Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Foglio di orientamento n° 3/2000

 

VERITÀ SULLA STRATEGIA DELLA TENSIONE

 

Questa Federazione ha salutato con un comunicato stampa le prime anticipazioni della relazione dei componenti DS la Commissione Stragi, come un sincero e necessario sforzo di verità. Letta la relazione, ribadisce ora la propria valutazione complessivamente positiva e formula nel merito osservazioni e contestazioni. A nostro parere, quindi, la Commissione ha risposto alle ineludibili attese dei cittadini in ordine alla verità sulla sciagurata stagione delle stragi.

Poiché la verità ha radici complesse e lontane, ed esige di dare le ragioni di ciò che è vero o falso, non si può negare che nel corredo genetico della Repubblica Italiana vi sia un 8 settembre ignobile e disastroso, una cobelligeranza pressoché insussistente, una resistenza «militarmente irrilevante» (Eisenhower), peraltro offuscata da un documento che avrebbe dovuto essere sdegnosamente respinto, seguiti da un trattato di pace inaccettabile (Croce votò contro la ratifica di esso).

Attraverso l’analisi delle interconnessioni di questi fattori negativi, Sergio Romano giustamente sostiene che «L’Italia non era un alleato e neppure un belligerante; era soltanto un paese sconfitto a cui erano state accordate alcune concessioni, nell’ultima fase della guerra, per ragioni di convenienza politica e strategica …» (cfr. "50 anni di storia mondiale", Milano ‘77). Da ciò nacque una pseudo-democrazia che, consapevole di non saper o non voler essere democratica, pose le premesse etiche della strage come strumento di lotta politica, consentendo per giunta che una potenza straniera fosse informata in tempo reale dei misfatti compiuti da una siffatta strategia criminale.

Va sottolineato altresì che la verità ha molti nemici, i quali si nutrono di pseudo-verità, mezze verità, doppie verità, verità di comodo, ecc.

Qualche esempio.

Sulla strage di Ustica, Giorgio Bocca scrive: «Solo oggi (…) si comincia a dire a chiare lettere (…) che c’era un sovrintendente della CIA (…) che gli autori delle trame nere erano protetti dai servizi segreti americani …» (cfr. "la Repubblica", 19.6.97), e, poco più innanzi, «Questa vicenda ci aiuta almeno a capire quale fu per quasi mezzo secolo la sovranità limitata dei paesi che facevano parte dell’alleanza atlantica in posizione subalterna … Ma solo ora ci rendiamo conto (…) che il prezzo più alto da pagare (…) fu quello della doppia lealtà».

Evidentemente, Bocca dice soltanto una parte di verità, poiché le lealtà erano almeno tre.

Infatti lo smentisce Francesco Cossiga il quale a una domanda circa il suo improbabile ingresso nel governo D’Alema risponde: «Sono pressato dalle gerarchie vaticane (per 50 anni quelle gerarchie imponevano, ora si limitano a premere) e dalla periferia mi spingono a dire no» (cfr. "l’Unità", 16.10.98).

Infine, l’invito di Bocca a metterci l’anima in pace (che sono mai 85 morti?) è un capolavoro di estenuante ricerca della verità, tanto «Non lo sappiamo e probabilmente non lo sapremo mai"»

Più oltre (ibidem, "la Repubblica"), Cossiga, pietosamente, «Noi siamo un piccolo Paese, siamo dei poveracci, loro, gli Stati Uniti (…) no. Ma ci hanno sbattuto la porta in faccia (…) Ma volete convincervi che il problema sono gli americani (…)?»

Nessuno di loro, però, ha almeno tentato di chiarire al pubblico ignaro le ragioni per le quali la costituzione di tutti i governi italiani (fino al 1989?) è stata sottoposta al placet del Vaticano e al nulla osta di sicurezza dell’Ufficio Sicurezza del Patto Atlantico, (cfr. "Servizi Segreti", a cura di P. Calderoni, ed. Pironti, Napoli ‘86, pag. 6).

Eppure queste cose sono note da tempo: «… l’intervento (americano, n.d.r.) diretto nella politica interna del Nostro Paese, la richiesta, cioè, che il governo italiano sia composto in un modo piuttosto che nell’altro, che questo o quel partito siano esclusi dalla sua composizione …» (cfr. "Rinascita").

Sarebbe sciocco negare che da siffatta condizione di sudditanza sia derivato quel ch’è accaduto, stragi comprese.

Comunque, tutto procede ancora all’insaputa del Popolo italiano: il governo D’Alema ha dato l’assenso –auspice Cossiga e tacitamente consenzienti altri noti personaggi– al rinnovo delle convenzioni segrete riguardanti le basi USA e NATO in Italia, alle condizioni gentilmente dettate dal Pentagono.

Fra l’altro, come conciliare il decreto del 24.8.99 che innalza a 50 anni il Segreto di Stato, con la richiesta formulata del sen. Giovanni Pellegrino, diretta a far aprire gli archivi dei Carabinieri e della Guardia di Finanza?, richiesta motivata dal fatto che «All’interno dell’Amministrazione, ci sono ancora dei documenti che non sono stati offerti alla Commissione e sono tuttora in servizio funzionari che sanno e non parlano».

Ebbene, perché non parlano?

La strage del 12 dicembre 1969, oltre ai morti e ai feriti di Piazza Fontana, non ha forse prodotto anche una quindicina di persone misteriosamente suicidate? E successivamente non si sono registrati decessi improvvisi di persone sanissime? Oppure, «sanno e non parlano» perché sono ancora occupati –come ha sostenuto Andreotti– «a combattere "la guerra santa" contro la sinistra montante in Italia»? (cfr. "l’Unità" 5.8.2000).

 

Del resto, tutti hanno potuto constatare che, a fronte della relazione della Commissione Stragi, la parte politica maggiormente coinvolta nelle responsabilità di quei cruenti misfatti ha reagito in maniera torbida e scomposta, tentando di accreditare interpretazioni degli eventi insostenibili sotto ogni profilo.

Il giornalista Paolo Guzzanti, assunto come base della sua analisi un rapporto riservato del 24.8.48, inviato dal Prefetto di Bologna al Ministero dell’Interno e riguardante una riunione dei quadri dell’apparato militare comunista, nel corso del quale vennero presi accordi e stabilite misure in ordine ad un’eventuale insurrezione comunista, riferisce soltanto una parte della verità ma ne stravolge dolosamente le intenzionalità e la sostanza.

Attesa la veridicità e la gravità del contenuto del documento, il giornalista omette scientemente di informare che non di un’insurrezione si era trattato, bensì della fase preliminare di un’eventuale contro-insurrezione che sarebbe dovuta scattare a fronte di un molto probabile colpo di Stato sollecitato dagli USA e dal Vaticano e diretto a mettere fuori legge il PCI nel caso di un suo paventato successo elettorale. Tanto ha scritto il Guzzanti, ad onta delle valutazioni contrarie dei più attenti osservatori dell’epoca e dell’ineccepibile puntualizzazione di uno storico di fama quale è Elena Aga Rossi (cfr. S. Zavoli, "C’era una volta la prima Repubblica", Mondadori ‘89, pp. 32-33) riportata a p. 34 della Rivista "Nuova Storia Contemporanea" di luglio-agosto 2000.

Guzzanti, chiude la sua analisi esprimendo considerazioni demagogiche, prive affatto di qualsivoglia addentellato con la realtà: «Se gli americani, gli inglesi, la NATO, i carabinieri, il generale De Lorenzo, le spie, gli agenti segreti e quant’altro volete, ci hanno salvato da questo pericolo, è nostro fermo convincimento che costoro vadano ringraziati… Ma ciò che preme oggi dimostrare senza margine di dubbio e di errore è che quanto scritto nella famigerata relazione rossa (anche di copertina) della Commissione Stragi, è un falso totale» (cfr. "Il Giornale", 15.8.2000).

In effetti, del «richiamo alle armi» dei partigiani comunisti, si ebbero subito conferme molto allarmate soprattutto nell’arco del confine orientale da Tolmezzo a Monfalcone e nel Territorio Libero di Trieste.

Per i combattenti della RSI il momento assunse aspetti drammatici: esclusa l’ipotesi dello «stare a guardare», bisognava optare tra lo schierarsi con gli americani o con i social-comunisti.

Essendo però l’anti-americanismo pari al loro anti-bolscevismo, ambedue le ipotesi si presentavano impraticabili. Vi furono accese discussioni dalle quali, con i primi sintomi di divisione, emersero le ancora confuse connotazioni di una nuova figura politica: il neofascismo come forma specifica dell’antifascismo di destra.

Infatti, a dimostrare che era già in atto lo snaturamento dell’impostazione Socializzatrice, anti-borghese, antiv-aticana e anti-plutocratica del Fascismo Repubblicano, spiccava una constatazione sconcertante: in troppi comuni i voti confluiti nella lista del MSI (erroneamente ritenuto continuatore della RSI) risultavano essere inferiori al numero degli iscritti di quel partito.

 

Preliminari alla strategia della tensione sono l’istituzione di "Gladio" il "piano Solo" e una serie di manifestazioni sediziose e di attentati (circa 150 soltanto nel ‘69).

A p. 27 di "Strage di Stato" (AA.VV. ed. Savelli, Roma ‘73), viene rilevato che «Ai primi di Novembre (del 1969 n.d.r.) la FNCRSI –i fascisti di sinistra– distribuisce un volantino in cui si invitano i paracadutisti e gli ex-combattenti a non farsi strumentalizzare per un colpo di stato reazionario».

Dopo meno di un mese, i periodici inglesi "The Guardian" e "The Observer", nonché i tedeschi "Der Spiegel" e "Die Zeilt" alludono alla regia occulta del Capo dello Stato in riferimento ai gravissimi disordini in atto in Italia. Le conseguenti proteste diplomatiche rappresentano una mera excusatio non petita.

Poiché questa Federazione ha sempre individuato nella socialdemocrazia italiana (punto di coagulo delle massonerie italiane), il vero partito della strategia della tensione, reputa singolare il fatto che la figura di Giuseppe Saragat sia uscita indenne dalle pagine della Relazione della Commissione Stragi.

Per nostra sofferta esperienza, sappiamo essere impossibile analizzare adeguatamente il "golpe Borghese" senza conoscere l’essenza del mito del Comandante Borghese.

Un cospicuo retaggio famigliare, le comprovate attitudini tecnico-marinaresche, la devozione degli equipaggi, la ben meritata medaglia d’oro al V.M. e l’atavico bisogno di seguire un capo nobile, giusto e generoso, costituivano il fondamento psicologico di quel mito.

Spregiudicato agitatore di miti, Mussolini che aveva dovuto a malincuore rinverdire quello di Graziani, trovandosene fra le mani uno autentico mentre, fra mille difficoltà, si accingeva a fondare una Repubblica rivoluzionaria, altro non fece che amplificarlo a dismisura e usarlo ai suoi fini. Da quel momento, J. V. Borghese, che già si sentiva predestinato a compiere grandi cose (le analogie con la personalità di E. Sogno, sono evidenti), iniziò a vivere in funzione della propria infatuazione mitica, la quale, costituendo un’impura mescolanza di realtà e di menzogne, gli cagionò grandi umiliazioni e una morte, fosca e prematura.

Nelle pp. da 115 a 125 della Relazione, si sostiene «Nella notte tra il 7 e l’8 Dicembre si attivò in Roma un tentativo di vero e proprio colpo di Stato, che tuttavia durò soltanto poche ore e fu subito interrotto …»

Seguono considerazioni lontane dalle capacità degli individui che quei fatti si accingevano a compiere. A nostro avviso, «il gran numero degli uomini che era stato raccolto», ecc. sarebbe stato appena capace di occupare, per non oltre le 5-6 ore, una cittadina di provincia di 12-15000 abitanti, difesa da 30-40 carabinieri, 15-20 finanzieri e 25-30 vigili morti. Nel Ministero degli Interni le porte erano aperte e alcuni appuntati di P.S. erano in servizio per distribuire le armi, come al supermercato. Visto che AN non era «il braccio armato» di niente e di nessuno e che il colonnello Spiazzi col suo reparto avrebbe potuto occupare soltanto alcuni blocchi di fabbricati di Sesto San Giovanni (la piccola Stalingrado), il «golpe dell’Immacolata» non fu «da operetta» bensì da opera buffa.

Basti pensare che Borghese si è sempre rifiutato di spiegare le ragioni del contrordine «… persino ai suoi più fidati collaboratori …», evidentemente per non confessare che era stato «giocato», tutto essendosi svolto dietro istigazione e supervisione della CIA.

Inoltre, in tema di questioni militari, è noto che il Corpo Forestale dello Stato, dato lo specifico compito d’Istituto, non viene addestrato ad operare in campo tattico, coordinando fuoco e movimento sotto il tiro di mitragliatrici, di mortai e di cannoni. Figuriamoci i c.d. insorti!

Sulle capacità di J. V. Borghese in campo navale, nulla quaestio, ma non su altri campi (non s’improvvisa dall’oggi al domani un comandante di G.U.); nondimeno, egli ebbe il privilegio di disporre di un eccellente S. M., dei migliori ufficiali del disciolto R. E. e di un’ottima truppa composta esclusivamente di volontari. Tuttavia, sin dalla fine del ’43, Borghese divenne preda degli emissari dell’ammiraglio badogliano De Curten, tanto che il colonnello F. Albonetti (prefetto di palazzo a Villa Feltrinelli fino alla destituzione di Renato Ricci da Comandante generale della G.N.R.), dopo averlo più volte catturato, paventò seriamente di doverlo fucilare, ma Mussolini si limitò a farlo sorvegliare, al fine di valersene come fonte di notizie riguardanti il Governo del Sud. Comunque, che egli abbia collaborato con i «servizi» angloamericani durante e dopo la RSI, è un fatto storicamente certo. Il FN di Borghese, dunque, disponeva soltanto di un certo numero di elementi turbolenti, inetti a porre in atto veri e propri piani eversivi.

Va opportunamente precisato che, tenuto conto del proprio compito statuario di vigilanza ideologica sul c.d. «nostro ambiente», a quel tempo la FNCRSI era in grado di conoscere l’orientamento politico e la consistenza numerica dei gruppuscoli derivanti dallo sfaldamento del MSI.

Questa Federazione, quindi, resta nella convinzione che il ruolo assegnato in quella circostanza al FN di Borghese (non dimentichiamo che il Pentagono ha un’assai sperimentata competenza golpistica; l’America Latina non è forse considerata «il giardino di casa» degli USA?), non poteva che essere quello di fornire un congruo numero di civili da impiegare in funzione di «comparse», atte a rappresentare televisivamente il popolo più o meno armato che plaude ai militari salvatori della patria.

Nella notte dell’Immacolata, però, il compito del FN fu ancora più limitato: avvisare, more mafioso, certi ambienti politici per far loro comprendere quel che sarebbe accaduto ove non si fossero messi in riga secondo i voleri degli USA. Il cui obiettivo venne pienamente raggiunto: fu intimorita la classe politica e i sindacati, furono incarcerati o costretti all’esilio gli elementi più pericolosa della destra eversiva, secondo la nota prassi «USA e getta».

Con l’intento di tenere in caldo la strategia della tensione e quella degli opposti estremismi, ancora utili per ulteriori operazioni di stabilizzazione del «sistema», dopo breve tempo l’Italia poté godere del Governo Andreotti-Malagodi, con l’appoggio esterno del MSI.

Per quel che concerne il MSI, data la sua nascita spuria e i suoi vertici massoni o massonizzati, esso ha continuato ad ingannare la buona fede di tanti sprovveduti, ha tenuto sotto controllo gli ultimi fascisti e ha svolto il ruolo di scorta della DC, di refugium peccatorum per i transfughi dell’eversione extraparlamentare di destra, nonché quello di sollecito ospite di personaggi bisognosi di un seggio parlamentare per evitare il carcere.

Ciò detto, se i primi giudici hanno in qualche modo minimizzato, a nostro parere, la Commissione Stragi ha sopravvalutato la effettiva capacità operativa del FN e il suo, del tutto marginale, ruolo. Confermiamo, perciò (come a suo tempo facemmo al cospetto del giudice Filippo Fiore), che nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, si attivò a Roma soltanto una squallida simulazione di colpo di Stato; contestiamo altresì che quei congiurati si siano avvalsi dell’«apporto determinante soprattutto di elementi legati, se non politicamente e ideologicamente, almeno sentimentalmente al fascismo, e al fascismo più deteriore (sic!), quello repubblichino». Ciò facciamo per due ordini di motivi: in primo luogo perché nessun fascista repubblicano –quale che sia il governo in carica– sarebbe disposto ad agire contro l’interesse del popolo italiano; in secondo luogo perché se il golpe avesse avuto esito positivo, i primi a passare guai sarebbero stati proprio quei «repubblichini» i quali, essendo saldamente coerenti con i contenuti rivoluzionari della RSI (considerati quali parto di tendenze sovietizzanti) erano invisi alla destra più di quanto non fossero i comunisti.

Dal momento che fu opera di prezzolati delinquenti manovrati da elementi indegni dell'Arma dei Carabinieri, è assurdo l'aver attribuito a «stupratori fascisti» il belluino episodio di cui fu vittima la signora Franca Rame. Con lo stupro, l'uomo, travolge il mondo spirituale dell'esercizio consapevole della libertà, della volontà, e dell'intelligenza, e regredisce a livello di belva. Esso deve ancora trovare nella coscienza etica collettiva e nel C.P. sanzioni morali e penali analoghe a quelle previste per l'omicidio.

Tenuto conto che è storicamente acquisito che «… il fascismo italiano (…) si presentò come rivoluzionario, (…) e fu sentito come tale da moltissimi che oggi fanno parte dell’élite culturale e politica della sponda opposta» (cfr. A. Del Noce, "Il suicidio della rivoluzione", Ed. Rusconi, Milano ‘92), è da ritenere che gli estensori della Relazione si siano fatti guidare da antichi preconcetti e da immotivate pre-comprensioni.

Comunque sia, coloro i quali, a qualsiasi titolo e con qualsiasi ruolo, aderendo alle tesi della c.d. «guerra non ortodossa», di chiara matrice statunitense e assumendo la strage come strumento di lotta politica , si sono posti al servizio di una potenza straniera e hanno partecipato o invitato altri a partecipare alla strategia della tensione, tesa ad una maggiore soggezione del popolo italiano ad interessi stranieri, sono condannabili ai sensi del codice militare di pace.

Privi di ogni qualsivoglia idealità politica e di dignità morale, essi si sono rivelati affatto alieni da quelle leggi, che, come notò Pericle, «Senza essere scritte, recano come sanzione universale il disonore».

La FNCRSI ribadisce che le stragi sono state opera di antifascisti, al servizio dello Stato antifascista, succube di potenze straniere antifasciste.

Da ultimo, al fine di evitare ulteriori confusioni, preso atto che a p. 281 della Relazione è riportata la narrazione di una persona che avrebbe partecipato ad una riunione «promossa da AN e dalla Federazione Nazionale Combattenti della RSI, per la costituzione del FN di Borghese ...», sebbene nei primi anni '60 J. V. Borghese e il suo degno scudiero Remo Orlandini abbiano reiteratamente abusato del nome della FNCRSI per fini ignobili, tale riunione deve necessariamente essersi svolta nella sede di altra associazione. Probabilmente in analoga confusione incorse anche l'allora G.I. di Torino, Luciano Violante, il quale in un primo tempo perseguì F. G. Fantauzzi, in quanto responsabile della FNCRSI, poi, resosi conto dell'errore, processò Remo Orlandini, in quanto rappresentante l'UNCRSI, unitamente ad Edgardo Sogno.

 

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