Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Un libro importante


Giorgio Vitali



Alessio Aschelter
"Intransigenti e moderati a Salò. I casi di Borsani e Farinacci"
Società Editrice Barbarossa. Pagg. 188. € 16.



Si tratta di un libro importante per una serie di ragioni, per lo più evidenti. Non intendiamo farne il commento perchè si commenta da sé. Ci limitiamo ad alcune considerazioni. Necessarie.
Intanto è bene ricordare che i due: Borsani e Farinacci, pagarono con la vita la lotta da loro intrapresa per la difesa del popolo italiano dal sovrappotere finanziario e mondialista che fin dall’inizio del XX Secolo ci stava soffocando. Ambedue finirono assassinati dai teppisti negli ultimi giorni d’aprile 1945.
Borsani, già profondamente colpito dalla guerra, (era cieco), aveva continuato la sua predicazione con spirito d’apostolato. Ebbe la direzione de "La Repubblica Fascista" su sollecitazione di Mussolini.
Farinacci aveva mantenuto la linea politica di sempre, espressa per decenni nel suo periodico, "Il Regime Fascista", che aveva pubblicato articoli di Evola e di Scaligero, e che gli aveva fatto attribuire il titolo di «Suocera del Fascismo», sfociata poi, dopo l’otto settembre 1943, in un costante sostegno alle posizioni filo tedesche presenti nel PFR e nel governo della RSI. Non entriamo nel merito. Probabilmente la scelta farinacciana, di carattere sicuramente geopolitico, non era sbagliata.
Era solo anticipata di qualche decennio.
Farinacci non era politico di poco conto, ma uomo coerente nei princìpi e nella linea politica, tanto da doversi scontrare spesso con le posizioni possibiliste di Mussolini, e tanto da venire alla fine emarginato, meglio: messo in un cantuccio. Relegato nel suo feudo di Cremona. Né va dimenticato il fatto che la sua società editrice aveva pubblicato anche il periodico "Crociata Italica", diretta da don Calcagno. Questa testata aveva coinvolto molti preti politicamente impegnati nella difesa di un cristianesimo italico, molto vicino allo spirito del francescanesimo. Anche don Calcagno avrebbe finito la propria esistenza assassinato dai teppisti. Tuttavia, anche l’azione svolta da "Crociata Italica", che aveva raggiunto una tiratura altissima, incredibile per quei momenti, ha lasciato un segno indelebile.

Altra considerazione che ci è ispirata dal libro è di carattere generazionale.
Dubito che coloro che, a guerra finita e dopo stragi indiscriminate, hanno programmato il silenzio su tutto quanto riguardasse la Repubblica Sociale ed il dibattito politico e culturale interno, avessero sentore di quanto sarebbe accaduto nei decenni seguenti.
Essi pensavano che tutto sarebbe finito in un oblio generalizzato. Invece, non solo la vita media è aumentata in modo tale che la sopravvivenza fisica dei militanti socialrepubblicani continua a garantire una "memoria storica" ancora vivente e in qualche modo "testimoniante", ma i documenti di un’attività intellettuale e politica estremamente vivace, come capita sempre in momenti di grande tensione civica, sono stati ritrovati e valorizzati da giovani studiosi che ne hanno fatto argomento di tesi di laurea e di libri che oggi possono circolare, favorendo la comprensione degli avvenimenti.

In questo senso non riteniamo che il giudizio negativo elargito dall’autore del libro, Alessio Aschelter, all’«inutile» diatriba fra, come dice lui, «intransigenti» e «moderati» sia politicamente corretto. Semmai, i fatti dimostrano che non bastano le «buone intenzioni» per salvarsi dalla cieca furia degli iconoclasti.
Lo scontro nel campo delle idee avviene sempre con molta asprezza, se le idee per le quali ci si batte sono tali da garantire una partecipazione totale da parte di chi le elabora e le esprime. Anzi! Sono le uniche idee che accettiamo. Che prendiamo in considerazione. Ed i due contendenti hanno dimostrato a iosa di saper morire con dignità e fierezza per le proprie idee. Guai se qualcuno rinunciasse ad esprimere le proprie idee a causa dell’imminenza di un evento catastrofico. Qui non si tratta di disquisire di «sesso degli angeli mentre i barbari sono alle porte». Questa definizione si addice, semmai, alle lotte di corridoio per la nomina di questo o quel burocrate combattute dai politici del governo repubblicano fino all’ultimo istante di sopravvivenza del medesimo.
Qui siamo su un altro piano. E d’altronde, anche in questo momento in cui stiamo esponendo queste brevi note, il futuro è tutt’altro che certo, come forse si immaginano o s’illudono tanti giornalisti «embedded». Ed un domani non troppo lontano qualcuno potrebbe stupirsi della cecità con la quale noi italiani abbiamo affrontato le emergenze incombenti in questi giorni.
Tuttavia un fatto è certo. Il fatto che in Italia sia esistita una dittatura autodefinitasi per esibizionismo «totalitaria» (disgraziatamente non lo era) non significa che sia mancato il dibattito politico. Al contrario, come capita sempre nei momenti di grande tensione, un autentico dibattito politico è sempre stato presente nel nostro paese fino alla totale conquista da parte atlantica. Ma da quel momento il dibattito è finito. Perché, se «per principio» certe «icone» sono per definizione intoccabili, come i concetti di democrazia, atlantismo, globalismo, libero mercato, occidente, parlamentarismo, e, soprattutto, antifascismo, non può esserci dibattito. C’è soltanto il chiacchiericcio di vecchie cariatidi che si confonde con il «gossip» sessuale di sottofondo.

Pregio del libro, per il quale ne consigliamo la lettura, è la capacità di dimostrare che, durante i due anni della Repubblica Sociale si sono scontrate posizioni politicamente diverse, spesso contrastanti. E spesso riguardava le posizioni, a volte antitetiche, fra fascismo, nazionalismo, patriottismo. La pubblicistica era imponente, e non si limitava alle sole tesi sostenute dai due periodici presi in esame, mentre i quotidiani avevano raggiunto tirature impensabili financo il giorno d’oggi, epoca dell’«informazione». Queste tesi sono riferite e proposte alla riflessione dei lettori, che ne possono valutare i contenuti e, al limite, l’attualità. Ma sono anche la prova che anche durante il Ventennio non è mai mancato il dibattito politico, e ciò dimostra inequivocabilmente che i tanti suoi detrattori sono dei falsari.
Non solo. Proprio nel dopoguerra, almeno sino alla fine degli anni cinquanta, la pubblicistica neofascista, comunque si voglia connotare, aveva un alto numero di testate che continuavano a battersi per le tesi, spesso in contrasto fra di loro, sostenute prima del tracollo finale. Si tratta di pubblicazioni interessantissime e molte di queste avevano cadenza quotidiana. Erano il naturale prolungamento di quel sacrosanto dibattito che tanto aveva acceso gli animi durante i due anni della Repubblica; perché il dibattito, se è frutto del fervore politico, non si spegne anche dopo l’eliminazione fisica di tanti giornalisti, spintasi ben oltre le «radiose giornate», come dimostrato dall’assassinio di De Agazio. Solo in seguito, anche in conseguenza dell’addomesticamento portato a termine dalla dirigenza del MSI divenuto atlantista, l’effervescenza polemica della stampa post repubblichina si è gradualmente attenuata fino a scomparire nella noia e nell’insignificanza. Per me, che li ho letti e li conservo gelosamente, questi rari documenti rivestono lo stesso interesse storico ed amatoriale della pubblicistica della Repubblica Romana del 1849 o di quella della grande rivoluzione francese.
In conclusione, non possiamo fare a meno di augurarci che qualche laureando decida di dedicare una tesi proprio a questi documenti. Siamo disposti ad aiutarlo.
 

Giorgio Vitali