Italia - Repubblica - Socializzazione

 

bollettino interno di informazione e di orientamento della F.N.C.R.S.I.

a cura della direzione nazionale di ROMA - Via Lungotevere Prati, 22

(15 pagine - formato 21 x 27,5)

 

MAGGIO 1964


 

 

[Editoriale]

 

Da ormai venti anni la vita politica italiana ristagna nella palude democratica. Da quando le forze della sovversione, forti dell’aiuto alleato, s'impadronirono del potere dopo avere eliminato con la strage e la persecuzione gli ultimi epigoni di un’Italia grande ed imperiale, nulla né nessuno è riuscito a smuovere le acque paludose della gora italica.
Una illusione di risveglio si ebbe allorché apparve sulla ribalta politica il MSI. I superstiti della Repubblica Sociale Italiana ed i giovanissimi che ancora avvertivano il fascino della educazione littoria si strinsero attorno alla "fiamma tricolore" in un impeto di ribellione e di entusiasmo. Il MSI non volle e non seppe usare di questa potente carica rivoluzionaria. Quali sono le cause? Si conoscono.
La carenza di una classe dirigente adeguatamente preparata, la sprovvedutezza ideologica, oltre che politica, di quanti si arrogarono il diritto al comando, la successiva ascesa ai posti di rettivi da parte di autentici avventurieri della politica. Mentre i giovani ed i reduci del combattentismo repubblicano si battevano sulle piazze per conquistare con la violenza il loro diritto alla vita, altri a livello dirigente si adoperava per involvere e strumentare ai propri fini il MSI. Quando la battaglia esterna fu vinta, quando la piazza fu conquistata, quanti erano andati esaurendo nell'azione le loro energie si accorsero che un nuovo partito era entrato a fare parte -sulla "destra"- dello schieramento democratico Italiano. La lotta fu portata allora all'interno del MSI: fu una lotta sterile perchè ormai le situazioni di potere si erano fortemente cristallizzate. Se si fosse insistito su di una linea di opposizione intransigente all'interno del partito, forse con il passare degli anni sarebbe stato possibile defenestrare la trista genia degli avventurieri politici. Ma il problema si impose come fatto di stomaco, oltre che come espressione di stile. A legionari, usi alla lotta aperta anche nelle situazioni più disperate, divenne impossibile resistere nel clima rivoltante degli inganni, degli intrallazzi, delle camarille. Così il MSI, novella espressione della partitocrazia democratica, ebbe a rappresentare negli anni successivi lo strumento spregevole delle ambizioni basse e biliari di uomini piccoli soltanto biliosi.
Fu perciò, malgrado le innumerevoli occasioni che gli avversari con la loro politica di ruberie e di crassa incompetenza andavano offrendo, che nulla fu fatto in senso rivoluzionario. Il MSI si limitò, sempre ad usum delphini, a partecipare alle competizioni democratiche vivacchiando con la rendita fornitagli dalla base "nostalgica" del corpo elettorale, e si rese incapace non solo degli auspicati slanci rivoluzionari ma sinanco di concrete azioni parlamentari.
Nel 1960 fu lecito ai sovversivi di impedire con il ricorso alla violenza ed alla piazza -a quella piazza già da noi conquistata negli anni '48, '49, '50 - il democratico Congresso nazionale del MSI.
Da allora deambula tra i banchi di "destra" di Montecitorio, con assurde pretese di vitalità ,un autentico putrescente cadavere.
Il senso del reale e la lucidità di giudizio che ci vengono dalla nostra conoscenza della storia e dei sistemi, ci hanno spinto a questa spietata diagnosi.
È chiaro che non può né deve essere nostro compito sostituire il cadavere.
È bene quindi che si abbia il coraggio di tracciare i lineamenti di quella che dovrà essere per naturale vocazione, la nostra battaglia.
Mentre la sovversione comunista si accinge in Italia ad impadronirsi in maniera definitiva e totale della cosa pubblica, mentre il comunismo internazionale, servendosi di sorrisi, di colpi di mano, di sobillazioni, di finti conflitti ideologici ed abusando della ingenuità e del folle desiderio di pace ad ogni costo degli "occidentali", si proietta alla conquista del cosiddetto mondo libero, non è pensabile perdersi ancora dietro false dialettiche democratiche nell'inutile e sciocca speranza di fermare il passo ai nostri avversari.
È tempo -ed è notevole il ritardo- che tutte le autentiche forze fasciste si uniscano per condurre una decisa azione rivoluzionaria contro il sistema e contro gli uomini che lo rappresentano. Per condurre con decisione una tale lotta occorrono uomini consapevoli, preparati, spregiudicati, pronti al sacrificio, I nostri avversari sono potenti, numerosi, ricchi, padroni di situazioni e di istituzioni, appoggiati massivamente dall'intero mondo bolscevico, aiutati da quanti sono disposti a pronarsi, per cecità o per paura, alla nuovissima deità della carta vincente. Noi invece siamo in pochi, poveri, privi di appoggi, circondati dal nemico. La lotta è, come sempre, impari ma non è disperata. Ci è lecito infatti opporre alla potenza e ricchezza altrui la nostra decisione, la nostra preparazione, la nostra audacia, la nostra temerarietà, il nostro entusiasmo, la nostra volontà ferrea di riuscita. Noi dobbiamo usare di questi nostri attributi in maniera da colmare lo svantaggio esistente.
Ci sarà possibile.
Una propaganda adeguata ci consentirà di incontrare simpatie presso i giovani. Dinanzi ai loro occhi noi abbiamo i numeri per apparire i detentori del Verbo, dell'unica Idea per cui valga la pena di vivere e di combattere. Sarà nostro compito di rendere chiara ed interamente accettabile la nostra Ideologia, fare di essa -come realmente è- una autentica Idea-Forza.
I nostri princìpi, le nostre concezioni, le nostre intenzioni, le nostre idee vanno propagandati in maniera efficace, vanno fatti conoscere, non debbono rimanere gelosamente custoditi nel chiuso di conventicole ristrette.
Di qui la necessità di una nostra cultura che si sostituisca progressivamente al ciarpame vomitevole del sovversivismo culturale in auge.
Altra direzione che dovrà seguire la nostra propaganda è quella dell'Esercito e delle Forze di Polizia. I tempi ci sono favorevoli per un tale lavoro. La carenza dello Stato, le sperequazioni morali e materiali, la campagna denigratoria intrapresa dai comunisti nel confronti delle tradizioni militari, non possono non creare un clima di malessere tra quanti in Italia indossano ancora la divisa con la convinzione che indossarla rappresenti, prima di un dovere, un onore. L'Ufficiale, il Sottufficiale, il Carabiniere, l'Agente sono nostri alleati potenziali.
Gli sforzi intesi all'inutile tentativo di portare a noi le masse sono pura follia. Noi dobbiamo interessare quelle élites giovanili, studentesche e militari che adeguatamente attivizzate possano offrire i mezzi per sconfiggere la sovversione. La massa già in astratto è acefala, è amorfa, è armento che segue i più forti per istinto di conservazione e per basso utilitarismo. Noi in quanto portatori di una concezione spirituale della vita, non possiamo strumentare la massa col suscitare in essa interessi che le sono estranei. In concreto, poi, le masse Italiane sono annosamente e scaltramente irretite e schiavizzate dalla DC e dal PCI. Diciotto anni di democrazia ci insegnano che non è consentito operare spostamenti di voti e di consensi in senso contrarlo a quello stabilito dalle segreterie dei partiti di massa. Neanche la disastrosa attuale situazione economica, con lo spettro della disoccupazione e della fame, riesce a smuovere le acque dell'immondo stagno elettorale. La ennesima riprova di quanto sosteniamo si è avuta con i risultati di questi giorni delle votazioni nel Friuli-Venezia Giulia.
Al contrario, ancora una volta, avvenimenti internazionali recentissimi ci indicano inequivocabilmente la via da seguire. Ed è la via rivoluzionaria. È necessario che noi con immediatezza si agisca per gettare le basi per una lotta rivoluzionaria.
Chi ci interessa dovrà comunque seguirci, spontaneamente o costrettovi. Non mancheranno a noi i mezzi per convincere i reticenti! È tempo di finirla con le cialtronerie, i tentennamenti e le vigliaccate. La nostra lotta è titanica. Non è la lotta per la restaurazione nel nostro Paese di un regime a noi favorevole. È la lotta per la riscossa dell'Europa, per la salvezza della civiltà che fa già di Roma contro la sovversione che ci fa apparire "barbari" l'Oriente e l'Occidente.
In tutta Europa vi è una gioventù ardente, disposta a battersi con noi: non saremo noi a scegliere la via della rinunzia, per incapacità o per ignobile vigliaccheria.
Allontaniamo per sempre da noi le illusioni nei fallaci metodi della democrazia ed il resto ci sarà facile. Jose Antonio Primo de Rivera, in risposta a chi lo sollecitava ad inserire la Falange nei ludi democratici, così si espresse in un discorso dell'ottobre 1931: «Le elezioni non ci interessano. Noi non vogliamo inserirci in questo clima avvelenato (…) Noi non desideriamo dividere con i candidati di sempre i resti di un banchetto sporco. Il nostro posto e lontano da tutto ciò. Il nostro posto è all'aria aperta, le armi in pugno, e sopra di noi le stelle».
Una selezionata gioventù europea si batté negli anni quaranta contro le forze congiunte del giudaismo e della sovversione comunista sventolando alto, sino ed oltre la morte, il Vessillo del Nuovo Ordine.
La nostra ultima non fu soltanto la battaglia per lo "Onore d'Italia", il nostro compito non si esaurì con il dramma della guerra civile. La coalizione che ieri riuscì a sconfiggerci con la forza dell'oro e del tradimento, continua ad attentare alle residue vestigia della Civiltà di cui fummo i portatori e gli ultimi difensori in armi.
Il nostro è dunque un appuntamento con la Storia. La lotta iniziata più di venti anni fa contro l'intiero mondo continua. Una lunga sosta ci è stata imposta. Ora è di nuovo tempo di combattere.


PROFILI


Salvo d'Acquisto

 

Come tutti gli eroi, i santi ed i martiri, Salvo d'Acquisto dimostra quanto sia folle e disonesto fondare la convivenza sociale sull'uguaglianza e come l'irriducibile diversità tra uomo e uomo implichi una naturale ed ovvia diversificazione della condotta umana. Infatti, benché la guerra tenda ad essere combattuta da masse anonime sempre più numerose ed appoggiate via via da forze e mezzi sempre meno umani e, nonostante che l'attività civile dell'individuo tenda ad essere sempre più soffocata da attività collegiali, il valore, l'eroismo ed il genio personale rimangono per sempre validissimo coefficiente di vittoria in guerra e di più progredite e civili relazioni sociali in pace.
Salvo d'Acquisto e la prova inconfutabile del nostro asserto.
Quando, dopo l'8 settembre 1943, tutti I valori umani sembravano crollati nella tragedia della sconfitta e nel disonore del tradimento e la stragrande maggioranza degli italiani preferirono la vile attesa del sopraggiungere dei vincitori, gli uomini della Repubblica Sociale Italiana, e con questi Salvo d'Acquisto, si ersero dalle rovine e salvarono l'onore della Nazione, combattendo in campo aperto il nemico multicolore che risaliva la Penisola ed obbligando, con la forza della dignità e della fierezza italiche, gli alleati germanici al rispetto dell'alleanza, là dove essa veniva obliata. Militare figlio di militari, educato alla grande scuola dell'ordine e della disciplina, Salvo d'Acquisto è certamente uno degli eroi più fulgidi della nostra tradizione militare. Nel cielo degli eroi egli siede accanto a Micca e Meattini ed a quanti altri sconosciuti offrirono umilmente ed in silenzio la vita alla Patria. Alto, slanciato, lo sguardo fermo e diritto, il volto bello e fiero, Salvo d'Acquisto s'inquadra tra i più bei campioni della stirpe italica. Fu decorato con la medaglia d'oro al V.M. alla memoria.
Il 22 settembre 1943, per salvare 22 ostaggi che i soldati tedeschi intendevano fucilare per la morte di alcuni loro camerati uccisi proditoriamente, Salvo d'Acquisto si autoaccusò del non commesso attentato e fu fucilato al posto degli ostaggi. Aveva soltanto 23 anni.
La sua breve vita, dedicata interamente al dovere compiuto in nome di ideali superiori -secondo lo stile di vita silenziosamente eroico di tutti i militi della benemerita Arma della quale faceva parte- la sua condotta e la sua eroica morte possono costituire esempio per la gioventù di tutti i tempi e di tutti i paesi.


rosario bentivegna
 

Per trattare adeguatamente di rosario bentivegna, bisognerebbe calarsi nelle fogne. Tarato, nato da famiglia tarata nel corpo e nella psiche (il suicidio del padre ne è prova evidente), anziché scegliere la via pericolosa e luminosa dei giovani della Repubblica Sociale Italiana, r. b. rimane a Roma, aderisce ai primi intrallazzi dei CLN. Fu certamente adescato da Pilo Albertelli e sappiamo sicuramente che finì nelle mani di Lussu e di Montezemolo, i quali pagavano con sterline oro, piovute dagli aerei degli "alleati", gli sciagurati attentatori di fascisti e tedeschi. Renitente alla leva, trovò nella Roma 1944 cosiddetta clandestina, città "aperta" alle peggiori sozzure clerico-bolsceviche, l'ambiente che gli era congeniale ed in esso operò e campò da maestro. Appartenne ad un movimento che, per essere sempre stato ricettacolo di disertori, di traditori della patria e di criminali internazionali, è, oggi più che mai, lontano dal popolo italiano e dai suoi reali interessi, dal suo spirito, dalla sua civiltà.
Basso, tozzo, brutto d'animo e di fattezze, nato a Roma per caso, rosario bentivegna è condannato a passeggiare per le vie di Roma senza assaporare il senso sublime della romanità, trascinando seco con il fardello dei molteplici crimini commessi il marchio infamante degli schiavi giudei.
Vili, vissuti nella codardia e nel disonore familiare e personale, rosario bentivegna e la sua squallida compagna il 23 marzo 1944 uccisero 33 riservisti germanici che, disarmati, attraversavano il centro di Roma cantando gli inni della patria lontana. Il comando tedesco concesse agli attentatori 48 ore di tempo per presentarsi e, non essendosi presentati, rosario bentivegna e la sua compagna uccisero anche 335 italiani che il comando germanico fece fucilare alle cave ardeatine.
Venne proposta per tale azione al nome di rosario bentivegna la medaglia d'oro al V.M. ma, poiché tra gli altri efferati crimini il nostro aveva ucciso, per futili motivi, un ufficiale partigiano, la concessione fu limitata alla medaglia d'argento. La medaglia d'oro venne invece concessa alla consorte, con la quale rosario bentivegna forma la più sordida e ripugnante coppia che sia dato di incontrare.

 

LEGGETE :
DIFFONDETE :

"LA LEGIONE"
milano - via ariosto 11

"ORDINE NUOVO"
roma - via di pietra 84

 




COLLOQUI CON QUASIMODO
 


TRELLO
sostantivo scurrile di caserma evocante alla nostra memoria sonore risate sgangherate bollanti a fuoco spregevoli canaglie flacide.

Questa volta al TRELLO assimiliamo la testa rotonda di SALVATORE QUASIMODO, benpensante professore di semantica, cacone, collaboratore di Tempo, periodico settimanale milanese, premio nobel 1959, del quale offriamo un saggio che ci riguarda nelle pagine seguenti.

Leggetelo meditatelo e sputatevi in un occhio. Poi ne riparleremo.

 


Il mondo e gli eroi

C.D.C. dice: «Ho letto, non so più su quale giornale, un giudizio piuttosto sconsolato sul desiderio di vita "familiare", di vita senza avventure che avremmo in genere noi giovani. Questo giudizio mi ha colpito particolarmente perchè mio padre che si trova in Africa e ha una vita piuttosto ricca di esperienze, mi scriveva nello stesso modo avendogli io parlato dei miei progetti. Sono forse l'estensore dell'articolo e mio padre, uomini di una stessa generazione che reagiscono nello stesso modo, per questo ho deciso di scriverle: per sapere se anche lei è sullo stesso piano e quindi se è tutta una generazione che considera la gloria in un senso o nell'altro come il fine della vita o se, piuttosto, come penso, è un modo di essere non necessariamente conseguente ad una epoca, ad una educazione. Quando sento mio padre, e altri come lui, che giudicano in quei modo noi giovani, non posso fare a meno di pensare alle teorie del superuomo, a D'Annunzio, al fascismo; non posso fare a meno di pensare a quanti miei coetanei ancora oggi vedono il successo, non è il caso di spiegare in che senso, come il valore numero uno. Il lavoro, la famiglia, i rapporti umani vissuti con la coerenza ai propri princìpi, questo per me deve essere alla base della vita e quando mi si risponde che è un po' poco, che siamo poco ambiziosi, che ci facciamo prendere dalla pigrizia di fronte alla vita, mi sento piena di ira perchè so quanto è difficile essere coerenti in una società così priva di veri valori, continuamente sollecitati al compromesso, all'avventura innanzitutto morale. La vita è ricca ed ha senso quando si vivono con pienezza i propri rapporti con la società. Ora bisogna essere eroi ma in un altro senso ma: "infelice il mondo che ha bisogno di eroi", le pare?»
Bisogna intanto vedere che cosa intendono suo padre e chi la pensa come lui per "gloria". Prima di trovarne di autentica è necessario che passino spesso anni e generazioni, certamente si deve andare al di là dei falsi eroi, dei travestimenti nazisti. Lei ha ragione, signorina C.D.C., alcuni impulsi retorici di una generazione che ha sviluppato il suo raziocinio lungo le tavole di errori del Regime, sono di natura extra-umana, come il superuomo dannunziano che (diversamente dalla macabra scenografia nietzschiana) mi ha sempre dato la nausea che provo per ogni atteggiamento grottesco: i monumenti dell'ignoranza, del sopruso, della follia che tanto abilmente sapevano costruire i fascisti.
Ma se suo padre e molti altri si sono lasciati ingannare dal carnevale di mostri della nostra storia, purtroppo recente, per ingenuità o per simpatia crudele con la violenza antistorica, al punto che conservano un nucleo morale identico dopo la caduta dei loro "eroi" e vorrebbero, in buona o cattiva fede, provarlo come uno stampo sui loro figli, essi sono due volte condannabili. Chi ha assistito alla rovina dell'Europa e della civiltà per colpa di quelle teorie che volevano, più o meno, fare di un popolo dei reggimenti di eroi allineati non dal coraggio ma dalla viltà, e, a vent'anni dal fallimento di simile dottrina, ne conserva ancora una memoria attiva vuol dire che il suo male è radicato. E, signorina C.D.C. nè discussione, nè logica, né prova di sangue o di vittoria potranno cancellare la loro immagine del bene. Questa è la gente che parla di "nostalgia"; ma se il rimpianto restasse fermo nella loro mente poco sarebbe il male. Invece, oltre a perdere la loro età già perduta nel tempo e nella sconfitta di un mondo costruito sul vuoto, sono uomini che pretendono di convincere i giovani delle virtù "idealiste" della loro stagione, un po' per scusarsi dell'esplosione che ha devastato le premesse della gioventù contemporanea e molto con la certezza di dover incarnare un apostolato di vendetta per una giusta causa. E voi giovani o credete a queste prediche di bassi profeti di una croce non di avvento ma di sepolta forza omicida e vi gettate con picche e alabarde in difesa degli errori dei vostri padri che, sorridenti, attendono da voi un ritorno al passato, o, come lei, signorina, e tanti altri, ricercate altrove le ragioni essenziali dell'esistenza. E, come esatta reazione alla cartapesta e alle grida nei megafoni imperiali, affermate desideri eroici di naturale amministrazione. Ma l'uomo è civile proprio perchè ha saputo difendere con il sangue e i sentimenti le imposizioni dell'anima e della conservazione della specie.
Forse suo padre e tanti altri non sono che uomini sviati da un sistema di letteratura. Ma facciamo che la superbia non li spinga a una propaganda di idee "wagneriane" che irritano al sorriso i giovani intelligenti che vedono la viscida figura delle cose passate di moda e che, purtroppo, fanno soffrire o ingannano chi nasce indifeso dalla cultura e dalla saggezza spirituale per le dottrine di questo mondo. Esse sono molte, ma si potrebbero dividere in due opposte; la verità e l'errore stanno sempre in due campi avversi.
Ma, fra i giovani che furono contemporanei a suo padre, erano anche i coraggiosi della Resistenza, coloro che hanno costruito l'epica del '45. E non ascolti i discorsi di demolizione della gloria partigiana che molti di quelli che disprezzano i suoi ideali di coerenza sarebbero pronti a farle; ci sono, per la fortuna delle nuove generazioni, i documenti del loro male e dell'altro bene.

SALVATORE QUASIMODO
 


Avete letto bene?
Per favore rileggete ancora una volta!
Grazie!

 



BERENICE di BRASILLACH al FIAMMETTA di ROMA



Al Teatro Fiammetta di Roma è stata portata sulla scena, a cura dei ragazzi di Avanguardia Nazionale, "BERENICE" di Robert Brasillach. Per la prima volta è stato possibile spezzare le maglie della mafia "intellettuale" sovversiva e si è potuto dare una rappresentazione del poeta "maledetto* francese. Maledetto perché fascista!
Berenice non fu scritta da Brasillach per la scena; forse altre opere del poeta -che fu definito da Paul Sérant il più romantico dei Fascisti di Francia- sarebbero state meglio adatte per una rappresentazione.
Sulla scelta hanno evidentemente pesato notevoli motivi di polemica e di attualità; siccome gli avversari hanno accusato il colpo si è avuta la prova del nove sulla validità di siffatta scelta.
Al disopra del dissidio tormentoso tra l'amore e la ragion di stato che si agita nell'animo di Tito, si eleva la certezza del legionario Paolino nei Valori eterni della Tradizione e della Razza». È da questa certezza che giunge a noi attraverso le parole del legionario il messaggio di fede nella vitalità della Tradizione che già fu di Roma. Ai giovani di Avanguardia Nazionale il merito di ciò che va considerato un autentico avvenimento. Grazie ai coraggio ed allo spirito di sacrificio di questi giovani, che hanno dovuto affrontare e saputo superare ostacoli di ogni sorta, un duro colpo è stato inferto a chierici e sovversivi da anni monopolizzatori di teatro e di cinema.
È nostro augurio che si possa continuare in forme più adeguate e sempre più appropriate nel lavoro iniziato con questa prima rappresentazione. Anche lo Spettacolo è infatti un mezzo, e non l'ultimo, per la nostra battaglia rivoluzionaria, "Je garde le drapeau noir et les copains comma une des mes divises sacrées", scriveva Brasillach poche ore prima di affrontare il plotone di esecuzione.
Sia da noi agitato ovunque e sempre il nero vessillo della Rivoluzione.


CAMPEGGIO ESTIVO pei giovani del GRUPPO ROMANO
 

L'organizzazione del campeggio estivo pei giovani del Gruppo romano è in avanzata fase di realizzazione. Gli ospiti si avvicenderanno in turni di 20 giorni, in una tendopoli che essi stessi realizzeranno in una amena località dell'Appennino Centrale al disopra dei 1000 metri s.l.m.
Le adesioni si ricevono presso la Segreteria del Gruppo in Roma - Lungotevere Prati n. 22 nelle sere di lunedì e venerdì.


INTERESSANTE NOVITÀ EDITORIALE
 

Il "Gruppo di Ar" - Padova, Via Patriarcato 18, ha curato la edizione in lingua italiana del "Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane" del De Gobineau, caposcuola nella seconda metà del secolo scorso del "razzismo scientifico". Una novità nella nostra lingua che è fondamentale per la conoscenza del problema razziale.
L'opera può essere acquistata presso l'editore al prezzo di lire 2.000 la copia.

 


Non scrivete parolacce -ammonisce L.G. di Roma - perché costituiscono, comunque, una stonatura e fanno scadere il tono, che giudica pregevole ed interessante, di Emme rossa.
Parole sante! Ma benedetti camerati! Il nostro bollettino interno è destinato a dei soldatacci e noi non abbiamo, certamente, fatto l'esaltazione del turpiloquio ed, a parte la considerazione che la schiettezza non è mai un male, ci piace chiamare le cose col proprio nome e cognome.
Inoltre, quando ci vuole, ci vuole. Anche la parolaccia.

Chi erano Fiorenzo Bava Beccaris e Luigi Gerolamo Pelloux ci chiedono diversi camerati tra ì quali desideriamo mettere in evidenza A.G. di Palermo per la valida motivazione perentoria della richiesta.
Non possiamo fare un condensato bibliografico né tracciare la biografia dei due illustri carneadi. Mettiamo in luce le sole notizie che chiariscono lo spunto polemico contenuto a pagina 2 del bollettino uscito a marzo. Dunque:
- Bava Beccaris Fiorenzo, fu regio commissario a Milano per condurre in Lombardia la repressione dei moti socialisteggianti del 1898. Non adoperava i guanti.
- Pelloux Luigi Gerolamo, invece, i guanti li adoperava. Infatti nel 1898 era presidente del Consiglio dei Ministri e, nonostante Bava Beccaris, ci durò altri due anni.
Piemontesi e generali, come Badoglio Pietro, tutti e due sono morti nel 1924.

Mattone. Emme rossa è un mattone. Questa la conclusione che tira, amareggiato, R.D.C. mantovano.
Hai ragione da vendere, caro camerata ed amico. E noi, ci puoi credere, vorremmo avere non un bollettino interno, ma un poderoso quotidiano, duttile e penetrante, affiancato da cento e cento riviste con duecentouno segretari a sudare per ricacciare indietro l'esercito di tutti i pennivendoli di questo mondo ed al centro della faccenda te, caro R.D.C. mantovano, camerata ed amico, con la frusta in una mano e nell'altra un gatto a nove code. Pensa che risate ci farebbe fare la televisione italiana! In attesa, mettiamoci un po' di fantasia ed il mattone lieviterà.

Papagiovanni e Vaticano sono nel cuore di un gran numero di fascisti, a sentire i combattenti che sono letteralmente insorti per invitarci a tacere sulle opinioni che abbiamo abbozzato in proposito.
Maledetti Fregnoni!!! Quando comincerete a ragionare col cervello! Non siamo anticlericali e non lo siamo mai stati ma è chiaro che non possiamo consentire a nessuno, neanche a chi ci vuol bene, di cambiarci le carte in tavola.
Ma voi quando volete cominciare a pensare che scomuniche e sillabo, in tempi di politica del sorriso e delle audaci cortesie, non servono a nulla e che la faccia scura di Papapaolo non è la grinta di Giulio II? Vorremmo proprio vederlo il papa che fa il cattivo, maledetti fregnoni! Quasi certamente voi non siete in grado di fare il conto delle pesanti scomuniche contro il modernismo ed i suoi derivati seguite da Pio IX a questa parte, ma chi di dovere il conto lo tiene aggiornato ed altri di dovere, ritenuto di dover tirare le somme, ha constatato che Canossa esiste soltanto su qualche guida turistica, che Nicola Krutscev non è Enrico IV, che Elisabetta II non è la contessa Matelda, che Lyndon Johnson non somiglia neanche lontanamente a Goffredo di Buglione e che, se i Cinesi sono infedeli, Maotsè non è un califfo e non discende dal profeta.
Ed allora, Vi pare strano se anche noi guardiamo le cose come ci pare? Maledetti fregnoni! Volete prendere atto, almeno, che il cuore non è fatto per ragionare e che il prete ha dimenticato tutte le benedizioni che ha impartito a noi ed a voi? La demagogia e la retorica lasciamole da parte, anche perchè hanno già "La rivista romana" ed il loro bravo paladino. Teniamo presente, invece, che esiste un conto che è sempre aperto. Lo abbiamo acceso nel 1929 d'amore e d'accordo. La scadenza della guerra ha visto gravemente insolvente l'altro contraente e noi, pazientissimi creditori, abbiamo "accompagnato" il nostro debitore la sciandogli compiere, con una generosità che non trova riscontro in nessun altro periodo della Storia patria, tutti gli atti di sleale concorrenza che ha voluto compiere. Malauguratamente, abbiamo valutato il rischio senza imporre interessi, diritti e commissioni di sconto e ci siamo ritrovati sul gobbo la crisi del '43. Al nostro dissesto non è seguito quello del nostro coobbligato che, non solo non si è preoccupato di "accompagnarci", ma ha lasciato che pagassimo da soli le cambiali a firma congiunta.
Ci siamo dissanguati, ma ora conviene essere pazienti perchè la controparte ha da perdere ed i titoli sono rimasti in mano nostra. Così annotiamo metodicamente tutto sul nostro conto, che è fortemente in attivo per noi, ed appena alla porta della Storia busserà l'Ufficiale giudiziario, state tranquilli, non potremo limitarci a far levare il protesto, se la cassa contanti non avrà, come noto, registrato l'introito nelle quarantotto ore rituali.

Archivi personali che conservano personali miserie stuzzicano la curiosità di O.S. da Perugia che ci chiede notizie e dice di saperla più lunga di "Continuità".
Non ne sappiamo nulla.
Il tarlo del sospetto, però, (anche noi siamo fragili creature umane) ci ha punto in fondo all'orecchio. Non ce ne importa gran che, ma siccome la riservatezza, nel nostro ambiente, è cosa assai rara abbiamo dato qualche credito alla voce -e la gravità del fatto giustificherebbe il riserbo- che in mezzo a cianfrusaglie inutili quegli archivi gelosi custodiscano pregevoli copie delle preziose immagini di Marylin Monroe in costume adamitico.
Povera Marylin Monroe, che ci fanno dire i luoghi comuni! Provate ad immaginare la splendente nudità di quel che ci ricordiamo di Marylin Monroe con … il baffo destro del Conte Teodorani, notoriamente formidabile come quello di padre Adamo.

 

per la biblioteca circolante del Gruppo romano abbiamo bisogno delle seguenti opere, che ci vengono continuamente richieste dato il loro carattere documentaristico:

- Roberto Farinacci
Storia della Rivoluzione Fascista - 3 voll.

- Ermanno Amicucci
I 600 giorni dì Mussolini

abbracceremo chi ce le farà avere.


DOCUMENTI


Il 26 aprile 1954 il Tribunale Militare Supremo, accogliendo in gran parte le tesi difensive de gli accusati, riformava la sentenza con la quale il Tribunale Militare di Milano aveva condannato alcun Ufficiali della "Tagliamento".
L'importanza della decisione non sfuggì alla F.N.C.R.S.I. che -quasi subito- ad iniziativa dell'Ispettorato Alta Italia ne diffuse in decine di migliaia di esemplari un estratto presentato con una lucida e nobile prefazione di Piero Pisenti, Ministro Guardasigilli vivente della Repubblica Sociale Italiana.
Il fatto non sfuggì neanche agli avversari che ne trattarono con abbondante astio e con la faziosità che è loro propria ma senza quel minimo di serietà che possa oggi giustificare una qualsiasi particolare citazione.

Concludeva il Ministro Pisenti:
«(…) La sentenza ha dunque scritto un capitolo di storia prefazione e premessa a quella completa ricostruzione obbiettiva di un drammatico periodo della vita italiana che, se fu tumulto di lotte e di sangue, è tuttavia illuminato dalla luce del sacrificio e della fedeltà a ideali che non tramontano.
Può dirsi che fin qui la necessaria polemica, materiata di affermazione e negazioni, di accuse e di rivalse, non abbia offerto da parte nostra quella organica documentaria dimostrazione di cui la pubblica opinione è stata sempre in attesa. Da ciò l'importanza e la necessità di far conoscere il responso della Giustizia sulle più ardenti questioni di fatto e di diritto scaturite dal tempo della Repubblica Sociale Italiana (…)».

Un altro decennio si è concluso, dopo la pubblicazione di quella sentenza, e gli avversari hanno consolidato l'uso delle vigliaccate ed il ricorso alla violenza con le armi più sottili e spregevoli.
Quella decisione del supremo Magistrato militare italiano è quindi sempre attuale ed acquista particolare valore, difronte alle menzogne ed al veleno che vengono vomitati a proposito ed a sproposito, in ogni occasione, giorno e notte, sempre, da chierici e da bolscevichi, sugli italiani nel tentativo di camuffare per valida una situazione che essi stessi, evidentemente, sentono tragica ed inconsistente.
Noi non possiamo sottoscrivere in bianco la decisione in questione, perché dall'Alto Collegio giudicante, una volta poste con lucidità ed esattezza le premesse riportate dalla sentenza, era logico e doveroso arrivare a tutte le conclusioni, anche a quelle estreme, nello spirito delle seguenti considerazioni che fanno parte del documento:
«(…) in questa sede non può trovare asilo passione politica alcuna. Nell'immediato dopoguerra le divergenze politiche e Ideali, i risentimenti delle famiglie e degli individui, il sangue sparso e la visione della Patria umiliata, dilaniata e infranta, ebbero indubbiamente influenza sul corso normale della giustizia, che, attraverso l'Alta Corte e le Sezioni Speciali di Corte d'Assise pronuncio talvolta severissime ed estreme condanne. (…) Le leggi del vincitore avevano dettato severissime norme contro il collaborazionismo; ma al giudice spettava e spetta di esaminare e vagliare se tradimento ci fu. (…) Questo Tribunale Supremo Militare, giudice esclusivo del diritto, sente l'altezza del suo compito, nell'ora in cui è doveroso esprimere una valutazione ed un esame approfondito, sereno ed obbiettivo delle questioni proposte, nel rispetto delle Convenzioni internazionali e del diritto interno, (…)»
Torneremo quindi in argomento con il nostro commento organico. È necessario intanto che i combattenti possano e sappiano usare delle validissime argomentazioni che la decisione offre, contro le ignobili menzogne dei preti in vena di reminiscenze temporaliste, dei socialboches e dell'ebraismo associato,
I combattenti, dunque, tengano presente che sin dal 1954 il Supremo Magistrato Militare Italiano, ha stabilito con la indiscussa autorità che gli compete e con il peso della cosa giudicata, passata in giudicato, che:
1) i Combattenti della Repubblica Sociale Italiana hanno diritto ad essere riconosciuti e trattati come belligeranti;
2) gli appartenenti alle formazioni partigiane non hanno tale diritto;
3) la Repubblica Sociale italiana, era soggetto di diritto internazionale e quindi Stato ex pleno ]ure nei confronti delle Potenze straniere che l'avevano riconosciuta, e tra queste alcuni Stati neutrali;
4) la Repubblica Sociale Italiana era uno Stato di fatto nei confronti delle Potenze Alleate e dei cobelligeranti italiani, ma poteva essere considerata erroneamente Stato di diritto anche in questo caso, per cui l'errore ha valore discriminante;
5) la subordinazione gerarchica militare nell'ordinamento giuridico interno proprio della Repubblica Sociale Italiana era legittimo e conforme alla legge italiana ed ai trattati e convenzioni internazionali. I Combattenti della R.S.I. -tutti- dai militari dell'Armata Liguria, alla X MAS alle Brigate Nere, alle Forze di Polizia, anche ausiliaria, alle Formazioni della Guardia, alle SS Italiane, al SAF, ai militarizzati, dovevano obbedienza ai loro superiori ed hanno diritto alla discriminante dell'adempimento del dovere;
6) le fucilazioni e le soppressioni con altri mezzi senza giudizio (e sono centinaia di migliaia) costituiscono quindi crimini orrendi ai sensi della legge penale militare italiana, delle Convenzioni internazionali e degli usi di guerra;
7) le soppressioni avvenute in base a sentenze delle Corti di Assise Speciali e delle due Sezioni della Suprema Corte di Cassazione traggono la propria forza non dalla maestà del Re (il più piccolo dei Savoja oltre a non essere per niente maestoso era nello stesso tempo cobelligerante, prigioniero e nemico in stato armistiziale delle Potenze Alleate) né dal Popolo Sovrano, né dallo stato di necessità, ma dagli ordini del nemico, riconosciuto come tale.

Nelle pagine seguenti i passi più significativi della Sentenza del Tribunale Supremo Militare in data 26 aprile 1954 (PRESIDENTE: Buoncorapagni, RELATORE: Ciardi ).
«... Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 la sovranità di fatto o meglio l'autorità del potere legale, fu nella parte dell'Italia, ove risiedeva il Governo legittimo, esercitata dalle Potenze alleate occupanti. Non poteva altrimenti essere, dal momento che, durante il regime di armistizio, permaneva lo stato di guerra e l'occupante era sempre giuridicamente «il nemico».
«Basti considerare che TUTTE LE LEGGI E TUTTI I DECRETI, COMPRESA LA LEGGE SULLE SANZIONI CONTRO IL FASCISMO (ORDINANZA N. 2 DELLA COMMISSIONE ALLEATA IN DATA 27 APRILE 1945), RICEVEVANO PIENA FORZA ED EFFETTO DI LEGGE A SEGUITO DI ORDINI DEGLI ALLEATI.
«PERTANTO, IL GOVERNO DEL RE ERA UN GOVERNO CHE ESERCITAVA IL SUO POTERE "SUB CONDICIONE", NEI LIMITI ASSEGNATI DAL COMANDO DEGLI ESERCITI NEMICI.
«Se questi erano gli aspetti giuridici della Sovranità nell'Italia del Sud, NON POTEVA PER CERTO IL LEGITTIMO GOVERNO ITALIANO, CHE AVEVA SOLO QUELLA LIMITATA POTESTÀ CHE LE POTENZE OCCUPANTI GLI CONCEDEVANO, INTERFERIRE NELL'ITALIA DEL NORD E DEL CENTRO. DOVE GLI ALLEATI NON ERANO ANCORA PERVENUTI. LA AUTORITÀ DEL POTERE LEGALE ERA COLÀ IN ALTRE MANI; UNA NUOVA ORGANIZZAZIONE POLITICA ERASI CREATA, CON UN PROPRIO GOVERNO, E, CIOÈ, LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA, RICONOSCIUTA COME STATO SOLTANTO DALLA GERMANIA E DAI SUOI ALLEATI.
«Indubbiamente tale nuovo Stato non poteva essere considerato soggetto di diritto internazionale, con gli attributi della piena sovranità dagli Stati che non lo avevano riconosciuto; esso assumeva, almeno formalmente, la piena personalità giuridica solo di fronte agli Stati che gli avevano conferito detto riconoscimento. Tuttavia non poteva, nel campo del diritto delle genti, negarsi che, comunque, un'organizzazione statuale, sia pure di fatto, esisteva, avente capacità giuridica propria e una propria sfera, se pur limitata, di autonomia, la quale ultima, si rilevi, non è sinonimo di indipendenza e di sovranità che altrimenti dovrebbe parlarsi di Stato di diritto.
«DAL PARALLELO CHE SCATURISCE TRA IL REGIME DEL CENTRO-NORD E QUELLO DEL SUD APPARE, ADUNQUE. CHE, "DE FACTO", IL GOVERNO LEGITTIMO E QUELLO DI MUSSOLINI AVEVANO UNA LIBERTA' LIMITATA; "DE IURE", ERA, PERALTRO, "PRECLUSA, AL GOVERNO LEGITTIMO, OGNI INDIPENDENZA, MENTRE, INVECE, TALE FORMALE PRECLUSIONE NON ESISTEVA PER LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA CHE EMANAVA LE SUE LEGGI E I SUOI DECRETI SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELL'ALLEATO TEDESCO».

I COMBATTENTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE DEBBONO ESSERE CONSIDERATI BELLIGERANTI
« Mai è avvenuto nella storia di tutte le guerre, di negare tale caratteristica alle truppe che non accettano la resa. Colpevoli i combattenti che non obbedirono agli ordini del Re, di fronte allo Stato italiano, ma sempre soldati e belligeranti di fronte al nemico.
I combattenti che non si arresero ritennero di dover mantenere fede all'alleato tedesco, e fronteggiarono a viso aperto l'avversario, venendo dal medesimo fino all'ultimo trattati come combattenti e come belligeranti.
«L'art. 40 del citato regolamento annesso alla Convenzione dell'Aja dichiara che ogni grave infrazione dell'armistizio, commessa da una delle parti, dà diritto all'altra di denunciare e, in caso d'urgenza, anche di riprendere immediatamente le ostilità. Nella specie che ci occupa non ci fu infrazione da parte dello Stato italiano, ma solo da parte di considerevoli unità, di terra, di mare, e dell'aria. Ed allora il conflitto non ebbe a cessare: gli alleati fronteggiarono egualmente truppe tedesche e italiane, e solo più tardi, molto stentatamente, si attuò la cobelligeranza coi reparti regolari italiani, fiancheggiati dalle formazioni partigiane.
«Ciò appartiene alla Storia!
«NON PUÒ, PERTANTO, NEGARSI, ALLA STREGUA DELL'ART. 40 SUDDETTO, CHE GLI APPARTENENTI ALLE FORZE ARMATE DELLA R.S.I. ABBIANO CONSERVATO LA QUALITÀ DI BELLIGERANTI, NÉ È POSSIBILE CONCEPIRE CHE TALI FORZE AVESSERO DETTA CARATTERISTICA SOLO DI FRONTE AGLI ALLEATI E NON AL COSPETTO DEI COBELLIGERANTI ITALIANI.
«Ecco come si spiega il trattamento di prigionieri di guerra concesso dagli alleati -d'accordo col Governo legittimo italiano- ai militari delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana, sin dai primi mesi del 1944. Ciò vale a smentire quelle teorie unilaterali che, ormai, sono del tutto superate, con cui si vuole negare il carattere di belligeranti ai combattenti della Repubblica Sociale Italiana, argomentando in maniera erronea e fallace, in base alle norme della legislazione italiana post-fascista, che, come si è rilevato, non ha, sotto il profilo del diritto internazionale, alcuna veste e alcuna autorità al riguardo.
«BELLIGERANTI, ADUNQUE, ERANO I COMBATTENTI DEL CENTRO-NORD, ANCHE SE RIBELLI O INSORTI E, QUINDI, PUNIBILI SECONDO IL DIRITTO INTERNO IN BASE ALLO SVOLGIMENTO DI REGOLARI GIUDIZI».
«MA PURE DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA SI CONFERMA LA TESI SUESPOSTA. ACCERTATO CHE LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA CONCRETAVA UN GOVERNO DI FATTO, SOGGETTO DI DIRITTO INTERNAZIONALE, ENTRO CERTI LIMITI, NON POTEVA, SOTTO QUESTO RIFLESSO, NEGARSI AI SUOI COMBATTENTI LA QUALIFICA DI BELLIGERANTI.

NON BELLIGERANZA DEI PARTIGIANI
«All'uopo si osserva:
1) I belligeranti devono avere a capo una persona responsabile per i propri subordinati. Non si comprende come il concetto di responsabilità possa conciliarsi con quello di clandestinità, per cui i capi del movimento partigiano, per non farsi riconoscere, per non essere identificati e traditi, e correre l'immediato rischio di morte, si nascondevano sotto pseudonimi, eliminando, per tal modo, quanto meno le responsabilità di ordine immediato.
2) I belligeranti devono avere un segno distintivo fisso, riconoscibile a distanza. La sentenza non ha affatto dimostrato -e non lo poteva- che esistesse un distintivo fisso di tal genere, comune a tutti i partigiani e riconoscibile a distanza, sostitutivo, in altri termini, della uniforme. La lotta clandestina, condotta dai partigiani senza dar quartiere e senza riceverne, imponeva dei metodi e degli accorgimenti che contrastavano coi segni di riconoscimento richiesti.
3) I belligeranti devono portare apertamente le armi. La stessa sentenza riconosce che non sempre ciò era possibile, poichè tale requisito deve essere considerato «alla luce della tecnica particolare della guerra partigiana».
«PERTANTO DEVE CONCLUDERSI CHE I PARTIGIANI, EQUIPARATI AI MILITARI, MA NON ASSOGGETTATI ALLA LEGGE PENALE MILITARE, PER LO ESPRESSO DISPOSTO DELL'ARTICOLO 1 DEL DECRETO LEGGE 6 SETTEMBRE 1946 N. 93, NON POSSONO ESSERE CONSIDERATI BELLIGERANTI, NON RICORRENDO NEI LORO CONFRONTI LE CONDIZIONI CHE LE NORME DI DIRITTO INTERNAZIONALE CUMULATIVAMENTE RICHIEDONO.


* * *
 

È OVVIO CHE, NEI LIMITI CONSENTITI E IN OMAGGIO ALLE ESIGENZE DELL'UMANITÀ I GOVERNI DI FATTO NON POSSONO ESSERE TRATTATI SENZ'ALTRO COME GOVERNI AVENTI GIURISDIZIONE SU UN'ACCOLITA DI RIBELLI E DI FUORI LEGGE; CHE' ALTRIMENTI, ACCERTATA L'ORIGINARIA E LIBERA VOLONTÀ DI PORSI AGLI ORDINI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA, RISULTEREBBE IMPONENTE IL NUMERO DEI COLPEVOLI DI COLLABORAZIONISMO, SIA PURE BENEFICIATI DI AMNISTIA; IN QUESTA IPOTESI LA DELINQUENZA POLITICA SI SAREBBE PALESATA COME GENERALITÀ DI VITA VISSUTA DA CENTINAIA DI MIGLIAIA DI UOMINI E NON COME ECCEZIONE; IL CHE NON PUÒ ESSERE, PERCHE' È L'ECCEZIONE CHE DELINQUE E NON LA GENERALITÀ.
«D'ALTRONDE, COME PUÒ OGGI PARLARSI PIÙ DI UNA ACCOZZAGLIA DI RIBELLI, QUANDO LA CONVENZIONE DI GINEVRA HA INTESO PROPRIO TUTELARE I MOVIMENTI DI RESISTENZA ORGANIZZATA, COME SOPRA E' DETTO?
« Ma v'ha di più!
«La tesi del giudice di merito non può essere accolta. UNA VOLTA RICONOSCIUTO CHE LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA COSTITUIVA UN GOVERNO DI FATTO E CHE I SUOI COMBATTENTI DOVEVANO ESSERE CONSIDERATI BELLIGERANTI, NE CONSEGUE CHE GLI ORDINI IMPARTITI DAI SUPERIORI AI LORO SUBORDINATI DOVEVANO ESSERE ESEGUITI. NON PUÒ FAR VELO ALLA SOLUZIONE DEL QUESITO, CHE È DI ORDINE STRETTAMENTE GIURIDICO, IL CARATTERE INSURREZIONALE DEL GOVERNO SUDDETTO, PER TRARNE L'ILLAZIONE GENERICA DELLA ILLEGITTIMITÀ DI TALI ORDINI.
«LA LEGITTIMITÀ O L'INTEGRITÀ NON È IN FUNZIONE DELLA INSURREZIONE, DELLA RIBELLIONE AL POTERE REGIO, MA VA POSTA IN RELAZIONE ALL'ORGANIZZAZIONE POLITICA E MILITARE CHE SI ERA COSTITUITA CON IL SUO ORDINAMENTO GIURIDICO, CON LE SUE LEGGI, CON LE SUE AUTORITÀ.

 

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