da
I nemici d'Italia
Vincenzo Vinciguerra
www.marilenagrill.org
Opera, 30 giugno 2010
Un libro, edito dalla Casa editrice "Nutrimenti", "Il cuore occulto del potere",
ripercorre per mano del suo autore, Giacomo Pacini, la storia della Divisione
Affari riservati del ministero degli Interni.
Con tono pacato, l'autore traccia il profilo di uno dei centri di potere più
potenti dell'Italia repubblicana, sul quale ancora si conosce poco.
E' certo che il reparto rinacque nel dopoguerra per volontà del ministro degli
Interni, Mario Scelba, che lo affidò a funzionari di polizia di sicura fede
anticomunista e professionalmente capaci. Il compito della Divisione Affari
riservati era identico a quello affidato al corrispondente reparto del Sifar:
contrastare l'attività del Pci, considerato a giusta ragione la "quinta colonna
sovietica" in Italia. Non deve sorprendere o scandalizzare il fatto che il
servizio segreto civile abbia fatto leva per ricostituire la sua rete di
informatori nell'ambiente fascista, nel quale tanti avevano il solo obiettivo di
inserirsi nell'Italia, divenuta antifascista, per riprendere una vita normale
sottraendosi ad epurazioni e a persecuzioni. Fra i tanti, si può citare il caso
di Mario Tedeschi, sottufficiale della Decima mas, che il questore Saverio
Polito, in una nota informativa risalente ai primissimi anni del dopoguerra,
scagiona dall'accusa di far parte dei Far.
Un indizio di quella che presumibilmente fu l'inizio di una collaborazione
costante fra Mario Tedeschi e i servizi segreti civili e militari, perché il
personaggio era ben inserito nei Far anche se la sua attività clandestina non
gli ha mai procurato fastidi. Ritroveremo Mario Tedeschi nella veste di
direttore della rivista "Il Borghese", di senatore del Msi-Dn, di promotore di
"Democrazia nazionale" e, soprattutto di grande amico del prefetto Umberto
Federico D'Amato. Nella storia di un servizio il cui compito istituzionale era
quello del controspionaggio, il legame con uomini ed ambienti che ancora si
suole definire "neofascisti" è costante. Perché la difesa del regime sorto dalla
sconfitta militare si conduceva contro un nemico esterno (l'Unione sovietica)
che poteva contare, all'interno, su un Partito comunista i cui dirigenti non
occultavano la loro scelta di considerare come patria la potenza nemica
dell'Occidente. Forse, una classe politica avveduta avrebbe dovuto mettere fuori
legge il Partito comunista, risparmiando al Paese i lutti e le tragedie che sono
derivati dalla necessità di bloccarne l'avanzata elettorale.
Ci riuscirà il regime democristiano solo nel 1979, non facendo leva sui
"neofascisti" ma usando al meglio le "Brigate rosse", i "compagni" il cui unico
merito storico è proprio quello di aver fermato l'ascesa elettorale del Partito
comunista i cui dirigenti dovranno attendere la fine dell'impero sovietico prima
di poter entrare ufficialmente nell'area del governo, previa abiura delle loro
idee. Non è, quindi, con una politica accorta che il regime democristiano ha
sventato la minaccia comunista ma con quella strategia della tensione che ha
"destabilizzato l'ordine pubblico ed ha stabilizzato l'ordine politico", a torto
riferita solo a gruppi di estrema destra.
In questa strategia, pertanto, il ruolo della polizia politica è fondamentale
perché ad essa è stato demandato il compito di creare il "nemico", usarlo,
dirigerlo in modo occulto, e, infine, sconfiggerlo senza che la classe politica
venisse chiamata in causa, sul banco degli imputati come promotrice di una
guerra civile, che tale è stata anche se si continua a negarlo.
Il libro di Giacomo Pacini ci restituisce solo una parte di quella che è stata
l'attività "destabilizzante per stabilizzare" della Divisione affari riservati,
riferita all'estrema destra, sorvolando sull'estrema sinistra. Rimane, comunque,
un'opera valida, utile per iniziare lo studio dell'operato degli uomini del
servizio segreto civile, ancora lontano dall'essere considerato esaustivo.
Giacomo Pacini è prudente, cauto nei giudizi, e questo comportamento non nuoce
ad uno storico, che però nel mosaico deve inserire tutti i tasselli.
"Ordine nero" non nasce in Toscana, ma a Milano ad opera di prezzolati elementi
di estrema destra a disposizione del partigiano anticomunista Carlo Fumagalli
che faceva riferimento proprio alla Divisione affari riservati.
Non è un caso che Paolo Emilio Taviani sciolga la Divisione affari riservati
nell'immediatezza della strage di Brescia del 28 maggio 1974, consapevole che
essa è maturata in quell'ambiente che faceva capo ai "servizi paralleli" del
ministero dell'Interno, cioè a quella organizzazione segreta di cui ci parla nel
suo libro di memorie, indicando esplicitamente in Mario Tuti uno dei componenti.
Stefano Delle Chiaie è personaggio sopravvalutato nella storia dell'estrema
destra italiana perché è necessario sovrapporre la sua figura a quella di Junio
Valerio Borghese di cui è stato, certamente, fidato collaboratore. La pretesa di
Delle Chiaie si essere stato un "rivoluzionario", agli ordini di un uomo
d'ordine, conservatore, reazionario, a-fascista come Junio Valerio Borghese si
commenta da sola. E se c'è una certezza acquisita sul conto di Junio Valerio
Borghese è quella che deriva dalla sua collaborazione con i servizi segreti
italiani ed americani, ad altissimo livello.
Del resto, quella di Delle Chiaie è stata una latitanza di Stato, fatta in Paesi
come la Spagna, il Cile, l'Argentina, la Bolivia, il Venezuela i cui servizi
segreti avevano tutti ottimi rapporti di collaborazione con quelli italiani,
americani ed israeliani.
L'ammiraglio Fulvio Martini farà arrestare Delle Chiaie a Caracas nel 1987, in
coincidenza con l'inizio del processo per l'attentato di Peteano di Sagrado
perché come l'uomo è stato funzionale in veste di latitante ora dovrà continuare
ad esserlo come detenuto, obbligato a smentire quanto dichiara chi scrive. Cosa
che Delle Chiaie, dopo diversi mesi di titubanza perché consapevole che fra gli
scopi prefissi del sottoscritto c'era la sua difesa e quella di Avanguardia
nazionale, è costretto a fare. Il problema, quindi, non è rappresentato tanto -
e solo - dagli eventuali rapporti personali intercorsi fra Delle Chiaie e il
prefetto Umberto Federico D'Amato, quanto dal suo inserimento, in forma stabile,
in quell'apparato politico e militare che lo Stato italiano, a partire dall'
immediato dopoguerra, ha creato in funzione anticomunista. La storia della
Divisione affari riservati, quando potrà essere scritta in maniera più completa,
dovrà essere quella di questo apparato nel quale hanno ricoperto un posto di
rilievo il Movimento sociale italiano e tutti i gruppi di estrema destra,
nessuno escluso, che con quel partite ufficialmente ed ufficiosamente hanno
avuto rapporti di stabile collaborazione.
La strategia dell'inserimento da perseguire ponendosi come punta di lancia
dell'anticomunismo, per ottenere dalla borghesia "dalla congenita vigliaccheria"
il premio di essere chiamati a responsabilità di governo fu delineata da Pino
Romualdi già nel luglio del 1946.
E Pino Romuladi era un altro degli interlocutori occulti di Stefano Delle
Chiaie. Questa strategia, la sola perseguita dal cosiddetto "neofascismo" nella
sua totalità, deve essere negata, spacciandosi per "rivoluzionari", "terroristi
neri", "spontaneisti", non tanto perché essa si è rivelata suicida quanto perché
sono inconfessabili i mezzi impiegati per attuarla. Perché, per fare un esempio,
gli attentati del 12 dicembre 1969 rientravano in una strategia di Stato, ma gli
esecutori materiali non erano certo i funzionari della Divisione affari
riservati o gli ufficiali del Sid.
Non c'è "neofascista" di un certo rilievo che non faccia intende re o non dica
esplicitamente di essere a conoscenza di grandi segreti che, puntualmente, tace
e si porta nella tomba. Il fatto è che questi personaggi sono tutti ricattati e
ricattabili, perché le prove si possono trovare a carico degli esecutori
materiali non dei mandanti, dei burattini non dei burattinai.
Le regole del gioco sono chiare e conosciute: tacere per essere protetti.
Nessuno di questi "rivoluzionari", "spontaneisti", "terroristi neri" l'ha mai
infranta e, in cambio, tanti non sono mai entrati in galera e chi l'ha fatto ne
è uscito in tempi rapidi, godendo di buona stampa e di occulte protezioni.
In conclusione, quello di Giacomo Pacini è un libro di cui consigliamo la
lettura, perché è la storia di una parte dei burattinai d'Italia e dei loro
burattini, ancorché ancora incompleta e, in certi punti, eccessivamente
indulgente nei confronti dei secondi.
La storia di questo Paese è difficile da comprendere e, di conseguenza, da
raccontare ma l'autore e gli editori de "Il cuore occulto del potere" sono
persone intellettualmente oneste ed hanno iniziato a percorrere la strada che,
un giorno, porterà questo Paese ed il suo popolo a conoscere la verità.
Verità amara, perché i nemici d'Italia sono stati coloro che dovevano
proteggerla.
Vincenzo Vinciguerra
Opera, 30 giugno 2010 |