Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Foglio di orientamento n° 3/1998

 

XXVIII Ottobre 1998

La marcia su Roma fu la risultante della felice intuizione mussoliniana diretta a travalicare, mediante l'incontro del Sociale con il Nazionale, sia il materialismo marxista sia le aporie del socialismo. Il compromesso con forze disomogenee -non sempre responsabilmente gestite- diede luogo, se non proprio all'arresto, a notevoli ostacoli nell'applicazione di quello che è lo specifico del fascismo. In sostanza, il momento univocamente interpretativo-operazionale di esso si ebbe soltanto nei 20 mesi della RSI. È doveroso però rilevare che la parte sana del popolo italiano percepì da subito la fecondità umana e sociale dell'intuizione di Mussolini e lo assecondò tributandogli un consenso qualitativamente e quantitativamente mai registrato da alcun altro uomo politico italiano.

Tutto ciò appartiene alla storia. Nondimeno, proprio mentre la storia sta compiendo sul fascismo e sulla RSI una sana opera di riflessione critica foriera di più corrette valutazioni, è doloroso dover constatare che taluni fra coloro i quali furono protagonisti della catarsi repubblicano-sociale del fascismo e che combatterono valorosamente contro le forze che individuavano in esso la fine di secolari privilegi, ora non ne ravvisino più l'alto valore sociale e rivoluzionario, così da offuscare la nobiltà e la fierezza dell'immagine che di loro reca nel cuore la gioventù social-nazionale. Tali incongrui atteggiamenti vengono infatti abilmente sfruttati dalla malafede della pubblicistica politica al fine di attribuire al fascismo -a seconda dell'orientamento ideologico di prezzolati gazzettieri- tendenzialità e attitudini reazionarie e conservatrici di destra, oppure un sinistrismo di carattere quasi sovietico. In ordine a siffatti fraintendimenti, la FNCRSI ha fatto propria (in quanto più prossima al vero, anche se risale al 1947), la realistica considerazione di G. Pini, l'uomo che fu più vicino a Mussolini negli ultimi 15 anni della sua vita: «Mi nego sistematicamente, apertamente alla destra, ma non posso abbracciare la sinistra attuale, perché marxista, perché sanguinaria e assassina, perché totalitaria nei suoi fini, perché sostanzialmente antinazionale non meno della destra (...) Sono convinto che l'ex-fascismo deve dividersi nei suoi residuati di destra e nei suoi germogli di Sinistra Nazionale. Questo aggettivo ci separerà sempre dai comunisti».

Non v'è dubbio che tale divisione sia nei fatti; la FNCRSI, tuttavia, reputa che non tutti i Combattenti e i simpatizzanti della RSI si rendano pienamente conto della sua essenzialità in ordine all'aperta ed inflessibile difesa ed affermazione dell'Idea.

 

Il Papa

A Zagabria, durante l'omelia del 4 ottobre u.s., il Papa ha additato il fascismo, il nazismo e il comunismo come «mali del secolo XX». A causa della compresenza nel Celebrante degli ibridi uffici di pontefice e di capo di Stato, dell'assenza-presenza di Stepinac (uomo di fede e di parte), e dell'atmosfera ultranazionalistica non aliena da «pulizia etnica», il sacro rito si è inopinatamente concluso con l'illecita irruzione, nella celebrazione eucaristica, del canto dell'inno nazionale croato. A parte lo squallore delle recenti cronache, vi sono verità universalmente accertate: la genesi religiosa delle nozioni di «Male» e di «Bene»; la certezza che, in assenza di una chiara e dinamica cognizione di tali nozioni, l'uomo resta ancorato al mondo subumano dell'istinto; la necessità che ogni azione umana non è esente da valutazioni etiche.

L'esistenza del male indusse Plotino a considerarlo come negazione dell'essere, cioè come «non essere». Poi sulla concezione del male come mancanza o deficienza di una perfezione dovuta per natura a tutte le cose, si orientarono Agostino (privatio boni), Anselmo (absentia debiti boni) Tommaso d'Aquino (alicuius particularis boni privatio). Poi, gran parte della riflessione religiosa successiva, ha fatto propria l'accezione teologico-metafisica del male come contrario del bene e, in ultima analisi, come opposizione al Sommo Bene, che è Dio. Uno soltanto, Nietzsche, seppe inerpicarsi «al di là del bene e del male» per attingervi una eticità ultra-terrena. A noi spetta il compito meno elevato, ma non meno arduo, di contrastare il male-menzogna con il bene-verità.

Ora, tutti sappiamo che le migliori intelligenze si sono interrogate su che cosa siano stati in sé i tre regimi condannati dal Papa e sulla rispettiva natura intrinseca. Ne sono emerse soltanto alcune somiglianze esteriori accompagnate nondimeno da dissomiglianze di portata tale da rendere arbitrario e privo di fondamento storico ogni giudizio che indistintamente li accomuni. È da ritenere, pertanto, che la più alta Autorità del cattolicesimo (17,9 % della popolazione mondiale), dovrebbe astenersi dal varcare i limiti dello specifico ambito spirituale e religioso, pena lo scadere in banali commistioni fra concetti propri ad esperienze politiche transeunti e concetti universali e permanenti. Ancor meno appare corretto che ciò avvenga per innalzare la democrazia al rango di bene e promuovere una forma di cristianesimo liberale.

Il cristianesimo, a nostro avviso, non ha bisogno né di aggettivi né di essere annunziato da uno Stato-chiesa.

Per quel che attiene al fascismo e ai suoi presupposti etici e religiosi esposti nella Dottrina in termini di grande attenzione: «(...) di fronte al fenomeno religioso in genere e a quella particolare religione positiva che è il cattolicesimo italiano (...) Nello Stato fascista la religione viene considerata come una delle manifestazioni più profonde dello spirito; non viene, quindi, soltanto rispettata, ma difesa e protetta», il giudizio assiologico formulato dal Papa risulta essere del tutto inappropriato, oltre che profondamente ingeneroso.

Evidentemente, il fantasma di Mani ancora s'aggira nella Curia inoculandovi i germi malefici dell'irriducibile dualismo di luce-tenebre fino ad «ottenebrare» ogni veritatis splendor. Infatti, ogni qualvolta l'esistenza religiosa viene scardinata dal fondamento della trascendenza, degrada al livello del puerile «tutto il bene da una parte, tutto il male dall'altra».

Benché pronunciato sull'onda di una devozionale intolleranza nutrita di umori inquisitori, un così temerario giudizio non può eludere le leggi della logica, le quali esigono rigorosi procedimenti, mentali mediante i quali, soltanto da conoscenze vere è possibile inferire altre conoscenze vere. Ma, quando un'affermazione è veramente vera? La verità, sostiene con solare semplicità il filosofo-matematico A. Tarski, connazionale del Papa, sta nella «corrispondenza ai fatti». Ebbene, che i fascisti fossero -e in gran parte ancora sono- cattolici-apostolici-romani è un fatto che corrisponde semplicemente al vero.

Come si può, ad esempio, assumere cristianamente come male la verità di fatto che alcuni reparti della Legione Tagliamento abbiano portato il loro Labaro e la Croce che lo precedeva, fin sotto le mura di Mosca (centro propulsore di quel comunismo condannato come «intrinsecamente perverso» da Pio XI e scomunicato dal suo successore) a ribadire col sangue che di Roma (centro d'irradiazione di quel ius gentium tutt'ora operante come patrimonio culturale nell'intero mondo civilizzato), ce n'è una sola; e innalzare a bene la verità di fatto che il fante K. Wojtyla, riconsegnato l'intero equipaggiamento in dotazione alla Legione accademica di Cracovia il 30 agosto '39 (giorno precedente la dichiarazione di guerra tedesco-sovietica alla Polonia, abbia atteso, tra qualche rappresentazione del teatro rapsodico e qualche sbrigativa lezione di teologia in un seminario clandestino, di essere «liberato» dall'Armata Rossa? (cfr. Malynski M. "Il mio vecchio amico Karol", ed. Paoline, Roma '83).

Inoltre, non è cristianamente né vero né bene quanto sostenuto dall'Episcopato polacco ("lettera ai fedeli" in data 10.2.66) con la quale si afferma: «il popolo polacco ha motivo di chiedere perdono ai suoi vicini? Certamente no. Siamo convinti che come nazione da secoli non abbiamo commesso alcun torto, né politico, né economico, né culturale contro il popolo tedesco» (cfr. o.c., p. 232).

Ciò non è né bene né vero, perché dopo le inique spartizioni del 1700, la Nazione polacca è stata dissennatamente ridisegnata a Versailles nel novembre 1918 a scapito di tutti i suoi confinanti: russi, ruteni, ceki, austriaci e tedeschi. Questi ultimi, non potendo ulteriormente tollerare la divisione del territorio patrio, avanzarono ragionevoli richieste ai polacchi: soltanto qualche chilometro di territorio all'interno del noto «corridoio» creato per consentire l'accesso al mare alla Polonia, che permettesse di unire territorialmente la Germania alla Pomerania e alla Prussia Orientale, e la restituzione della «città libera» di Danzica, tedesca oltre il 90%.

Non si può negare dunque che fu l'assurdo rifiuto polacco, solo a parole garantito dalla Francia e dall'Inghilterra, l'elemento scatenante della IIª guerra mondiale. Così come è innegabile la collaborazione di Pio XII con il nazionalsocialismo e l'alleanza della chiesa cristiana ortodossa con il bolscevismo. È vero altresì che Pio XII attese il 24.12.44 (radiomessaggio) -quando oramai il destino del III Reich era segnato- per rendere manifesta la sua opzione in favore della democrazia, ma non senza tuttavia nascondere -urbi et orbi- la sua ambascia: «Può esservi una democrazia che non tenga conto del bene comune o che, in nome di una pretesa uguaglianza puramente nominalistica, rechi in sé ingiustizia e soprusi, per altro costringendo tutti ad un livellamento verso il basso, che limiti o annulli lo spirito di iniziativa e l'intelligenza creativa dei migliori?».

Ma anche a K. Wojtyla non sono ignoti i pericoli della democrazia. Nella enciclica "Veritatis splendor" infatti egli afferma che v'è: «(...) il rischio dell'alleanza fra democrazia e relativismo etico (che non è un'alleanza, ma una logica conseguenza - N.d.R.), che toglie alla convivenza civile ogni punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità». Ora, se è valida l'osservazione di L. Violante per cui: «Nelle democrazie si presuppone che nessuno sia depositario della verità totale (...)» (cfr. "L'Italia dopo il 1999", ed. Mondadori, Milano '98, p. 99), in un contesto a democrazia compiuta, il cattolicesimo non avrebbe altro destino che quello di un mero optional spirituale.

Altro fatto certo è che nel '44, Mussolini -nonostante che lo S.C.V. avesse riconosciuto il Regno del Sud e non pure la RSI, evento nefasto che ha influenzato negativamente la già precaria unità spirituale e religiosa del popolo italiano- respinse, con motivazioni non meno nobili che appropriate, la proposta di dar luogo ad uno scisma religioso. L'analisi storica ha dimostrato altresì che il Vaticano pose in atto la sua «successione» al fascismo nel governo dello Stato italiano, dopo averne propiziato la sconfitta militare.

Al di là del rispetto dovuto a tutte le religioni, fra gli Italiani e il Vaticano sussisteranno dissensi e contrasti fino a quando quest'ultimo non rivolgerà le sue cure unicamente all'attività religiosa. È di questi giorni la dichiarazione del massone-cattolico F. Cossiga circa il suo ingresso nel nuovo governo: «Sono pressato dalle gerarchie vaticane e dalla periferia, che mi spingono a dire no» (cfr. "L'Altalena di Cossiga", "l'Unità", 16 ottobre '98, p. 7).

Per quanto ci riguarda, affermiamo in tutta coscienza che poche cose ci è stato dato vedere di meno cristiano della Democrazia Cristiana, partito nato dal seno stesso del Vaticano e da questo sostenuto, moralmente e materialmente in flagrante violazione dello spirito e della lettera della Conciliazione, e che la condotta vaticana si palesa sempre meno evangelica e proiettata verso l'anacronistico e letale «ritorno» ad un Israele pervaso da intenzionalità del tutto contrarie ad una bene intesa prospettiva di vita cristiana. Condotta tale, quindi, da avvalorare la irriverente critica formulata da F. Turati in occasione della pubblicazione della "Rerum Novarum": «È qualcosa di veramente vile questo prosternarsi del Papa, che parla in nome di Cristo, questo suo trascinarsi ginocchioni dietro la borghesia incredula, scettica e gaudente, che a lui e alla sua chiesa, nell'intimità, in modo che il volgo non vedesse (sic!), non diede e non saprebbe dare che calci e ceffoni» (Postilla, "Critica Sociale", 31.5.1891 - dal supplemento de "Il Sabato", 18.5.1991).

 

Luciano Violante

Con il libro innanzi citato, L. Violante confessa che «La Resistenza e la lotta di Liberazione (...) non appartengono ancora alla memoria dell'Italia repubblicana»; auspica che «(...) i valori della liberazione dal nazifascismo» diventino «un valore comunemente condiviso dagli italiani» e fornisce una notizia assolutamente inedita (ma non vera), secondo cui «I giovani militari di Salò scortarono anche i convogli per i campi di sterminio». Fra l'altro sostiene che G. F. Fini è a capo di «un partito che discende direttamente dal partito fascista» (altra notizia non vera, perché il MSI discendeva direttissimamente dal Ministero dell'Interno) e che questi ha pubblicato un articolo su "Le Monde" il 26.6.98, in cui -come ogni buon antifascista- ha esaltato il valore dell'antifascismo ed ha riscosso: «un riconoscimento inatteso persino dall'associazione dei partigiani nel documento redatto il 25.5.98». Ciò ci costringe a, ribadire che Fini, e prima di lui De Marsanich, Michelini, Almirante e Rauti, non sono politicamente eredi di niente e di nessuno e men che meno del fascismo, che hanno opportunisticamente rinnegato e tradito.

In attesa che Violante e Fini prendano atto che: «La Resistenza è fallita per l'adesione alle idee vecchie e per l'accettazione della corruzione nuova» (F. Parri), qualche responsabile (si fa per dire) della democrazia italiana vorrà gentilmente renderci edotti su chi (e come) scortò gli 85 milioni di vittime del comunismo?

Comunque, dopo questo libro, diviene impresa disperata discernere chi dei due sia più reazionario, mondialista e papalino. Le prese di posizione dogmatico-inquisitorie di Violante infatti concordano esemplarmente con quelle pontificie, soprattutto là dove egli sentenzia: «Quando sono in gioco simili valori (quelli democratici, ovviamente - N.d.R.) l'unica risposta è l'impegno per isolare e sconfiggere chi li offende», dove offesa e non condivisione sono sinonimi.

 

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