Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Volumen Safari

Alla ricerca della verità contro le falsificazioni storiche  

   
Giorgio Vitali    

 

Di recente, recatomi a trovare un libraio dell'usato da tempo dimenticato, ho potuto trovare alcuni libri ad ottimo prezzo. Fra questi, particolare importanza hanno rappresentato per me due testi di grande pregio.
Uno è il libro di Giorgio Vitali (omonimo ma NON consanguineo) intitolato "I Ponti di Firenze". Dell'altro scriverò in seguito.

Il libro del Vitali, noto scrittore di cose di guerra, specialmente della nostra guerra "a cavallo" nelle steppe russe, con pagine veramente molto significative dedicate all'eroismo dei nostri cavalleggeri (generalmente si tratta sempre dell'epica ritirata degli alpini…) ci istruisce con molta onestà intellettuale di quanto accaduto in Italia dal 1943 al 1944. Questa descrizione onesta e realistica, perché basata non solo sull'esperienza personale dell'autore, ma anche sulle relazioni di amici conoscenti e commilitoni, contrasta minuziosamente con la vulgata resistenziale che vorrebbe presentarci quanto avvenuto nel biennio 43-45 sottoforma di una partecipazione del popolo italiano a una presunta ribellione contro il fascismo. Al contrario, nulla di quanto è stato creato fino ad oggi per l'immaginario popolare è vero.
Riferendoci a quanto ci narra il Vitali, fiorentino, seguiamo per sommi capi la narrazione. L'otto settembre l'autore, che aveva combattuto in Russia con la cavalleria italiana, si trova a Milano. Alla notizia della resa proditoria patrocinata dal Savoia e dai generali felloni, l'esercito si sfascia. I cavalleggeri, consegnati in caserma dal colonnello comandante, sono catturati dai tedeschi e convogliati ai campi di concentramento in Germania. Cogliamo l'occasione per ricordare un aspetto che fanno passare sempre inosservato: il costo in vite umane del tradimento perpetrato dai felloni. L'autore, che in quel momento era fuori della caserma, si salva. Inizia una peregrinazione per l'Italia sotto falso nome e grazie all'attiva collaborazione di molte persone, preti compresi, cui lui si rivolge. E qui è d'uopo la prima, fondamentale, considerazione, che sarà una delle cause dello scontro civile italiano. La maniera con cui è avvenuto l'attacco tedesco, NECESSARIO dopo il voltafaccia italiano, che giustamente coinvolge tanti italiani, indipendentemente dal colore politico, nel tentativo di salvare i non molti militari in fuga, crea una collaborazione, o meglio una complicità collaborativa, del tutto naturale. Un conto è, infatti, la partecipazione alla guerra ed un conto è intervenire per salvare i nostri militari in pericolo. Lo stesso Vitali, che si era comportato con onore durante la non facile campagna di Russia, si trova di necessità a doversi difendere, e quindi contrastare, gli ex alleati e di conseguenza, anche se in sordina, anche se come attendista, i fascisti che sono richiamati alla lotta dalla neonata Repubblica Sociale Italiana. Nel caso particolare il Vitali, che proviene da una agiata famiglia ebraico-cattolica e di conseguenza di cultura ed ideologia liberale, non può assecondare i tedeschi, non ha alcuna simpatia per i fascisti repubblicani che, sentendosi isolati in un mondo in frantumi, si comportano in maniera tale da accentuare questo isolamento, ma cerca di vivere la propria esistenza nell'attesa della fine del conflitto che si presenta a portata di mano con la definitiva affermazione degli Alleati, specie dopo lo sbarco ad Anzio. Egli ci documenta in tal modo la vita trascorsa durante quel periodo d'attesa, svolto fra un incontro, una festa, un rapporto sentimentale, una ricerca di viveri, una relazione su avvenimenti luttuosi come bombardamenti alleati ed attentati dei comunisti. Importante in tal senso è la considerazione sull'atteggiamento della popolazione nei confronti degli attentati dei comunisti. Sappiamo trattarsi di un numero ristretto di killers, per lo più addestrati durante la guerra civile spagnola, coinvolti dal PCI con scopi molteplici, peraltro già documentati, ai quali i fascisti, o meglio le autorità militari territoriali rispondono in maniera convenzionale, non sapendo, di fronte a questi casi come comportarsi. Essendo l'osservatorio dell'autore piuttosto importante, perché la sua è una famiglia fiorentina e lui riesce, anche grazie da una situazione dei trasporti più agibile di quanto oggi non possa immaginarsi, a raggiungere la famiglia, possiamo conoscere l'origine della guerra di guerriglia. Infatti, in seguito all'assassinio di un ufficiale superiore, che non ci sembra sia stato eseguito a scopo terroristico, sono fucilati alcuni anarchici. Questi anarchici (ricordiamo la guerra dei comunisti contro gli anarchici), erano detenuti nella prigione di Firenze perché individuati nei campi di concentramento francesi, dove erano trattenuti dopo la fuga dalla Spagna repubblicana sconfitta. Dopo la sconfitta francese, essi furono consegnati all'Italia che li considerava -giustamente- nemici, avendo essi combattuto contro le nostre truppe durante quella sanguinosa guerra. Secondo la documentazione in nostro possesso, risulta che proprio con quella fucilazione di persone del tutto al di fuori dei fatti, inizia la guerra civile italiana, che tale NON è mai stata, essendosi svolta per lo più come attentati di terroristi legati al carro togliattiano, mentre altre formazioni antifasciste sopravvivevano in attesa dell'arrivo angloamericano che sembrava imminente.
Da quanto descrittoci dall'autore, la realtà è questa. Ma noi lo sapevamo, non solo per esperienza personale, ma anche per semplici ragionamenti di carattere realista. Da notare che il vero terrorismo di questi attentati sconvolgeva soprattutto la popolazione, che sapeva i tedeschi pronti ad una reazione implacabile. Tra parentesi, la persistente diffidenza degli italiani nei confronti dei comunisti, che sarà all'origine della vittoria democristiana del 18 aprile e, senza dubbio, anche quella di Berlusconi alla sua prima discesa in campo con motivazioni chiaramente anticomuniste, secondo Noi è dovuta proprio a questo comportamento, chiaramente percepito dagli italiani come "antinazionale".
Segue poi il resoconto sulla liberazione di Fanciullacci, detenuto in ospedale dalla Polizia che «non sospettava» chi costui fosse, (la qualcosa conferma tesi da Noi più volte espresse), l'assassinio di Gentile, l'avvicinarsi del fronte e la guerra dentro le mura di Firenze fra le macerie dei bombardamenti e delle mine fatte scoppiare dai genieri tedeschi, i paracadutisti tedeschi, i franchi tiratori fascisti che non solo non erano pochi, ma si sapevano muovere con maestria su quel terreno quasicchè fossero stati addestrati fra le macerie di Stalingrado, e gli angloamericani, rappresentati da indiani e paracadutisti italiani del raggruppamento Nembo aderente al regno del sud, compresi gli elementi antifascisti fra cui l'autore. Una descrizione minuziosa e precisa che però smentisce qualsiasi letteratura agiografica di carattere post-resistenziale. La descrizione da parte dell'autore, al momento nemico, conferma quanto scritto da Malaparte sulla fucilazione dei combattenti fascisti sul sagrato di Santa Maria Novella, anche se non ci risulta che il famoso scrittore abbia assistito all'avvenimento. Il tono, la caparbietà e la decisione dei franchi tiratori fascisti sono tali e quali egli ci mostra con la sua penna inimitabile.
Da rilevare inoltre alcune considerazioni dell'autore, mezzo sangue ebreo-cattolico, sul problema dell'ebraismo in Italia e la sostanziale libertà di movimento di cui ha potuto usufruire, nonché la relativa facilità di approvvigionamento alimentare. Possiamo concludere, trattandosi di una realtà sociopolitica vissuta in prima persona nell'Italia centrale, che almeno fino a Firenze, e cioè quasi alla fine del conflitto, la guerra civile non sia esistita. Salvo casi di stragi e vendette postume a guerra finita. Quindi il mito resistenziale, inventato da De Gasperi per avere maggiori concessioni durante il trattato di pace, e sul quale si continua a perpetuare una falsificazione della storia nazionale che provoca solo danni alla nostra immagine comune, è privo di fondamento. Vero è che, nonostante il perpetuarsi di una sostanziale incapacità da parte delle autorità italiane (ricordiamo che una buona parte delle forze armate che aderirono alla RSI non erano composte di fascisti) ad affrontare il problema della guerra moderna (guerra per bande, già teorizzata da Mazzini, guerra asimmetrica, guerra terroristica, guerra civile, guerra rivoluzionaria), anche se si sarebbe potuto usufruire dell'esperienza maturata nei Balcani e in Russia, tenuto però conto che le prime analisi e relative conclusioni furono prese dai Quadri dell'esercito francese solo dopo Dien Bien Phu, (guerra d'Indocina, 1946-54), [analisi ed elaborazione che essi utilizzarono durante la guerra d'indipendenza algerina ed in seguito nella guerra rivoluzionaria dell' OAS che avrebbe riportato alla ribalta De Gaulle, in seguito loro repressore], il popolo italiano si dimostrò refrattario a qualsiasi presa di posizione, limitandosi ad un ruolo attendista. Lo stesso Vitali, che aveva sufficiente esperienza bellica per impegnarsi contro i tedeschi prima dell'arrivo degli Alleati a Firenze, pur conoscendo qualche volta in anticipo e senza contrastarle, le azioni dei comunisti, aspetterà l'arrivo degli anglosassoni per impegnarsi durante qualche giorno nella dura guerra fra le macerie.
Per concludere, è molto interessante il colloquio con l'ufficiale indiano durante i combattimenti. L'indiano gli dice di essere un seguace di Chandra Bose, nostro alleato durante il conflitto, ma di essersi arruolato con gli inglesi su invito di Gandhi, per imparare l'arte della guerra da utilizzare a fine conflitto per la cacciata degli occupanti inglesi della sua terra..

Il secondo libro sul quale vale la pena di spendere qualche parola è "Bisanzio. L'oro e la porpora di un Impero", Universale Electa-Gallimard.
In questo testo l'autore, Michel Kaplan, esprime con grande efficacia e con poche parole il ruolo svolto dall'Impero romano d'Oriente durante una durata incredibile, che possiamo riassumere in 1453 anni. Cioè dalla nascita dell'Impero di Roma sotto Augusto fino alla conquista di Costantinopoli il 29 maggio 1453. Durante tutto questo periodo l'Impero romano, secondo Noi indistinguibile fra occidente e oriente, ha svolto un ruolo di controllo dell'area mediterranea e di contenimento delle linee d'invasione che si sviluppavano da tutte le direzioni. La scoperta dell'area sulla quale si estendeva l'ombra di Bisanzio, cioè tutto il Vicino e il Medio Oriente, fu il risultato del Genio della Romanità, naturalmente orientata verso l'Impero. Ecco perché riteniamo che tutta l'area che oggi si concentra attorno al Bosforo sia fondamentale per la nascente Europa Unita, tanto quanto d'interesse da parte della geopolitica inglese e statunitense. Tanto che buona parte della geopolitica inglese è ruotata attorno a quelle zone per tutto l'ottocento e dal dopoguerra in poi la Turchia è stata un baluardo di frontiera della NATO contro le spinte verso l'esterno dell'URSS, secondo una direttiva che fu costante dell'Impero Zarista. Oggi, per nostra fortuna, la Turchia dimostra un grande attivismo internazionale e le sue scelte non possono più creare dubbi.
Ulteriori considerazioni:
1) Il controllo del Mediterraneo è stato esercitato dall'Impero grazie al possesso di un'arma ineguagliata: il fuoco greco, terrore dei nemici. A dimostrazione che la tecnologia militare è quella che può garantire il primato.
2) L'Impero d'Oriente è a tutti gli effetti Impero Romano, latino per mentalità ma greco-cristiano per cultura di base.
3) Il cristianesimo, che parla da sempre greco, a cominciare dalla Bibbia redatta in greco dai famosi settanta, trova in quell'ambiente il suo sviluppo in quanto creazione del pensiero ellenistico, che fonde sincreticamente grecità, latinità, pitagorismo, culti misterici, religioni egipto-mesopotamiche. In questo cristianesimo, che nasce e si sviluppa in quell'ambiente, l'ebraismo rappresenta un aspetto irrilevante, ancorché utilizzato come mito fondante dai creatori stessi della struttura dogmatica. E qui ci sarebbe da riflettere tanto sul ruolo dei filosofi alessandrini, a cominciare da quel Filone che situò la vicenda di Cristo in terra di Palestina, e su cosa considerassero costoro in relazione ad un personaggio che avrebbe predicato in un'area non facilmente identificabile per allora. Ricordiamo il primo Concilio, svoltosi sotto lo stretto controllo di Costantino, a Nicea nel 325, e il secondo a Costantinopoli nel 451, più di un secolo dopo, quando tanta, troppa acqua era passata sotto i ponti e il Cristianesimo, come lo conosciamo noi, non era ancora nato.
4) Il ruolo di contrasto esercitato dal papato di Roma, che aveva usurpato la sede romana ad un Impero in decadenza, contro l'Impero nelle sue due manifestazioni, sia quello centro europeo, rappresentato dagli imperatori franco germanici, combattuti nelle lunghe guerre guelfo-ghibelline, fino alle guerre di religione che insanguinarono l'Europa del diciassettesimo secolo, e quello orientale, di cui una manifestazione evidente sono le Crociate, falsamente organizzate a favore della terra santa, ma in realtà contro una struttura statale ed un cristianesimo non a caso detto "ortodosso" che con la sua sottomissione al ruolo imperiale creava grossi fastidi al sistema statale teocratico proprio dei Pontefici cosiddetti "romani".
5) Infine va detto che Costantinopoli fu espugnata contro il valore dei suoi difensori a causa delle artiglierie di Maometto II il Conquistatore, dimostrando l'importanza della tecnica nelle guerre, (confermata poi nella battaglia di Lepanto, ma in senso contrario ) e con la responsabilità diretta dei Veneziani che non intervennero a difesa degli assediati per un miope interesse. Talmente miope che i Veneziani lo pagarono in seguito non solo nel diuturno scontro contro i turchi, almeno fino a Lepanto (1571), ma anche con la mancata partecipazione alla gara per il dominio dell'Atlantico, che era stato scoperto ed esplorato da Italiani. Pare che il provincialismo nella sua più elementare grettezza contrasti ancora oggi alla grandezza di tanti italiani, isolati e invidiati in patria, ma valorizzati all'estero, magari dopo qualche secolo.

Giorgio Vitali