Italia - Repubblica - Socializzazione

 

 La giornata del ricordo (10 febbraio):
Venezia Giulia,

passato e presente di una terra rimossa dalle pagine della nostra storia 

   
Clemente ....      

   

Le origini romane, la Repubblica di Venezia e l'Austria
All'inizio del 900 un consistente numero di Italiani (quasi mezzo milione) abitava al di là dei confini orientali dell'Italia di allora. Erano culturalmente e linguisticamente italiane non solo le città di Trieste e Gorizia, ma anche tutta l'Istria (con la città di Pola) e la città di Fiume nel golfo del Quarnaro. In Dalmazia gli Italiani erano in maggioranza a Zara e in alcune isole della costa e rappresentavano ancora una consistente minoranza in città come Spalato, Sebenico, Cattaro, Ragusa, Traù etc..
Le origini di tale presenza rimontano al II secolo a.C., quando i Romani avevano conquistato quei territori. In particolare, l'Istria fino al fiume Arsa, nel 27 a.C., venne a far parte della "Decima Regio - Venetia et Histria". La Dalmazia invece divenne provincia senatoriale.
Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, a partire dal 600 d.C., cominciarono ad affluire popolazioni slave. In seguito, Venezia conquistò una parte dell'Istria e si estese a partire dalle isole dell'alto Adriatico anche in direzione della Dalmazia. Dopo la fine della Repubblica di Venezia (1797) e il breve periodo napoleonico, l'Istria e la Dalmazia furono assegnate all'Austria. Trieste divenne allora il più importante porto dell'Impero. Ma l'Austria favorì in questi territori, per i quali nel 1863 il dialettologo Isaia Ascoli aveva coniato la denominazione di Venezia Giulia, l'elemento slavo a scapito di quello italiano, alimentando ostilità di tipo etnico fra le due popolazioni. In questo modo l'Austria tentava di arginare l'affermarsi nelle popolazioni italiane del sentimento nazionale e, quindi, della volontà di unirsi al Regno d'Italia, che era nato nel 1861. In particolare, in Dalmazia la popolazione italiana subì un tracollo demografico. Se all'inizio dell'800 essa rappresentava quasi il 30% della popolazione complessiva, verso la fine del secolo era scesa al di sotto del 10%, divenendo minoranza in tutte le città dalmate, ad eccezione di Zara.
All'inizio del '900, ad ogni modo, la Venezia Giulia era ancora linguisticamente e culturalmente italiana. Si parlavano in maggioranza dialetti veneti e istro-veneti, nonché l'istrioto (un'evoluzione indigena del latino) ed era anche presente una parlata istro-rumena. Il marchio della romanità era presente nell'anfiteatro di Pola e quello dell'arte italiana (veneta, in particolare) e del Rinascimento era ben visibile (ed è visibile tutt'ora) nell'architettura delle chiese, dei palazzi, delle strade etc. La cultura letteraria, storica, filosofica in lingua italiana aveva raggiunto nel corso dei secoli livelli altissimi dando i natali a grandi personaggi come, ad esempio il linguista Niccolò Tommaseo (di Sebenico in Dalmazia), il compositore Giuseppe Tartini, solo per citarne alcuni. L'italiano era parlato anche dalla popolazione slava, che era a maggioranza bilingue.

La prima guerra mondiale, l'annessione all'Italia della Venezia Giulia
Alla vigilia dell'entrata in guerra nel primo conflitto mondiale, con il Patto di Londra fu promessa all'Italia, in caso di vittoria, il Trentino, Trieste, l'Istria e poco più della metà della Dalmazia.
Il trattato di Versailles del 1919, cui seguirono quelli di Rapallo e di Roma, consegnò invece quasi tutta la Dalmazia al Regno Serbo-croato-sloveno, con l'eccezione di Zara, che divenne italiana. Non furono riconosciute le rivendicazioni italiane di Fiume. In quell'occasione emerse l'inesperienza della diplomazia italiana che chiedeva due cose in conflitto fra di loro e cioè: il legittimo riconoscimento del precedente patto di Londra (stipulato con Inglesi, Francesi e Russi, ma non con gli Stati Uniti di Wilson), che concedeva all'Italia anche territori (specie in Dalmazia) a grande maggioranza slava, e l'annessione di Fiume in nome della sua italianità e dell'autodeterminazione dei popoli. Ebbero buon gioco inoltre le manovre delle grandi potenze (Francia e Inghilterra) che non erano più disposte a concedere agli Italiani ingrandimenti territoriali, ora che nella penisola balcanica non c'era più l'Impero austriaco e l'Italia poteva assumere un ruolo di prim'ordine sullo scacchiere mondiale.
Nacque da tutto questo un forte risentimento che alimentò il cosiddetto mito della «vittoria mutilata». Nello stesso tempo ci fu un primo consistente esodo dalle città e isole della Dalmazia verso l'Italia (stimato in alcune decine di miglia di Italiani). Nel 1920, ad ogni modo, la Venezia Giulia entrò a far parte del Regno d'Italia (Fiume nel 1924) e venne suddivisa amministrativamente in 4 province: Gorizia, Trieste, Pola e Fiume, che fu annessa nel 1924. In quel momento la popolazione slava costituiva circa il 40 % della sua popolazione ed era concentrata soprattutto nelle aree rurali dell'entroterra. La popolazione italiana si concentrava invece nelle città (Trieste, Gorizia, Fiume, Pola, Parenzo, Rovigno d'Istria, Capodistria etc.), dove costituiva la maggioranza. Contestualmente, in Dalmazia si aveva un non trascurabile, sia pur abbastanza poco quantificabile, esodo di italiani da Sebenico, Spalato, Ragusa e altre zone della Dalmazia verso Zara e l'Italia.
Con il fascismo al potere (1922) si iniziò una politica di assimilazione ed italianizzazione forzata degli Slavi della Venezia Giulia con la chiusura di scuole slovene e croate. C'è da dire, ad ogni modo, che altrettanto fecero i Croati per i circa 10000 Italiani rimasti nella Dalmazia passata al Regno di Yugoslavia (tale denominazione fu assunta nel 1929 dal giovane regno) e che non fu attuata nessuna politica sistematica di terrore o di pulizia etnica (come invece farà Tito).

La seconda guerra mondiale, le foibe e l'esilio
Con la seconda guerra mondiale l'Italia occupò la Dalmazia (1941) formandovi un Governatorato costituito da tre provincie (Zara, Spalato e Cattaro) che rispecchiavano quanto stabilito dal Patto di Londra del 1915. Ma dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, quando l'esercito italiano era praticamente senza ordini, irruppero i partigiani slavi del maresciallo Tito (spesso coadiuvati dai comunisti italiani) e, col pretesto di liberare la Venezia Giulia dal fascismo, iniziarono ad attuare un piano sistematico e terroristico di slavizzazione. Tleino subì una battuta d'arreso con l'occupazione tedesca della Venezia Giulia (ottobre 1943 - inizio 1945). Zara, nel frattempo, veniva bombardata per ben 54 volte dagli alleati con un carico complessivo di ordigni sganciati di 29,5 tonnellate. Non fu bombardato il solo porto, ma anche le fabbriche e le case. Si contarono alcune miglia di morti in una città che allora ne contava poco più di 20000. Iniziò, subito dopo l'occupazione da parte dell'esercito jugoslavo un'ulteriore massacro di Italiani a Zara. Nei imi me del 1945 i titini (i partigiani jugoslavi di Tito) ripresero le posizioni e si spinsero fino ad occupare l'intera Venezia Giulia (Trieste compresa). In questo contesto, molti italiani furono barbaramente trucidati e massacrati in quelle voragini che si aprono nel territorio carsico dell'Istria interna, che sono conosciute col nome di foibe. Vi furono gettati in migliaia. «I cadaveri recuperati misero in agghiacciante evidenza la crudeltà e la ferocia degli infoibatori: corpi denudati e martoriati, mani legate col filo di ferro fino a straziare le carni, colpi alla nuca, orecchie staccate, testicoli in bocca, donne incinte sventrate, sevizie orrende di ogni genere» (fonte Archivio della categoria popoli e politiche). Un documento allegato a un dossier presentato dalla delegazione italiana alla conferenza di Parigi nel 1947 ricostruisce quanto avvenne nella foiba di Basovizza, che è anche l'unica foiba in territorio attualmente italiano: «Lassù arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l'orlo dell'abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate». Si trattò di una vera pulizia etnica, pagata col sangue da 20 mila italiani morti tra foibe e campi di concentramento.
La decisione di dividere l'Istria dall'Italia (trattati di pace del 1947), lo stato di terrore creatosi nella popolazione per le sparizioni di congiunti e per le notizie che iniziavano a circolare sulle stragi determinarono, quindi, l'esodo di oltre 300 mila italiani. Trieste fu eretta in Territorio libero e suddivisa in due zone: la zona A sotto il controllo degli alleati (la città di Trieste) e la zona B sotto il controllo jugoslavo. Trieste tornò all'Italia solo nel 1954. Il trattato di Osimo firmato il 10 novembre 1975 sancì che la "zona A" e la "zona B" divenissero parti integranti rispettivamente dell'Italia e della Jugoslavia.

La situazione attuale
Fino agli anni novanta i comunisti italiani affermavano o che gli infoibamenti furono effettuati dai nazisti o machiavellicamente che esse erano «una giusta reazione alle ingiustizie fasciste perpetrate a danno degli slavi durante il ventennio». I libri di storia inoltre omettevano (ed in parte ancora omettono) completamente questa dolorosa pagina della nostra storia. Una sorta di rimozione è caduta, infatti, su questi eventi, fino a quando se ne è ricominciato a parlare e nel 2004 è stata istituita la giornata del ricordo, che si celebra il 10 febbraio. Resta tutt'ora irrisolta la questione dei beni (case, terreni e altre proprietà), che i profughi lasciarono quando precipitosamente dovettero cercare la via dell'esilio. Inoltre la persecuzione nei confronti degli Italiani rimasti è continuata anche dopo il 1947 al punto che per molti anni è stato difficile proclamarsi ufficialmente Italiani in quelle zone. Basti dire che molte scuole furono soppresse e l'uso della lingua fu abolita negli esercizi pubblici. Nonostante questo, recenti censimenti in Istria e nel Quarnaro (Fiume) hanno riservato non poche sorprese, in quanto gli Italiani dichiaratisi tali sono oggi circa 30.000, ma quelli che parlano l'italiano sono molti di più. Mentre il regime comunista di Tito negava i diritti alle minoranze, Croazia e Slovenia riconosco oggi un moderato bilinguismo in alcune zone (Istria costiera) e il numero di italiani è in aumento rispetto al passato. Inoltre si ripropone il problema della restituzione agli esuli delle proprietà abbandonate da più di mezzo secolo, per le quali pure il Trattato di Osimo aveva previsto compensi e restituzioni.

Clemente ....