Nel mondo globalizzato,
Geopolitica va a braccetto con Disinformazione. Il caso del Libano
Giorgio Vitali
Se da questo ventennio di guerre e stragi qualcosa ci può venire di positivo,
questo è il processo di maturazione che avrebbe dovuto investire tutti i popoli
della Terra, quelli investiti dal ciclone bellico e quelli "apparentemente" in
pace.
Questo processo di maturazione dovrebbe coinvolgere anche noi italiani che, per
una serie di ragioni, siamo stati tenuti all’oscuro per decenni di quanto
avveniva nel mondo.
È pur vero che anche noi avevamo le nostre gatte da pelare, non a caso l’Italia
si trova protesa nel bel centro del motivo di contendere: il Mediterraneo, le
sue fonti energetiche e le sue vie di mare, come ponte reale fra l’Unione
Europea da sempre "in fieri", e l’Africa, tutta l’Africa con i suoi ancora
inesplorati tesori, ma le strette pastoie nelle quali il nostro paese era stato
ristretto dagli Accordi di Yalta non permettevano, alla nostra politica
ufficiale di spaziare di là dal proprio naso. Nel senso che, chi ci ha provato,
e non sono stati pochi, ne ha sempre pagato le conseguenze. Che sono state dure,
come avviene sempre in guerra. Tuttavia, venendo a mancare per un certo periodo
il secondo giocoliere dello scacchiere mondiale, tutte queste restrizioni sono
finite ed il nostro paese si trova proiettato a svolgere una funzione
internazionale alla quale non può sottrarsi pena la sparizione dal contesto
geopolitico, che vuol dire economia, valorizzazione ampia dei beni in nostro
possesso, turismo compreso, possibilità di intessere rapporti con tutti paesi
del globo, specie con i popoli che si affacciano in quello che una volta fu il
"Mare Nostrum" e che i popoli arabi ancora chiamano il "Mare Romano".
Le Geopolitica è quindi piombata all’improvviso fra le prospettive degli
italiani.
Ma cosa dobbiamo intendere per Geopolitica? Molto semplicemente: una concezione
della politica che tenga necessariamente conto del contesto internazionale nel
quale qualsiasi decisione di carattere economico e politico viene a collocarsi.
La Geopolitica, scienza nata all’inizio del secolo scorso, oggi è una condizione
imprescindibile perché è la giusta risposta alla Globalizzazione.
La Globalizzazione è l’aspetto reale nel quale oggi lavora qualsiasi operatore
economico. Anche un piccolo negoziante di scarpe di uno sperduto paese, il
quale, se pure non compiutamente informato, può rendersi conto facilmente della
sua dipendenza da una serie di fattori che non sono più nazionali, ma
internazionali, globalizzata, come il fatto che il prezzo di certe scarpe può
essere determinato dal lavoro minorile che costa pressoché zero, ma questo
prezzo può essere da un momento all’altro sconvolto da una guerra, da una guerra
civile, da una campagna di boicottaggio contro società che sfruttano i bambini,
da un’epidemia dovuta al disinteresse delle Multinazionali per certe popolazioni
e così via.
Ma tutte le guerre che ci circondano, in primis quella che ha distrutto una
buona parte del Libano, rendono man mano cosciente una fetta sempre più vasta di
popolazione mondiale, acculturata o no. Nel mondo attuale, caratterizzato anche
da una sempre maggiore pervadenza della "nformazione", sorge pertanto, per i
manipolatori della politica, la necessità di «ntorbidare le acque» La necessità
di impiantare un sistema di disinformazione che si avvale dei sempre più
sofisticati sistemi televisivi. Oggi la tecnica può farci "vedere" tramite il
piccolo schermo tutto quello che si vuole.
Intendiamo quindi per "Disinformazione" la diffusione consapevole di notizie
false. Ed anche da queste occorre guardarsi per non cadere in molteplici errori
che possono costare caro anche ad ogni singolo cittadino.
Certamente, come scrivevo, il problema si pone oggi perché siamo posseduti
dall’informazione. e informazioni passano attraverso i nostri corpi e le nostre
menti. Certamente, nel 1854-56, quando Cavour mandò i bersaglieri a morire di
colera in Crimea, c’era ben poco da spiegare ad una popolazione per lo più
analfabeta.
E tuttavia, la necessità di operare al coperto di sguardi indiscreti, costringe
i governi ad operare in un sistema d’informazioni per lo più false, nonché
divergenti, atte ad innalzare un polverone sempre più compatto, attraverso il
quale i pochi cittadini desiderosi d’informazioni attendibili debbono inoltrarsi
fra letture e congetture.
Per nostra fortuna, in Italia, in questi tempi, l’attività editoriale è intensa
e si possono trovare in circolazione moltissimi libri che trattano di
geopolitica. È pur vero che sarebbe d’uopo anche in questi casi, il sapersi
orientare, anche per non impoverirsi rapidamente, dato il prezzo di questi
volumi, ma è sempre meglio avere sulla bilancia più informazioni e più opinioni
che non averne alcuna.
Libano
Che il Libano sia un paese importante non lo dimostrano le due guerre che ha
subito, con relativa distruzione d’intere città, infrastrutture, vite umane, ma
anche la sua storia, fin dal tempo delle guerre puniche. E sarebbe interessante
una rilettura della Storia di Tito Livio, nei capitoli che trattano dei rapporti
di Roma con un Annibale sconfitto ma pur sempre interessato ai destini della sua
terra, per rendersi conto di quanto sia poca cosa un periodo lungo un paio di
millenni. Il Libano è un ottimo strumento di destabilizzazione, perché è ancora
diviso tra le comunità etniche e confessionali per le quali gli anglo-francesi
lo hanno creato dal nulla dalle spoglie dell’Impero Ottomano. Attualmente si
trova in questa situazione, da quel ricco paese, sede di lucrosi commerci, che
era ridiventato dopo la guerra del 1975-76: economia allo sbando, fuga di
capitali, disoccupazione, caos sociale, infrastrutture a pezzi. Per rimettere
insieme il tessuto parcellizzato di questa società, risultato che poche potenze
vogliono, occorre far rimettere insieme, in un dialogo d’interesse nazionale, i
partiti sciiti, i partiti maroniti, quelli del fronte sunnita e quelli del
movimento druso. Che per un paese che ha un numero di abitanti pari a quello di
una città europea non è cosa da poco. È ovvio che in queste lunghe e faticose
diatribe persiste la "longa manus" del potere mondialista che ha l’interesse,
nemmeno troppo celato, di tenere tutti in fermento per creare al momento
richiesto, un ulteriore scontro civile molto utile per destabilizzare tutto il
"Vicino Oriente", a danno soprattutto dell’Unione Europea.
Il Libano è ulteriormente importante, ma pochi sono i Media che ne trattano, per
il petrolio, il gas e l’acqua.
Un esempio di guerra per il petrolio
Uno dei tanti progetti che sono all’origine dei colossali investimenti in armi
da guerra è l’oleodotto BTC. Cioè l’oleodotto che deve trasportare petrolio da
Baku, a Tbilisi, e da qui a Ceyhan, dopo 1.767 km, coinvolgendo anche Georgia,
Ucraina, Azerbaijan, Uzbekistan tagliando fuori la Russia, una volta (solo un
decennio fa) proprietaria di quei territori. Di qui i disordini, le divisioni,
le guerre intestine ed un necessario riavvicinamento della Russia all’Unione
Europea, attraverso Germania e Francia.
Ma non è tutto. Una volta giunto a Ceyhan, il BTC dovrebbe essere collegato, per
mezzo di condotte subacquee attraverso il Mediterraneo orientale, alla "Israeli
Tipline", ossia l’oleodotto che attraversa Israele da Ashkelon ad Eilat sul Mar
Rosso. Da qui, il greggio del Caspio, caricato su petroliere, sarebbe rivenduto
in Asia. Un macchinoso viaggio di ritorno alle fonti che ha il solo scopo di
fare di Israele il fornitore primario di energia per l’Estremo Oriente.
Queste sono le manovre che stanno dietro a tutte le trattative in atto in questi
anni, e la perdita imponente di vite umane -650.000 solo in Iraq- conferma la
dichiarazione di Clemenceau, rilasciata alla fine del primo conflitto mondiale,
secondo cui «... da ora in poi una goccia di petrolio varrà di più di una goccia
di sangue».
Libano, porta della Cina
Ma non è tutto! Gli avvenimenti in corso che è già difficile interpretare alla
luce delle conoscenze che emergono con estrema difficoltà dai comunicati più o
meno ufficiali, coprono un aspetto ancora più impegnativo, oltrechè intrigante.
Ed anche in questo caso solo l’incontro casuale, almeno questo è il mio caso,
con un libro molto importante, è servito ad aprirmi altre finestre verso la
comprensione di quanto si sta preparando. Il libro è intitolato: "Diavoli
stranieri sulla Via della Seta", edito in Italia da Adelphi. L’autore, Peter
Hopkirk, già giornalista "investigativo" di talento, aveva avuto un meritato
successo con un libro pubblicato anch’ esso da Adelphi, "Il Grande Gioco"
dedicato alla lotta per lo più sotterranea fra Inghilterra e Russia per il
possesso o il controllo di quella grande area che include India, Pakistan,
Afghanistan e paesi limitrofi.
Nel libro in questione, l’autore tratta un argomento del tutto inedito. Le
esplorazioni che sulla "Via della Seta", battuta per millenni dai popoli
asiatici per trasportare merci e così collegare il Mediterraneo con la Cina
(Pechino), e poi ridotta a deserto dall’apertura delle vie marittime, hanno
eseguito personaggi eccezionali, da soli o in compagnia di pochi aiutanti [per
lo più locali], agli inizi del novecento, sormontando difficoltà estreme. Da
buon inglese, l’autore ricorda un russo, un inglese, due giapponesi, un tedesco,
ed il loro battistrada, uno svedese, ma dimentica l’italiano Ardito Desio, morto
a 104 anni nel 2001, autore di grandi imprese fra cui la conquista del K2.
Desio ci ha lasciato un’autobiografia: "Sulle vie della sete, dei ghiacci e
dell’oro" edita da Mursia. Fermo restando che l’opera dell’inglese è un libro
stampato in Inghilterra nel 1982, sicuramente scritto in funzione della crisi
attuale, per allertare funzionari statali sulle linee guida da seguire
nell’affrontare con cognizione di causa un territorio rimasto ai margini della
storia per secoli, sarebbe utile che molte persone anche in Italia si
avvicinassero a questo argomento, per rendersi conto che, come affermava
Napoleone, la Storia è fatta dalla geografia. In questo caso dalla
"geopolitica". Il Libano è la porta mediterranea della Cina, senza dover
ricordare Marco Polo, per collegare "via terra" l’Eurasia alla Cina. Come da
qualche tempo illustrato dai padri della geopolitica, fra cui il nostro Ernesto
Massi, lo scontro di "civiltà" avviene sempre fra le potenze di terra e quelle
di mare, e solo casualmente fra religioni o culture. Un dato ormai acquisito e
confermato dalle guerre "geopolitiche" degli ultimi secoli.
Lo scontro per il Libano è lo scontro, per ora segreto, per il controllo della
"Via della Seta". È questa la filigrana attraverso la quale dobbiamo iniziare a
leggere tutto quanto accade su quel martoriato paese.
Giorgio Vitali |