[Editoriale]
È passata l'estate, la strana
estate del '64 che ha indugiato nel sole, quasi a sottolineare con la
sua costanza agli occhi degli uomini distratti la inanità delle azioni
che l'hanno messa a rumore, dei fatti in cui è esplosa.
Potremmo parlarvi di tante cose. Delle frescacce che ci ha raccontato da
New York. Ruggero Orlando, di Togliatti folgorato nella sede più
acconcia, delle tonnellate di schifezze che nella transumanza da Palazzo
Dongo a San Giovanni ha lasciato ai netturbini degli indifferenti
quiriti l'armento godereccio che ha immortalato l'ultimo viaggio del
massimo criminale politico di stirpe italiana. Ed inoltre, di Nenni, di
Moro, dell'on. Piccoli, di Fanfani, di Saragat e di Scelba. Poi, Dòenitz
a Monsummano, il Tonchino, De Gaulle, la Spagna, le Olimpiadi di Tokio e
quelle di Roma, Cuba, Cipro, il Cairo e le Acque del Giordano, l'IGE e
la congiuntura. Vogliamo invece occuparci di un argomento più trito: il
IX Congresso della Democrazia Cristiana. Un acuto osservatore politico,
la cui perspicacia era stata per giunta acuminata e brunita con
frusciante grano, ha scritto ammirato che, con le parole del IX
Congresso DC, messe una dietro l'altra, avremmo potuto raggiungere la
luna e tornare.
Pensate alle inutili fatiche di Von Braun e dei suoi colleghi russi. Qui
da noi, il viaggio di andata e ritorno per la luna, pallida, gialla,
verde o rossa che sia, costa soltanto tre giorni di chiacchiere con
appendice notturna. In altri tempi non sarebbe stato possibile e basta.
Vero che in quei tempi furono condotti in Italia studi ed esperienze che
sono stati fondamentali per lo studio dei fenomeni connessi al volo
suborbitale, ed è vero inoltre che il primo aeroplano a reazione che ha
solcato i cieli portava splendenti nel sole i segni del Littorio, vero
ancora che primati raggiunti in quei tempi nel volo cosiddetto
tradizionale non sono stati più uguagliati. Ma che i fascisti avrebbero
raggiunto la luna è cosa che non si può affermare con altrettanta
sicurezza. Ed è vero, come è vero che i cristiani democratici nostrani
hanno raggiunto, finalmente, la luna a chiacchiere. Un risultato tanto
importante da oscurare quelli -pure rumorosamente conclamati in pieno
Congresso- della vittoria elettorale nella Repubblica di San Marino e
del presunto avvento della democristianeria nella Repubblica del Cile.
Non ci importa dei protagonisti e delle comparse. Delle verità dette, di
quelle semidette e di quelle taciute. E, per ora, non ci importa neanche
dei motivi per cui quelle verità sono state dette, maldette o
dimenticate. Né della lotta per il potere all'interno del partito e così
delle promesse scambiate e non mantenute, del trasformismo tattico che
ha imperato sovrano, dell'incetta dei voti di cui erano portatori i
cafoni più sprovveduti, numerosamente rappresentati. Sono i giocattoli
della democrazia e gente democratica per definizione non poteva non
baloccarcisi. Ci interessano invece due aspetti del IX Congresso DC.
1) La vittoria dello strano moderatismo, stranamente inalberato dal
segretario del partito e dal Presidente del Consiglio dei Ministri, è
apparente ed illusoria. Tutto l'orientamento della logorrea
congressuale, eccettuate le inconsistenti posizioni del centrismo
scelbiano, è stato volto a posizioni politiche di avanzato sinistrismo
sino a superare, con le dichiarazioni dei sindacalisti, le stesse
posizioni dell'alleato PSI. Ciò significa in primo luogo che il 40%
circa dei consensi riscossi da Moro è minato dal 60% circa del partito
di maggioranza relativa, giunto così a sconfessare il proprio Presidente
del Consiglio dei Ministri alla vigilia di scadenze pesanti. La prova
del nove è contenuta nelle note vicende per la conversione del decreto
sull'IGE. In fatto di contorsioni Aldo Moro è diventato un maestro e
siccome sappiamo che sarà costretto ad andare per tetti, staremo a
goderci lo spettacolo. In secondo luogo, che circa il 90% del partito di
maggioranza relativa è volto a cercare a sinistra un programma ed una
rivincita. Ed ancora, che i cristiani democratici e progressisti non si
rendono conto di che cosa significa la concorrenza ai comunisti sul loro
terrena.
2) La famosa diga contro il comunismo è stata sommersa nel mare degli
sbracamenti e del compromesso che è ideologico prima che politico. È
stato tentato qualche richiamo ai princìpi dell'ortodossia cattolica, ma
esso è servito soltanto come shot pubblicitario per tirare ad una certa
osteria i cafoni di cui abbiamo parlato più sopra. Neanche San Giuseppe
Pella è riuscito a scuotere l'uditorio disattento su argomenti che
avrebbero fatto riscuotere, per esempio, al trapassato De Gasperi
ovazioni da spellare le mani. Il solito Flaminio Piccoli ha tentato, è
vero, di arginare le strette di mano a Pietro Ingrao, mefistofelico capo
degli osservatori comunisti, ma il tentativo è caduto nella ilarità
generale e l'episodio serve a dare con realistica approssimazione la
misura dello sbracamento.
Cosa significa tutto questo? Qualcuno ha scritto che trattasi di gente
ormai perduta per la lotta contro il comunismo. Precisiamo che noi non
abbiamo mai creduto ai velleitarismi anticomunisti della DC e, più
semplicemente, che questa gente non è stata mai disponibile per la lotta
contro il comunismo. Né Chiesa, né Papa, né solenni dichiarazioni
conciliari varranno a mutare le pratiche politiche di costoro in utili
strumenti di lotta anticomunista. Questo semplicemente perché democrazia
e comunismo non sono che due tempi dello stesso malanno e, dei due
presunti antagonisti, la DC -per sovrammercato- si è inviluppata sin dal
nascere nel rovesciamento di posizioni che il marxismo ha portato nella
dialettica politica ed è, quindi, vittima predestinata. Ed,
intendiamoci, non da oggi. Forse avremo tempo di parlarvi di Gerardo
Bruni, di Franco Rodano, di Domenico Ravaioli, di Costantino Mortati e
di qualche altro biancofiore. Vedremo insieme quanti baffi è disposta a
fare la DC al marxismo scientifico ed alla cosiddetta filosofia
comunista.
Il Centro Editoriale Nazionale
continua con successo fa diffusione de
"LE IDEE CHE MOSSERO IL MONDO"
di Pino Rauti
730 pagg. formato enciclopedia L. 12.000
Non è solo una ricostruzione storica, è una sintesi superba,
è l'interpretazione «nostra» dei grandi movimenti ideali
dell'umanità, delle guerre, delle espansioni, delle
rivoluzioni, dal Turan all'islamismo, dalla Romanità al
Medio Evo, dall'islamismo all'americanismo, alle rivoluzioni
nazionali europee.
VENDITA ANCHE RATEALE
Per informazioni scrivere al CEN - VIA TOSCANA, 10 – ROMA |
W. T. P. di Roma, ha scritto per noi
VENTI ANNI DOPO
Questa non è la storia dei famosi
moschettieri. La fortuna non ha arriso ai prodi e la Storia, nel suo
giudizio, fatalmente non sarà vicina a noi. Il divenire lento di una
ideologia destinata ad essere dottrina, si muove verso le sue
conclusioni obiettive, ed i moschettieri, ovvero i ragazzi di ieri,
disperatamente tentano di arrestarne il corso, per continuare ad amare i
simboli dei quali sinceramente erano innamorati.
Lo spettacolo è commovente e disperato!
Guardiamolo con fiducia, ma essenzialmente con onestà. Riprendiamo la
storia che ci è comune, là dove ebbe ad arrestarsi, perche questa è una
storia che continua. È la storia di una minoranza ufficiale e di una
maggioranza ufficiosa
Ma da dove dobbiamo ricominciare?
Vogliamo parlarne fra noi, una chiacchierata in famiglia?
Io, personalmente vorrei cominciare, rammentando quanto mi disse a
Londra, molti anni fa, un buon soldato inglese, un vero combattente. Non
faceva della politica, né gli interessava. Era, forse lo sarà ancora, un
soldato di mestiere. Serviva il suo Paese, senza porsi domande. Mi
diceva: un antifascista si differenzia da un fascista, perché è il solo
fra i due a conoscere cosa sia veramente il fascismo e lo teme, perche
attuale, più aderente alla realtà futura che a quella presente, e non
gli piace, più per posizione preconcetta che per deduzioni di merito. I
fascisti invece, guardano al fascismo come ad un grande spettacolo che
li sorprende e li meraviglia. Della struttura intima del pensiero
fascista conoscono poco se non niente.
Questa, una opinione che allora mi apparve inaccettabile. Oggi mi da
molto da pensare.
Cosa è successo, dalla caduta del fascismo in poi?
L'antifascismo ufficiale ed al potere, celebra le così dette efferatezze
fasciste. Il neo fascismo ufficiale lo ripaga di uguale moneta, dalle
posizioni di secondo ordine nelle quali si trova. Quindi con minor
rumore!
Tutto questo a cosa serve? Possiamo capire la posizione
dell'antifascismo, troppo povero di vera storia per disporre di una
ampia scelta di argomenti tali da impressionare l'opinione pubblica,
mentre per il neofascismo non esistono giustificazioni per così cattive
scelte, quando la sua storia recente ogni giorno si riscopre con
lucentezza, nel giudizio dell'umile e del colto.
Perché l'assurdità del nostro problema, trova riscontro proprio nella
contraddittorietà delle posizioni del neo fascismo e di larghi strati
dell'opinione pubblica. Il neo fascismo, così come esso è oggi, non
persuade quanti ieri erano scontenti del fascismo mentre oggi lo hanno
riscoperto nei suoi valori essenziali, pur continuando a criticarlo
nelle sue manifestazioni esteriori.
Infatti ieri, l'esteriorità era un mezzo che si poneva al centro dello
stile di un potere conquistato, mentre oggi più che mai è necessario far
conoscere del fascismo il suo vero colore non di parte, nei confronti
dello stato e della nazione, della politica sociale ed economica.
L'esperienza democratica quale essa si va rivelando ogni giorno, il
ricordo di analoghe condizioni politiche e storielle, nelle quali il
Paese ebbe a trovarsi prima dell'avvento del Fascismo, favoriscono le
premesse perché sia possibile riparlare di fascismo, come alternativa di
fatto ad un'altra situazione pur essa di fatto, che a differenza del
fascismo assomma nelle mutevoli vicende che la caratterizzano un totale
di stanchezza e d'incertezze che l'intera nazione comincia ad avvertire.
Il Paese è stanco di politica. Desidera l'ordine nella libertà. Non
capisce e non apprezza il gioco dei partiti politici. Guarda ad uno
stato giusto e ad un governo di competenti. Il problema economico
s'impone alla mascheratura dell'etichetta ideologica. Le cifre contano
più delle parole, che non servono ad incantare come un tempo. Le
rivoluzioni si avviano a diventare anacronistiche nei paesi civili,
mentre l'evoluzione del pensiero favorisce le aperture per discussioni
semplici e sane!
La democrazia, così quale essa è, come tecnica politica, è farraginosa,
complicata, inintellegibile ai più e quindi inevitabilmente condannata.
Paesi di antica tradizione democratica, abituati ai misteri del gioco
politico, oppositori da sempre al fascismo, si sono visti costretti ad
avvicinarsi a formule politiche non molto discoste dall'impostazione
ideologica del primo ed ultimissimo fascismo.
In questo meraviglioso trasformarsi di posizioni ideologiche, il neo
fascismo nazionale è assente fuori e dentro i confini del Paese!
Ma, esiste veramente un neofascismo italiano?
Un partito di destra è accusato di essere un partito fascista. Dico
accusato, perché non lo è, e meglio farebbe a dichiararlo con maggiore
chiarezza, per dissipare i dubbi degli amici e dei nemici. Altre
organizzazioni si definiscono fasciste, ma di fascismo non parlano. Si
parla di vecchi e nuovi odii, verso i nemici di ieri e gli ex amici di
oggi!
Possibile che il neo fascismo non abbia niente altro da dire? Allora
esso non è ancora nato. Il patrimonio d'idee, le pagine di storia, la
concezione ideale dello stato, l'organizzazione reale di un governo
tecnico, la visione concreta delle nostre risorse, l'amore per i giovani
e per la Patria, non sono argomenti da ricordare agli italiani? Non
sente il neo fascismo, sotto i suoi piedi ancora troppo timidi, il manto
duro di una strada diritta sgombra di ombre, che conduce ad un solo
obbiettivo fatto di chiarezza ed accettabile per tutti? Se così è,
allora poveri i nostri moschettieri, i ragazzi di ieri, ancora oggi
innamorati della loro pagina di gloria. Sono stati traditi due volte.
Ieri quando dicemmo loro che il Fascismo era una dottrina, oggi, quando
ancora una volta nascondiamo per ignoranza o malafede il valore
spirituale e sociale del pensiero fascista!
Siamo di fronte al momento della grande Verità. Lontani da ogni polemica
pettegola, dimentichi dei fatti contingenti di ieri, il Fascismo, se
veramente era pensiero, così come effettivamente lo era, deve dire tutto
quanto può dire, ed è molto, e deve dirlo all'intero popolo italiano. E
se invece sente di non poter dire niente altro di quanto va dicendo in
questi anni, allora camerati, ci siamo tutti ingannati e doverosamente
chiediamo perdono a quanti in buona fede anche noi inganniamo, e, primi
fra tutti, i moschettieri, ragazzi ieri, uomini oggi, sempre con lo
stesso spirito.
L'argomento è seducente e ci interessa non soltanto da un punto di vista
sentimentale. L'analisi è lucida ma non ci trova in tutto consenzienti.
Innanzi tutto quel termine: "neofascismo". Non abbiamo mai sentito
parlare di neocomunismo, di neosocialismo, di neodemocrazia nonostante
la ventennale assenza dal nostro Paese delle relative dottrine e
pratiche politiche e nonostante la abbietta forma del loro ritorno. E
noi non ce la sentiamo di lasciarci chiamare neofascisti. Sarebbe come
concedere agli antifascisti che il Fascismo, tutto il Fascismo dalle
origini ad oggi, ha bisogno di abiurare ad una parte di se stesso nei
loro confronti, per potersi riproporre in veste rinnovata. E questo
vorrebbe dire cambiare le carte in tavola. Gli errori che possiamo
attribuire ai nostri uomini -e su tali errori abbiamo più volte messo il
dito spietatamente senza mezzi termini- non hanno riflessi nei confronti
del mondo degli avversari ma soltanto verso la dottrina e la prassi
politica confessate e professate. Il giudizio negativo di tanta gente
non tiene conto di ciò ed è quindi ingiusto e fazioso. Poi, le nostre
posizioni non sono contraddittorie. L'esperienza fascista è totalitaria
perché è integrale. La concezione fascista del mondo e della vita è
tipica ed è esclusiva della dottrina fascista e -nonostante gli
attentati da parte di tanti interessati corifei- resta, fortunatamente
per noi, lontana da ogni possibilità di annacquamenti e di equivoco.
Epperciò non ci bastano il nazionalismo retorico ed il qualunquismo
amministrativo o tecnocratico. Il problema è politico, squisitamente,
essenzialmente politico, per questo il nostro attaccamento ai simboli
della nostra giovinezza non significa nostalgico ripensamento della
vuota esteriorità di tanti professori. E sulla soluzione politica del
problema noi, il Fascismo, abbiamo da dire tutto, tanto ed una cosa
sola. La soluzione è nella nostra fazione. Perché noi siamo faziosi,
disperatamente faziosi e chiunque voglia attribuirci, o semplicemente
indicarci, tentativi di sintesi con il sistema politico di cui il Paese
sarebbe stanco, verrebbe a negarci il diritto di respingere in toto quel
sistema. Noi quel diritto ce lo siamo conquistato nei modi che il
camerata W.T.P. di Roma conosce e non vogliamo diventare i meticci della
politica nazionale né i mulatti di quella internazionale. Troppo è bello
il Fascismo della nostra giovinezza, il Fascismo senza altra
aggettivazione che il possessivo «nostro». E questo non vuol dire che
desideriamo sia arrestato il corso della Storia.
Claudio Cesaretti
"I COMUNISTI IN CASA"
pag. 352 - L. 160
Edizioni "IL BORGHESE" – Roma |
LA RISPOSTA PER IL
TRELLO
L'ultima volta abbiamo proposto
alla vostra lettura un brano dovuto alla penna di Salvatore Quasimodo
che il premio Nobel ha coronato di gloria ed imposto all'attenzione del
mondo. Abbiamo riportato quel brano nella sua originaria interezza e
nella forma in cui è apparso perché lo consideriamo un passo antologico;
ci siamo quindi preoccupati di conservarne ai vostri occhi tutta intera
la inverecondia e la satanica falsità. Brano antologico non perché non
sia possibile trovare altrove passi meglio significativi della attività
artistica di Salvatore Quasimodo, ma perché esso, pur nella sua brevità,
rappresenta veramente una specie di «summa» delle malvagità idiote che
per andazzo e con minore fortuna e chiarezza, tutti i voltagabbana, poco
o molto illustri, amano esporre quando parlano dei giovani e del
Fascismo. Sono evidenti in simili manifestazioni il senso di colpa ed il
complesso di inferiorità che ne sospingono i malati verso ostentazioni
di verginità perdute ed alla conquista di una materiale certezza che
certo passato non possa più essere pensato dal momento che chi sta sulla
cresta dell'onda da quel passato aborre furiosamente. Chi ha perduto ha
fatto male a rimetterci l'osso del collo; chi possiede la carta vincente
è padrone della situazione e, via, tutti dentro il suo vapore. Con
Quasimodo le cose non cambiano. Non veniamo a proporVi il vilipendio
della sua gloria, come egli fa della nostra, perché il riconoscimento
che lo ha onorato onora anche noi, e ve lo spiegheremo tra un po'; ma
prima è opportuno -per noi, per voi che da queste nostre note traete
motivi di propaganda e di battaglia politica- enucleare alcune
proposizioni del nostro trello per impedire che la passione ci prenda la
mano e ci ostacoli nello sviluppare il nostro discorso:
1) i coraggiosi della resistenza. Vi diciamo subito di non rischiare i
rigori della legge per una questione che non li vale. La sola nostra
presenza fisica è sufficiente a smontare quello che la legge presuppone;
ciascuno di noi possiede nella propria esperienza personale la misura
esatta di quel presupposto. Ed è quanto occorre;
2) l'epica del '45. Badate bene, non la resistenza sarebbe epopea
(affermarlo costituirebbe una frescaccia e basta). Epopea sarebbe,
invece, la carneficina che massacrò le nostre legioni, illuse
proditoriamente con offerte di pacifico disarmo, e migliaia e migliaia
di nostri camerati generosi. Epiche le gesta dei massacratori. Possiamo
renderci conto delle necessità in cui chi lo paga costringe lo
scrittore, ma il sangue versato testimonia anche contro la chiara fama
del premio Nobel Salvatore Quasimodo, professore di Letteratura italiana
e cultore di semantica, capace quindi di intendere i vocaboli nella loro
accezione corrente ed in quella etimologica. Razza di vipere! Avete ben
ragione di sferzarci e di farci sanguinare dal momento che possedete il
coltello dalla parte del manico! Ma il sangue versato ed il modo in cui
lo fu gridano vendetta al cospetto di Dio e degli uomini e non siamo a
chiedervi misericordia per i nostri Morti. Essi sono alto un altare
immenso come i nostri monti, come il mare nostro contro la vostra viltà
impietosa. E la storia non finisce oggi e non finisce qui. Intendete
almeno questo, bestia immonda che ha nome Salvatore Quasimodo?
3) la gloria. Il trello ne discute con una ragazza di famiglia
combattuta tra lo sprone paterno e le proprie aspirazioni, più
domestiche di quanto il padre non vorrebbe. Da qualche tempo ha ripreso
piede tra gli antifascisti un singolare processo alle intenzioni dei
fascisti che si vogliono condannare. Si attribuiscono loro le intenzioni
che fanno comodo ed il gioco è fatto. Ora dovete sapere che Salvatore
Quasimodo nel 1944 era a Milano e non faceva il resistente. Sbafava
semplicemente il pane della Repubblica Sociale Italiana che noi, che tu
camerata che leggi, gli garantivamo con sacrifici sovrumani e col
rischio della vita. Il Fascismo, attraverso le tavole di errori, come
-bontà sua- si esprime il trello, ha posto la donna, come madre e come
educatrice, al centro della sua costruzione politica e sociale.
Ripetiamo, come madre e come educatrice. L'offerta delle fedi nuziali è
la prova di quanto avesse inciso nell'animo della donna italiana
quell'indirizzo. Non a caso abbiamo messo in evidenza che Quasimodo nel
1944 era a Milano, infatti, nel 1944 Salvatore Quasimodo -senza dubbio-
ha letto la seguente massima di Benito Mussolini nel «Dialogo quasi
socratico» pubblicato da "Civiltà Fascista" nel marzo 1944: «che cos'è
la grandezza delle cose umane? Ciò che esce dai confini del consueto,
del normale. La grandezza e quindi la gloria, nella religione -ad
esempio- è la santità, nell'arte il capolavoro; nella scienza la
scoperta; nella politica, l'impero; nella guerra, l'eroismo. Quindi v'è
una gloria artistica, una religiosa, scientifica, politica, militare
...». Siccome per noi quel testo fa legge possiamo seguitare
tranquillamente la esemplificazione ed affermare che vi è una gloria
domestica là dove sacrificio ed abnegazione sublimano la donna fino a
farne una eroina del focolare. Centinaia di donne fasciste hanno
chiaramente testimoniato di aver «vissuto con pienezza i propri rapporti
con la società» spingendo il proprio spirito di sacrificio e di
abnegazione oltre i limiti della consuetudine e della normalità. Ed
allora che centra lo sproloquio su D'Annunzio, sui megafoni e sulle
altre cose? Siccome lo ha introdotto il trello, il discorso sui megafoni
lo riprendiamo noi e ricominciamo il discorso là dove le parentesi ci
hanno interrotto.
Date un'occhiata alla scheda che pubblichiamo qui a fianco [qui sotto].
Serve per fare a capirci.
SALVATORE QUASIMODO
è nato a Siracusa il 20 agosto 1901. Compiuti gli studi
tecnici nella scuola secondaria per volontà paterna si
iscrisse nel 1920 alla Facoltà di Ingegneria presso
l'Università di Roma dove nel 1921 incontra Monsignor
Mariano Rampolla del Tindaro che lo inizia allo studio del
latino e del greco. Dal 1928 al 1938 è funzionario del Genio
Civile in Calabria ed in Valtellina. Nel 1942 viene nominato
Ordinario di Letteratura Italiana presso il Conservatorio
Giuseppe Verdi di Milano.
1930 Acque e Terre
1932 Oboe sommerso
1933 Odore di eucaliptus ed altri versi
1936 Erato e Apollion
1940 Lirici Greci, ripubblicato in definitiva stesura a
Milano nel 1944
1942 Ed è subito sera, idem c.s.
1942 Il fiore delle Georgiche, idem c.s. |
Dal 1930 al 1944, secondo l'ultimo Quasimodo, il nostro popolo di eroi,
di poeti, di santi, di navigatori è stato vittima di un bieco tiranno
che ne soffocò ogni slancio, ne costrinse in ceppi i pensatori e negò
agli scrittori nostrani perfino la penna anziché incoraggiarli con premi
e gratifiche, magari attraverso un apposito organo presso un Ministero
che avrebbe potuto chiamarsi benissimo della Cultura popolare. Tra il
1930 ed il 1944 il trello ha dato la migliore produzione di sé. Ha
scritto è vero anche sotto l'Italia di tutte le libertà, ma la critica
più autorevole è concorde nel riconoscere che tra le opere del primo
periodo e quelle del secondo c'è di mezzo il mare della spontaneità,
quasi si fosse seccata, nell'animo del nostro cantore, la fonte
dell'ispirazione. La Storia ci insegna che, almeno a far tempo dal 1928
il funzionario dell'Amministrazione dei LL.PP. poi professore di
Letteratura Italiana, Salvatore Quasimodo fu fascista e magari dette di
gomiti per mostrarsi in prima fila. La Storia ci insegna, anche, che
egli indossò regolarmente la camicia nera in ogni civile ricorrenza, e
non se ne dispiacque, e con la camicia nera l'orbace, gli stivaloni, il
cinturone, il pugnale, le insegne del grado e la faccia feroce,
inquadrandosi al giusto posto nei cortei patriottici e nelle cerimonie
ufficiali. Se non è vero attendiamo pubblica sconfessione del fatto che,
tra il '28 ed il '43 chi non era iscritto al Partito non poteva essere
funzionario dello Stato Fascista. Potrebbe venir fuori il solito
piagnisteo. Certo è che nel tragico autunno 1943 il già illustre Don
Turiddo Quasimodo fece la sua scelta, non seguì nella fuga il Re né il
ministro badogliesco dell'Educazione Nazionale ma rimase a fare
l'Ordinario di letteratura italiana con la Repubblica Sociale Italiana
dalla quale si ebbe un trattamento di favore. Gli fu infatti assegnata
la cellulosa per la definitiva ristampa di alcune sue opere. E la
cellulosa avrebbe potuto trovare utile impiego nell'industria di guerra
-le cui necessità erano preminenti in quel tragico momento- come
all'industria di guerra avrebbero potuto essere indirizzate le energie
spese per quelle ristampe, in un momento in cui la manodopera era più
preziosa del pane. E Quasimodo conosce il trattamento riservato ai suoi
colleghi del sud dall'Amgot, dall'A.C.C. e dal cosiddetto governo del
re. (E qui ci verrebbe tanto voglia di parlare di una vecchia
conoscenza, del Generale Taylor il quale si trova, oggi, in analoghe
circostanze ad avere a che fare con i buddisti del Tonchino i quali, a
quanto sembra, ci sanno fare meglio dei cattolici di Bari e di Salerno.
Ma non svicoliamo). Nel regime fascista Quasimodo visse da padreterno e
vi sostenne, lusingato ed acclamato, il ruolo dell'autentico megafono
imperiale. Potete leggere: su "il Corriere della Sera" del 20 gennaio
1936 un articolo di E. Cecchi «il clima imperiale della letteratura
dell'anno XIV», su «Primato» del 16 luglio 1940 «Estetica del Carro
Armato» e poi «Roma Fascista» del 6 luglio 1939, «Regime Corporativo»
del febbraio 1941, «Rivoluzione» del 5 settembre 1940, «Libro e
Moschetto» del 28 novembre 1942, «II Selvaggio» del 30 novembre 1937, «II
Popolo di Trieste» del 16 luglio 1940. Tacciamo delle iniziative dei GUF
e della stampa minore. Un autentico megafono imperiale, dunque, ed un
megafono imperiale fascista, convinto tanto da meritare la riconoscenza
del giornale personale del «Tiranno». «II Popolo d'Italia» si occupò di
lui il 5 febbraio 1938, il 21 giugno 1938, il 7 settembre 1938, il 1°
settembre 1940, salvo omissioni, né ci consta che il Duce abbia lasciato
sprecare dello spazio sul suo giornale per esaltare princìpi e teorie
che ha avversato fino alla morte.
Noi -anche se lo merita- non vogliamo il vilipendio della gloria di
Salvatore Quasimodo, poeta e traduttore, operoso in Italia negli anni
dal 1930 al 1944. Quella gloria ritorna a nostra gloria perché
testimonia della saggezza di una costruzione politica in cui, ciascuno
al proprio posto, anche se nemico dichiarato o soltanto in fieri, potè
-solo che lo volle- liberamente ispirarsi operare e progredire. E
Quasimodo non è l'unico; a lui possiamo, aggiungere centinaia di altri
nomi quali quello di Croce (l'editore Laterza consolidò la sua fortuna
in quello stesso torno di anni) e Tilgher, l'altalenante Pietro Silva,
Barbagallo, Corrado Alvaro, Sem Benelli, Del Giudice. Oggi l'Italia di
tutte le licenze, non è in grado di assicurare quella libertà a nessuno,
neanche alle élites della intellighentzia dominante. E non lo diciamo
soltanto noi. Una occhiata sulla pagina a fianco e ve ne convinceranno
"L'Espresso", accreditatissimo presso certo antifascismo, ed un più
accreditato antifascista, Carlo Cassola.
"L'Espresso"
ANNO X N. 20
ROMA 17 MAGGIO 1964 LIRE 150
«… Oggi
quasi tutti gli scrittori, quando parlano del loro
lavoro, si addentrano in discussioni interminabili
in cui si può trovare di tutto la psicanalisi, il
marxismo, l'alienazione, la scissione dell'atomo, i
rapporti Est-Ovest. Leggendo i loro libri, si
capisce subito che non hanno scritto una sola pagina
in condizioni di libertà mentale. La cultura del
loro tempo li assilla, non riescono a liberarsene» |
A CHE
PUNTO È LA POLEMICA LETTERARIA IN ITALIA / CARLO
CASSOLA |
Che ronzio in quelle teste! |
E così il discorso sul raziocinio
extraumano sviluppato lungo le tavole di errori del Regime, la violenza
antistorica, l'ignoranza, i soprusi e la follia dei fascisti, acquistano
dimensioni e forma solo nelle menti malate dei voltagabbana di cui
abbiamo parlato in apertura. Qui il discorso potrebbe farsi lungo, ma
non ci interessa in questa sede. Ricordiamo al trello che quando un
educatore ha avuto assegnato dalla storia un posto di responsabilità, un
minimo di obbiettività nel tranciare giudizi gli è, quantomeno,
opportuna almeno per salvare la faccia. Gli ricordiamo che dalla parte
del fosso opposta a quella che egli ora occupa, c'è più di un premio
Nobel e -per restare in casa nostra- uomini come Giovanni Gentile,
Goffredo Coppola, Luigi Pirandello, Balbino Giuliano ed Asquini, Solfi,
Rocco, Giovacchino Volpe, Pizzetti, Niccodemi, Civinini, Ojetti, Papini,
Del Vecchio. Nomi citati a caso, tutti di folli, tutti di ignoranti,
tutti di prevaricatori anche se sono morti ammazzati dal piombo
nascosto, proditorio ed inutile dei coraggiosi ai quali oggi va la
mobile simpatia di Salvatore Quasimodo.
E monumenti dell'ignoranza fascista restano le leggi sulla bonifica
integrale, la riforma bancaria del '26 e del '36, la legislazione
sull'IRI, la Carta del Lavoro e la Riforma corporativa, i quattro
Codici, il Sistema previdenziale, l'assistenza e l'educazione sportiva e
morale della gioventù. Abbiamo citato a caso ed abbiamo riferito
autentici mostri abnormi della tipica irresponsabilità fascista come è
tipica improntitudine fascista constatare che quegli istituti e quelle
leggi, per quanto snaturati, contorti e mutilati, costituiscono ancora
quanto c'è di valido nella nostra struttura bancaria, finanziaria,
industriale, sociale, e che l'Italia democratica, libera di essere
ciarliera, ha potuto fare le Olimpiadi del '60 grazie agli impianti
della Gioventù del Littorio, come ha potuto costruirsi una moderna
autostrada grazie ad un Istituto tipicamente fascista, l'IRI.
E qui ci vorrebbe davvero un altro lungo discorso. Dopo la lunga
chiacchierata che precede non arriverebbe opportuno; meglio rinviarlo ad
altra favorevole occasione. Ma non abbiamo concluso. Nel dramma che la
Nazione Italiana ha vissuto e vive, quanto abbiamo esposto rappresenta
soltanto la antistrofe del nostro emicoro mentre l'azione prosegue,
senza personaggi, dinanzi agli occhi disincantati della nostra gioventù.
Di qui l'obbligo di volgere al futuro i nostri sforzi, la coscienza
nostra e quella della gioventù migliore. E non date ascolto ai mille
corifei dell'altro emicoro, non date ascolto al trello cui il prezzo
riscosso e l'abitudine ad impugnare la penna accendono la fantasia a
dipingere il quadro delle picche e delle alabarde irte a difesa degli
errori passati, della croce non di avvento ma di sepolta forza omicida
ecc. ecc. ecc. Troppo romanticismo per un attento cultore dell'armonia
classica; ci mancano le evocazioni di Ossian e ritroveremo sul trono
Melchiorre Cesarotti. Ma per restare nel quadro ricordiamo al trello che
noi la prova del sangue l'abbiamo data, intera, tremenda, assoluta e che
in quella della vittoria riconosciamo soltanto la ragione del vincitore
ad imporre la propria superbia, non il diritto a contrabbandare l'errore
per verità, la mistificazione per sincerità né desideriamo restare nel
vago e nell'impreciso, come la fazione antifascista ha imparato a fare
da quarant'anni a questa parte, con le solite generalizzazioni.
"Italia difesa?"
G. Liuzzi - Ed. Volpe, Roma, 1963 - pag. 240 - L. 2000
Questo recente volume del generale dì Corpo d'Armata Giorgio
Liuzzi, già capo di S.M. dell'Esercito Italiano, ha
suscitato una vasta eco (solo in parte contenuta da ovvie
«preoccupazioni» politiche) in seno agli ambienti militari
italiani, oltre che fra quanti, pur non indossando una
divisa, seguono con la dovuta attenzione i problemi della
difesa nazionale. |
1) Noi abbiamo dato la nostra
prova di sangue, intera, tremenda, assoluta. Una affermazione apodittica
cui danno dimensione i fatti, non le chiacchiere, e che non siamo
disposti a discutere con nessuno perché non intendiamo barattare con
nulla, neanche con il regno dei cieli, il diritto di primogenitura che
ce ne deriva. Occorre però puntualizzare qualche piccolo particolare.
Potete star certi che farete fatica a farvi capire, perche nel clima che
imperversa il minimo che potrà capitarci è di essere presi per pazzi. Ma
è tardi e bisogna cominciare, anche da pazzi. Dunque, la guerra.
L'antifascismo, dopo essere rientrato nel Paese nelle condizioni che
conoscete e dopo avere volentieri accolto tra le proprie elastiche
braccia tutti i voltagabbana possibili ed immaginabili, ha preso a
dipingere la nostra Guerra come opera di Uno solo, e megalomane e pazzo.
Tutti i giorni assistiamo allo spettacolo di istrioni variopinti che si
sbracciano a dipingere il nostro popolo come un immenso armento, portato
al macello da Quel facinoroso. E tutti i mezzi sono buoni. La
televisione, l'industria grafica, i sindacati, i partiti, il pulpito. Il
tentativo è puerile ma il frastuono è tanto da far perdere la misura di
quella puerilità. Si dimentica che la guerra è stata un fenomeno
complesso e poliedrico nel quale, con le opposte ideologie, hanno
giuocato un ruolo principale -ed il riconoscimento è unanime- gli errori
attraverso i quali le democrazie intesero imporre al mondo la loro pace,
a conclusione dell'altra guerra. Si dimentica inoltre che la
responsabilità degli eventi pesa sul nemico in misura certamente non
inferiore a quella che ci appartiene. Si dimentica da ultimo che noi non
siamo stati un armento di succubi. Noi, la migliore gioventù degli
Atenei, delle scuole, dei campi, delle officine noi, che avevamo allora
tra 16 e 25 anni, sorgemmo cantando a chiedere la guerra, abbiamo fatto,
cantando, la guerra dall'Equatore alle porte di Mosca e dovunque abbiamo
lasciato i nostri Morti e versato il nostro sangue, fin sugli ultimi
spalti della Repubblica Sociale. Mai si vide al Mondo spettacolo di più
ardente gioventù. Ed il trello non venga a farci il piagnisteo. Quel che
abbiamo fatto, noi l'abbiamo voluto intensamente, disperatamente come
intensamente, disperatamente desiderammo di fare -a guerra vittoriosa- i
conti con un sacco di individui che sentivamo nascondere dietro l'orbace
e la faccia feroce l'abitudine al compromesso con se stessi, un animo
pusillanime e la indegnità per le idee che insozzavano con la propria
presenza fisica. Questa la guerra che abbiamo voluto, che abbiamo
combattuto noi che eravamo la gioventù degli Atenei, delle scuole, dei
campi e delle officine. Noi e contro di noi tutto il mondo.
2) Le picche, le alabarde, le croci non di avvento ma di sepolta forza
omicida. Il solito gioco. Noi non educhiamo i giovani a brandir picche
ecc. Ci rendiamo conto che la nostra contraria affermazione farebbe
comodo ad un sacco di gente e specialmente a quella che ha impugnato
l'arma spregevole del tradimento per giungere a sfogare finalmente
l'odio ed il livore per vent'anni repressi. Ma non ci possiamo far
nulla. Per noi i giovani hanno davanti tutta intera la vita e mille
esperienze da iniziare e ci rendiamo conto che per essi, oggi, la scelta
è meno semplice di quella che a noi si presentò, tragica ma evidente. È
per questo che tendiamo vigorosamente la mano ai giovani degli Atenei,
delle scuole, delle officine, dei campi ai quali proponiamo la nostra
concezione della vita e del mondo come l'unica capace di poter
contrastare le bestie trionfanti di oriente e di occidente, l'unica
capace di portarli alla costruzione di un mondo migliore. E proponiamo
loro il nostro esempio. Non per superbia né per ottuso spirito di
rivincita, ma perché la nostra esperienza sia messa a loro profitto.
Cosa ha saputo dare l'antifascismo -dopo averci abbattuto- a noi che
avevamo vent'anni ed avevamo offerto e dato tutto per un mondo migliore?
(non a caso cantavamo «contro giuda, contro l'oro, sarà il sangue a far
la storia»). Dopo i plotoni di esecuzione, i tribunali del popolo, le
C.A.S. speciali, la galera, la fame e l'ostracismo, in un suggestivo
scorcio storico, quando, fatta tabula rasa di tutto, era veramente
opportuno e possibile costruire dal nuovo, immonde e bavose cariatidi
hanno imposto a noi il reggimento politico che ci delizia e che il
popolo italiano aveva già concordemente rifiutato nel '22, nel '25, nel
'27. Non faccia dell'ironia il nostro trello. L'esperienza dell'ultimo
ventennio ci ha insegnato soltanto che 500 deputati ed altrettanti
senatori non riusciranno mai a fare gli italiani ed una Italia nuova e
nessuno è riuscito ancora a dimostrarci che l'attuale regime politico
possa essere qualcosa di meno putrescente ed ignobile delle chiacchiere,
delle camarille, delle faziosità, delle rinunce, dei compromessi, degli
sgambetti e delle vigliaccate in cui quotidianamente si manifesta la
realtà politica ufficiale. Ci rifiutiamo di credere che tutto ciò sia
cosa migliore di quanto noi, giovani usciti dalla guerra, avremmo
costruito pei giovani di oggi e per quelli di domani.
CESARE MAZZA
II lungo silenzio
della nostra disperazione
violato da una vibrazione
nuova ed antica.
Una voce incantata
cresce robusta a farsi coro
ed esplode a dilaniare l'anima
nei mille e mille empiti
della passione inesausta.
E ci rinnova più forti
i canti della legione perduta
L. 2.000 a FNCRSI
Roma Via D. Fontana, 12 |
|