Italia - Repubblica - Socializzazione

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dal sito   http://www.archivioguerrapolitica.org/

 

Tre articoli di Vincenzo Vinciguerra

 

la NOTA di MAURIZIO BAROZZI

 

In un colpo solo, ripresi dall’ottimo Sito: http://www.archivioguerrapolitica.org/, il nostro Sito della FNCRSI pubblica tre articoli di Vincenzo Vinciguerra.


- "Risposta a Giacomo Pacini" : Un intervento di Vinciguerra ad un precedente intervento, fatto sulla Home page di Facebook di Archivio Guerra Politica, da Giacomo Pacini:
http://www.archivioguerrapolitica.org/?p4709

 

- "L'ultima fiaba": in cui l'autore distrugge il mito del cosiddetto "spontaneismo armato": http://www.archivioguerrapolitica.org/?p=4699

 

- "2 Agosto 2013": Un articolo sulla strage di Bologna: http://www.archivioguerrapolitica.org/?p=4674

 

Più avanti pubblicheremo anche altri due recenti articoli di Vinciguerra.

 

Si tratta di 3 contributi all’accertamento di quella verità che troppi hanno rimosso ed esorcizzato. Ma noi no. Noi da fascisti vogliamo sapere chi si nascondeva dietro la falsa camicia nera, i simboli e le parole d’ordine di un certo ambiente, perché costoro sono i responsabili del travisamento del fascismo, della veicolazione nell’immaginario collettivo di un modello di "neofascismo", ridicola e criminale caricatura di tutto quello che è stato il fascismo soprattutto quello Repubblicano, in RSI, momento epocale di rottura con lo stesso ventennio.

Da ultimo, ma non ultimo, vogliamo sapere , e una Magistratura legata al Sistema non ce lo ha mai detto, chi sono gli autori e imandanti di orribili attentati stragisti che hanno mutilato o ucciso altri italiani e i cui autori, solo per questo , dovrebber essere passibili di pena di morte.

Rispetto alla tesi che Vinciguerra da tempo porta avanti, condividiamo il fatto che i cosiddetti "neofascisti" in realtà erano tutti informatori o a servizio completo delle Intelligenze nostrane e occidentali. Altro che fascisti!

Condividiamo anche la sua analisi nel fatto che sigle di gruppi e organizzazioni politiche apparse e scomparse durante la strategia della tensione, vennero in massima parte create dai Servizi, militari, Stato maggiore e civili, Viminale. E concordiamo anche sul fatto che capi e capetti erano collusi con questi Servii.

Non concordiamo invece sulla generalizzazione che, almeno ci sembra, Vinciguerra fa anche per i militanti di questi gruppi che accomuna tutti in un mazzo da buttare.

A nostro avviso invece molti militanti erano in buona fede, ignari delle trame che c’erano dietro i gruppi che frequentavano. Specialmente quando si tratta di giovani, se non giovanissimi: possono a volte aver sbagliato, ma non sono assibilabili a tutti gli altri infami. Del resto chi ha fatto politica, sa che si possono commettere "cazzate", errori, frequentazioni inopportune. è a questo porta il gioco della politica, una attività sporca.

 

Maurizio Barozzi

 

 

RISPOSTA A GIACOMO PACINI

 

Opera, 3 luglio 2013

 

Il lucido intervento di Giacomo Pacini sulla pagina Facebook del sito "Archivio guerra politica" (come commento alla pubblicazione dell'articolo "I burattinai", ndr.) evidenzia la sua onestà intellettuale e merita, per le osservazioni fatte, una dettagliata risposta.

Ha ragione Pacini, e lo ringrazio per l'esplicito riconoscimento, nell'affermare la mia non collaborazione con la giustizia, messa in evidenza nella motivazione della Corte di assise di Venezia, presieduta dal dr. Renato Gavagnin, che spiega la logica della mia azione politica anche -e non solo- sul terreno giudiziario.

La conferma a quanto scritto in quella motivazione di sentenza è venuta nel corso degli anni perché ho detto quello che ho ritenuto necessario, quando e se l'ho ritenuto opportuno, rifiutandomi di deporre in più di un'occasione, con decisioni motivate e non smentibili, difendendo per motivi umani, in modo aperto, gli imputati del processo per l'omicidio del giudice Vittorio Occorsio (a Firenze, in Corte di assise di appello), evitando a Stefano Delle Chiaie una condanna a 25 anni di reclusione, richiesta dal pubblico ministero Giovanni Salvi, con una deposizione tanto mendace quanto efficace nel corso del processo per il tentato omicidio di Bernard Leighton e della moglie Anita.

Perché mentire per difendere, è per me lecito sul piano processuale (non su quello storico) così come tacere per proteggere gli inconsapevoli e gli ingannati.

E se nessuno ha mai potuto condizionare i miei comportamenti processuali è perché non ho mai stretto accordi, patti, fatto compromessi o trattative con i rappresentanti della magistratura italiana come ho dichiarato nell'aula della Corte di assise di Brescia nel mese di settembre del 2009.

Non smentito, perché non smentibile.

La verità è una sola, quella che proviene dai fatti e non scaturisce da sentimenti di odio politico o personale che portano ad esprimere opinioni che non fanno "onore" agli amici ai quali fa riferimento Pacini.

Non ho mai voluto "regolare i conti" con i "vecchi camerati", perché non ho mai inteso trascorrere la mia vita nei mandamenti penali italiani, come provano i quasi 34 anni passati, per un sentimento disprezzabile come il rancore.

Stefano Delle Chiaie (e non solo), che deve a me la sua libertà fisica, lo può testimoniare. Non lo farà, ma gli atti processuali per l'omicidio Leighton (e non solo) lo provano senza ombre di dubbio alcuno.

A mio avviso, per passare ad altro, esiste un errore di fondo, nel quale tutti incorriamo, che è quello di continuare ad utilizzare il termine "neofascismo" riferendoci al mondo dell'estrema destra italiana.

Sappiamo che il Movimento sociale italiano è stato costituito, il 26 dicembre 1946, con i doppiogiochisti della Repubblica sociale italiana (meno alcuni che puntualmente se ne andranno dal partito nel giro di pochi anni) dal Vaticano, la Democrazia cristiana, i servizi segreti americani e la Confindustria.

Sappiamo che questo partito ha mutuato perfino il nome, il simbolo e alcune strutture organizzative interne (Raggruppamento giovanile, Volontari nazionali) dal Movimento sociale francese, fondato a Parigi nell'ottobre 1935 e sciolto dal governo socialista nel mese di giugno del 1936.

Sappiamo, in definitiva, che la costituzione del Movimento sociale italiano rappresentava lo strumento necessario per sottrarre centinaia di migliaia di reduci della RSI ai partiti di sinistra, socialista e comunista, nei quali sarebbero confluiti in odio alla democrazia borghese ed al capitalismo.

L'inganno iniziale è stato via via perfezionato nel corso degli anni, sostituendo all'ideologia fascista il pensiero di Julius Evola che fascista non è mai stato.

L'estrema destra ha, di conseguenza, finito per rappresentare la conservazione più radicale, per la quale era naturale schierarsi dalla parte dello Stato, della legge e dell'ordine, del cattolicesimo più intransigente nella battaglia contro il comunismo ateo.

Nessun gruppo di estrema destra si è sottratto a questa logica perché i gregari degli anni Sessanta erano gli allievi di Giorgio Almirante, Arturo Michelini, Pino Romualdi e Julius Evola che il fascismo, sul piano ideologico, lo avevano fatto dimenticare e, sul piano storico, si erano riallacciati ai "congiurati" del 25 luglio 1943, gli stessi che ritenevano il fascismo una "fazione" da sacrificare per salvare la Nazione.

Non è stato un caso che i dirigenti e i militanti di "Avanguardia nazionale", nel processo a loro carico nel 1976, affideranno la loro difesa ad Alberto De Marsico, ex ministro di Grazia e Giustizia durante il regime fascista e condannato a morte dal Tribunale speciale di Verona il 10 gennaio 1944 per aver votato a favore dell'ordine del giorno presentato da Dino Grandi nella notte fra il 24 e il 25 luglio 1943.

Non deve destare meraviglia che Delle Chiaie ed i suoi si siano fatti difendere, benché ancora oggi qualcuno di loro si proclami fascista, da un "traditore" del fascismo e di Benito Mussolini.

Rientra, viceversa, nella logica di un mondo che non sapeva più cosa fosse il fascismo, come ideologia, e che disconosceva perfino la sua storia.

È il partito padre, il Movimento sociale italiano, che porta tutti gli altri gruppi che ad esso resteranno sempre legati, al servizio dei servizi, ovvero dello Stato sano contrapposto al regime corrotto e corruttore.

Certo, un fascista non si sarebbe mai posto al servizio dello Stato antifascista, ma un conservatore ed evoliano lo avrebbe fatto. E lo hanno fatto.

Ha ragione Pacini, in diverse migliaia si sono posti volontariamente al servizio delle strutture segrete e clandestine dello Stato e dei suoi corpi di polizia, come evoliani però, non come fascisti.

Ritengo essenziale per la comprensione della storia italiana, introdurre nel dibattito i termini di "conservatori" ed "evoliani" al posto di "neofascisti" perché facilita la comprensione degli eventi.

In quanto all'autonomia dei servizi segreti, questa può essere concessa sul piano tattico, mai su quello strategico.

La "guerra a bassa intensità" non è stata pianificata dai servizi segreti ma dai responsabili politici e militari dai quali sono sempre gerarchicamente dipesi.

Fa parte, purtroppo, della forma mentis degli italiani, da sempre, salvare chi comanda attribuendo ogni colpa a chi obbedisce.

Gli errori di Benito Mussolini (tanti e gravi) sono sempre ricaduti sui gerarchi che, nel migliore dei casi, non hanno saputo interpretare le sue direttive.

La pianificazione della strategia delle destabilizzazione per stabilizzare è, pacificamente, attribuita ai direttori dei servizi segreti militari e civili quando, viceversa, sarebbe giusto chiamare in causa i capi di Stato maggiore della Difesa e dell'Esercito, i presidenti del Consiglio ed i sottosegretari alla presidenza del Consiglio con delega per i servizi, i ministri degli Interni e della Difesa.

Non è il generale Vito Miceli che decide, in maniera autonoma, di passare dal comando del SIOS-Esercito a quello del SID nel mese di ottobre del 1970.

Non sono Pino Rauti, Guido Giannettini ed Edgardo Beltrametti ad usare il generale Giuseppe Aloja, ma è quest'ultimo a servirsi di loro.

Non sono i militari a decidere che il generale Arnaldo Ferrara occupi l'incarico di capo di Stato maggiore dell'Arma dei carabinieri dal 1° novembre 1967 al 26 luglio 1977, ma i capi politici e militari.

Quando al più alto livello politico si decide di cedere alla richiesta tedesca di liberare Herbert Kappler, il generale Arnaldo Ferrara, di religione israelita, venne destituito 15 giorni prima dell'operazione e promosso vice-comandante dell'Arma.

Dopo la strage di Brescia, il ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani destituì, senza nemmeno salvargli la faccia, il prefetto Umberto Federico D'Amato e creò l'Ispettorato anti-terrorismo.

Come a dire che non mancano gli esempi per provare che il bastone del comando è sempre stato nelle mani dei detentori del potere politico e militare, ma in quello dei subalterni.

La strategia dei conservatori e degli evoliani dell'estrema destra italiana non prevedeva l'infiltrazione nei "corpi separati" dello Stato o la loro strumentalizzazione per giungere al potere, bensì il porsi al servizio dello Stato e delle forze nazionali ed internazionali anticomuniste per ottenere da queste, reali detentrici del potere, la "riabilitazione" ed il reinserimento nei governi italiani, come "premio" per il contributo offerto nella battaglia contro il comunismo.

Questa strategia l'ha delineata Pino Romualdi nel mese di luglio del 1946, ed è stata attuata per l'intero arco del dopoguerra senza modifiche sostanziali, se non altro perché ai vertici dell'estrema destra Romualdi c'è rimasto fino alla sua morte nel 1988.

Ordine nuovo aveva sì una sua ideologia, che era quella del "maestro" di Pino Rauti, Julius Evola il quale spesso e volentieri farneticava di ora "X", di formazione di "squadre d'azione" inserite nelle strutture militari, di apparati anti-sciopero e così via.

Se guardiamo ad Evola come al "maestro", dobbiamo convenire che Pino Rauti, nel diventare un funzionario del servizio segreto militare italiano, è stato un suo degno allievo.

Julius Evola, però, non è mai stato fascista. E Pino Rauti nemmeno.

Se, poi, ci volgiamo verso la figura di Junio Valerio Borghese, mito e capo degli "avanguardisti", vediamo che non è mai stato fascista, che l'8 settembre 1943 ha stretto un patto con i tedeschi senza aderire alla RSI se non in data successiva e malvolentieri; che durante la guerra civile ha condotto un triplo gioco ponendosi come obiettivo per il dopoguerra la battaglia contro il comunismo.

È Borghese a scrivere la prefazione al libro di Julius Evola, "Gli uomini e le rovine", edito nei primi anni Cinquanta per riaffermare la preminenza dello Stato, di "qualunque Stato", su ogni altra cosa.

È Junio Valerio Borghese che chiedere, alla metà degli anni Cinquanta, la riabilitazione per rientrare nei ranghi della Marina Militare, dimostrando la sua volontà di servire lo Stato, questo Stato.

Del resto, l'obiettivo di Junio Valerio Borghese era quello di fare un "colpo d'ordine" (come scriverà il SID in una sua nota), non un colpo di Stato, in totale accordo con Giulio Andreotti, Edgardo Sogno, ecc.

Anche in questo caso dov'è il "fascismo" o il "neofascismo"? Abbiamo in Borghese la figura di un militare di elevatissimo e meritato prestigio per il suo comportamento in guerra fino all'8 settembre 1943, monarchico per tradizione famigliare, clericale, amante dell'ordine e rispettoso delle leggi.

"Ordine nuovo" è stata una "struttura" del servizio segreto militare, chiamata a compiere operazioni segrete e clandestine come in Alto Adige, destinata alla selezione di persone che, già dai dati forniti nella scheda di adesione, potevano essere convinte ad "arruolarsi" per assolvere compiti di varia natura, non solo quella di "confidenti".

Ordine nuovo è stata un'organizzazione politica in senso lato, come tutte le altre da "Avanguardia nazionale" al "Fronte nazionale" e, via via, fino a "Terza posizione", tutte provviste di una struttura ufficiale ed un'altra clandestina e paramilitare.

La copertura ancora oggi offerta a queste organizzazioni ed ai loro dirigenti, si giustifica con il fatto che i servizi segreti coprono sé stessi ed il loro operato, proteggendo il potere politico e militare come rientra nei loro compiti istituzionali.

Ha ragione Anna Bellini: il termine "fascista" ha fatto comodo al potere politico democristiano (sono stati Aldo Moro e Paolo Emilio Taviani a denunciare per primi il "pericolo fascista" che non esisteva), che in questo modo ha dato spessore alla favola degli "opposti estremismi", ed ha coperto la durezza e la ferocia dello scontro all'interno del mondo anticomunista, non solo nazionale, negli anni Settanta.

La pregiudiziale anti-atlantica nel mondo della destra conservatrice ed evoliana viene a cadere già nei primi anni Cinquanta, quando viene a mancare anche quella anti-monarchica, così che negli anni Sessanta i tempi sono maturi per portare i giovani ed i giovanissimi militanti a schierarsi, senza riserve, con i traditori francesi dell'OAS ed i loro protettori americani ed atlantici.

Ci sono diversi punti, o meglio varie sfumature sulle quali il giudizio mio e di Pacini non coincide, ma mi auguro che il dibattito possa andare avanti perché il confronto con uno studioso serio, preparato, onesto come lui può servire da esempio e da sprone a quanti preferiscono, ancora oggi, reiterare i luoghi comuni propagandati dalla stampa e dalla televisione del regime.

Se resteranno delle differenze nei giudizi, mio e di Giacomo Pacini, lo si dovrà anche al fatto che in questa destra conservatrice ed evoliana ho militato per anni con la certezza (puntualmente smentita dai fatti in epoca successiva) di avere come interlocutori e camerati fascisti senza fascismo.

In realtà devo convenire oggi che sulla Linea Gotica c'ero solo io.

Ed io solo ci sono rimasto.

 

Vincenzo Vinciguerra

 

 

 

L'ULTIMA FIABA

 

Opera, 4 luglio 2013

 

Un poco per volta, lentamente, crollano i miti e le leggende che un'interessata propaganda di regime ha creato sul "neofascismo" postbellico.

La suggestiva fiaba nera di un fascismo risorto nel mese di dicembre del 1946, mentre il Paese era ancora occupato dalle truppe angloamericane, sotto il simbolo del Movimento sociale italiano è ormai screditata, rimpiazzata senza clamorose sconfessioni da quella che vuole in Giorgio Almirante il fondatore della "destra moderna".

Cancellato il Movimento sociale italiano come partito "neofascista", si è ormai convenuto che anche Ordine nuovo non è mai stato un'organizzazione "neonazista" ma una struttura alle dipendenze del servizio segreto militare, sotto la guida del giornalista del quotidiano democristiano "Il Tempo" di Roma, Pino Rauti.

Sbiadisce anche la figura del "principe nero", quell'Junio Valerio Borghese i cui rapporti con James Jesus Angleton, uno dei massimi dirigenti della Cia, sono ormai accettati come provati, esattamente come i suoi rapporti con Giulio Andreotti ed il suo entourage, affondando nel fangoso mare della storia post-bellica anche i suoi seguaci, in modo specifico quell' "Avanguardia nazionale", guidata da Stefano Delle Chiaie, detto "il caccola", che si distingue da Ordine nuovo per avere intrattenuto rapporti più solidi con il ministero degli Interni che non con quello della Difesa.

Resiste ancora la leggenda dello "spontaneismo armato", sull'esistenza del quale storici di indubbia serietà come Stefania Limiti nutrono fondate perplessità intravedendo sullo sfondo del presunto "spontaneismo neofascista" l'ombra dei servizi segreti e dei loro uomini.

È una leggenda sgangherata, quella dello "spontaneismo armato", che avrebbe visto come indiscussi protagonisti personaggi che, in altri momenti, avrebbero ottenuto solo l'interesse delle Squadre mobili delle Questure e non quello degli uffici politici.

Ladroni, rapinatori, spacciatori di droga, psicopatici e psicolabili che hanno costruito a partire dal 1977 e fino all'agosto del 1980, la truppa al servizio dei "vecchi fascisti golpisti e stragisti", come i fratelli Fabio e Alfredo De Felice, Paolo Signorelli, Massimiliano Fachini, solo per citarne alcuni.

Dopo lo sbandamento seguito al fallimento di una strategia perseguita fin dai primi anni Settanta, quella della soluzione di forza affidata per l'esecuzione ai "corpi sani" dello Stato sotto la guida dei "camerati" alla Giulio Andreotti e alla Amintore Fanfani, i militanti della destra evoliana si riorganizzano nel 1977 per riproporre quanto avevano già fatto alla fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta.

Il ricambio generazionale porta alla ribalta nomi e volti nuovi solo sul piano della manovalanza, perché le redini del comando rimangono saldamente in mano ai "neofascisti di servizio segreto" che riprendono le vecchie tattiche confidando nelle solite protezioni.

"Terza posizione" è una riedizione di "Avanguardia nazionale", che mantiene tramite Giuseppe Dimitri uno stretto collegamento con Adriano Tilgher.

Il "Movimento rivoluzionario popolare" ripropone le tesi e l'azione dell'Organizzazione Lotta di popolo (OLP), costituita a Roma il 1° maggio 1969 e, come "Terza posizione", si presenta come antagonista del capitalismo e del marxismo, salvo compiere nel maggio del 1979, a Roma, attentati stragisti rivendicati con un linguaggio di sinistra per suscitare lo sdegno dei cittadini contro "i rossi" nell'imminenza delle elezioni politiche anticipate del mese di giugno successivo.

I discepoli di Julius Evola e di Giorgio Almirante rifanno nel 1978-1980 quanto avevano fatto nel 1968-1970, presentandosi come "terza forza", proponendo alleanze ai gruppi della sinistra rivoluzionaria, meglio se armata, infiltrandosi in essa per le immancabili ragioni di acquisizione di informazioni da passare ai soliti servizi segreti e di provocazione.

Lo "spontaneismo armato" di stampo evoliano e conservatore è solo un'invenzione a posteriori della propaganda e del regime.

Perfino la sigla "NAR", nuclei armati rivoluzionari, riporta alla denominazione della cellula di base dei "FAR" (Fasci di azione rivoluzionaria) degli anni dell'immediato dopoguerra che, a dispetto del nome, sotto la guida di Pino Romualdi, erano finanziati dai servizi segreti americani e collaboravano con gli ebrei impegnati ad ottenere il ritiro delle truppe britanniche dalla Palestina.

Anche "Tabula rasa", altro organo "spontaneista", in realtà riprende la denominazione di una rivista fondata negli anni Cinquanta dai fratelli Fabio ed Alfredo De Felice con la collaborazione di Giano Accame.

Nulla di nuovo sotto il cielo tempestoso degli ultimi anni Settanta.

Il compito della destra evoliana e missina è quello di sempre: accrescere il disordine per favorire il ristabilimento dell'ordine, a spese del Partito comunista e dei gruppi di sinistra.

Sul finire degli anni Sessanta erano riusciti ad infiltrarsi fra i marxisti-leninisti e gli anarchici, a dialogare con il Movimento studentesco presentandosi perfino in piazza, come a Valle Giulia, a tirare pietre e molotov contro le forze di polizia, contribuendo in modo decisivo alla strategia del "destabilizzare per stabilizzare".

Sul finire degli anni Settanta, quasi un decennio più tardi, ripropongono la stessa tattica a scapito dei gruppi di sinistra, con le medesime tesi, le immancabili bombe stragiste, le coperture degli apparati di Stato, l'infiltrazione a sinistra.

Su quest'ultima, se mai qualcuno nutrisse dubbi, esiste la prova certa, fornita da una lettera sequestrata dalla polizia a casa di Mario Corsi, a Roma, e citata in un verbale della Questura di Cremona del 22 settembre del 1979.

Nella lettera indirizzata da tale Mario Spotti, di Cremona, a Mario Corsi, si legge:

«Caro camerata, con la ripresa delle lezioni universitarie potrò compiere ciò che tu e Guido cercate di fare a Roma. Ora ho trovato un appoggio, una ragazza di sinistra che ovviamente non è al corrente della mia vera fede politica …».

Non ci sono dubbi su quanto stavano facendo i presunti "spontaneisti" perché tali sono considerazioni di Mario Corsi e "Guido" che è stato identificato come Guido Zappavigna, militante di "Terza posizione".

Mario Corsi è annoverato come esponente dei NAR ed è stato sospettato di aver preso parte all'omicidio di Fausto e Iaio, avvenuto a Milano il 18 marzo 1978.

Quanti altri elementi di prova giacciono dimenticati nei fascicoli processuali e negli archivi delle Questure, perché il mito dello "spontaneismo armato" non venga messo in discussione?

Chi, però, si ritiene uno storico intellettualmente onesto il suo giudizio lo può già esprimere basandosi sugli elementi di pubblico dominio.

Prendiamo, ad esempio, il caso della rivista "Quex", presentata da Monica Zornetta, intrepida giornalista del "Corriere della sera", come la promotrice dello "spontaneismo armato".

Ci scrivevano un agente ausiliario di PS, Mario Tuti, imputato per la strage dell'Italicus; un lanciatore di bombe a mano della federazione del MSI di Milano, subalterno di Franco Maria Servello e Ignazio La Russa, Maurizio Murelli; uno psicopatico di Ordine nuovo, Pierluigi Concutelli; il noto ed innominabile "pantegana" che da Carlo Fumagalli percepiva ottanta mila lire a settimana per fare il "fascista" di "Ordine nero", sigla inventata dalla divisione Affari riservati del ministero degli Interni.

Già i nomi e le "imprese" di cui costoro erano stati protagonisti rendono dubbio il loro improvviso "spontaneismo", ma se andiamo a vedere che la loro guida politica era Franco Freda, il dubbio che si tratti di una truffa diviene certezza.

Sempre che Monica Zornetta non si senta di affermare che l' "agente Z" del SID è stato il capo dello "spontaneismo armato", il suo ideologo.

Se, poi, aggiungiamo che la guida spirituale del gruppo era Angelo Izzo, collaboratore di "Quex", a favore del quale il "pantegana" si era scagliato con veemenza le «vestali di quart'ordine della morale» che osavano condannarlo per lo stupro e l'omicidio del Circeo, la favola dello "spontaneismo armato" svanisce del tutto, per essere sostituita dalla squallida lettura di una rivista porno-politica.

L'interpretazione del pensiero di Julius Evola fatta dal "pantegana" e dai suoi colleghi, esclude a priori che questi potessero mai concepire un'azione "spontanea" contro lo Stato ed il regime come il loro passato ed il loro presente confermano puntualmente.

Non a caso vedevano in Franco Freda il "capo" ed in Angelo Izzo "l'esempio" dello "spirito libero" ai quali si ispiravano.

Franco Freda ed Angelo Izzo sono stati i due poli in mezzo ai quali si sono mossi gli "spontaneisti" quanto mai presunti.

Valerio Fioravanti programmava l'omicidio del giudice istruttore Giancarlo Stiz che, a Treviso, nel 1970-1971, aveva incastrato Franco Freda per la strage di piazza Fontana e, poi, nel carcere di Ascoli Piceno si accordava con Angelo Izzo e Sergio Calore per "pentirsi", sponsorizzati dal gruppo editoriale "L'espresso - Repubblica", salvo tirarsi indietro all'ultimo minuto, confermando però ai due il suo appoggio e la sua solidarietà.

E proprio contro l'agente "Z" del SID si rivolgerà l'infiltrato a sinistra Egidio Giuliani che, nel mese di maggio del 1982, nel cortile dell'aria del carcere di Novara gli taglierà la faccia, compiendo un gesto che nel linguaggio della malavita qualificherà Franco Freda come un infame.

Non è l'azione di uno "spontaneista" contro un "vecchio fascista golpista e stragista", ma la vendetta di un disilluso che, ormai in carcere, aveva compreso l'inganno nel quale era caduto.

Un gesto tutto sommato vile, quello compiuto da Egidio Giuliani che, come tutti gli altri, non ha mai avuto il coraggio e la dignità di attaccare lo Stato rivelando la trappola nella quale ritiene, con gli altri, di essere caduto.

Perché, quando si combatte una battaglia politica ed ideale, si ha il dovere di svelare i delitti del potere che non subisce passivamente l'attacco ma reagisce con le armi vili che gli sono proprie.

Il silenzio, spacciato come atto di coraggio, è l'ultimo inganno.

Perché, in realtà, l'omertà per favorire lo Stato ed il regime politico attuale fa rima con viltà.

 

Vincenzo Vinciguerra  

 

 

 

2 AGOSTO 2013

 

Opera, 6 luglio 2013

 

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha già pronto il messaggio da inviare all'associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980.

Non è difficile immaginare cosa scriverà perché sono 33 anni che i vertici politici ed istituzionali ribadiscono che, come per tutte le altre stragi, lo Stato non lascerà nulla di intentato per giungere alla verità, ecc. ecc.

In questo caso però una verità parziale esiste ed è circoscritta alla responsabilità degli autori materiali del massacro -Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini- due dei quali hanno battuto ogni record, "espiando" la pena in soli 18 anni (Francesca Mambro) e in 20 anni (Valerio Fioravanti) mentre il terzo, Luigi Ciavardini, si gode la semi-libertà.

Non è, però, una verità assoluta perché da anni la procura della Repubblica tiene aperto un fascicolo a carico di fantomatici ed ignoti "terroristi" palestinesi che avrebbero compiuto la strage per motivazioni ignote, per errore, per un incidente tecnico e così via.

Insomma, anche per l'eccidio del 2 agosto 1980 la verità c'è ma non deve essere affermata con assoluta certezza per la volontà di politici, magistrati, giornalisti, pseudo storici, preti.

Mentre Valerio Fioravanti e Francesca Mambro si rosolano al sole estivo, in qualche amena spiaggia, immemori dei 95 morti che pesano sulle loro spalle, compiaciuti per la loro potenza politica e mediatica, il dibattito sulle responsabilità dei mandanti di qual massacro e sulle sue reali motivazioni prosegue.

Non è stata una strage "fascista", perché quella del 2 agosto 1980 non ha un significato politico proprio, non è stata fatta per destabilizzare per dare ai governanti di turno la possibilità di stabilizzare, non si è proposta di creare crisi di governo né di colpire il Partito comunista elettoralmente avviato, dalle elezioni amministrative del maggio 1978, sulla via del tramonto.

Non ha senso neanche la tentata strage di Milano del 30 luglio 1980, sulla quale le indagini sono state frettolosamente chiuse dalla magistratura milanese.

Due stragi senza senso, quelle dell'estate 1980, e la sola certezza che i loro autori vanno individuati nel verminaio, umano e politico, dell'estrema destra romana e veneta.

Con buona pace dell'attuale ministro degli esteri, Emma Bonino, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro hanno confessato la loro responsabilità nel momento in cui hanno chiesto perdono ai familiari delle vittime del massacro in modo da ottenere dal Tribunale di sorveglianza di Roma la liberazione condizionale.

L'impegno profuso dai partiti politici di quasi tutti i partiti, di giornalisti, di magistrati, di preti per convincere gli italiani che i due "ragazzini" dei NAR erano vittime di un errore giudiziario o, addirittura, di una persecuzione giudiziaria delle "toghe rosse" di Bologna è naufragato miseramente quando i due hanno implorato il perdono dei familiari delle vittime ed hanno ottenuto il beneficio della condizionale perché sicuramente ravveduti.

Dinanzi alla confessione di fatto dei due massacratori, non ci sono stati "mea culpa" da parte di Emma Bonino e soci, mentre la procura della Repubblica di Bologna non ha chiuso il fascicolo a carico degli ignoti e quanto mai presunti autori della strage.

Per quanti conoscono i meccanismi della comunicazione in Italia, appare evidente che a favore di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini c'è stata una mobilitazione ordinata dall'alto, da quel potere politico che si è sempre fatto puntualmente beffa dell'ansia di giustizia degli italiani e solo si è mosso per proteggere colpevoli, da Pietro Valpreda ad Adriano Sofri fino, appunto, al trio Fioravanti-Mambro-Ciavardini.

Se alla mobilitazione politico-mediatica che ha coinvolto perfino alcuni magistrati poi felicemente approdati ai vertici dell'amministrazione penitenziaria italiana, aggiungiamo il sostegno dato dal servizio segreto militare ai massacratori rei confessi, possiamo affermare che la strage di Bologna nasconde un segreto ignobile dello Stato e dei suoi alleati atlantici.

Come quelle che l'hanno preceduta, la strage di Bologna del 2 agosto 1980 è stata, quindi, una strage di Stato, non ideologicamente attribuibile ai "fascisti".

Non è una tesi nuova, perché in molti hanno sempre considerato il massacro di Bologna come un "diversivo" per distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica dalla strage di Ustica.

È il servizio segreto militare che, nell'immediatezza dell'abbattimento del DC-9 Itavia ad Ustica, lancia il depistaggio insinuando che questo è caduto per l'esplosione di una bomba a bordo, manco a dirlo portata da un "fascista".

Ustica come strage "fascista", magari involontaria; la mancata strage di Milano del 30 luglio 1980, naturalmente di marca "fascista", quella di Bologna ovviamente "fascista".

Negli intendimenti dei manovratori occulti l'estate del 1980 doveva passare alla storia della Repubblica come quella delle stragi "fasciste".

Non è andata così.

Oggi è una verità condivisa da tutti che il Dc-9 Itavia è stato abbattuto, ad Ustica, da un aereo militare, forse francese (le verità di Francesco Cossiga vanno prese con cautela) nel corso di una operazione segretissima di cui erano perfettamente a conoscenza i vertici politici (Francesco Cossiga) e militari italiani.

Il massacro del 2 agosto 1980 ha visto la confessione di due degli esecutori materiali che rimangono "fascisti" e "spontaneisti" solo per certa stampa.

Mentre, non valutata a sufficienza, è emersa la certezza che gli "ordinovisti" veneti con i quali operavano Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, altri non erano che confidenti ed agenti operativi dei servizi segreti italiano, americano, israeliano, francese, ecc.

Sullo sfondo della strage di Bologna del 2 agosto 1980, non si intravede, di conseguenza, l'ombra dell'ideologia "fascista" bensì quella, concreta, di un mondo di spioni nazionali ed internazionali impegnati a proteggere i segreti dello Stato e della NATO.

Si è anche ricordato, in precedenza, che la strage di Bologna era già stata tentata, con le medesime modalità, a Verona nel 1970, fallendo solo per un difetto tecnico.

È qui il caso di ricordare agli interessati immemori la mancata strage al Cantagallo, nel mese di giugno del 1973, dov'era stato contestato Giorgio Almirante.

Non solo i mandanti erano i soliti ordinovisti veneti, ma quel tentativo di strage dimostra come sia estremamente facile compiere un massacro indiscriminato quando l'obiettivo è un luogo pubblico, nel quale si può penetrare senza dare nell'occhio e senza alcuna difficoltà, come un autogrill e una stazione ferroviaria.

Per compierlo, è sufficiente un ordigno, una borsa e la volontà di farlo, decidendo ed organizzando il tutto in poche ore.

Per giungere alla verità, a volte, non è necessario partire dall'inizio perché si può pervenire ad essa cominciando dalla fine, ad esempio dalle ragioni reali che hanno indotto il servizio segreto militare a prodigarsi, anche con l'intervento di giornalisti sul proprio libro paga, ad aiutare Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, insieme a politici, magistrati e preti.

Esclusa l'ansa di giustizia a favore di due innocenti che, poi, si sono apertamente dichiarati colpevoli, il prodigarsi a loro favore di personaggi della "politica, della cultura e dell'impegno sociale", come scrive il Tribunale di sorveglianza di Roma, risponde ad una logica che deve essere spiegata e chiarita.

Come la decisione del governo di Enrico Letta, degno nipote di Gianni Letta, di non impugnare la sentenza della Corte di appello di Palermo che dispone il risarcimento finanziario ai familiari delle vittime della strage di Ustica appare come un espediente per tacitare le coscienze e le polemiche, così le incredibili protezioni offerte ai massacratori del 2 agosto 1980, a Bologna, sembrano rispondere ad una logica di necessità da parte dello Stato e del potere politico, quella di garantirsi il loro silenzio.

E non è per mero caso che, mentre l'inchiesta su Ustica si avviava al riconoscimento che il Dc-9 Itavia era stato abbattuto da un missile; mentre il processo per la strage di Bologna si avviava alla sua conclusione con l'affermazione della responsabilità penale di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, il sostituto procuratore veneziano Felice Casson, con la collaborazione di qualche magistrato della procura della Repubblica (in modo particolare Grazia Pradella), e dei suoi amici politici della sinistra italiana, tentava in tutti i modi, anche ai margini della legalità se non proprio apertamente illeciti, di bloccare l'inchiesta condotta dal giudice istruttore di Milano Guido Salvini sugli ordinovisti veneti per la stragi di piazza Fontana, di inquinare quella diretta dal giudice istruttore di Milano Antonio Lombardi, a carico degli stessi personaggi per la strage di via Fatebenefratelli per la strage del 17 maggio 1973, consapevole di poter condizionare in questo modo l'inchiesta di Brescia sulla strage del 28 maggio 1974 che vedeva come indiziati sempre i soliti ordinovisti veneti.

Non è una mera coincidenza che alle spalle dei massacratori di Bologna, presentati come due tenerissimi "ragazzini" dei NAR, ci sia sempre stato il gruppo editoriale "L'espresso-Repubblica", lo stesso che da sempre si è prodigato per creare l'immagine pubblica di Felice Casson presentato come l'intemerato giudice scopritore di tutto.

Chi si è tanto preoccupato della collaborazione con i giudici milanesi, Salvini e Lombardi, di Carlo Digilio, il "tecnico delle stragi", lo stesso che Valerio Fioravanti e Francesca Mambro avevano dichiarato che aveva incontrato a Padova, nel mattino del 2 agosto 1980, il loro socio Gilberto Cavallini?

Fino a che punto si sarebbe spinta la collaborazione della spia Carlo Digilio con i magistrati milanesi?

La paura è stata tanta se tanto hanno fatto per screditarlo, e infine per riuscire, a causa di un ictus cerebrale, a farlo dichiarare "demente-rincretinito", salvando in tal modo i suoi ex complici, assolti, però, solo per insufficienza di prove.

Cos'era andato a fare Carlo Digilio a Padova, quel mattino del 2 agosto 1980?

Non lo potrà dire Carlo Digilio, morto nel 2005. Non lo diranno i due massacratori che, esaltati ed osannati, sono stati graziati di fatto e rimessi in libertà per fine pena; tantomeno lo dirà Gilberto Cavallini o qualche ordinovista veneto.

La verità non si può trovare nelle sole aule dei Tribunali, mentre i motivi per i quali la verità non può ancora essere affermata sono ancora sotto gli occhi di tutti:

Felice Casson è oggi senatore del Partito democratico; Grazia Pradella continua ad opporsi alla richiesta di riaprire l'inchiesta sulla strage di piazza Fontana; il presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma, Giovanni Tamburino, è direttore generale dell'associazione penitenziaria; Giorgio Santacroce che tanto credeva nella tesi della bomba che aveva fatto precipitare il Dc-9 Itavia ad Ustica è primo presidente della Corte di Cassazione.

Il 2 agosto 2013, a Bologna, sarebbe giusto ricordarsi anche di questi fatti e chiederne conto ai politici che si presenteranno in piazza per esprimere la loro solidarietà.

Per ottenere la verità, è necessario rimuovere gli ostacoli che si frappongono.

Non si è mai fatto.

Si può iniziare a farlo dal 2 agosto 2013, dalla stazione ferroviaria di Bologna.

 

Vincenzo Vinciguerra

     

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