Italia - Repubblica - Socializzazione

 

da "Rinascita" del 15 luglio 2001

 

«Non parteciperemo da utili idioti a una contestazione addomesticata»

La battaglia contro la globalizzazione è parte della guerra all’usura

 

Dall’essenzialità del dover esserci, nell’animo degli ultimi difensori in armi dell’Europa germogliò un più intenso sentimento che può essere tradotto con «dasein» (voler esserci), il quale si manifesta soltanto nei momenti altamente drammatici nell’esistenza dei popoli, quando cioè l’emergenza della sopravvivenza radicalizza al massimo grado la contrapposizione fra le appartenenze vitali e quelle surrettizie degli apatridi. Onde, morire per la più grande patria europea divenne ambito privilegio.

Purtroppo, dal 1945 ad oggi, facendo violenza alla verità storica, gli europei non soltanto negano validità al passato, ma lo interpretano in funzione di categorie e concetti estrapolati da culture estranee e nemiche. Ciò ha prodotto una crisi di identità le cui radici affondano nell’abdicazione dalle rispettive tradizioni culturali, giuridiche, militari, artistiche e religiose. Ora, di fronte al dramma della perdita totale di ogni sovranità ed identità nazionali, essi hanno approntato ben 700 sigle organizzative tese a strappare al «sistema» qualche metro in più di piazza, per meglio manifestare la propria democratica opposizione alla globalizzazione. In tal modo, poiché l’opposizione rappresenta storicamente la migliore forma di collaborazione, il dramma si tramuta in farsa.

Tuttavia, la realtà é ben più carica di pericoli di come si presume. Lo stesso presidente Ciampi sembra non rendersene conto. Quando egli sostiene che «bisogna governare la globalizzazione», esprime una pia illusione o lancia, ancorché tardivamente, un grido di allarme? Nel G8 è rappresentato circa 1/5 dell’umanità. Il suo scopo consiste nell’ottenere coram populo un consenso purchessia per esercitare più agevolmente la propria tirannia economica e politica sui rimanenti 4/5.

Sottrarsi alla lotta contro la globalizzazione significa porsi fuori delle realtà e della storia. Ma è ancor peggio presentarsi alla lotta con la mancanza di coraggio e con gli atteggiamenti rinunciatari tipici delle attuali democrazie europee. Alla lotta gli europei debbono presentarsi armati della ferrea volontà di ripristinare (l’Europa ne ha i numeri sotto ogni aspetto, da quello culturale a quello militare) la propria leadership, cioè una effettiva capacità di direzione etica e politica in sede mondiale, in grado di operare scelte di civiltà non più fondate sull’egoismo, lo sfruttamento e l’usura di pochi sui molti.

Ma non bisogna illudersi: il passaggio dalla subalternità all’indipendenza è sempre stato traumatico.

Per i Combattenti della RSI, la globalizzazione è anzitutto un problema etico, cioè spirituale, il quale, includendo il diritto, la politica, la morale ed ogni altra disciplina riguardante l’ethos, relega l’economia a mera funzione di scambio e la detronizza dalla posizione preminente cui viene innalzata dal moderno pregiudizio deterministico.

Già nel maggio 1941, quando ancora gli USA non erano scesi in guerra, in una nota apparsa su "Gerarchia" riguardante la sostituzione dell’oro con il clearing internazionale, veniva affermato: «Poiché non è questione di vantaggi o di svantaggi, è questione di giustizia: o la Rivoluzione eliminerà l’oro-moneta e quindi la plutocrazia che lo amministra, oppure l’oro e la plutocrazia invertiranno il corso della Rivoluzione». La seconda ipotesi ha potuto prevalere anche mediante l’azione sciagurata del bolscevismo, il quale pose così le premesse alla propria disgregazione.

Consapevoli che i verdetti della storia non sono irrevocabili, i Combattenti della RSI ripropongono oggi, contro la globalizzazione, la mussoliniana guerra del sangue contro l’oro. Essi, inoltre, reputano storicamente non vero e assolutamente inaccettabile: «... il principio che l’America non è tutto, ma senza l’America non ha mai funzionato niente» (Cfr. H. P. Martin - H. Schumann, "La trappola della globalizzazione". Ed. Raetia, Bolzano 1997, pag. 211).

Ciò detto, la nostra vocazione antimondialista e antiusura è pari all’avversione che abbiamo sempre nutrito per le manifestazioni di piazza. Nella fattispecie di Genova, questa Federazione, sulla base di passate esperienze e del proprio naturale atteggiamento di lotta, considera erroneo il ritenere di poter svolgere autentiche contestazioni attraverso la presenza in quell’ambito eterogeneo, quantitativamente imponente quanto qualitativamente modesto. Data la situazione di tensione già in atto intorno a tale vertice -del tutto propiziato e sovvenzionato dal «sistema»- è possibile il verificarsi di disordini anche di grave entità; i quali potrebbero portare ad accuse di provocazione per quelle organizzazioni che non si identificano in senso stretto con il cd "popolo di Seattle".

 

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p. Il Comitato Direttivo
F. G. Fantauzzi