Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Comunicato Stampa
(15/12/2001)

 

D’iniziativa del deputato Cirielli (AN), in data 23/11/2001, è stata presentata in Parlamento la proposta di legge n. 2023, per l’adozione, in applicazione degli artt. 46 e 47 della Costituzione, di uno statuto partecipativo delle imprese.

La proposta, fra l’altro, prevede:

1) l’istituzione di organismi, costituiti sia da rappresentanti dell’impresa sia da rappresentanti dei lavoratori appositamente eletti dalle rappresentanze sindacali, dotati di congrui poteri di indirizzo, controllo, decisione e gestione nelle materie inerenti l’organizzazione del lavoro;

2) la previsione di procedure formali, vincolanti e garantite, di informazione e consultazione preventiva nonché di controllo dei rappresentanti dei lavoratori in ordine alle decisioni più rilevanti dell’impresa;

3) la distribuzione ai lavoratori di una quota del profitto di impresa;

4) l’accesso collettivo dei lavoratori dipendenti al capitale dell’impresa, ecc.

 

Al fine di far emergere i fondamenti storici di tale proposta, la relazione che l’accompagna fa riferimento ad alcune pregresse esperienze inerenti la partecipazione liberal-democratica, ancorandole al punto 8 della Carta sociale europea e alle raccomandazioni formulate in sede CEE e UE dal 1972 al 1998, dirette al conseguimento di maggiore produttività e più attaccamento dei dipendenti all’impresa.

La relazione, inoltre, stabilisce analogie e affinità poco pertinenti e poco convincenti se non del tutto arbitrarie con altre esperienze. La religiosità sociale di Mazzini, ad esempio, non ha nulla da spartire col pensiero liberaldemocratico. Del pari si deve osservare per quanto attiene alla socialità futurista. Mentre il riferimento al regnante Pontefice elude totalmente la «svolta» operata da quest’ultimo rispetto allo statico pensiero sociale dei suoi predecessori. Per la prima volta, infatti, in ordine alla proprietà della terra e dei mezzi di produzione industriali –di contro alla locuzione lavoratori dipendenti usata nella proposta di legge- gli operai sono elevati a rango di comproproprietari: «Si può parlare di socializzazione solo quando… ognuno, in base al proprio lavoro, abbia pieno titolo di considerasi allo stesso tempo comproprietario del grande banco di lavoro al quale s’impegna insieme con tutti». (cfr. Laborem exercens, 14/F)

Nel suo complesso, siffatta proposta di legge dà l’impressione del deja-vu cioè di una leggina che si allinea a quanto auspicato da Cesare Annibaldi, direttore delle relazioni esterne della FIAT, con il libro "Impresa, partecipazione e conflitto", ed. Marsilio, Venezia 1994; nel quale, con una visione autocritica delle relazioni industriali italiane, l’autore propone esplicitamente la partecipazione delle maestranze alla gestione delle imprese, con specifico riferimento al modello tedesco della Mitbesimmung (letteralmente: codecisione, codeterminazione, sotto l’aspetto economico cogestione). La quale si caratterizza per una componente propria del corporativismo fascista: la pariteticità giuridica e morale tra capitale e lavoro, pariteticità per altro non contemplata nella proposta in argomento. Non dimentichiamo che il corporativismo ha svolto l’imprescindibile funzione propedeutica alla definitiva soluzione socializzatrice del fascismo repubblicano e che, per ciò stesso, è parte non secondaria del patrimonio culturale e politico italiano.

Nonostante ciò, siamo del parere che una volta approvata, tale riforma concorrerà allo sviluppo dell’impegno partecipativo nel mondo del lavoro, e, soprattutto, ridurrà l’influenza negativa dei sindacati legittimati dall’attuale sistema attraverso il consociativismo, i quali hanno sempre promosso azioni demagogiche finalizzate ad incrementare salari (e l’inflazione), e disatteso alla funzione educativa dei lavoratori e alla loro preparazione psicologica, culturale e professionale, essenziale per effettuare il salto di qualità che porta alla partecipazione. Conosciamo un solo sindacato, l’Inforquadri, che svolge la propria attività con finalità culturali, propositive e di rigoroso patrocinio.

L’indole dei contenuti di questa proposta rispecchia la cultura materialistica delle potenze da cui fummo duramente sconfitti, e di cui abbiamo sotto gli occhi i segni dell’inarrestabile declino, sebbene esse abbiano posto a guardia del proprio malsano benessere un tracotante gendarme, che in questi giorni sta dimostrando contro popoli inermi inaudita ferocia.

Pertanto, del tutto arbitrario e foriero di equivoci è il riferimento al Decreto legge del 12. 2.1944, emanato dal Governo della RSI per l’istituzione della Socializzazione. In ordine al quale, il fermarsi all’esame ragioneresco dell’articolato (per altro non privo di qualche contraddizione) significherebbe precludersi la possibilità di comprenderne lo spirito che lo anima e l’ambiente vitale in cui venne formulato. Inutile dire che ne avremmo preferito la promulgazione con un decennio di anticipo, cioè nel 1932 al tempo del Convegno di studi corporativi nel corso del quale Ugo Spirito propose la «corporazione proprietaria»; o almeno nel 1938, quanto Berto Ricci, genuino e coerente interprete della spiccata disposizione naturale alla partecipazione dei migliori fascisti, fu costretto a scrivere: «Ma, per dio, … non si può proseguire all’infinito sulla via del saluto romano, rompete righe e state zitti. Che il Fascismo decida: o con dio o col diavolo: o il sistema invariabile delle nomine dall’alto, o partecipazione del Popolo allo Stato … Libertà da conquistare, da guadagnare, da sudare … ma anche libertà come valore eterno, incancellabile fondamentale … anche libertà di manifestare opinioni ... e quella che l’ultimo italiano deve poter esercitare: di controllo dei poteri pubblici, di denunzia aperta delle ingiustizie, delle infrazioni, delle prevaricazioni, da chiunque commesse».

Ovviamente, la socializzazione fascista non si limita alle imprese, ma ingloba anche le aziende (quindi i mezzi di produzione), e investe ogni altra attività, sempre restando strettamente connessa alla Dottrina del Fascismo, agli aspetti più validi dell’esperienza corporativa e ai successivi sviluppi della socializzazione portati dalla Dichiarazione del Partito Fascista Repubblicano del 5 aprile 1945, i quali prevedono radicali trasformazioni del diritto di proprietà e più incisivi e rivoluzionari orientamenti in ogni settore di attività. Ciò dimostra che il fascismo non è una rivoluzione, ma è la Rivoluzione.

Del resto, il ministro per l’economia corporativa della RSI, Tarchi, illustrando il decreto alla stampa aveva affermato: «… dalla libera discussione si possono trarre elementi utili per l’applicazione della legge che riteniamo di perfezionare man mano, anche perché questa non è necessariamente statica ma, al contrario, deve trovare poi nella soluzione pratica l’indirizzo per evolversi».

Piaccia non piaccia, la socializzazione fascista pone fine al sistema capitalistico e supera il dualismo antropologico che ha sempre contraddistinto l’azione umana in genere e quella economica in specie: agire in vista dell’interesse del bene comune, ovvero avendo per solo obiettivo l’interesse personale o di gruppo. Nella seconda ipotesi, come sostenne Tommaso d’Aquino, si ha «Una certa turpitudine» (Summ. Teol, II-II, 74,4). Da ciò si evince che la socializzazione mira ad un nuovo ordine etico e sociale, per una nuova umanità in cui la libertà dei cittadini trovi la propria ragione d’essere nel diverso grado di responsabilità da ciascuno tangibilmente comprovato.

Il fascismo, come è noto, non ha radici storiche comuni con le diverse forme di socialismo e dà risposte assolutamente originali alla sete di equità e di dignità di tutti i popoli. Pure appartenendo all’ordine dei mezzi, la socializzazione converge nel compimento delle finalità ideali proprie dell’inscindibile trinomio Italia-repubblica-socializzazione, che sintetizza il fondamento etico, sociale e politico della RSI: un certo tipo di Stato che dia vita una diversa e più solidale Nazione, e un modo più alto e più nobile d’intendere l’azione politica.

Il nostro onore di combattenti consiste nell’affermare e difendere –sempre e ovunque– l’Istituto della socializzazione, in quanto esso rappresenta un autentico primato italiano.

 

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p. Il Comitato Direttivo
F. G. Fantauzzi