sparami al petto".

La sua voce era chiara: la udii perfettamente. Furono le sue ultime parole.

In quel preciso istante Claretta si trovava al fianco sinistro di Mussolini, parzialmente ricoprendolo. Valerio sparò la raffica mortale, che mi parve unica, senza intervalli.

La prima ad essere colpita fu Claretta, che cadde di schianto.

Fece proprio un colpo sordo quando toccò terra ai piedi di Mussolini. Non emise un gemito, non un grido.

Mi dette quasi l'impressione che fosse caduta a terra prima ancora che le pallottole l'avessero raggiunta. Mussolini cadde quasi immediatamente, ma la sua caduta fu frenata dal muro sul quale scivolò lentamente sino a terra.

Era in una posizione leggermente contorta e la spalla destra faceva forza contro il muretto: arrivò a terra accasciandosi sulle gambe che gli si piegarono sotto, quasi si accovacciasse. Nella caduta il berrettino a bustina cambiò posizione dando al suo volto reclinato un'espressione quasi grottesca.

Mussolini rantolava ancora, per parecchi secondi, cavernosamente. Mi fece una grande impressione. Pareva che respirasse forte. Valerio estrasse nuovamente la pistola, si avvicinò al gruppo dei due caduti, cercò la posizione del cuore e sparò un colpo di grazia.

Il corpo di Mussolini ebbe un ultimo sussulto e non si mosse più. Il Colonnello osservò per un momento la scena e disse: <Guarda, quell'espressione gli si addice>.... Moretti che mi era vicino, riavutosi dalla sorpresa mi guardò e mi fece una mossa con la bocca come per dire 'accidenti', E fu tutto.

Ero molto scosso e anche Valerio mi parve emozionato. Levò di tasca un pacchetto di sigarette 'Africa Orientale' e benchè non fumassi mai gliene chiesi una.

Lui me la tese. Pochi istanti dopo si presentò al cancello piccolo sulla sinistra della strada una donna del paese, e Valerio le fece cenno di allontanarsi immediatamente dicendo "Via, via". Raccogliemmo i bossoli: io cinque, due dei quali ho poi regalato e Valerio pure ne raccolse qualcuno. Non credo che Moretti ne abbia raccolti [20].

A questo punto sono arrivati vari partigiani, tra cui Sandrino e Lino. Valerio cominciò subito a gridare perché sgombrassero. Dopo poco dette ordine a Sandrino e Lino di rimanere di guardia...

La sera riportai Valerio al luogo della fucilazione di ritorno da Dongo. Dette ordine ai presenti di caricare i cadaveri sulla mia macchina, ciò fu fatto subito. Mi ricordo che Claretta era ricoperta dal suo pastrano di cammello che evidentemente subito dopo la fucilazione qualcuno le aveva buttato addosso. Era fradicio di pioggia.

Rimase a me, ma ora non possiedo più [21]».

Questo il racconto del Geninazza per i momenti della fucilazione: una cronaca che, sinceramente, resta complicato ricostruire nella vera realtà dei fatti perché, a nostro avviso, dovendosi in quei momenti recitare la messa in scena di una finta fucilazione, da far comunque credere a tutti come tale, non sappiamo cosa esattamente accadde e tanto meno sappiamo cosa veramente al Geninazza gli venne fatto vedere.

Resta il fatto che lo scenario che ci viene mostrato, oltre che dalle Relazioni di Audisio & Co., dal Geninazza stesso e da varie testimonianze, non è attendibile e non collima, segno che venne almanaccato un pò sul momento e un pò a posteriori.

Noi possiamo solo far finta di credere che la "scena del crimine" descritta dalla "vulgata" sia veritiera, e quindi confrontare le versioni di Audisio & Co., con quelle del Geninazza e presupporre, con un minimo di logica interna a quei racconti, seppur irreali, fin dove il Geninazza può essere attendibile.

In ogni caso, sia che il racconto del Geninazza fosse veritiero o sia che fosse da lui inventato, in tutto o in parte, è ovvio che per poter riferire tutti i particolari della fucilazione, compreso il click dell'inceppamento del mitra di Audisio, doveva per forza trovarsi, o dire di trovarsi, a due passi dallo sparatore: una ubicazione questa che ci sembra alquanto singolare per un "estraneo" qual'era il Geninazza.

Consideriamo anche che nelle testimonianze è normale che si possano avere ricordi di particolari eventi, specialmente se repentini o cruenti, dove si può essere imprecisi e si commettono a volte errori rispetto a quello che è realmente accaduto. In questo caso però le incongruenze sono davvero troppe e tutte di una certa importanza.

Le seguenti osservazioni sono in relazione alle documentazioni

che, nel loro insieme, costituiscono la "vulgata"

 

Una semplice osservazione: possibile che partendo da Dongo, per andare a Bonzanigo in auto, accanto al Geninazza, si siederebbe Audisio, mentre Moretti che pur c'è già stato la notte precedente ed è conosciuto in zona, si mette dietro? Moretti si lamenterà che persero tempo a trovare casa De Maria perché lui, la notte precedente, era arrivato a Bonzanigo, ma dalla parte opposta (dalla via Albana): ma perché non rifecero la via Albana?

Come mai il Geninazza, che pur ritenne di aver visto Mussolini e la Petacci che gli salirono in macchina, non notò che Mussolini avrebbe dovuto avere al piede uno stivale che non potendosi richiudere non consentiva di camminare normalmente?

Come mai che il Geninazza attesta nei suoi racconti che Mussolini e la Petacci arrivarono alla sua macchina scortati dai soli Lampredi e Moretti (nella sua testimonianza degli anni '50 disse espressamente: "La comitiva era scortata dai soli Guido, Moretti e Valerio", ma bisogna considerare che Audisio se, come disse il Geninazza, era rimasto vicino a lui, può essersi aggiunto solo all'ultimo) quando invece, come si evince soprattutto dalla precisa e attendibile testimonianza di Roberto Remund [22], i partigiani di scorta erano sicuramente più di due?

Strano che il Geninazza ricordi che nel breve tratto in auto, scendendo per via XXIV Maggio, Audisio si mise sul predellino dell'auto, mentre Moretti e Lampredi seguirono a piedi e quindi nessuno si mise vicino a lui, quando invece Audisio, Moretti e il Lampredi stesso asserirono che Lampredi si sedette vicino all'autista e Moretti specificò che lui seguì a piadi l'auto.

Come è possibile che Geninazza fermi la macchina davanti al cancello di Villa Belmonte: Audisio, Mussolini e la Petacci scendono, lui resta lì, in quel piccolo fazzoletto di strada, tanto che i condannati fecero appena un metro e mezzo fino al rientro del cancello, e quindi Audisio procedette alla fucilazione? Moretti, infatti, con più logica, dichiarò che l'auto fu fatta fermare prima del cancello della villa.

Come è possibile che arrivati al cancello di Villa Belmonte, Lampredi e Moretti, secondo Geninazza, si fermarono un pò più su all'incrocio delle due stradine laterali, mentre lui, un autista sconosciuto, resta vicino ad Audisio, quando poi tutti gli altri dichiareranno che l'autista venne mandato di guardia ad uno dei lati della strada? Se c'era qualcuno che doveva rimanere vicino ad Audisio non poteva che essere un suo "compagno" e non l'autista sconosciuto. Ed inoltre Moretti ha sempre sostenuto che mentre l'autista venne mandato all'altezza della curva superiore, lui si mise di guardia in basso nella strada, verso Azzano. Quindi quando Audisio lo chiamò lui non dovette scendere, ma semmai risalire.

Come mai il Geninazza non accenna ai vari partigiani presenti per strada e attorno al cancello di Villa Belmonte al momento della fucilazione (ci sono innumerevoli testimonianze del posto che attestano che tutto attorno a via XXIV maggio si fecero vari piccoli posti di blocco che non facevano passare nessuno), ma indica come presenti solo lui, Audisio, Moretti e Lampredi? Quale scena del crimine ha vissuto questo autista?

Come è possibile che Mussolini si aprirebbe il bavero del cappotto, all'altezza dello stomaco e griderebbe per due volte "sparami al petto", quando il cadavere ai piedi del cancello di Villa Belmente non ha pastrani o cappotti indosso, ma solo un giaccone imperforato e quindi presumibilmente Mussolini è stato ucciso con indosso la sola maglietta bianca di salute [23]? Ed è credibile, conoscendo la personalità di Mussolini, che questi avrebbe esternato questa invocazione assurda, quasi ridicola?

Come si spiega che la fucilazione descritta, sia pure sommariamente, dal Geninazza, "una raffica unica" disse nella testimonianza e nel memoriale scrisse di "una raffica che Audisio fa partire e colpirebbe in pieno la Petacci e poi anche Mussolini colpito si accascerebbe" difficilmente può collimare con le probabili ricostruzioni balistiche dell'evento in base ai vari rilievi che è oggi possibile fare?

Audisio, Lampredi e Moretti, dicono che dopo il mitra Thompson anche la pistola estratta da Audisio si era inceppata, così come quella di Lampredi. Poi Moretti aveva portato il suo mitra Mas e Audisio aveva sparato a Mussolini. Moretti ha sempre sostenuto che poi Audisio gli chiese anche la sua pistola per il colpo di grazia. Come mai che ora invece Geninazza afferma che Audisio estrasse la sua pistola e sparò il colpo di grazia? [24].

E' credibile che Audisio appena terminata la fucilazione chiederebbe al Geninazza e al Moretti i nominativi, per una eventuale ricompensa? Va bene per lo sconosciuto Geninazza, ma il Moretti era il vice commissario politico comunista della 52a Brigata Garibaldi, faceva parte della missione ciellenista partita da Dongo, la richiesta di Audisio sembra assurda.

 

Maurizio Barozzi     

 

Note

 

[1] La lunga testimonianza rilasciata dal Geninazza a Franco Bandini per l'Europeo, è stata poi anche riportata nel libro di Bandini: Le ultime 95 ore di Mussolini, Sugar 1959. Sull'Europeo non vennero date le generalità del Geninazza, mentre nel successivo libro, il Bandini diede all'autista il suo nome.

 

[2] P. Bellini delle Stelle / U. Lazzaro: Dongo la fine di Mussolini Mondadori 1975, pag. 137

 

[3] La inaffidabile letteratura sulla morte di Mussolini è purtroppo piena di errori e inesattezze, spesso riprese da autori che se le sono tramandate.

Qualche testo quindi potrebbe riportare il Geninazza come uno dei due autisti di quella notte, ma è una notizia "raccattata", non di prima mano. Un esempio è nel libro di F. Giannantoni, Gianna e Neri vita e morte di due partigiani comunisti, Mursia 1992.

 

[4] Come visto F. Bandini ancora nel 1959 non conosceva i nomi dei due autisti di quel viaggio notturno. Dobbiamo quindi ritenere che quando il Geninazza nel corso di varie interviste ha raccontato la sua storia al Bandini che l'ha pubblicata su l'Europeo nel 1956 e poi l'ha riportata anche su "Le ultime 95 ore di Mussolini" del 1959, non era stato informato dall'autista di quel viaggio notturno. Anzi, si evince che il Geninazza non lo aveva neppure informato di precedenti compiti del 27 aprile, da autista con il Pier Bellini Pedro (riportati poi nel "memoriale"), tanto che il Bandini scrisse superficialmente (pag. 312 del suo libro) che il Geninazza era arrivato a Dongo la mattina del 28 per curiosare. Come mai che poi, nel 1957, l'autista aggiunge, nel suo "memoriale" quest'altre imprese?

 

[5] Equipaggi delle due auto: Auto con Mussolini: autista Dante Mastalli (aveva anche preso Mussolini a Germasino), Pier Bellini delle Stelle (Pedro), Tuissi (Gianna) e Cantoni (Sandrino). Auto con Clara Petacci: autista Edoardo Leoni, Canali (Neri) , Moretti (Pietro), e Frangi (Lino). A. Zanella: L'ora di Dongo, Rusconi 1993. Concordano anche, pur senza dare nome agli autisti: Bellini delle Stelle / U. Lazzaro: Dongo la fine di Mussolini. Mondadori 1975, pag. 164; U. Lazzaro: Dongo mezzo secolo di menzogne, Mondadori 1993, pag.74; e Michele Moretti in C. Falaschi: Gli ultimi giorni del fascismo, Editori Riuniti 1973, pag. 140, e poi ancora tramite G. Perretta: Dongo 28 Aprile La verità, Ed. Actac Como 1990, pag. 167.

 

[6] U. Lazzaro: Dongo mezzo secolo di menzogne, Mondadori 1993, pag. 121.

 

[7] G. Perretta: Dongo 28 Aprile La verità, Ed. Actac Como 1990, pag. 183.

 

[8] Il caso Geninazza. In quelle ore a Bonzanigo e Mezzegra ci furono in azione persone e accaddero episodi di cui non abbiamo sentore, ma non conoscenza, quindi tutta quella "scena del crimine" si svolse in modo diverso da come raccontato. Di conseguenza non è possibile ricostruire con esattezza quegli avvenimenti. Più o meno è probabile, viste alcune testimonianze, che il Geninazza venne fatto arrivare fino alla piazza con il Lavatoio, dove rimase in attesa e poi sembra che due presunti Mussolini e Petacci vennero lì condotti e fatti salire sulla sua auto. Cosa accadde poi? Non lo possiamo ricostruire perchè ci manca il quadro esatto e complessivo di quella situazione.

Noi non possiamo che partire dalla certezza, suffragata da prove oggettive, che quella fucilazione al cancello di villa Belmonte fu una messa in scena. Ma qui, per ora dobbiamo fermarci.

La testimonianza del Geninazza, invece. attesta la fucilazione e ne fornisce ampi particolari. Come dobbiamo considerarla? Il Geninazza sembra non presentare le caratteristiche del mitomane: uomo timoroso e prudente, ha rilasciato i primi racconti solo dieci anni dopo i fatti ed anche in seguito, tranne l'intervista al Bonicoli del 1962, si chiuse in sè stesso rifiutandosi di rilasciare interviste.

La testimonianza e la figura del Geninazza, quindi, pongono vari interrogativi, tutti non scioglibili perchè non sappiamo esattamente chi c'era e cosa accadde in quei momenti.

Potremmo supporre che il Geninazza si è inventato tutto, ma come spiegare che ha sempre mantenuto, con una certa coerenza quei racconti fino alla sua morte (gennaio 2009)?

Come spiegare che conservò privatamente dei ritagli di giornale dove si riportavano un paio di servizi su la doppia fucilazione e lui vi scrisse sopra, a penna, "Che balle!", dovendosi quindi ritenere che egli era certo di aver visto Mussolini e la Petacci morire al cancello di Villa Belmonte?

Con queste premesse resta anche difficile supporre che il Geninazza con le buone e le cattive venne fatto complice della versione data con la "vulgata" che poi, magari, andando a ruota libera riferì a modo suo. Dovremmo allora considerare che il Geninazza venne fuorviato e suggestionato, ma in questo caso bisognerebbe spiegare, dove venne parcheggiato in quei momenti e come venne ingannato, ma soprattutto come potè non accorgersi che i due cadaveri che gli fecero vedere in terra al cancello di Villa Belmonte, non erano gli stessi due personaggi vivi che aveva condotto per quel breve tratto di strada. E da chi ha sentito lo "Sparami al petto!"? O dobbiamo pensare che se lo è letteralmente inventato?

Insomma, buona parte di quella vicenda, allo stato delle nostre conoscenze, non è spiegabile e tutto quello che si può in qualche modo ipotizzare è forse il fatto che al Geninazza non si fece vedere la fucilazione, ma venne parcheggiato nei pressi dove ebbe modo di vedere solo le fasi preparatorie e finali della stessa. Poi a fucilazione (finta) consumata e che lui, stando nei pressi, udì, venne fatto avvicinare e vide i cadaveri, gli diedero i bossoli, ecc. Nella paura, concitazione ed esaltazione di quei momenti forse egli finì veramente per credere di aver "visto" la fucilazione. Sono casi di semi allucinazione non rari. In seguito per esigenze varie, ci aggiunse i particolari che abbiamo letto nelle sue interviste. Ma ripetiamo è sempre e solo una ipotesi.

 

[9] A prescindere della sua veridicità, consideriamo questo "Sparami al petto!", dicesi gridato da Mussolini al momento di essere fucilato, e chiediamoci: a chi poteva giovare?

Ovviamente faceva piacere agli estimatori del Duce.

Ma, attenzione, incredibilmente poteva anche interessare i comunisti alle prese con una "vulgata" che faceva acqua da tutte le parti Ci spieghiamo: Lampredi, per esempio, lo inserì nella sua Relazione riservata al partito del 1972 (modificandola in: "Sparami al cuore!"). Relazione che era un espediente, una versione un pò più seria e credibile rispetto a quelle di Audisio, da utilizzare nel caso che la "vulgata" fosse naufragata del tutto. Si voleva far credere che se Lampredi, alto dirigente comunista, rendeva questo "omaggio" a Mussolini, anche tutto il resto era veritiero. Insomma, pagando il prezzo di un mezzo "omaggio" al Duce si avallava tutta la "vulgata".

In pratica è lo stesso gioco delle parti che venne fatto fare alla Francesca De Tomasi con il Ferruccio Lanfranchi (Corriere d'Informazione) nel 1945 e poi con il Franco Serra (Settimana Incom Illustrata) nel 1962: la donna fece confidenze che ridimensionavano in parte il ruolo di Audisio, rendendo così più credibile la "vulgata". Figurarsi se la De Tomassi, procugina di Audisio e ben conosciuta da Longo, poteva tradire il partito!

Ma ci furono anche altri giochi della parti, a cui il Pci non era estraneo: si sussurrò o comunque si tollerò, non ufficialmente si intende (altrimenti il Pci interveniva immediatamente a smentire), che nel comasco venisse indicato come uccisore di Mussolini il Moretti e invece all'interno del partito comunista il Lampredi, rendendo così più credibile la versione di un Audisio sparatore a cui non credeva nessuno.

 

[10] Arrivati a questo punto si faccia attenzione ad un particolare di questa intervista pubblicata da l'Europeo a marzo 1956: il Geninazza denomina correttamente Valerio, Moretti e Lampredi. Ma lui non poteva conoscere questi nomi, forse aveva udito il nome Valerio e a Dongo aveva visto il Moretti. Sono quindi possibili due alternative: o il Bandini, in sede di stesura dei testi delle testimonianze ha precisato lui i nominativi, oppure il Geninazza, come è probabile, dal 1945 al 1955 si era ben documentato. Ma non è questo il fatto.

L'assurdo, infatti, è che un anno dopo, nel suo memoriale (aveva iniziato a scriverlo il 27 agosto 1957, come ricorda il P. Pavesi) forse volendo apparire genuino, pasticcia alcuni nomi, per esempio il Moretti lo chiama anche "Negri", e il Lampredi lo chiama il "Signore". Eppure doveva avere davanti a sè anche la vecchia copia dell'Europeo con la sua intervista. Mah... Ancora sei anni dopo, nel 1962, nella intervista al Bonicoli il Lampredi lo chiama "Maifredi". Tutte discrasie sospette e che non convincono.

 

[11] La "vulgata" recita di questo sparo. Strano che il mitra Thompson di Audisio, come testimoniò Alberto Mario Cavallotti Albero, che lo aveva consegnato ad Audisio al mattino e che disse era nuovo da aviolancio e con ancora il grasso dentro, abbia sparato e poi, poco dopo, alla fucilazione si sia inceppato. Tecnicamente possibile, ma alquanto strano.

 

[12] Ovviamente Valerio, che per Geninazza era rimasto sulla piazzetta, dovrebbe essersi aggiunto alla "comitiva" al loro arrivo. Nel suo memoriale il Geninazza precisò: "Dopo di chè giunsero Pietro, il Signore (Lampredi, n.d.r.) con in mezzo Mussolini e la Petacci".

 

[13] Non sappiamo se questo particolare della offerta della pelliccia della Petacci al Lino sia veritiero o meno, ma di certo quella pelliccia, sia pure forata nello schienale, ebbe poi a sparire. A questo proposito si deve far notare come vestiario e oggetti della Petacci, oltretutto criminosamente uccisa, vennero arbitrariamente prelevati. Così come il cappotto di cammello che rimase al Geninazza, scarpette e foulard che sembra finirono alla sorella del Caserotti, ed anche altri risultarono poi in possesso di alcuni oggetti della donna, ecc., tutti reperti e ricordi che dovevano essere consegnati allo Stato per poi restituirli ai legittimi eredi.

 

[14] Secondo le relazioni di Audisio & Co. questi, in stanza, mise alla donna una gran fretta, facendola addirittura uscire senza le mutandine che non trovava, ora invece, addirittura, Audisio non è salito su casa e Claretta è uscita portandosi dietro mezzo guardaroba!

 

[15] Nel suo memoriale il Geninazza scrisse che Pietro e Guido: "camminavano davanti alla macchina" ed inoltre: ""Valerio prese posto sul parafango destro, aveva il mitra in mano, Pietro e il Signore (Lampredi, n.d.r.) camminavano davanti alla macchina", e la stessa cosa la precisò nel 1962 al giornalista Bonicoli. Michele Moretti invece specificò che solo lui seguì la macchina a piedi.

 

[16] Incredibilmente e contraddittoriamente Franco Bandini, che pur aveva riportato nel 1956 queste testimonianze, anni dopo nel suo "Vita e morte segreta di Mussolini" Mondadori 1978, scrisse che questo autista non li aveva potuti osservare perché disse di non essersi voltato per paura ed inoltre le automobili del tempo non avevano lo specchietto retrovisore.

 

[17] Nel suo memoriale il Geninazza aggiunse: "Il Signore (Lampredi, n.d.r.) e Pietro erano fermi un pò più su, all'incrocio delle due stradine laterali alla carrozzabile".

 

[18] Moretti disse chiaramente che lui si trovava nella curva in basso verso Azzano, quindi non poteva scendere di corsa, ma semmai salire.

 

[19] Nell'intervista a Bonicoli del 1962 Geninazza precisò che al momento della fucilazione anche Lampredi arrivò sul posto, ritrovandosi quindi tutti e quattro lì.

 

[20] Al tempo il Geninazza mostrò al Bandini alcuni bossoli che aveva conservato. Nel suo memoriale il Geninazza aggiunse che a questo punto Audisio chiese i "connotati", li chiama così, a lui e Moretti, per una eventuale futura ricompensa. Lui diede le sue generalità e Moretti, scrive l'autista, diede il suo nome di battaglia.

 

[21] Qui il Geninazza disse una mezza bugia, perché il cappotto di cammello se lo portò a casa e servi poi alla moglie per il loro matrimonio nel 1946. Comunque la pelliccia risultò sforacchiata nello schienale, mentre il cappotto color cammello, come attesta qui il Geninazza, quello che poi lui dice gli rimase in macchina, era stato gettato sui corpi e si era anche bagnato.

 

[22] Il Remund mise per iscritto, nel 1973., che quando si affacciò dal palazzo con la mensa dove si trovava, vide in strada alcuni partigiani che scortavano un uomo con mantello al quale si aggrappava una donna. Mentre questi andavano verso il lavatoio, lui scese, chiamato da un partigiano che conosceva (anni dopo disse che si trattava di "Arturo", ovvero il Caserotti, detto anche comandante Roma), e anche altri tre o quattro sconosciuti. Anche una certa Eralda Bordoli, riferì di aver visto, alla piazzetta con il Lavatoio, due partigiani che gli intimarono di allontanarsi e poi arrivarono tre o quattro persone compresi i presunti Mussolini e Petacci. E così pure ne vide quattro, in mezzo i presunti Mussolini e la Petacci, una certa Carla Bordoli.

 

[23] Oggi è evidente a tutti che il modo tremebondo e vile in cui Audisio descrisse, per esigenze politiche, come morì Mussolini è un falso. Per altri versi lo "sparami al petto" potrebbe ritenersi più veritiero (a parte che Mussolini non indossava alcun pastrano). Ma gli storici non possono piegare i fatti ai loro sentimenti. Noi riteniamo, per vari motivi che qui omettiamo, che sia invece più veritiero il "Viva l'Italia!" gridato dal Duce in quel momento, come ebbe a confidare Michele Moretti a Giorgio Cavalleri nel 1990. Ad osservazione dell'amico giornalista, se quella esternazione gli avesse dato fastidio, il Moretti disse di no, perché era l'Italia di Mussolini non la sua (G. Cavalleri, Ombre sul Lago, Ed. Piemme 1995).

 

[24] Geninazza su l'Europeo del 1956: «Valerio estrasse nuovamente la pistola, si avvicinò al gruppo dei due caduti, cercò la posizione del cuore e sparò un colpo di grazia». Nel suo memoriale, invece, scrisse sinteticamente "Valerio lo finì con un colpo di pistola al cuore".
 

Maurizio Barozzi    

 

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