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Una cronaca abbreviata del secolo XX

Giorgio Vitali
 

Una lettura concisa del “Secolo Breve” può essere fatta anche prendendo come punto di riferimento e di partenza il Sionismo, anche perché le strategie per il possesso della Palestina fanno parte della lotta per il controllo della direttrice Europa-Asia e delle vie di trasporto energetico (gas e petrolio) e di materie prime. Senza dimenticare che a Gaza c’è il gas, come dice il nome.

Il Sionismo è un progetto di colonizzazione religiosa che si è sviluppato alla fine dell’ottocento. Il progetto è stato definito «l’ultimo colpo di coda della colonizzazione europea». Tuttavia, mentre quest’ultima, più nota ed incisiva, era attuata da Stati nazionali che, dopo gli accordi di Berlino del 1885, mandavano truppe e conquistavano territorio che sarebbe stato amministrato secondo criteri coerenti con le tradizioni nazionali, talché ancora oggi, a decolonizzazione attuata e forzata, permangono consuetudini nei paesi ex colonie che risalgono al tipo di governo che per circa un secolo si è insediato fra quelle terre, il Sionismo è nato da un gruppo d’individui i quali, con diverse motivazioni, sono riusciti a portare in porto il loro progetto religioso-culturale avendo a disposizione prevalentemente un’enorme riserva finanziaria.
Come riportato di recente da Maurizio Blondet, un’enorme disponibilità di mezzi finanziari è stata di nuovo messa in circolazione ed a disposizione negli USA per il movimento evangelico di supporto all’entità sionista. In questi casi si può ben affermare che è il denaro che muove il mondo e sostiene le stragi. A queste cifre va aggiunto il notevole apporto economico e sociale costituito dalla strumentalizzazione delle Multinazionali, che proseguono imperterrite nel processo di globalizzazione, alle dipendenze del potere finanziario, totalmente in mano ad istituti ebraico-sionisti, e gestite da managers per lo più selezionati fra la popolazione ebraica statunitense o anglo-canadese. [Jean Prassard: “Dominio”, Capire edizioni, euro 9,50]
Questa disponibilità economica ha permesso ai primi sionisti di elaborare e sviluppare il progetto avendo a disposizione personalità d’alto livello, in campo letterario giornalistico politico e diplomatico, capaci quindi di trattare con i capi degli Stati e delle Religioni, e quindi negoziare con estrema facilità movendosi nei meandri della conflittuale politica di potenza degli Stati europei.
La disponibilità economica li ha messi gradualmente in condizione di controllare i Media. Fra questi, la nascita e lo sviluppo di Hollywood. [Gianantonio Valli: “Dietro il sogno americano”. Barbarossa ed. 1991].
Sono centinaia, anche Italia, i libri che raccontano tale vicenda, anche dettagliatamente. [Fra questi: Carlo Cecchelli, “La questione ebraica ed il sionismo”. Istituto Nazionale di Cultura Fascista, 1939] Si tratta per lo più di testi che illustrano una mitologia piuttosto superficiale, la quale non mette il lettore nella condizione di conoscere la nascita e lo sviluppo del progetto.
Infatti, poiché tale programma era all’inizio nella mente di poche persone, la loro prima preoccupazione non può che essere stata quella di riuscire ad indurre gli ebrei a lasciare il paese nativo per insediarsi in una terra sconosciuta, prevedibilmente ostile.

Manipolazione mentale di ebrei e gentili
Per ottenere il risultato di far trasferire gli ebrei in Palestina si è dovuto lavorare a lungo. Come è facile capire, si deve convincere, ma è più facile minacciare. Curiosamente, proprio le stragi del Libano di questi giorni, finalizzate ad indurre la popolazione ad andarsene dal territorio abitato ma ambito da Israele, gettano luce sulla reale matrice di molte forme di “antisemitismo”, fiorite in Europa fra le due guerre. La storia è ampiamente documentata da libri scritti da autori ebrei e facilmente reperibili nelle nostre librerie. Quasi tutti questi testi fanno trasparire il fatto che esponenti di punta del Sionismo abbiano avuto vita molto facile nella Germania hitleriana, fino alla fine della guerra. Il fatto poi che personalità di spicco come Heydrich, (morto in un attentato) e Frank (impiccato a Norimberga), ambedue responsabili del trasferimento ad est degli ebrei e personaggi sui quali da troppo tempo è sceso un silenzio sospetto, fossero ebrei, non può essere sottovalutato. Inoltre, il fatto documentato da un recente volume dedicato agli ebrei che hanno militato nell’esercito tedesco (circa 150.000), ci da una chiara visione della realtà nazista, per cui l’antisemitismo non era la sostanza ideologica del regime, [mentre il razzismo ebraico discende direttamente dal “libro sacro”], ma era funzionale all’allontanamento degli ebrei dall’Europa centrale, progetto al quale il Sionismo è sempre stato congeniale per identiche finalità.
Nel fondamentale “L’industria dell’Olocausto”, di Finkelstein, libro di grande (e contrastata) diffusione, ma anche in un recente “Il Silenzio degli Alleati” di R. Breitman, edito anch’esso da Oscar Mondatori, emergono informazioni che fanno riflettere, o meglio, dovrebbero indurre alla riflessione. A maggior ragione se associate ad altre acquisibili nei seguenti libri: Loretta Napoleoni, “Le nuova economia del terrorismo”. Marco Tropea, 2004; Curzio Nitoglia: “Sionismo e fondamentalismo”, Controcorrente, 2000; Roger Garaudy: “I miti fondatori della politica israeliana”. Graphos, 1996; A.Zischa: “Le alleanze dell’Inghilterra”. Ed. Mediterranea 1941; E. Ratier: “I guerrieri di Israele”, Centro Librario Sodalitium; Louis Rapoport: “La guerra di Stalin contro gli ebrei”, Rizzoli; nonché il fondamentale di Maurizio Blondet: “Osama Bin Mossad”, ed. Effedieffe, dicembre 2003. Fatto sta che nel libro di Maxime Rodinson: “Israele ed il rifiuto arabo”, Einaudi, 1969, è riferita una notizia di grande interesse, che corrisponde a quanto sta avvenendo negli ultimi anni in Israele, e che spiega (in parte) il cinismo dei paesi europei nei confronti delle stragi perpetrate da Israele contro gli abitanti del Libano… «(…) Fra il 1924 ed il 1931, 29 immigranti su 100 lasciavano il paese dopo qualche tempo. Nel 1927 le partenze superarono gli arrivi: 5.000 contro 3.000... le prospettive di aumento della popolazione ebraica erano scarse (17,7%), ma il nazismo scatenò una nuova ondata immigratoria, che salvò lo jishuv. Dal 1932 al 1938 esso si accrebbe di oltre il doppio: 217 mila ebrei, provenienti soprattutto dalla Polonia e dall’Europa centrale, giunsero in Palestina. Molti di loro disponevano di capitali …»
In questo contesto, è evidente che il mito dell’olocausto è funzionale ad un’economia del ricatto (o del finanziamento “coperto”… soprattutto se a pagare sono banche o assicurazioni notoriamente in mano a capitali ebraici), che non ha mai avuto uguali. In uno dei primi numeri della rivista “Limes”, dedicata alla lobby ebraica americana, è ampiamente documentato che i percettori delle cifre di risarcimento per le supposte persecuzioni di ebrei durante il secondo conflitto mondiale che, contrariamente ad altri reati, non hanno prescrizione, non sono i diretti eredi delle supposte vittime, ma alcune «Associazioni» più o meno legittime, sempre statunitensi, mentre gli intermediari, che istituiscono i procedimenti legali, per lo più falsi, sono società di legali ebrei, anch’essi statunitensi. Di recente sono state condannate le ferrovie francesi per aver trasportato gli ebrei deportati.
Il progetto di conquista e diffusione dei Media, creazione di nuovi strumenti televisivi più funzionali alla penetrazione nelle coscienze ha portato al controllo dei medesimi, come si evince facilmente dalla situazione mondiale, specie italiana. I media nostrani infatti non solo sono posseduti finanziariamente da entità economiche sioniste, ma sono anche ripieni di giornalisti, intellettuali, saggisti ebrei, che firmano spesso con uno pseudonimo. Il controllo pertanto è totale, anche nei confronti degli atri giornalisti schiacciati nell’angolo del consenso forzato, pena un licenziamento senza assistenza sindacale, come successo, assieme ad altri, a Massimo Fini, che ne ha dato un’ampia documentazione. Un interessante “pendant” al controllo mediatico è costituito dall’assegnazione pilotata dei Premi Nobel, e conseguenti ricadute in termini di prestigio internazionale e di circolazione di ricchezza. Va ricordata infine la strategia mediatica del «lamento per le persecuzioni subite» fin troppo evidente nel suo scopo di copertura e giustificazione di quanto viene giornalmente fatto a danno di altre popolazioni.

Fuga di notizie
Di come è nato e di come si è sviluppato questo progetto sono testimonianza più che efficace i “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”.
Costantemente denigrati come «falsi», (e non potrebbe essere diversamente) i Protocolli denunciano invece un programma che oggi possiamo definire realizzato per i tre quarti. Capita spesso infatti che uno spezzone imprevisto schizzi via da qualche anfratto ritenuto del tutto sicuro. Tale è stato il caso delle carte di Moro, ma anche la del tutto imprevedibile decisione di Marino, peraltro complice di un assassinio, di denunciare le mene segrete di Sofri e compagni di “Lotta Continua” (come se chi ragiona sugli eventi strani non fosse in condizione di intravedere il vero volto di coloro che gestiscono certe marionette).

Preoccupazioni degli ebrei della Diaspora
Mentre i Media embedded tengono rigorosamente nascosto ogni avvenimento che possa far riflettere il lettore sui veri moventi del comportamento dell’Entità Sionista e dei suoi alleati, è in corso un esodo di israeliti di dimensioni preoccupanti. Si tratta di circa 700.000 persone che se ne sono andate in un solo anno da Israele a causa della fragilità di quell’economia, a rischio di rimanere a secco qualora da parte USA venissero a mancare i necessari rifornimenti in armi ed in dollari. Calcolando che la popolazione di Israele è costituita da circa 6.000.000 di anime (sempre questo numero!) e la popolazione autoctona è in costante aumento, si tratta dell’impoverimento demografico pari al 10%. Se l’andazzo continua la cosa può farsi seria. È questa situazione che preoccupa gli ebrei della diaspora, i quali sono giustificati nella loro apprensione, conoscendo bene da quali recondite ragioni nascono certe «persecuzioni». Sono preoccupati anche gli Stati del mondo, in particolare gli europei, i quali non gradiscono di certo un aumento massiccio della percentuale ebraica dentro i propri confini, che vorrebbe dire un’eccessiva intrusione nei rapporti interni. Molto maggiore di quella presente oggi con una percentuale apparentemente bassa di presenze ebraiche. Se è vero quello che ci viene fornito dai dati statistici... [In tal senso è utile la lettura del libro di Yakov M.Rabkin: “Una minaccia interna. Storia dell’opposizione ebraica al sionismo”. Ombre Corte ed. Maggio 2005, info@ombrecorte.it. Euro 19,50]

Altri aspetti del fenomeno
L’eredità psicologica di Sabbatai Sevi, (o Zevi) colui che divenne «profeta» per aver rinnegato la propria religione al fine di salvare la pellaccia.
Tale atteggiamento autorizza a tutt’oggi qualsiasi forma di apostasia pur di ottenere un risultato storicamente rilevante. Ad esempio Herzl aveva promesso al papa, in cambio dell’autorizzazione al possesso della Palestina, la conversione in massa degli ebrei al cattolicesimo. Promessa mantenuta dallo stesso Herzl figlio, il quale si fece cattolico, con quali vantaggi per la Chiesa non è dato sapere.
Tuttavia, Herzl aveva dichiarato, nel 1935: «Lo stato ebraico è un bisogno del mondo: dunque si costituirà». Con buona pace delle doti profetiche di questo «profeta» di Israele, gli avvenimenti presenti non hanno dimostrato nulla di tutto ciò. Al contrario, è stato ampiamente dimostrato che lo stato ebraico è tutto fuorché un bisogno del mondo.
Ma questo è un discorso che riguarda anche l’apporto religioso dell’ebraismo alla storia dell’Umanità. Si tratta di un apporto che si sta dimostrando, proprio ai giorni nostri e dopo millenni di menzogne nonché nonostante un sistema di difesa di tutto rispetto messo in gioco dalle cosiddette «religioni monoteiste», più dannoso che superfluo. Nasce dall’insegnamento di Sabbatai anche il maneggio che vede attori la Santa Sede in alcuni suoi esponenti «progressisti» ed il B’nai B’rith, la Massoneria ebraica, e che porta all’elaborazione della dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” dell’8 dicembre 1965. È a seguito di questa dichiarazione che, per fare un solo esempio, la nuova Commissione Pontificia per i rapporti religiosi con il Giudaismo fa parte del “Segretariato per l’Unione dei Cristiani”, mentre la Commissione per l’Islam dipende dal segretariato per i non-cristiani. Pertanto gli ebrei sono, a tutti gli effetti, cristiani, anzi, protocristiani, sono «gli antichi padri» ed ecco giustificato il fragoroso silenzio della Santa Sede di fronte alle prodezze ebraiche contro i cristiani della Palestina e del Libano. Tuttavia alcuni avvenimenti, del tutto imprevisti (anche se probabilmente programmati) sono di recente venuti a turbare i sogni di tante persone. Mi riferisco al libro di Dan Brown: “Il Codice da Vinci” ed alcuni suoi addentellati; il successo di questo romanzone va infatti oltre ogni ragionevole aspettativa, perché nelle cifre di questo successo vanno messi gli innumerevoli saggi, articoli, citazioni, racconti, programmi televisivi, controromanzi, pseudostorie, (fra i quali ricordo l’ottimo: «Il Complotto da Vinci», di Fabrizio Pinzetta, Jubal editore, 2005) e soprattutto un numero incredibile di ricorsi mondiali su internet, citati da Adriano Sofri in un articolo su “Panorama” del 6 luglio 2006. Siamo a 82 milioni 900 mila contro 57 milioni 500 mila per il Vangelo. In Italia, 2 milioni 250 mila per il Codice contro 1 milione 750 mila per il Vangelo.
Nel Codice, al di là dei fatti narrati, emerge prepotentemente la realtà di una società geopolitica nella quale si scontrano gruppi umani più o meno occulti, motivati alla lotta da una fede cieca (e programmata), che a nostro avviso è la vera ragione del clamoroso successo. Il caso Roveraro, con l’incredibile giro d’affari finanziario dell’Opus, ha costituito l’autentica ciliegina su una torta già pronta. A contorno, sono apparsi sulla scena, fra gli altri, anche i Vangeli apocrifi e quelli «gnostici». Con un investimento economico di tutto rispetto, National Geographic ha di recente «lanciato» il “Vangelo di Giuda”. Si tratta di un’opera scritta presumibilmente nel 400 d.c. [non l’originale, lavoro collettivo di molto precedente, visto che ne trattava San Ireneo da Lione, fiorito attorno al 100 d.c.] e rinvenuta casualmente in Egitto, dal quale era stata rubata nel 1978. Secondo Dan Brown i Vangeli gnostici descrivono una figura più vicina al Cristo storico di quella dei Vangeli canonici. La qualcosa non è uno scherzo, in un momento in cui, con estrema disinvoltura, la politica della Chiesa sta accreditando il giudaismo, e quindi soprattutto il sionismo, come una forma primigenia di cristianesimo, con particolari diritti acquisiti fin dalla nascita per i suoi esclusivi adepti nei confronti del Padreterno. Il cristianesimo è una religione, come ben sappiamo, nella cui costruzione il giudaismo c’entra veramente poco, costituendone la mitologia di base, visto che non si ha alcuna certezza della reale esistenza di Gesù. Il giudaismo non ne costituisce l’essenza teologica, (essendo la predicazione del Cristo volta a sovvertire la religione degli “antichi padri”, almeno come hanno scritto e commentato fino ai giorni nostri, da qui la condanna a morte). [vedasi: Benoit Simon, “Giudaismo e Cristianesimo. Una storia antica”. Laterza, 11 euro]
Nato e sviluppatasi in ambito ellenistico-romano ed avvantaggiatosi dalla lunga Pax Romana che ne ha permesso l’elaborazione dottrinaria per oltre quattrocento anni, il cristianesimo ha raccolto sincreticamente tutti i fermenti culturali esistenti sulle sponde del Mediterraneo, fino all’elaborazione di tante e diverse manifestazioni di religiosità che soltanto una potente energia ordinatrice, costituitasi in Roma come erede dell’Impero, ha unificato in una dottrina talmente rigida da dover espellere come eretico qualsiasi altro modo di concepire la divinità. Ma c’è di più: secondo il pensiero gnostico, e quindi la dottrina che serpeggia ancora «nel mondo», associata a tanti movimenti che vanno dalla Massoneria (un Gran Maestro del Grande Oriente, Giordano Gamberini, scomparso recentemente, era anche Vescovo della Chiesa Gnostica ) alla New Age, il dio della Bibbia è «malvagio».
Definizione fatta risalire nientemeno che a Plotino, e confermata dai fatti fino al giorno d’oggi.
Da notare che questo interesse collettivo a livello mondiale per ciò che si agita dietro le quinte del mondo sta preoccupando molte persone, fra cui Umberto Eco ed Adriano Sofri, costernati dalla possibilità di una rinascita di interesse per i “Protocolli”. I due autori, fra gli altri, hanno affrontato il problema in un’ottica vetero-razionalista che dimostra i loro limiti culturali e non interessa più nessuno.

Alcune manifestazioni del progetto rese palesi di recente
A smentire l’apparente casualità di certe attuali manifestazioni del sionismo, stanno i documenti che continuano ad emergere all’attenzione degli storici.
Il problema dell’acqua, che è sempre presente nella crisi palestinese, anche se posto in sordina dai Media, è stato preso in considerazione fin dai primordi del programma sionista.
Nell’utile libretto di Jacques Sironneau: “L’acqua. Nuovo obiettivo strategico mondiale”, Asterios ed. 1997, c’è l’elenco dei progetti per la ripartizione dell’acqua in Palestina. Tra questi è piuttosto interessante la “Concessione Rutenberg” del 1926. Si tratta di una concessione idroelettrica che autorizza solo gli ebrei di Palestina ad utilizzare l’acqua del Giordano e dello Yarmuk. Gli impianti furono distrutti dagli israeliani, tanto per non cambiare registro, nel 1948 per evitare un controllo dei palestinesi sui due corsi d’acqua. Da notare che fin dal 1913 esisteva un progetto Frangia, promosso dall’Impero Ottomano, per lo sviluppo dell’irrigazione e dell’idroelettricità in Palestina. A tutt’oggi la propaganda diretta ed indiretta del sionismo accredita la conquista della Palestina da arte degli ebrei come una manifestazione di progresso. Ma tutto ciò si collega a quanto ampiamente descritto nel già citato libro di Sanbar: “Il Palestinese”, edito da Jaka Book.
In questo libro è descritto dettagliatamente il progetto di annichilimento della figura storica del palestinese. Per poter dimostrare che la terra di Palestina era solo una landa abbandonata, perché privata della sua «naturale» popolazione, costretta ad abbandonare la «patria» qualche millennio addietro, sono stati messi in piedi alcuni strumenti comunicazionali, che vanno dai testi storici falsificati, alle finte cronache, alla sistematica eliminazione della parola palestinese a favore del termine «popolazione araba». Si tratta della stessa tecnica utilizzata dagli «americani» contro la popolazione nativa, con addentellato cinematografico che va dai vecchi film western («arrivano i nostri») ai più recenti, fino a “Balla coi lupi”, di falso accreditamento dei nativi ma in realtà di subdolo impossessamento dell’immaginario western da parte dei «bianchi».
Il volume citato è ricco di informazioni sull’alleanza nata nel 1937 tra il Sionismo ed il governo USA, e sigillata di fatto con un testo, il “Baltmore Program”, dal nome dell’albergo newyorkese in cui si svolse tra il 9 all’11 maggio 1942, un congresso cui parteciparono 600 delegati della comunità ebraica americana e 67 emissari del movimento sionista diretto da Ben Turione Weizmann. Pertanto, se il governo tedesco considerava la popolazione ebraica nemica non aveva tutti i torti. D’altronde lo stesso trattamento fu riservato da tutti i belligeranti nei confronti dei civili provenienti dai paesi nemici. Quindi la scelta geopolitica statunitense non è nata, come appare ad una (s)vista superficiale, dopo gli anni sessanta, ma ben prima, perché il progetto statunitense per il Mediterraneo, anche in senso anti-inglese, è consono alla strategia imperiale presente nella classe dirigente americana fin dall’ottocento.
Il progetto di annichilimento dalla figura umana del «palestinese» si appalesa nei fatti di tutti i giorni: stragi di interi villaggi negli anni quaranta, sotto gli occhi inebetito di un mondo senza coscienza, caccia all’uomo dall’elicottero, come fanno in Australia contro i canguri, espulsioni selvagge, violenza spicciola, umiliazioni continuate. Oggi come allora l’uso criminale della strage e del genocidio è finalizzato a terrorizzare la popolazione locale e nel compenso spaventare il mondo, risultato ottenuto dagli «americani» sotto la spinta degli scienziati ebrei, con l’uso delle bombe atomiche sul Giappone. Scopo del genocidio è anche la sperimentazione di nuove armi di distruzione di massa. Così, mentre noi «occidentali» lottiamo contro la sperimentazione dei medicinali sugli animali, gli israeliani sperimentano direttamente sull’uomo. Posto che per loro sia da considerarsi «uomo» una forma vivente non discesa direttamente da «dio».

Hannah Arendt, la violenza e l’eterogenesi dei fini
In un libretto divenuto un classico, la Arendt illustra e commenta una sequenza di affermazioni sulla violenza e sulla manipolazione culturale con l’evidente intenzione di attribuirne il peso ai suoi avversari politico-culturali. Cioè a tutti quei pensatori che sarebbero stati all’origine del fascismo. Curiosamente, quasi tutte queste considerazioni sono una precisa descrizione di quanto da un secolo vanno attuando i sionisti. In particolare… «Secondo il concetto tradizionale di potere, identificati, come abbiamo visto, con la violenza, il potere è espansionistico per natura». Esso «ha un’innata tendenza a crescere», è creativo perché «l’istinto della crescita gli è proprio (Jouvenel)». Come nel regno della vita organica ogni cosa o cresce o decade e muore, così nel regno delle cose umane il potere, per assioma, può sostenersi soltanto attraverso l’espansione;altrimenti si contrae e muore. «Ciò che si arresta nella crescita incomincia a marcire» afferma un detto russo sorto nell’entourage di Caterina La Grande. I re, ci vien detto, furono uccisi «non a causa della loro tirannia ma a causa della loro debolezza. Il popolo erige patiboli, non come punizione morale del dispotismo, ma come penalità biologica per la debolezza».
Confermando la sostanziale verità di quanto scritto sopra, ci sembra che la politica dell’entità sionista si attenga proprio ai princìpi esposti dalla nota esponente della cultura ebraica. L’espansione è una condizione della sopravvivenza. Ma fino al momento in cui l’allargamento non trova un freno nella realtà dei fatti. È questo il fondo di verità biologica contenuto nei concetti di “retroazione” e di “eterogenesi dei fini”: oltre un certo limite, la natura (e la Storia) si ribella, e sono dolori. Per ogni potenza c’è un limite alla propria espansione, mentre proprio in questi giorni tutto sta dimostrando che il limite per l’americansionismo è arrivato, e con lui, sta entrando in crisi tutto un sistema di menzogne ad esso correlate.
Ad esempio: l’estrema crudeltà e cinismo del comportamento israeliano sta aprendo gli occhi a molte persone sulle molte promesse di carattere buonistico della pseudocultura cristiana. Qui nessuno s’è mosso, dei tanti «amanti dell’Umanità», perché l’aggressività armata ebraica fa paura (ai vigliacchi). Contemporaneamente, il governo italiano di centrosinistra, dopo una campagna durata anni basata sul pacifismo, sta dimostrando coram populo il proprio asservimento all’aggressiva geopolitica atlantista. È un disvelamento necessario in particolare per quei «mezzi-cretini» capaci di trarre insegnamento dai fatti, ed ai quali abbiamo invano cercato di far capire le cose durante questo lunghissimo dopoguerra. Contrariamente alle attese, la nazione libanese che in precedenza era caduta nella rete tesa da Kissinger ed aveva dato il via ad una devastante guerra civile, oggi ha reagito compatta contro il barbaro invasore. Contemporaneamente, il silenzio assordante della Chiesa di Ratzinger, che fu il consigliere di Woytjla, dimostra una sostanziale incapacità del Vaticano di oggi (quanta differenza dal Vaticano di Pio X, Pio XI, Benedetto XV, leone XIII) a sviluppare un’autonoma linea di geopolitica che qualche decennio fa sembrava bene incamminata sulla strada della rappresentanza dei popoli della terra contro il potere finanziario, padrone dei cosiddetti «paesi ricchi». E la crisi di rappresentatività, quando arriva, non risparmia nessuno.
Alfredo Oriani, il nostro grande studioso della storia politica italiana, in un suo studio inedito: “Finalmente”, scritto nel 1909, cita una frase di Machiavelli molto significativa in questo senso. Machiavelli, nel “Principe” scriveva che in politica il successo è «di quello che riscontra al modo del procedere suo con le qualità dei tempi». E la qualità dei tempi non è tale da riscontrare con coloro che pretendono governarli con la forza senza nulla concedere a tutti i popoli che intendono soggiogare.
Alcuni libri, pubblicati di recente in Italia, illustrano la situazione in maniera completa. E non sono i soli.
Si tratta di: Michael Mann: “L’impero impotente”, Piemme 2004; Luigi Tranfo: “Il Tramonto del Mito americano”, Dedalo; Eric Laurent, “Il potere occulto di G. W. Bush. religione, affari, legami segreti”. Mondatori, 2003.
Per comprendere i moventi e le ragioni della creazione del concetto di «Scontro di civiltà» può essere utile il libro di Bernard Lewis: “La Crisi dell’Islam. Le radici dell’odio verso l’Occidente”. Mondatori 2004.
Meno recenti, ma non meno interessanti: Clyde Prestowitz: “Stato Canaglia”, Fazi, euro 17,50 e S. Rosskamm Shalom: “Alibi imperiali. Le ragioni dell’intervento militare degli Stati Uniti: capitalismo, razzismo, sessismo”. Synergon ed., Bologna, 1995.
Dovrebbe essere un dovere leggerli per chiunque voglia affrontare coscientemente il problema politico incombente.
Perché in questo momento è utile sapere come orientarsi, almeno per un gruppo politico che voglie cimentarsi con una situazione fluida, quella che Alberoni definisce «stato nascente».
Giorgio Pisanò, rispondendo sul “Candido” n. 10 del giugno-luglio 1986 alla lettera di un lettore, dava per certo il radicamento degli ebrei in Palestina, per cui, sempre secondo lui, sarebbe stato ragionevole trovare una linea d’accordo, se non di collaborazione. Un consistente aiuto alla nascente entità ebraica era peraltro stato dato subito dopo il conflitto da elementi della “Decima”, e di sicuro col consenso del “comandante”, ma comunque in senso anti-inglese.
Gianfranco Fini è andato oltre, ben oltre il lecito ed il decente, senza alcun rispetto per logiche geopolitiche evidenti, perché se durante tutto il XX secolo appena conclusosi le linee generali di politica estera del nostro paese sono state a favore di un costante (ed anche frequentemente segreto, pagato anche con un non indifferente tributo di sangue) accordo coi paesi rivieraschi, c’è sicuramente una ragione, che non è costituita dal solo petrolio. In occasione del dibattito generato dalle stragi effettuate in Libano si è cercato di accreditare l’immagine di un Israele avanguardia dell’Occidente, anzi dell’Europa contro la massa islamica che preme alle nostre porte. Si tratta ovviamente di una forzatura che ha il suo scopo nemmeno tanto recondito. Ed è per la stessa ragione che tale proposta deve essere respinta. La nascita e lo sviluppo della futura Eurasia, che non è un’utopia ma una visione serena di un futuro prossimo, non può essere vista che contro la geopolitica USA.
E Israele è di questa geopolitica la punta di diamante nel Mediterraneo. Noi siamo stati sempre contrari all’invasione di massa via Mediterraneo da parte dei disperati del continente africano. Anzi, l’avevamo prevista negli anni settanta, al tempo del boat people vietnamita. Oggi sappiamo che questa invasione è voluta per creare una situazione di isterismo anti-islamico nelle popolazioni europee. Ma la mano è sempre la stessa.
Lyndon LaRouche, in recente intervento, ha sottolineato che l’attacco israeliano al Libano, e di conseguenza alla Siria, è la diretta risposta ad una situazione di crisi interna statunitense che si appresterebbe a mollare la linea dura di sostegno ad Israele contro gli stati arabi. L’analisi è plausibile, dato il vistoso calo di consensi all’amministrazione Bush riscontrato in questi ultimi tempi, e dovuto anche alla fallimentare conquista dell’Iraq.

Fine del Mito e ritorno alla Realtà
Hanna Arendt, nel libro citato scrive: «Ahimè, la confutazione di una teoria per mezzo della realtà è sempre stata, per bene che vada, una questione lunga e precaria. La manipolazione abitua coloro che la temono eccessivamente non meno di coloro che hanno riposto le loro speranze su di essa, a notare a mala pena quando le galline tornano al pollaio». Si tratta di una frase illuminante per noi che conosciamo come stanno andando le cose, e che attualmente potrebbe essere completata con due piccole opere di recente pubblicate. Una è “La Natura del Sionismo” di Mauro Manno, l’altra è: “Lettera di dimissioni dal Popolo Ebraico” di Bertell Olmann. Sono facilmente reperibili. Siamo pertanto all’epoca della confutazione delle teorie. Anche se apparentemente le varie teorie giudeocentriche, che vanno da quella forma di giudaismo «riformato» chiamato cristianesimo alla sua ultima manifestazione religiosa, chiamata olocausto, vengono sostenute da uno stuolo di intellettuali asserviti al «potere», in realtà la massa non ci crede più. Ubbidisce per accondiscendenza servile, ma non seguirà alcun ordine che la smuova dalla sua sedentarietà. Si adatta per sopravvivere.
Siamo pertanto in attesa di un movimento chiarificatore. E questo movimento nascerà tra breve in Europa, dal superamento delle divisioni artefatte conseguenti al secondo conflitto mondiale. Francesco Alberoni, del quale riconosciamo l’acume sociologico, ha scritto di recente su “Panorama”: «Occorre che prima si crei uno spasimo, una intolleranza fatale verso le formazioni sociali entro cui vivi, una insofferenza viscerale e poi la speranza altrettanto fatale di un rinnovamento, e la fede irrazionale di una rinascita ed una meta, ed un capo e la capacità di sacrificarsi per un ideale». L’esempio della capacità di sacrificarsi per un ideale ci viene dato dalla Resistenza islamica all’aggressione sionista. Il nuovo Movimento nascerà quanto prima, in tutta Eurasia, e non ci sarà persecuzione capace di tenerlo a freno.
 

Giorgio Vitali