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I finanziamenti britannici nel 1917 a Mussolini

Maurizio Barozzi  (20 ottobre 2009)  

 

In questi giorni alcuni siti dei media inglesi hanno reso noto che lo storico di Cambridge, Peter Martland, avrebbe rintracciato i dettagli dei pagamenti avvenuti nel 1917 in favore di Mussolini, da parte dell'agenzia dei "servizi" britannici MI5 che, in quell'epoca bellica, venne autorizzata da Sir Samuel Hoare, il futuro parlamentare Lord Templewood.
Questa storia, nelle sue linee generali, era già nota avendone lo stesso Hoare accennato in suo libro di memorie del 1954 e riguardava, in definitiva, una forma indiretta di finanziamento a "Il Popolo d'Italia", il giornale di Mussolini strenuamente impegnato nel sostengo all'Italia in guerra.
Oggi sappiamo che, tale finanziamento, ammontava a 100 sterline settimanali, pari a circa 6.000 sterline di oggi.
La notizia non ci meraviglia e potremmo anche prenderla per buona, non perché riteniamo veritiere le "ricerche" d'oltre manica e soprattutto il modo di come vengono rese pubbliche (negli anni '70 l'assistente di Henry Kissinger, tale Loewenstein, confezionò false documentazioni per dimostrare che Aldo Moro era quell' "Antelope Kobbler" che aveva intascato tangenti nello scandalo Lockheed), ma per il semplice fatto che il contesto storico dell'epoca e quanto fino ad oggi è storicamente acquisito possono renderla attendibile.
Del resto bastava leggersi i primi volumi della monumentale e seria opera dello storico Renzo De Felice per avere il riscontro sui multiformi finanziamenti che portarono alla nascita di "Il Popolo d'Italia" e a favore di tutto l'Interventismo italiano. Giornale e movimento politico che ebbero una notevole parte nello spingere l'Italia in guerra contro gli Imperi Centrali.
Come prevedibile la notizia di fonte britannica è stata ripresa dai mass media nostrani a cominciare da "Il Sole 24 ore" che con un servizio di tale Elysa Fazzino ha pubblicato un articolo sotto il capzioso titolo: "Mussolini spia degli inglesi per 100 sterline alla settimana".
L'intento denigratorio nei confronti di Mussolini è palese e resta solo il dubbio se l'autrice dell'articolo lo abbia voluto deliberatamente formulare in tal senso oppure nasce da una cattiva conoscenza delle vicende storiche di quegli anni.
Già di per se stesso il termine "spia", infatti, pur avendo una certa elasticità di significati, implica essenzialmente un genere di attività che, attraverso un ambiguo operare o lo svelare delicate informazioni, danneggia la fazione o la stessa nazione alla quale si appartiene.
Riportano i dizionari «Spia: chiunque, indagando nascostamente, riferisce i fatti altrui o notizie importanti e riservate, come segreti militari, politici ed industriali; in particolare, informatore clandestino al servizio di una nazione straniera».
Questo termine, in ogni caso, così denigratorio e non dissociabile da quello di traditore, non può essere utilizzato per qualificare l'attività e la posizione di Mussolini al tempo notoriamente impegnato a sostenere lo sforzo bellico italiano in sintonia con l'alleata Gran Bretagna e neppure per insinuare un suo interesse venale quando è storicamente acquisito che mai il futuro Duce palesò desiderio di arricchimento.
Oltretutto la qualifica di "spia" gratuitamente affibbiata a Mussolini è palesemente fuori luogo visto che il futuro Duce non era certo in grado di fornire informazioni di carattere militare o strategico tali da giustificare una sua assunzione a libro paga nell'Intelligence britannico, ma anche se questo fosse stato possibile, e non lo è, sempre di informazioni passate ad una nazione alleata, impegnata nel comune sforzo bellico, si sarebbe trattato. Anche un bambino capirebbe comunque che gli inglesi non avevano certo bisogno di questo genere di "informazioni" che potevano tranquillamente scambiare con il nostro Stato Maggiore.
Insomma tutto questo sproloquio si configura come una vera e propria barzelletta.
Volendo, l'autrice del suddetto servizio, avrebbe invece potuto affibbiarlo, appropriatamente, a quanti operarono, durante il secondo conflitto mondiale, contro l'Italia e in favore degli Alleati, più o meno dal momento della nostra entrata in guerra e fino al voltafaccia dell'8 settembre 1943.
Tanto è vero che queste spie e traditori dovettero poi essere giuridicamente protetti dai vincitori della guerra, con un apposito articolo retro-attivo (il N. 16) inserito nel Dikat imposto all'Italia.
Detto questo cerchiamo di riportare tutta questa questione ai giusti termini e presupposti storici che gli appartengono e per far ciò dobbiamo, sia pure sinteticamente, riassumere il contesto storico di cui si parla, partendo dal presupposto che Mussolini è pur stato un rivoluzionario intento a perseguire determinati obiettivi e intuizioni politiche per la realizzazione dei quali dovette uscire dal partito socialista a cui apparteneva.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale, infatti, egli aveva avuto la percezione netta e definitiva che l'utopia marxista era fuori della portata umana, che la seconda internazionale naufragava sotto le spinte degli ideali e interessi nazionali e che inoltre lo sconvolgimento bellico in atto avrebbe consentito un rinnovamento generazionale e politico con il concretizzarsi di ampie possibilità rivoluzionarie.
In Mussolini nacque allora, dapprima la convinzione che il socialismo avrebbe potuto realizzarsi solo attraverso una via nazionale e successivamente che in Italia la sintesi dei valori sociali e combattentistici era la base politica e ideologica per la conquista rivoluzionaria del potere.
La scelta di campo dell'interventismo quindi, nasce in Mussolini, da precise convinzioni e intuizioni politiche e rivoluzionarie e risponde anche alle sue concezioni ideali, quelle che tendevano a portare a compimento i progetti risorgimentali passando necessariamente attraverso la distruzione dell'Impero Austroungarico.
Non è un mistero che su alcune di queste posizioni e ovviamente per altri diversi ideali e interessi si trovava anche la Massoneria internazionale.
E fu proprio la massoneria, data la sua natura transnazionale e la sua forza politica e finanziaria, il veicolo attraverso il quale passarono gli intrighi, i finanziamenti e le manovre che dovevano spingere i vari stati nazionali a scendere in guerra contro gli Imperi Centrali e, nella fattispecie, per l'Italia a farla uscire dalla triplice Alleanza ed entrare nell'Intesa con gli anglo francesi.
Questa è la realtà storica dell'epoca e noi oggi non possiamo valutare e giudicare certe scelte attraverso il senno del poi ovvero che, tutto sommato, sarebbe forse stato più opportuno che l'Italia fosse scesa in campo con la Triplice Alleanza dando quindi un apporto bellico che forse avrebbe potuto ostacolare un atavico e occulto obiettivo che perseguiva scopi ideali e finanziari "mondialisti", miranti al dominio mondiale, oggi evidenti e sotto gli occhi di tutti.
Nel primo decennio del '900 la nostra storia nazionale, nata dal Risorgimento e a cui fare riferimento, era quello che era e al contempo la vera dimensione e i fini occulti di certe Consorterie che agivano dietro le quinte non erano esattamente valutabili e quantificabili anche perché le Nazioni e gli Stati, almeno apparentemente, si muovevano ancora attraverso i soliti e tradizionali canoni diplomatici, i rispettivi interessi geopolitici e quegli degli Stati Maggiori.
Certi Organismi, Lobby e Istituti sovra nazionali, tesi a condizionare i singoli Stati (a parte quelli di natura finanziaria) non erano ancora stati realizzati (cominceranno a costituirsi con la fine della Grande Guerra) e inoltre certi avvenimenti, di portata planetaria, che potevano mostrare quanto si nascondeva dietro queste grandi consorterie massoniche dovevano ancora verificarsi.
Non è quindi possibile pretendere oggi, dal poco più che trentenne socialista Mussolini, proveniente dalle tradizioni del socialismo italiano, una visione ed una concezione ideologica che tenesse conto di una scelta di campo di diversa natura ed oltretutto delle concrete possibilità rivoluzionarie è indubbio che si sarebbero potute realizzare solo nel solco della scelta interventista.
Molti ricercatori storici, analizzando le vicende di quegli anni, si sono stupiti di come fosse stato possibile che attorno a Mussolini, all'Interventismo ed alla nascita dello stesso fascismo sansepolcrista ci sia stata la presenza maggioritaria di molti massoni (ottimo e interessante, a questo proposito, anche se non approfondito: F. Pinotti, "Fratelli d'Italia", Bur 2007).
Come già illustrammo con il nostro articolo "Mussolini e la Massoneria" ("Rinascita" 4 dicembre 2008) bisogna invece tenere conto che la tradizione politica italiana, la nascita della nostra nazione, della nostra finanza. del nostro apparato industriale e della nostra editoria si realizzarono sotto un egida di stampo massonico, visto che era stata la Massoneria, con le sue articolazioni anglo francesi, l'elemento trainante del Risorgimento.
Si può essere avversi, come siamo, al pensiero e agli ideali massonici, ma non si può negare che a suo tempo la massoneria non fu soltanto un centro di potere occulto e un diramarsi di lobby, ma fu anche una presenza culturale dell'epoca, tanto da indurre molte personalità di ingegno e di cultura (che magari ignoravano i fini più nascosti delle trame massoniche) ad aderire a questa setta.
A quel tempo poi, coloro che in Italia avevano un anelito rinnovatore e volevano fare politica, tanto più se con fini rivoluzionari, era facile ritrovarli iscritti alla "setta" (con l'eccezione veramente straordinaria proprio di Mussolini e pochi altri) in quanto l'alternativa ad essa era quello di stare con i clericali o con certe aristocrazie oramai decisamente fuori gioco.
Non c'è quindi da stupirsi nel fatto che alla costituzione dei fasci di combattimento (23 marzo 1919) vi ritroviamo una moltitudine di massoni.
Resta il fatto che poi, molti di costoro, in poco tempo furono portati a fare una scelta definitiva, con il fascio o con la setta, visto che gli ideali di Mussolini e il suo intento di Stato, dove prevalevano gli aspetti etici e politici su quelli finanziari ed economici, erano decisamente antitetici a quelli massonici. Per molti di loro la scelta fascista fu chiara, netta e definitiva, per altri invece fu alquanto
Ambigua e se ne videro le conseguenze durante la Seconda guerra mondiale quando tutti i "fratelli" vennero fatti uscire dal "sonno" per operare in favore degli Alleati e contro il fascismo.
Già con l'assassinio di Matteotti (giugno 1924), un delitto sostanzialmente perpetrato contro Mussolini e nel quale è quasi impossibile non trovare personaggi implicati che non avessero la tessera della setta, fu evidente che gli scopi e i destini tra il fascismo e la massoneria, oramai si erano separati definitivamente.
Queste due grandi forze del XX secolo, finirono per trovarsi irriducibilmente contro perchè Mussolini, già convinto antimassone fin dalla sua militanza socialista, perseguendo come capo del Governo una concezione dirigistica dello Stato e la difesa degli interessi geopolitici dell'Italia, si mise di traverso agli ideali, agli intrallazzi e agli interessi massonici.
Torniamo però alle vicende storiche che qui ci interessano e teniamo ben presente quella che è una costante della realtà umana: la grande politica e le rivoluzioni, non si fanno senza i soldi (tanti) e i soldi se non ci sono o si espropriano armi alla mano, o ci si fa finanziarie. E chi ti finanzia lo fa per paura o per interesse.
Che piaccia o meno, le collusioni trasversali e l'illegalità rispondono a leggi storiche ricorrenti e inevitabili.
Se quindi, volenti o nolenti, la scelta interventista di Mussolini era in sintonia con gli stessi intenti massonici miranti a portare l'Italia in guerra, come inevitabilmente sempre accade nella storia, a fronte di grandi eventi, grandi uomini ed energie nuove, vanno a destarsi e convergere interessi eterogenei che tendono a utilizzare e/o aiutare il "fatto nuovo" per i loro scopi.
Mussolini, un rivoluzionario di stampo soprattutto politico, laddove la politica è l'arte del compromesso, del ricatto, del coinvolgimento razionale o emotivo, dell'elaborazione di programmi ed idee nuove che possono mettere assieme persone e interessi eterogenei per uno stesso fine, nella prassi politica era spregiudicato, pragmatico disposto a perseguire ogni strada che tornasse utile per l'attuazione dei suoi programmi ed ideali.
Non è un mistero, né avrebbe potuto essere altrimenti, che Mussolini poteva fondare un quotidiano non con le noccioline, ma attraverso vari finanziamenti e questi finanziamenti non potevano che venire da chi, in quel momento, aveva interesse a conseguire l'entrata in guerra dell'Italia a fianco dell'Intesa.
Si conoscono i contatti e i movimenti che, in questo senso, si ebbero tra Mussolini e quel Filippo Naldi, già direttore del "Carlino", gran faccendiere legato alla Massoneria che nel 1914 ebbe una notevole parte nell'iniziativa editoriale del futuro Duce.
Ed il fatto che poi ritroveremo lo stesso Naldi implicato in qualche modo nel delitto Matteotti e molti anni dopo, nel 1943, presente nell'entourage del governo badogliano al Sud, è la dimostrazione evidente di come Mussolini abbia a suo tempo utilizzato certi appoggi per i suoi intenti rivoluzionari, distaccandosene poi, anzi rivoltandosi contro, quando gli "amici" di un tempo e le consorterie che li trascendevano, vennero a trovarsi in contrasto con il fascismo e con le nostre esigenze nazionali.
Anche i socialisti francesi, tramite Marcel Chachin (come rivelò lui stesso), un famoso marxista divenuto poi anche senatore comunista, probabilmente sempre dietro una manipolazione massonica, finanziarono o fecero da tramite per finanziare il giornale di Mussolini, così come probabilmente orecchie sensibili si ebbero a Parigi al Quai d'Orsay, visto il comune interesse per la partecipazione italiana al conflitto.
E Mussolini "prese" tutto quello che c'era da prendere, proseguendo per la strada intrapresa senza farsi troppi scrupoli.
A febbraio del 1917 Mussolini rimase poi seriamente ferito durante una esercitazione bellica e dovette lasciare l'esercito proseguendo però la battaglia politica e giornalistica a sostegno dello sforzo italiano in guerra.
E l'impegno di Mussolini, attraverso il suo giornale, svariate iniziative politiche e raccolte di fondi con le sottoscrizioni, fu veramente notevole e tanto più necessario quando, in seguito alle privazioni e ai lutti che la guerra causava presero a manifestarsi nel paese serie minacce di pacifismo.
Quando poi ad ottobre del 1917 gli austriaci sfondarono il fronte a Caporetto, la situazione militare dell'Italia si fece drammatica e a Londra e Parigi, dove da tempo paventavano un nostro disimpegno, ci si diede da fare in tutti i modi per impedire una capitolazione dell'Italia che avrebbe avuto conseguenze decisive nelle sorti della guerra.
Anche in questi periodi sappiamo bene che inglesi e francesi non lesinarono aiuti di ogni genere per sostenere quelle forze e quelle iniziative che, nel paese, sostenevano l'impegno bellico.
Possiamo allora meravigliarci che gli inglesi pensarono bene di finanziarie Mussolini ovvero colui che più di ogni altro era impegnato in questa bisogna e mostrava di avere tutte le capacità realizzatrici per questi scopi?
E possiamo stupirci che Mussolini non disdegnò affatto di prendere questi finanziamenti?
E' evidente che non possiamo meravigliarci e non vediamo neppure dove stia l'aspetto negativo o deplorevole di questa vicenda, tanto più che possiamo dire che, proprio in quel travagliato 1917, anche grazie all'apporto di uomini come Mussolini, di fatto nacque la Nazione Italiana.
Ricordava e rilevava l'amico Giorgio Vitali, uno dei più acuti, preparati e intelligenti osservatori storici (e delle vicende ideali e umane che stanno dietro gli avvenimenti politici), che nel 1792, proprio come da noi nel 1917, a Valmy era nata la nazione Francese. Ebbene, a capo del governo francese c'era quel Danton, vero padre della rivoluzione, che non esitò a trattare sottobanco coi prussiani, con i quali era addirittura in guerra, mantenendo inoltre legami molto stretti, ancorché segreti, con l'Inghilterra, atavica nemica della Francia, la quale entrò in guerra contro i francesi qulche mese dopo.
Quest'ultimo esempio è a dimostrazione, in questo caso estrema, di come gli scopi ideali, le leggi della rivoluzione e le necessità contingenti, non sempre seguono e non possono seguire, uno svolgimento chiaro e cristallino e quello che conta è la sincerità disinteressata nel proprio ideale.

 

[Aggiunta non riportata nell'articolo]

A questo proposito ricorda il bravo scrittore storico Filippo Gannini, una rivelazione di Montanelli:
«Montanelli, ad esempio, ricorda di un suo incontro avvenuto nel 1937 con l'allora direttore de "Il Resto del Carlino", Filippo Naldi, il quale, circa l'espulsione di Mussolini da "l'Avanti!", dal partito e delle successiva fondazione de "Il Popolo d'Italia", così riferisce: "Mussolini sulle prime non voleva neppure riceverlo, e all'offerta di denaro si adombrò. Ma Naldi, ch'era una sirena, provvide subito a rassicurarlo: sarebbe stato, disse, denaro pulito e senza condizionamenti: Mussolini sarebbe stato libero di difendere le cause che voleva, senza risponderne a nessuno. E su questa condizione l'intesa fu raggiunta"».